4
insieme di sculture en plein air un parco-museo, dunque, è necessaria un’esplicita
dimensione progettuale che metta in relazione le opere tra loro e le leghi al contesto.
Una dimensione propriamente museale, che Antonella Massa, nel suo libro dedicato a
cinque tra i più rilevanti parchi-museo di scultura contemporanea italiani, definisce
come “precisa intenzionalità di integrazione permanente dell’arte contemporanea nel
contesto storico-naturale
2
”.
Più recentemente, Paolo D’Angelo, nell’ambito della sua convincente riflessione sul
paesaggio come “identità estetica dei luoghi”, si è occupato dell’argomento: “Se il
giardino d’artista è opera di un singolo ed espressione della sua poetica, il parco-museo
raccoglie invece opere di artisti diversi, e può sorgere per iniziativa di un mecenate, di
un’istituzione museale pubblica, di un gruppo di artisti che decidono di operare assieme
in uno spazio aperto. Si tratta di interventi concepiti in vista di un ambiente determinato
e che, almeno nei casi migliori, sono pensati anche come mezzi per entrare in rapporto
con tale ambiente. Il visitatore, ponendosi in contatto con le opere, scopre anche un
ambiente naturale. Certo, il termine parco-museo è per se stesso vago e anche ambiguo,
dato che l’idea del museo tradizionale è proprio quella alla quale queste raccolte di arte
ambientale intendono opporsi. Esse si ispirano a modelli diversi, da quello,
relativamente più tradizionale della raccolta di sculture all’aperto, a quello del giardino,
fino a quello più nuovo della contestualizzazione di una serie di opere d’arte ambientale
all’interno di un territorio anche vasto, ma che proprio le opere stesse costituiscono in
unità. Correlativamente, anche le opere in essi ospitate si collocano in un ventaglio
piuttosto ampio, che può andare dalla semplice sited-sculpture fino a opere ambientali
complesse, che costruiscono un’esperienza dello spazio in cui vanno a inserirsi,
spingendo il visitatore a ripensare il proprio rapporto col paesaggio e con il luogo
3
”.
Troviamo qui elencati con estrema chiarezza tutti i principali nodi teorici relativi al
nostro argomento: le diverse origini e tipologie di riferimento, la complessa relazione
che lega le opere al contesto ambientale e la posizione del visitatore, che rappresentano
altrettanti momenti di riflessione nel corso della prima parte di questo lavoro.
2
Antonella Massa, I Parchi-Museo di scultura contemporanea, Loggia de’ Lanzi, Firenze 1995, pag.
14.
3
Paolo D’Angelo, Estetica della natura: bellezza naturale, paesaggio, arte ambientale, Laterza, Roma
2001, pag. 212.
5
Proseguiremo illustrando il progetto di “Guida ai parchi d’arte contemporanea in
Italia”, che costituisce l’approdo delle nostre ricerche. L’idea di un libro-guida, che
individui un itinerario attraverso i parchi e i giardini di scultura contemporanea italiani,
infatti, nasce dalla consapevolezza di un vuoto da colmare. Mentre, come vedremo,
l’arte contemporanea entra ed esce con disinvoltura dai musei e coinvolge lo spazio
pubblico alla ricerca di nuovi equilibri tra arte, architettura e paesaggio, quello che
manca in Italia è una mappa per orientarsi. Disseminati lungo tutta la penisola, i musei
all’aperto di scultura contemporanea appaiono oggi una realtà difficilmente afferrabile
da uno sguardo d’insieme, eterogenea per dimensioni, numero e fama degli artisti
coinvolti ma anche per il luogo in cui si trovano, il tipo di proprietà e le modalità di
gestione.
Partiamo dai luoghi, così diversi gli uni dagli altri, tanto che parlare di parchi-museo a
carattere urbano oppure inseriti nel contesto naturale, benché non appaia sufficiente,
aiuta in prima istanza a fare chiarezza: i primi possono essere parchi cittadini, interventi
nelle piazze, nelle strade e nei punti nevralgici del tessuto urbano; i secondi, invece, si
qualificano come operazioni su larga scala in grado di coinvolgere più sculture
all’interno del paesaggio naturale. Protagoniste assolute, le opere interagiscono con il
paesaggio in molti modi e ben rappresentano l’ampio e variegato panorama delle
tendenze contemporanee: se il Nouveau Réalisme, per esempio, ha dato vita ad alcuni
eccezionali giardini d’artista, le installazioni della Minimal Art americana sembrano
contraddistinguere soprattutto alcune importanti collezioni private. Accade spesso,
infatti, che parchi e giardini di scultura siano privati, nati dalla passione dei collezionisti
o dall’estro degli artisti; accanto a questi, soprattutto a partire dalla metà degli anni
Novanta, molte amministrazioni pubbliche hanno promosso la realizzazione di
interventi artistici strettamente legati al contesto urbano o naturale: un modo per
valorizzare il territorio e rilanciare il turismo che ha dato qualche buon risultato ma che
meriterebbe maggiore visibilità. E il pubblico? Questi musei all’aperto, che quasi
sempre si trovano in posti bellissimi (siano giardini storici, borghi antichi o ampi
paesaggi disabitati), invitano il visitatore a un contatto ravvicinato con le opere nello
stesso contesto nel quale e per il quale sono state create. Proprio qui potrebbe trovarsi
6
una delle chiavi del successo di alcuni parchi, i più noti e visitati, che sembrano indicare
la possibilità di superare, sul terreno di uno spazio condiviso, quella diffidenza e il
senso di estraneità che spesso minano il rapporto del pubblico non specialistico con
l’arte contemporanea.
