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2.4 Il sistema normativo italiano contro i paradisi fiscali.
Il primo provvedimento italiano contro i paradisi fiscali arriva con notevole ritardo
rispetto agli altri paesi. Si tratta della legge n° 413/91 che rimosse definitivamente il
segreto bancario e successivamente, nel 1992, venne adottato il “decreto Formica”
contenente la prima black list italiana con i territori a fiscalità agevolata, oltre alle
modifiche agli art. 76 e 96 del TUIR.
L'Art. 76 del TUIR, e più precisamente il comma 7 bis, fornisce la definizione di
paese a regime fiscale privilegiato, facendo riferimento alle black list per identificare i
paesi che vi fanno parte
Le condizioni previste in questo comma, sono collegate a possibili casi di elusione
per le operazioni compiute a livello internazionale.
Per superare l'elusione devono verificarsi le situazioni stabilite dal comma 7 ter,
cioè quando le società estere possono dimostrare che svolgono prevalentemente una
attività commerciale che possa giustificare le operazioni svolte. Le prove non vanno
fornite se il contribuente, dopo aver richiesto all’Amministrazione finanziaria un parere
preventivo sull’operazione da compiere, la realizzi secondo le indicazioni ricevute.
Quindi l’art. 76 del TUIR sottopone le operazioni tra imprese italiane e società
residenti in territori a regime fiscale privilegiato (facenti parte dello stesso gruppo) a una
doppia limitazione, stabilendo l'indeducibilità dei componenti negativi di reddito scaturiti
da queste operazioni (salvo sia data prova che le società estere svolgono attività
commerciale in modo concreto e prevalente) e permettendo che le operazioni, pur
superando la prima fase, possano essere modificate in base al valore normale dei prezzi
dei beni/servizi acquistati dall’impresa italiana, il tutto introducendo una discriminazione
in base al sistema fiscale del luogo dove è presente l'impresa estera.
La logica sottintesa è diametralmente opposta a quella che contraddistingue la
stipulazione dei trattati contro le doppie imposizioni: infatti, mentre questi ultimi mirano
essenzialmente ad individuare dei meccanismi di compensazione che consentano in
qualche modo di smussare le differenze tra i sistemi fiscali interessati, nella normativa anti
paradisi fiscali prevalgono le ragioni della separazione e dell’arroccamento, con un appena
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velato intento punitivo nei confronti dei paesi a regime fiscale privilegiato.
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In perfetta armonia con le disposizioni in materia esistenti nella maggior parte degli
ordinamenti stranieri, la corrispondente normativa italiana tende puntualmente ad
ostacolare tutte quelle strutture estere, manifestamente elusive e localizzate nei tax
heavens, appositamente create ed utilizzate dalle imprese nazionali al solo fine di ottenere
una arbitraria imputazione dei costi ed un artificioso trasferimento di utili in esenzione di
imposta, attraverso le formule della fatturazione o rifatturazione, del pagamento di
interessi, delle royalties, dei copyrights, dei management fees, ecc..
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Altre disposizioni del TUIR relative a operazioni con società non residenti nel
territorio dello stato sono contenute nel comma 5 dello stesso art. 76 (transfer pricing),
ovvero operazioni reali tra imprese di ordinamenti diversi legate da vincoli di controllo e
operazioni che hanno anche l’effetto fiscale di ridurre l’entità del reddito tassabile in Italia;
Una seconda black list è stata introdotta nel 1999, e successivamente l'elenco dei
territori a fiscalità agevolata è stato aggiornato di nuovo nel 2002.
Prima di addentrarsi nello specifico settore, è utile ricordare che il nostro
ordinamento tributario opera con tre diversi approcci in ordine ai paradisi fiscali, secondo
il riferimento a persone fisiche, operazioni intercompany e controllate estere.
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La black list del 1992 era rivolta alle imprese e individuava tre gruppi di stati al di
fuori del territorio dell'unione europea, e all’interno di ogni gruppo i paesi erano divisi in
base al soggetto ed al tipo di attività svolta.
