INTRODUZIONE
Un bambino molto piccolo viene posizionato per terra, davanti al
televisore, da una donna che successivamente inizia a passare
l’aspirapolvere. Siamo approssimativamente a cavallo tra gli anni ‘50 e
gli anni ‘60, lo possiamo capire dagli abiti, dall’arredamento, dalle
trasmissioni sullo schermo. Mentre una piacevole musica si snoda il
bambino cresce, emozionandosi, spaventandosi, sentendosi redarguito
o divertito dagli attori anno dopo anno; voltandosi per indicare lo
schermo a qualcuno in carne e ossa e non trovando alcun adulto a fare
da filtro: ci sono solo lui e i personaggi delle storie che segue. Si tratta
di Dream on
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, un telefilm degli anni ‘90 il cui protagonista, Martin
Tupper, il bambino cresciuto davanti all’apparecchio televisivo, vive la
sua vita di padre divorziato nella quale narrazione si inframezzano
scene di film e telefilm visti durante l’epoca passata seduto sul tappeto.
Quei personaggi sono gli unici esempi di adulto che ha avuto durante
la sua crescita, e i suoi schemi mentali si sono costruiti attorno a essi.
Da loro ha imparato come fossero fatti gli adulti, come comportarsi con
gli altri, come affrontare le difficoltà della vita.
1 Crane D., Kauffman M., Dream on, serie tv, 1990 – 96
1
Nelle frasi dei film fruiti durante la sua infanzia troverà rimproveri e
discorsi di incoraggiamento, in sequenze montate alternativamente alle
scene della sua vita, sempre in momenti in cui Martin si blocca a
riflettere, in uno stratagemma che sta a significare che la scena è
vissuta evidentemente nel suo stesso cervello, rivissuta nella memoria.
Questa serie televisiva è ovviamente un allegoria iperbolica della
realtà, ma sta a evidenziare quanto dagli anni ‘60 in poi la televisione
abbia fatto da baby sitter per miliardi di bambini. In questo mio lavoro
mi interrogherò su quanto e come questo ci abbia influenzati, anche e
soprattutto nel costruire un immaginario familiare che negli stessi anni
si andava fisicamente e moralmente modificando, con un ritmo
piuttosto sostenuto.
Il cinema (e per esteso le serie televisive, qui trattate allo stesso modo
in quanto, con la rilocazione del cinema
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, fruite negli stessi luoghi e
momenti di vita sociale o solitaria), nato durante un’importante
ricostruzione della famiglia, diventata nucleare e di impianto borghese
in modo più o meno omogeneo in tutto l’Occidente, ha da subito ritratto
le nuove famiglie, sempre più complesse, e i suoi componenti. Ma è
solo questa la sua funzione? Ritrarre?
In ambito didattico – pedagogico ci si interroga spesso sull’influenza
dei media nella nostra crescita mentale, nell’educazione, nella
2 CASETTI Francesco, La galassia Lumière. Sette parole chiave per il cinema che viene,
Milano, Bompiani.
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costruzione delle strutture mentali che mettono in ordine la nostra
conoscenza del mondo.
I mezzi di comunicazione rappresentano i fenomeni sociali della realtà – danno
forma alle conoscenze, ai comportamenti, alle esperienze – e offrono tali
rappresentazioni alla comunità sotto forma di testi (il prodotto pubblicitario, il
messaggio radiofonico, il romanzo di successo, il servizio giornalistico, il
videoclip di moda, il sito web ecc.) che prendono a circolare nell’ambiente
sociale. Ciascuno di questi testi si presenta come un oggetto culturale
dinamico, nella misura in cui il suo significato deriva dai processi di
interpretazione attivati dai singoli individui (o gruppi sociali) di una comunità.
Posti così, sul terreno dello scambio sociale, i prodotti mediali partecipano a dei
discorsi che la comunità costruisce sulla realtà, utilizzando, combinando e
inventando temi, luoghi comuni, convenzioni.
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Sotto quest’ottica potremmo ben dire che i prodotti culturali che
quotidianamente fruiamo dai media sono contributi alla nostra
costruzione di abiti mentali esattamente quanto il contrario. Ovvero che
il cinema, come le altre arti rappresentative della quotidianità,
acquisisce e ripropone delle realtà che le persone a loro volta
acquisiranno e riproporranno, in un continuo e perpetuo crearsi di
mondi immaginari, i quali fanno parte della nostra conoscenza del
3 Gallelli Rosa, Incontri mancati. Didattica e sessualità, Bari, Progedit, 2012. pp 20 -
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mondo, delle persone, delle esperienze, e di conseguenza
costruiscono, o meglio contribuiscono a costruire ciò che noi siamo.
Per Mc Luhan
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i media sono strumenti antropogenetici. Modificano
cioè il nostro modo di essere e di interpretare il mondo, sia dal punto di
vista delle abitudini, che acquisiamo e quindi mettiamo in atto, sia dal
punto di vista della fruizione e considerazione del mondo. In particolare
il cinema (e quindi per estensione le serie tv) è un media caldo, perché
fornisce molte informazioni e dà poco spazio all’attività dello spettatore.
Lo coinvolge totalmente, innesca una catarsi, quindi ha una capacità di
influenza molto forte nell’immaginario (e quindi costruzione di memorie
e mondi immaginari) dello spettatore.