7
1. ORIGINI E TIPOLOGIE DI RIFERIMENTO DEI PARCHI-
MUSEO D’ARTE CONTEMPORANEA
Le matrici culturali che agiscono alla base dei parchi-museo sono piuttosto eterogenee
e comprendono tanto la tradizione del giardino storico, a partire da quello manierista,
spesso esplicitamente citata, quanto una sensibilità ambientale di tipo ecologista,
spingendosi fino ai moderni indirizzi di architettura del paesaggio, alla Land Art e
all’arte ambientale.
1.1 I GIARDINI DELLE MERAVIGLIE
Come abbiamo affermato, ogni parco-museo, se vuole essere considerato tale e non un
mero insieme di sculture distribuite in uno spazio verde, non può prescindere da
un’esplicita dimensione progettuale. Proprio su questo punto, giardini e musei
s’incontrano e condividono nella loro genesi l’esigenza di un ordine delle cose, della
natura e dell’arte, che ne renda leggibile il senso. Si tratta, in entrambi i casi, di tentativi
di stabilire una concordanza tra l’ordine del linguaggio e quello del reale per
comprenderlo.
Nei loro studioli e Wunderkammern, i principi collezionisti del XVI secolo cercavano
di ricostruire una sorta di microcosmo, un luogo delle meraviglie deputato alla
contemplazione e alla meditazione, in cui l’ambizione a dominare lo spazio del mondo e
il tempo della storia, oltre alla varietà degli oggetti esposti, sembra portare a
compimento la vocazione dei trattati sull’arte della memoria, inventati dagli Antichi ad
uso degli oratori e diventati poi strumenti di conoscenza del mondo
4
. In questo senso,
sembra di poter affermare che, tanto nello studiolo quanto nel giardino manierista,
spirito enciclopedico, desiderio di racchiudere tutto il sapere in un sistema e gusto per la
4
F.A. Yeats, L’arte della memoria, Einaudi, Torino 1993.
8
messa in scena trovino lo spazio più adatto alla creazione di un ordine necessario
all’esposizione delle conoscenze, come in un vero e proprio “teatro del mondo e della
memoria
5
”.
Anche l’idea di sorprendere il visitatore con forme inconsuete e con la varietà dei
materiali e degli stili, che ritroviamo in molti parchi d’artista contemporanei, riprende
una caratteristica propria dei giardini manieristi, nei quali la volontà di stupire era
esplicitamente dichiarata. La poetica del meraviglioso, che ha ispirato le allegorie di
Pratolino e Bomarzo, per esempio, era parte integrante di un complesso programma
iconografico che coinvolgeva “ogni aspetto della composizione, dalla decorazione
dipinta a quella plastica, dalla vegetazione all’acqua, dando luogo a un vero e proprio
Gesamtkunstwerk
6
”. La colossale statua dell’Appennino del Giambologna, i giochi
d’acqua e gli automi che animavano le grotte di Pratolino non erano improvvisazioni
fantastiche, ma facevano parte di un sistema nel quale tout se tient, ideato da Bernardo
Buontalenti per il granduca, alchimista e collezionista, Francesco I de’ Medici. Così il
bosco incantato di Bomarzo, con i suoi mostri di pietra, mette in scena un universo
grottesco e bizzarro, secondo il programma realizzato da Pirro Ligorio per il principe
Orsini
7
.