La seconda lista del 1999 prevedeva come elemento discriminante la residenza
della persona fisica, per cui bastava risiedere in uno dei paesi elencati per far scattare
l’applicazione della norma.
Inoltre nel 1996 è stata emanata anche una white list contenente l’elenco dei paesi
che si trovavano nella posizione opposta ai paradisi fiscali, da cui fu esclusa la Svizzera,
nonostante una convenzione contro le doppie imposizioni. Un’altra lista bianca ancora in
vigore venne emanata nel 2001.
Altre disposizioni contenute nel nostro sistema fiscale sono quelle dell’art. 127 bis
DI TANNO, “ L’ i n d e d u c i b i l i tà dei componenti negativi di reddito nei rapporti con i
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residenti in paradisi fiscali individuati nel D.M. 24 aprile 1992”, in Boll. Trib., 1992.
CONTRINO A., “Elusione fiscale, evasione e strumenti di contrasto”, op. cit., p. 399.
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AA.VV ., Materiali di Diritto Tributario Internazionale, op. cit., pp. 397 e ss.
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del TUIR (sostituito dagli artt. 167 e 168) e quelle del regime dell’indeducibilità dei costi
dal reddito d’impresa generato da transazioni effettuate con aziende domiciliate nei
paradisi fiscali. Si riesce a tassare così in Italia (residenza del controllante) i redditi
prodotti dal soggetto estero partecipato e localizzato in zone a regime fiscale agevolato.
Con l'art. 168 del TUIR l'imputazione dei redditi dei soggetti esteri controllati è
stato esteso dal 2004 anche alle imprese collegate situate nei territori con paradisi fiscali.
La differenza consiste nel fatto che in caso di imprese controllate si tratta di reddito
d’impresa, mentre in casi di imprese collegate si tratta della quantità maggiore tra l’utile
dell'impresa collegata estera ed una somma determinata in base ad alcuni coefficienti
relativi all’attivo patrimoniale dell’impresa non residente.
La CFC legislation è rivolta ai cittadini residenti in Italia che detengono,
direttamente o tramite società fiduciarie, il controllo di un partner residente o localizzato in
uno dei territori con regime fiscale privilegiato presenti nella black list, oppure ai cittadini
residenti in Italia che possiedono partecipazioni collegate in imprese pari almeno al 20%
degli utili, oppure al 10% nel caso di società quotate sui mercati regolamentati.
I controlli sulle disposizioni appena descritte riguardano il momento che coincide
con la data di chiusura dell’esercizio oppure con il periodo di gestione del soggetto estero
controllato.
Il provvedimento della CFC ci da indicazioni su come individuare le zone del
mondo a fiscalità agevolata in base a tre criteri alternativi:
1) l’esistenza nello Stato estero di un livello di tassazione sensibilmente
inferiore rispetto a quello nazionale;
2) la mancanza di un adeguato scambio di informazioni;
3) altri criteri equivalenti, non meglio precisati.
Quando si verificano questi requisiti, i redditi conseguiti dalle società estere sono
imputati ai residenti, cioè soggetti a tassazione separata indipendentemente dall’effettiva
percezione degli stessi.
Per evitare la doppia imposizione, la norma prevede che gli utili distribuiti dalle
partecipate estere non facciano parte del reddito complessivo del residente per
l’ammontare di quanto già imputato a esso. Invece i proventi distribuiti oltre la parte già
tassata vanno a cumularsi alla base imponibile.
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Tutta la procedura descritta, opera in modo automatico, a meno che il contribuente
non riesca a dimostrare che:
1) La persona non residente svolga un’effettiva e principale attività
industriale o commerciale, nello Stato/territorio in cui c'è la sede.
2) Dalle partecipazioni non risulti l’effetto di localizzare i redditi in Stati/
territori con regime fiscale agevolato, a meno che si dimostri che la tassazione
sopportata all’estero non risulti sensibilmente inferiore a quella italiana e che la
scelta sia dovuta a inderogabili esigenze operative o gestionali.
