2
Il primo affare degno di menzione risale al 31 marzo 1804, quando Negri comprò la cascina
detta di S.Nazzaro (o di Sant'Agnese) e alcuni beni annessi, coltivati per lo più a vite, per
un’estensione totale di poco più di 24 ettari, al prezzo di 28
.
000 lire di Milano, dal Monastero di
Sant'Agnese di Novara5. Giuseppe Antonio ne divenne proprietario dopo aver presentato la
migliore offerta ad un’asta pubblica.
L’area di S.Nazzaro destò in più d’una circostanza l’interesse del Nostro, che il 15 maggio 1813
approfittò dell’attivo mercato dei beni nazionali per accaparrarsi l’intero complesso comprensivo
di convento, chiesa di S.Nazzaro e frutteto adiacente, per una superficie complessiva di circa 4,2
ettari. All’asta indetta dal Direttore del Demanio del Dipartimento d'Agogna, di cui Novara era
la capitale, Giuseppe Antonio offrì l’ineguagliata somma di 13.460 lire italiane. Il Negri, in
questo modo, subentrava ai Padri Minori Riformati in una proprietà che, in un tempo non troppo
remoto, aveva avuto un forte significato spirituale e religioso. Quest’ultimo aspetto, tuttavia,
sembra non abbia creato nell’acquirente problemi o scrupoli di coscienza. Per Giuseppe Antonio
la provenienza o la natura dei beni oggetto delle compravendite risultavano del tutto secondarie,
di fronte alla possibilità di effettuare un buon acquisto. Del resto questa sorta di spregiudicatezza
nel compiere le operazioni economiche fu un tratto distintivo di molti di quegli homines novi
assai attivi agli inizi dell'Ottocento sul mercato della terra.
Le floride finanze del Negri gli diedero la possibilità di sborsare, spesso, in contanti le somme
pattuite. Il 30 aprile 1817, egli acquistò, per la somma di 13.815.33 lire nuove di Piemonte
un’altra importante cascina del sobborgo della Bicocca, la cosiddetta ‹Morosa›, ed i suoi beni
annessi, per una superficie di 7 ettari circa6.
Con questo contratto si interruppe, temporaneamente, la serie di acquisizioni, ma l'attenzione del
Negri si rivolse, nel frattempo, anche ad altri beni immobili, ovvero alle case. Il 27 aprile 1819
comprò, infatti, dal Sig.Giuseppe Dominioni, una casa con giardino per il prezzo di ‹12.089.1.7
lire nuove di Piemonte›7. L'edificio era ubicato nella Contrada di Santa Lucia, Parrocchia di
Sant'Eufemia, al civico n°242, vale a dire nel centro della città di Novara.
L'ascesa socio-economica della famiglia Negri aveva preso avvio dalla proprietà fondiaria, intesa
non solo come ambito sicuro di investimento, ma anche come simbolo di prestigio.
Circa dieci anni dopo l'operazione di compravendita ora considerata, e precisamente l'8 gennaio
1829, Giuseppe Antonio riprese gli investimenti, accaparrandosi un appezzamento di terreno
facente parte, ancora una volta, dei beni di S.Nazzaro, per la cifra di 1.408.40 lire nuove di
Piemonte8. Trascorse ancora un decennio circa ed il 28 gennaio 1841 le sue mire si spostarono
su di un'altra cascina del sobborgo della Bicocca denominata Bellotti (in seguito Cordera), dal
nome della proprietaria, che gli cedette anche gli appezzamenti di terra annessi, di circa 11 ettari
‹per il prezzo di 18
.
014.75 lire nuove di Piemonte›9. Il 30 novembre 1850, Giuseppe Antonio
Negri morì, ab intestato (ovvero senza testamento), lasciando come suo unico erede il figlio
Giovanni.
Giuseppe Antonio grazie ad investimenti effettuati in poco più di quarant'anni, era riuscito ad
assemblare più di 733 pertiche novaresi di terreno, vale a dire circa 56,18 ettari. In questo
periodo egli mostrò un attivismo alternato a periodi di stasi, della durata anche di dodici anni.