Pensiamo, tra i parchi d’arte contemporanea italiani, al Giardino dei Tarocchi
realizzato dall’artista francese Niki de Saint Phalle, nei pressi di Capalbio. Si tratta
certamente di una delle principali presenze dell’arte contemporanea all’aperto in Italia
ma è, allo stesso tempo, uno straordinario luogo incantato, capace di affascinare un
pubblico non specialistico e di ogni età. Una sobria barriera d’entrata in blocchi di tufo,
opera di Mario Botta, separa il parco dall’esterno e introduce, attraverso la grande
apertura circolare, nel mondo fantastico dei Tarocchi. Qui, le ventidue sculture che
rappresentano le figure degli Arcani maggiori sono realizzate in cemento armato
5
Marcello Fagiolo Dell’Arco, Il giardino come teatro del mondo e della memoria, in: Città effimera e
l’universo artificiale del giardino: la Firenze dei Medici e l’Italia del Cinquecento, Officina, Roma
1980, p. 125-141.
6
Margherita Azzi Visentin, L’Olimpo in villa, in: Giuliana Baldan Zenoni-Politeo e Antonella
Pietrogrande (a cura di), Il giardino e la memoria del mondo, Olschki, Firenze 2002, pag. 93.
7
Su Pratolino si veda: Luigi Zangheri, Pratolino: il giardino delle meraviglie, Gonnelli, Firenze 1979.
Su Bomarzo: Maurizio Calvesi, Gli incantesimi di Bomarzo: il sacro bosco tra arte e letteratura,
Bompiani, Milano 2000.
9
rivestito di specchi, mosaici e ceramica e, in mezzo alla macchia mediterranea,
luccicano al sole come i castelli delle fiabe. Inoltre, molte sono penetrabili, percorribili
o addirittura abitabili, come la grande sfinge che raffigura l’Imperatrice, all’interno
della quale la stessa Niki de Saint Phalle ha vissuto durante la realizzazione del
giardino
8
. I riferimenti espliciti al Parc Güell, realizzato da Antoni Gaudì a Barcellona
ai primi del Novecento
9
, si mescolano al gusto per il “riciclaggio poetico del reale
10
” del
Nouveau Réalisme e all’universo magico e densamente femminile proprio dell’artista.
In Toscana, un altro “giardino delle meraviglie” si richiama apertamente alla
tradizione dei giardini manieristi: quello di Daniel Spoerri, un grande parco di sculture e
istallazioni, iniziato nel 1991 e in continua evoluzione che, fino alla metà degli anni
Novanta, ha avuto carattere esclusivamente monografico, per aprirsi poi agli interventi
di altri artisti. Qui le opere si dispongono in ordine sparso fra i sentieri o nascoste dalle
siepi e dai dislivelli del terreno, riproponendo la struttura apparentemente selvatica e
misteriosa del Sacro Bosco di Bomarzo, che non dista molto da questa zona ed è stato,
tra l’altro, la meta del primo viaggio italiano di Spoerri. L’artista, che è diventato un
profondo conoscitore della storia dei parchi, ancora prima di giungere in Toscana si era
appassionato all’Hipnerotomachia Poliphili, libro enigmatico scritto alla fine del XV
secolo da Francesco Colonna, che pare sia stato la fonte di ispirazione per lo stesso
Bomarzo: il sogno di Polifilo, in esso narrato, descrive un viaggio che rispecchia quello
della vita, di cui anche il Giardino di Seggiano vuole essere una parabola
11
. Il percorso
8
Realizzato tra il 1979 e il 1996, il Giardino dei Tarocchi sorge sull’area di una vecchia cava di pietra
abbandonata, di proprietà della famiglia Caracciolo, donata allo Stato italiano a metà degli anni
Novanta. Sul Giardino dei Tarocchi si veda: Niki De Saint Phalle, Le jardin des tarots, Editions
Acatos, Moudon, 2003; AA.VV, Niki de Saint Phalle. Il giardino dei Tarocchi, catalogo della mostra,
Orbetello, Polveriera Guzman, 1997, Milano 1997; A. Ciucci e F. Matitti, Nel Paese dei Tarocchi, in
“Art e Dossier”, n. 40, novembre 1989, pp. 24-25; Pontus Hulten (a cura di), Il Giardino dei Tarocchi,
catalogo generale 1988, XLIII Esposizione Internazionale La Biennale di Venezia; Pontus Hulten,
Una magia più forte della morte, in: “Golem e il Giardino dei Tarocchi”, catalogo della mostra,
Palazzo Grassi, Venezia luglio – ottobre 1987, Milano 1987.
9
“Nel 1955 sono andata a Barcellona. È lì che ho visto il magnifico parco Güell di Gaudì. Ho
incontrato allo stesso tempo il mio maestro e il mio destino. Ho tremato. Sapevo che un giorno,
anch’io, avrei costruito un giardino di gioia. Un incontro tra l’uomo e la natura. Venti anni più tardi ho
iniziato la più grande avventura della mia vita: il Giardino dei Tarocchi”, Niki de Saint Phalle, Le
jardin des tarots, op.cit.
10
Pierre Restany, 60/90. Trente ans de Nouveau Réalisme, édition La Différence, Paris 1990, p. 76.