Per dimostrare l'esistenza delle ipotesi elencate, il contribuente prima di avere e
utilizzare un proprio interesse in un paradiso fiscale, deve usufruire del diritto di interpello
ordinario, di cui si dirà in seguito.
L'art. 76 del TUIR, e più precisamente il comma 7 bis si riferiva soltanto alle
società residenti controllanti o controllate da soggetti con domicilio nei paradisi fiscali.
Dal 2002 è stato ampliato l’ambito della disciplina, comprendendo i rapporti esteri
intercorsi con altre società, e anche in questo caso spetta al contribuente l’onere di
dimostrare che l’impresa estera svolge principalmente un’attività commerciale effettiva e
che l’operazione è mossa da un effettivo interesse economico e viene realmente eseguita.
Merita un cenno, per le similitudini con il nostro paese, l’adozione di un analogo
sistema normativo in Francia (1980). Il diritto tributario d’oltralpe prevede che interessi,
royalties e compensi per servizi prestati da società residenti in paradisi fiscali non siano
deducibili salvo che l’impresa residente non riesca a dimostrare che le spese siano
relative ad operazioni effettive e che le stesse non siano somme esagerate o
anormali.
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Nel caso di mancata dimostrazione, l’indeducibilità riguarderà soltanto la parte di
pagamenti giudicata eccessiva o anormale.
L’art. 110 del TUIR (comma 10) afferma la stessa disciplina non ammettendo in
deduzione le spese e gli altri componenti negativi di reddito derivanti da operazioni svolte
con imprese localizzate in territori con paradisi fiscali, tuttavia anche qui il contribuente
può provare al fisco che l'operazione sia reale e dedurre i costi in questione.
“Art. 238 A.”, Code general des impots.
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A chiudere il paragrafo sulla normativa italiana, ecco una tabella che riassume la
normativa italiana per questo settore.
Tabella N° 3 – Norme del TUIR di contrasto all'elusione/evasione internazionale:
Fonte: TUIR
2.5. La posizione sovranazionale al riguardo
In base al diritto di stabilimento previsto dal Trattato di Roma del 1957, tutti i
contribuenti della Comunità Europea sono liberi di scegliere il luogo dove depositare il
proprio reddito, sfruttando le diverse normative fiscali dei vari territori.
La questione ha comportato l’esigenza dei vari territori europei di adottare
iniziative per ridurre gli effetti distorsivi del mercato comune.
I territori con alta tassazione hanno predisposto disposizioni normative per tentare
di arginare il fenomeno elusivo ed evasivo, derivanti dai rapporti internazionali con altri
paesi fiscalmente diversi, cercando di ridurre il ricorso ai paradisi fiscali, tramite sistemi
abili a smascherare le operazioni compiute con lo scopo di eludere/evadere il fisco locale.
Sull'argomento sono state fatte, sia localmente sia internazionalmente, indagini
NORME ANTI-PARADISI FISCALI: NORME SUI PREZZI DI
TRASFERIMENTO (TRANSFER PRICING):
✓Art. 2, comma 2-bis (presunzione di
residenza delle persone fisiche);
✓Art. 73, comma 3 (presunzione di residenza
dei trust);
✓Art. 73, comma 5-bis (Esterovestizione se la
società estera si trova in un paradiso fiscale);
✓Art. 110, commi 10 e 12-bis (Indeducibilità
dei black costs);
✓Artt. 47, comma 4, 59 e 89, comma 3
(Tassazione integrale dei dividendi provenienti
da paradisi fiscali);
✓Artt. 68, comma 4, 58 e 87, commi 1, lett. c,
e 5 (Tassazione integrale delle plusvalenze da
partecipazioni in società residenti in paradisi
fiscali);
✓Artt. 167 e 168 (società estere controllate e
collegate “CFC”);
✓Art. 168-bis (Paesi che consentono lo
scambio di informazioni – WHITE LIST)
✓Art. 110, comma 7 (Operazioni infragruppo);
✓Art. 110, comma 2, e art. 9, comma 3 (Valore
normale)