Il nostro apprendimento è sempre più legato alle immagini, grazie alla
diffusione degli strumenti tecnologici, e le immagini sono sempre più
dettagliate, grazie al progresso tecnologico. I filmati, siano essi storie
complete o contributi di un telegiornale, ci raccontano la realtà in un
modo più chiaro, semplice, immediato di quanto facessero i testi scritti i
quali, comunque, hanno avuto il pregio di fornirci conoscenze che
prima dell’invenzione della stampa solo una piccola percentuale di
esseri umani riusciva ad avere. Ampliando il concetto Giovanni Sartori,
nel libro Homo Videns
5
, descrive poi apocalitticamente come questa
costruzione antropologica possa essere deleteria allorquando,
4 Mc Luhan M, Gli strumenti del comunicare, Il saggiatore, Milano, 1967
5 Sartori G., Homo videns, Laterza, Bari, 1999
4
utilizzando esclusivamente racconti video, diventiamo inabili nella
capacità di astrazione cui la lettura di testi scritti invece ci educa. Le
immagini sono immediate, eliminano il processo di immaginazione ed
evocazione della parola scritta, delle descrizioni, e quindi utilizzare
esclusivamente esse per approfondire la nostra conoscenza ci
renderebbe incapaci di interpretare autonomamente il mondo e i
concetti.
A questo punto non vorrei inoltrarmi oltre sulle visioni pessimistiche di
tale mutazione, ma solo accettare come credibile, o possibile, la sua
esistenza. Una delle premesse che terrò in mente durante il mio scritto
è che i media e le arti in qualche modo modifichino la nostra
concezione del mondo e quindi la nostra presenza nello stesso. Il
cinema (e per esteso le serie tv) fa parte sia del mondo dell’arte sia di
quello dei media. Quindi ritengo possibile che esso abbia la capacità di
modificare e/o creare le nostre cognizioni.
Una doverosa premessa va in questo mio lavoro al concetto di “padre
simbolico”.
Il padre simbolico
In un triste dibattito di inizio 2016 un gruppo di cattolici ultimamente
molto presenti in televisione cita a sproposito Orwell, scandalizzato
5
dall’idea che una madre potesse essere un concetto antropologico
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.
Come se non fossimo tutti, nelle nostre varie categorie in cui rientriamo
nella nostra vita: ruolo familiare, ambito lavorativo, dei concetti
antropologici, o sociologici, e così via; come se i ruoli umani fossero
identificati esclusivamente da realtà biologiche, in cui si mette al
mondo un figlio e quindi si è madre, o padre, automaticamente e per
sempre. Si domanda il Dott. Massimo Recalcati:
Cos’è un padre? È la domanda che agisce come un vero e proprio tarlo nel
pensiero di Freud. Egli escogita la figura di Edipo per segnalare che la funzione
paterna ha come compito primario quello di proibire ciò che invece l’Edipo di
Sofocle realizza: l’accoppiamento incestuoso con la madre. Un padre, sembra
dirci Freud, è colui che sa far valere la Legge dell’interdizione dell’incesto
facilitando il processo di separazione del figlio dalle sue origini.
7
Quindi il Padre è quella figura che accompagna il giovane a distaccarsi
dal nido familiare per rendersi indipendente, quella persona o insieme
di persone che instaura la Legge. << Colui che introduce il limite al
godimento incestuoso della Cosa materna>>, e anche colui che porta i
segni della castrazione. Un simbolo, un insieme di significati, un ideale
6 Miriano C., La madre non è un concetto antropologico:
https://costanzamiriano.com/2016/02/03/la-madre-non-ce-e-un-concetto-
antropologico/
7 Recalcati massimo, Cosa resta del padre? La paternità nell’epoca ipermoderna. Raffaello
Cortina, Milano, p27
6
quasi impossibile da incarnare, talmente idealizzato da non potere,
spesso, essere totalmente e perfettamente aderente a una sola
persona, e comunque non necessariamente al padre biologico.
La nevrosi è infatti un modo per fare esistere il padre ideale proprio perché si è
visto bene che ideale non lo è affatto. È un’ostinazione a voler credere al padre
ideale nonostante il padre reale. L’idealizzazione nevrotica dell’Imago paterna
tenta di assicurare una versione del padre che la realtà disconferma fatalmente:
non esiste il padre ideale, non esiste il padre che non sia castrato.
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Il Padre simbolico è quindi in questa visione una categoria, una
denominazione, che si porta dietro un insieme di caratteristiche che noi
culturalmente identifichiamo come appartenenti al padre biologico, o a
un punto di riferimento superiore, un despota, un leader. Qualcuno a
cui delegare la responsabilità di vivere autonomamente la Legge del
Desiderio, qualcuno che ci detti le leggi sociali, la legge della parola.
Quando questo qualcuno si rivela debole, castrato appunto, incapace
di incarnare la Legge, ci pervade un senso di frustrazione. Il Padre
simbolico può non rispettare la sua funzione archetipica, può rifiutarsi,
fuggire, sbagliare, essere troppo debole o essere al di fuori della
Legge. Tutti questi aspetti saranno affiancati, in questo mio lavoro, a
personaggi di narrazioni filmiche. Quindi, per loro natura, simbolici.
8 Ivi, p35
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