11
Anna Mazzanti (a cura di), Il Giardino di Daniel Spoerri, Maschietto & Musolino, Siena-Firenze, 2°
edizione, 1999, compresa l’appendice Il Giardino di Daniel Spoerri, Nuove Installazioni, Maschietto
& Musolino, 2000-2001.
10
parte dalla villa e dal largo prato antistante, dove si trova uno spettacolare labirinto
simile a un disegno precolombiano, che si può osservare nel suo insieme da una
piattaforma sopraelevata, come fa il Visitatore in bronzo di Ester Seider. Su un’altura,
dalla quale si domina il paesaggio circostante e l’abitato di Seggiano, si trova un’altra
opera di Spoerri: un cerchio incantato, formato da nove zanne di narvalo conficcate in
altrettanti teschi equini fusi in bronzo. Da qui si prosegue liberamente alla scoperta delle
sculture: si va dai volti enigmatici in bronzo di Eva Aeppli, che rappresentano gli
influssi dei pianeti sulle fisionomie umane, al Penetrabile sonoro di Jesus Rafael Soto;
dal bellissimo e intenso Dies Irae di Olivier Estoppey, un branco di oche in fuga
incalzate da tre giganteschi battitori di tamburo in bronzo, alla delicatezza di Adamo ed
Eva, il lavoro di Dani Karavan che ha rivestito con una pellicola dorata le due parti
interne di un tronco d’ulivo diviso da un fulmine. L’effetto spiazzante della casa
inclinata di Bomarzo, infine, è stato ricreato sfruttando un declivio naturale del terreno
nella Chambre No 13 de l’Hotel Carcassonne Paris, 1959-1965, la ricostruzione della
camera d’albergo dove Spoerri ha lavorato negli anni Sessanta, della quale ogni
particolare è stato fuso in bronzo e assemblato con straordinaria maestria.
1.2 LAND ART E ARTE AMBIENTALE
L’esperienza della Land Art americana, che a prima vista può sembrare un precedente
diretto dei parchi di scultura contemporanea, appare meno determinante se si
considerano gli esiti della polemica condotta da artisti come Michael Heizer, Walter de
Maria, Robert Morris, Dennis Oppenheim e Robert Smithson, nei primi anni Sessanta,
nei confronti degli spazi istituzionali del sistema dell’arte. Le loro riflessioni,
riguardanti la funzione solitamente conferita ai musei e la capacità dei luoghi
d’esposizione tradizionali di accogliere opere di un nuovo genere, li porta a intervenire
nella natura; ma la predilezione per le dimensioni monumentali e la forma chiusa, di
derivazione minimalista, producono interventi che si impongono sul paesaggio piuttosto
11
che cercare una relazione con esso
12
. Inoltre, la scelta di luoghi remoti o di difficile
accesso fa sì che spesso l’unica relazione possibile tra il pubblico e l’opera sia quella
mediata dalla fotografia e dal video, esposti negli spazi tradizionali del museo e della
galleria
13
.
Torneremo a breve sul problema della visibilità delle opere della Land Art, che non
riguarda solo le realizzazioni titaniche degli artisti americani ma anche alcuni interventi
della cosiddetta arte ambientale e le operazioni minime ed ecologicamente corrette di
molta Art in Nature, denominazioni più appropriate al contesto europeo.
È in Europa che un discorso più consapevole intorno alle relazioni arte-ambiente, che
tiene conto della complessità di un contesto nel quale dimensione storico-culturale e
substrato naturale sono inestricabilmente connessi, porta a stabilire i termini di una
nuova e dialettica integrazione.
Ad Anversa, le Biennali di Middelheim
14
avevano dato vita, già a partire dal 1951, al
primo museo di scultura all’aperto europeo, che (benché agli inizi risenta ancora di un
approccio di tipo estetizzante) diventa ben presto un modello museale imprescindibile
per la collocazione e la conservazione della scultura contemporanea nello spazio
naturale
15
. I primi interventi autonomi in ambiente urbano o naturale risalgono, però,
12
Pensiamo a Complex City, l’opera monumentale che Michael Heizer ha costruito nel deserto del
Nevada: “Per un artista come Heizer il paesaggio importa poco [...]. Queste sculture destinate a essere
viste frontalmente, si ritagliano contro il cielo occultando quasi totalmente le montagne che stanno
intorno. Il contesto è naturale, ma l’effetto è quello che producono gli edifici di una città abbandonata
o fantasma”, Gilles A. Tiberghien, in: Javier Maderuelo (a cura di), Arte público: naturaleza y ciudad,
Madrid 2000, pag. 132.
13
Sulla Land Art si vedano i seguenti testi di riferimento: John Beardsley, Earthworks and beyond.
Contemporary Art in the Landscape, Abbeville Press, 1984; John Beardsley, Probing the Earth:
Contemporary Land Projects, Smithsonian Institution, Hirshhorn 1977; Suzanne Boettger,
Earthworks: art and the landscape in the Sixties, University of California Press, Berkley 2002; Jeffrey
Kastner e Brian Wallis (a cura di), Land and Environmental Art, Phaidon, London 1998; Gilles A.
Tiberghien, Land Art, Carre, Paris 1995; Gilles A. Tiberghien, Nature, art, paysage, Actes Sud, Arles
2001.
14
Le Biennali di Middelheim si sono tenute regolarmente dal 1951 al 1989 e hanno dato vita al primo
museo di scultura contemporanea all’aperto d’Europa, con un’importante collezione di opere del
Novecento, arricchitasi, a partire dagli anni Novanta, attraverso nuove acquisizioni:
www.museum.antwerpen.be.
15
Citiamo, tra i più famosi parchi di scultura europei, il Kröller-Müller Museum di Otterlo (Paesi Bassi);
il parco del Louisiana Museum for Moderne Kunst di Copenhagen (Danimarca); lo Yorkshire
Sculpture Park (Gran Bretagna). Per una panoramica sull’argomento, si veda la guida di recente
pubblicazione (anche in italiano): J. Blázquez, Valeria Varas y Raul Rispa et al., Arte y naturaleza.
Guía de Europa. Parques de esculturas, Editorial Documenta y Fundación NMAC, Madrid 2006.
12
alla fine del decennio successivo, come rileva Enrico Crispolti: ӏ a cominciare dagli
anni Sessanta, ma soprattutto durante i Settanta, in una congiuntura direi politica
particolarmente favorevole, che in Italia specialmente si è verificata un’apertura verso
tale problematica della socialità, dell’ambiente, della rottura dei circuiti tradizionali
dell’arte
16
”.
Le Biennali di Venezia Arte e Ambiente (1976) e Dalla natura all’arte, dall’arte alla
natura (1978) dedicano grande spazio alla scultura all’aperto e costituiscono il
riconoscimento ufficiale di una problematica già presente nel modus operandi di alcuni
artisti. Pensiamo, solo per fare qualche esempio, a Dani Karavan, per il quale l’arte
ambientale “diventando parte dell’esperienza quotidiana dell’uomo, diventa anche parte
integrale del suo spazio umano
17
”, o al lavoro pionieristico di Mauro Staccioli, punto di
partenza imprescindibile per ogni ulteriore riflessione sul rapporto tra la scultura e
l’ambiente non solo in Italia
18
. La dimensione ambientale della scultura si chiarisce,
nelle parole di Crispolti, anche in contrasto con due nozioni apparentemente simili:
quella di “ambiente”, inteso come il dilatarsi dell’opera al di fuori dei limiti del quadro,
così come si è generato a partire dalle ricerche delle avanguardie storiche e poi
nell’ambito di alcune sperimentazioni delle neo-avanguardie; e il monumento in senso
tradizionale. Rispetto al primo, ogni intervento ambientale è “qualcosa di diverso, la cui
dimensione, il cui approdo è la dimensione urbana esterna, costituisce la tipologia
attraverso la quale passa appunto il destino urbano della scultura”, mentre diversamente
dal monumento, è la forte carica progettuale a fare della scultura nell’ambiente “un
16
Enrico Crispolti, Destino urbano della scultura, in: “La Nuova Città”, ottava serie, n. 2/3, luglio-
dicembre 2001, p. 61. Crispolti, che
nel 1972 pubblica insieme a Francesco Somaini il libro a quattro mani Urgenza nella città (Mazzotta,
Milano 1972), è già a queste date un
critico attento ai processi di ri-appropriazione dello spazio pubblico da parte
della scultura: curatore, nel 1973, della manifestazione collettiva Volterra ‘73, che segna una tappa
fondamentale all’inizio di un decennio che ha visto il progressivo affermarsi di una “vocazione
urbana” della scultura.
17
Avraham Ronen, in: Dalla natura all’arte, dall’arte alla natura, catalogo della mostra, Biennale di
Venezia, 1978, pag. 98.
18
Nel 1972, Mauro Staccioli realizza a Volterra il suo primo intervento significativo su scala urbana, a
cura di Enrico Crispolti (Volterra ‘72). Seguono Volterra ‘73; l’intervento presso il Castello di
Vigevano Lettura di un ambiente, saggio esemplare del suo pensiero sul rapporto scultura-ambiente
(1977); il “muro” quadrato costruito per la Biennale di Venezia del 1978, ecc. Nel 1982, Staccioli fa
parte del gruppo di artisti chiamati a lavorare nel parco di Villa Celle a Santomato di Pistoia, dove
avvia un dialogo tra arte e natura destinato a non interrompersi.
13
fattore di trasformazione attiva”, che modifica profondamente il contesto,
modificandolo e qualificandolo
19
.
Questi inizi segnano in vario modo una presa di distanza dalle prime mostre di
scultura all’aperto, risolte in un atto di mera ambientazione delle opere d’arte en plein
air, ma anche dai “segni grandiosi di dominio, violenti e possessivi
20
” che la Land Art
aveva inciso nel paesaggio americano. Un precedente è da ricercarsi, piuttosto,
nell’esempio altissimo di Costantin Brancusi che, nel 1937-38, era intervenuto con
alcune sculture a Târgu Jiu in Romania, lungo l’asse che attraversa la città, istituendo un
dialogo diretto con i grandi spazi del paesaggio carpatico
21
.
Per le grandi dimensioni, quasi architettoniche, le sculture di alcuni parchi-museo
italiani potrebbero essere avvicinate agli interventi della Land Art, ma ad uno sguardo
più ravvicinato si fanno evidenti piuttosto le differenze che non i punti di contatto, a
partire dall’ambizione a misurarsi con un paesaggio fortemente connotato dal punto di
vista sia naturalistico sia antropologico. Due esempi, geograficamente lontani e molto
diversi per stile e per le motivazioni connaturate alla loro genesi, si prestano ad
illustrare chiaramente come in Italia la scala architettonica non sia mai gigantismo fine a
se stesso.
Nelle Alpi nord-occidentali del Friuli, al confine tra Austria e Veneto, Villa di
Verzegnis è un piccolissimo paese dove Egidio Marzona, collezionista tedesco di
origini friulane, ha creato il proprio parco di scultura. La presenza delle montagne, le
Prealpi Carniche, e del fiume Tagliamento costituiscono gli aspetti esteriori del
paesaggio, ma è il terremoto del 1976, con i conseguenti fenomeni di emigrazione e il
progressivo abbandono dei paesi, a caratterizzare fortemente il paesaggio culturale e
sociale della regione. Scrivono i curatori Elena Carlini e Pietro Valle: “Il risultato di
questo processo è un paesaggio di particolare asprezza, sia fisica, con le valli isolate e
profonde, ma anche sociale, con i segni dell’abbandono presenti negli insediamenti
19
Enrico Crispolti, Destino urbano della scultura, op. cit., p. 63-64.
20
Vittorio Fagone, Art in Nature. Una differente prospettiva creativa alle soglie del XXI secolo, in: Art
in Nature, Mazzotta, Milano 1996, pag. 12.
21
Giardino Brancusi a Târgu Jiu in Romania, Fondazione Benetton Studi Ricerche, Treviso 1994.
14
urbani e agrari
22
”. Qui, in un grande prato incolto al centro del paese, Marzona, che ha
cominciato raccogliendo le opere degli artisti appartenenti ai movimenti emergenti degli
anni Settanta (dall’arte concettuale alla Minimal Art e all’arte povera), dal 1989 invita
gli artisti a realizzare un proprio progetto. Le sculture, tutte di grandi dimensioni, sono
caratterizzate da un linguaggio geometrico elementare e dall’uso di materiali primari,
spesso locali. La piramide in cemento di Bruce Naumann, posta a ridosso dell’abitato in
modo da non apparire come un oggetto isolato, sembra una forma assoluta, ma rivela ad
un’analisi più approfondita “molteplici aspetti che dialogano col paesaggio circostante:
è una finestra che inquadra inaspettate vedute del prato e del paese, una stanza dove si
può entrare e uscire in molteplici direzioni, un triangolo di cielo portato in un interno e
un orologio solare che muta con i tagli di luce che proietta sulle pareti
23
”. Tagliamento
River Stone Ring di Richard Long è un anello al suolo, composto, secondo la prassi
consueta dell’artista che si serve di materiali locali, con i sassi raccolti sul greto del
fiume: posto al centro del prato, diventa un recinto dal quale osservare il monte
Amariana. Il padiglione in vetro di Dan Graham “è anch’esso una struttura
architettonica apparentemente assoluta che però si smaterializza completamente nel
paesaggio grazie alla sua trasparenza
24
”, allo stesso tempo trasparente e riflettente,
moltiplica come un caleidoscopio gli orti e i frutteti che lo circondano. Questi e gli altri
interventi, che si trovano sia sul prato sia sul versante urbano di Villa, non hanno avuto
inizialmente un’accoglienza favorevole da parte della popolazione e delle
amministrazioni locali: “In assenza di strumenti urbanistici che contemplassero questo
tipo di opere, esse venivano equiparate a manufatti edilizi, alcuni dei quali non
avrebbero neppure potuto sorgere, poiché posti su terreni agricoli. Per alcuni interventi,
come la piramide, sono state richieste concessioni edilizie ma, parallelamente, vi sono
state anche multe, permessi negati e denunce. Da parte del comune di Verzegnis c’è
stato tuttavia un progressivo avvicinamento al progetto di Marzona. Gli amministratori
si sono resi conto che gli interventi artistici promuovevano il territorio e avrebbero
potuto creare un riconoscimento culturale-turistico per questa zona. Hanno così deciso
22
Elena Carlini e Pietro Valle, Il Prato di Egidio Marzona a Villa di Verzegnis, in: “La Nuova Città”,
op. cit., p. 42.
23
Ibid., p. 44.
24
Ibid., p. 44.
15
di istituire una speciale ‘Zona del Museo all’Aperto’ per il prato di Villa nel nuovo
Piano Regolatore [...]. Vi sarebbe quindi la possibilità di stabilire uno strumento
normativo per gli interventi artistici nel paesaggio e una prassi di presentazione di questi
progetti all’ente pubblico [...]
25
”.
Dall’altra parte d’Italia, in Sicilia, la Fiumara d’Arte è l’ambizioso progetto intrapreso
nel 1986 da Antonio Presti, industriale e mecenate siciliano che ha voluto creare un
museo a cielo aperto nell’area dei Monti Nebrodi, da anni degradata e priva di qualsiasi
attrattiva turistica e culturale. Disseminate lungo il letto del fiume Tusa, le gigantesche
sculture sono realizzate per la maggior parte in cemento, un materiale che si adatta
perfettamente alle grandi dimensioni e capace di reggere il confronto con il paesaggio
aspro di questo tratto di Sicilia. Ma accusato di abusivismo e violazione delle leggi sulla
tutela del paesaggio – le sculture, infatti, sono state provocatoriamente installate sul
suolo pubblico e senza chiedere permessi –, solo recentemente Presti ha visto annullare
le condanne e gli ordini di demolizione che pendevano sulle opere della Fiumara d’Arte,
finalmente riconosciuta patrimonio artistico dalla Regione Sicilia
26
. Intorno al progetto,
infatti, benché avversato dalle amministrazioni locali, si è creato un movimento di
opinione favorevole anche grazie al coinvolgimento della popolazione.
In entrambi i casi, a Villa di Verzegnis come nella Sicilia nord-orientale, il dialogo
degli interventi artistici con un contesto difficile, lì segnato dall’abbandono e dallo
spopolamento delle montagne seguiti al terremoto, qui da un alto tasso di abusivismo in
una zona marginale rispetto ai grandi flussi turistici, ha sollecitato un nuovo modo di
guardare a quello stesso contesto.
25
Ibid., p. 45-46.
26
Solo dopo anni di accesi dibattiti sui giornali e in Parlamento e grazie alla formazione di un ampio
movimento di opinione in difesa della Fiumara d’Arte, nel 1994 la magistratura ha annullato le
condanne e gli ordini di demolizione.
16
1.3 ARTE NELLA NATURA
La lezione ecologista di Joseph Beuys, l’artista che meglio di ogni altro ha
impersonato l’idea di un’arte che si traduce in concreta assunzione di responsabilità nei
confronti della natura, agisce profondamente nel lavoro di molti artisti contemporanei,
attivi anche in alcuni “percorsi d’arte nella natura” e parchi-museo italiani. Artisti che,
dagli anni Settanta, “hanno scelto di realizzare la loro opera in spazi aperti naturali della
campagna o delle remote periferie metropolitane utilizzando solo materiali dello stesso
ambiente, senza fare ricorso a tecniche, sostanze e colorazioni che nei confronti
dell’habitat circostante possano risultare in qualche modo disomogenee o invasive
27
”.
L’opposizione nei confronti della Land Art non potrebbe essere più netta e non è forse
un caso che molti di questi artisti siano europei, provenienti da paesi nei quali “la natura
intatta praticamente non esiste più
28
” e dove il mito della wilderness e della frontiera da
conquistare che agiscono alla base della civiltà americana, non hanno ragione d’essere.
Un artista come Richard Long, per esempio, che ha fatto della presenza fisica del
corpo (il proprio corpo) nella natura il centro del suo lavoro, o di Andy Goldsworthy,
che opera anche con materiali assolutamente deperibili come il ghiaccio o la neve, bene
esemplificano un nuovo tipo di atteggiamento nei confronti della natura, un’attenzione
ai valori anche “antropologici della relazione uomo-natura” che Vittorio Fagone
27
Vittorio Fagone, op. cit., p. 13. Il libro, curato da Fagone e con contributi critici di László Beke, René
Berger, Gertrud Købke Sutton, Jacques Leenhardt, Sheila Leirner, Paul Nesbitt, Giovanna Parodi da
Passano, David Reason, Dieter Ronte e Elmar Zorn, presenta una panoramica completa delle
esperienze riconducibili alla filosofia che anima “Art in Nature”, in ambito europeo ed extra-europeo,
a partire dalla nascita del progetto nel 1989 fino al 1996.
28
Paolo D’Agelo così descrive le antinomie che oppongono la Land Art agli interventi di arte nella
natura: “Non opere gigantesche, ma interventi lievi e talvolta quasi invisibili, spesso del tutto
transitori. Non uso di macchine e maestranze, ma impiego del solo corpo umano, del corpo dell’artista
stesso direttamente impegnato nell’azione nella natura. Non impiego di materiali estranei e industriali
(cemento, acciaio, tessuti sintetici) ma rigorosa utilizzazione di materiali naturali, spesso raccolti sul
luogo stesso dell’azione. Non progetti adattabili a qualsiasi ambiente, ma interventi ispirati e guidati
dalla natura dei luoghi, pensati esclusivamente per un ambiente specifico”, op. cit., p. 190-191.
17
considera essenziale
29
. In Italia sono almeno due i “sentieri d’arte” (in questi casi
parlare di parchi-museo non appare del tutto appropriato) che si ispirano al movimento
internazionale Art in Nature: Arte Sella, in Trentino, e Opera Bosco, in Lazio. In questi
luoghi gli artisti hanno usato pietre, erba, rami intrecciati ma anche acqua e piante vive,
per creare opere d’arte che vivono in simbiosi perfetta con la natura che le circonda.
Sculture e installazioni straordinarie e semplicissime al tempo stesso, abbandonate al
ciclo delle stagioni, che le trasforma e le consuma.
Arte Sella è l’associazione che ha dato vita nel 1986 ad una biennale internazionale di
arte contemporanea da svolgersi all’aperto, nei prati e nei boschi della Val di Sella, e ad
un percorso, chiamato Artenatura, lungo il quale si trovano le opere di circa quaranta
artisti. Il circuito si conclude con la spettacolare cattedrale gotica, composta da tre
navate formate da ottanta colonne di rami intrecciati, opera di Giuliano Mauri
30
.
Opera Bosco, invece, fondato dagli artisti Anne Demijttenaere e Costantino Morosin e
aperto al pubblico nel 1996, si trova in un bosco della Forra della Valle del Treja a
Calcata, in provincia di Viterbo
31
.
Sono passati più di cinquant’anni dalla prima mostra di scultura en plein air di
Middelheim e una trentina dalle edizioni delle Biennali veneziane che abbiamo citato, il
movimento Art in Nature ha dato vita a manifestazioni internazionali importanti, e il
dibattito internazionale sulla scultura all’aperto e sul rapporto arte-ambiente non sembra
ancora passato di moda.
29
“Nel panorama contemporaneo delle ricerche che qui vengono raggruppate sotto l’indicazione Art in
Nature il nodo antropologico che viene identificato è collocato al livello più direttamente tecnico, o
artistico, delle procedure primarie della cultura materiale dove l’intervallo tra fabbrilità dell’uomo e
plasticità del materiale naturale risulta sempre minimo. Questo elemento, testimoniato ad esempio dal
recupero diffuso delle tecniche dell’intreccio, risulta caratterizzante di molti interventi nel paesaggio.
Si tratta non solo di un recupero “tecnico” di un luogo fondamentale della manualità creativa, ma
anche di un ancoraggio simbolico, dato nei termini di quella immediatezza estetica già teorizzata da
Beuys”, Vittorio Fagone, op. cit., p. 19.
30
Il testo più recente su Arte Sella è costituito dalla pubblicazione curata dall’Assessorato alla cultura
della Provincia Autonoma di Trento: Arte Sella 2005, Nicolodi, Rovereto 2005; si vedano anche: Arte
Sella: international art meeting, cataloghi delle mostre, Sella di Borgo Valsugana 1992, 1994, 1996,
1998, Mazzotta, Milano 1993, 1995, 1997, 1999; Arte Sella: incontri internazionali arte natura,
catalogo della mostra, Sella di Borgo Valsugana 2000, Borgo Valsugana, Arte Sella 2001.
Sull’opera di Giuliano Mauri si veda la recente monografia: Decio Giulio Riccardo Carugati (a cura
di), Giuliano Mauri, Electa, Milano 2003.
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Anne Demijttenaere e Costantino Morosin, Opera Bosco, Edizioni Opera Bosco, 2000; Anne
Demijttenaere e Costantino Morosin, La Porta del Serpillo, Edizioni Opera Bosco, 2002.