L'età napoleonica, tuttavia, corrispose alla massima attività. La ragione di ciò va sicuramente
cercata nell'incremento che il mercato fondiario registrò nel corso del dominio francese. Nel
periodo della Restaurazione, invece, questo mercato si rivelò molto meno conveniente,
soprattutto a seguito dei provvedimenti restrittivi che i Governi ripristinati decisero di attuare.
5Fondo Ospedale Maggiore della Carità. Ereditario (d'ora in poi F.O.M.C.E.), b.1533, fasc.21, A.S.N.
6
Ivi, b.1535, fasc.10.
7
Ivi, b.1537, fasc.2.
8
Ivi, b.1533, fasc.40.
9
Ivi, b.1532, fasc.12.
3
Bulferetti ricorda che Vittorio Emanuele I, con un Regio Editto del 18 novembre 1817, restaurò
fidecommessi e maggiorascati, dando così prova di ‹quali duri colpi vibrasse la Restaurazione a
un libero e sano sviluppo dell'agricoltura moderna nel Piemonte›10.
Il Negri, dunque, approfittò di un trend economico favorevole, ma non intese le compravendite
di terre semplicemente come una speculazione, in quanto gli affari vennero condotti con
razionalità e con la finalità precisa di creare un patrimonio terriero da trasmettere alle generazioni
successive. Nella gestione e conduzione della terra Giuseppe Antonio mostrò abilità e
lungimiranza.
Sulla base di uno studio del Bordiga11, il territorio della città di Novara e del suo immediato
circondario sarebbe rientrato, in un'ideale ripartizione per zone agrarie, nell'area cosiddetta
irrigua, ove la risaia s'imponeva sovrana. Tuttavia la zona particolare in cui Negri costituì il
proprio patrimonio non si prestava tanto alla coltivazione del riso, quanto, piuttosto, a quella del
frumento, di segale e di prati. Numerose erano anche le piante, specialmente gelsi e viti, ma
notevole era anche la quantità degli alberi da frutto.
L'estensione delle proprietà, unita alla possibilità di disporre di una rete d'irrigazione decisamente
buona, rendeva improduttiva la parcellizzazione dei fondi e sollecitava, invece, una loro
conduzione mediante affitto ‹a corpo›. Questo, infatti, fu il tipo di amministrazione fondiaria di
cui si avvalse Giuseppe Antonio, spesso acquisendola da chi gli vendette le terre. Nel prendere,
tuttavia, in esame i contratti di locazione stipulati, è emerso un particolare di notevole interesse:
egli per tutto il corso del primo cinquantennio dell'Ottocento accettò in parecchie occasioni di
essere lui stesso affittuario di alcuni appezzamenti di terreno, dando, in questo modo, prova di
disporre di buone capacità anche nella conduzione diretta dei fondi12, Questo dato, inoltre,
consente di escludere l'ipotesi che il Negri fosse il tipico rentier privo di rudimenti agronomici,
assolutamente ignaro delle faccende campestri e, per così dire, timoroso di rimanere sopraffatto
dalla miglior competenza dei propri sottoposti (contadini o coloni), motivi questi che
contribuirono ad indurre molti acquirenti fondiari, ‹a perpetuare le pratiche colturali e i rapporti
di produzione preesistenti›13.
Dunque, nel periodo compreso tra il 1800 e il 1820, Giuseppe Antonio si dedicò,
contemporaneamente, all'attività commerciale, alla creazione di un patrimonio fondiario di una
certa consistenza, traendone la rendita dalla cessione in affitto di buona parte di esso, entrando
tuttavia egli stesso a far parte della categoria degli affittuari con la locazione di qualche
appezzamento di terreno, appartenente, come sempre, all'ormai prediletto sobborgo della
Bicocca.
Analizzando i contratti nei quali fu Giuseppe Antonio ad affittare beni di sua proprietà è stato
possibile ravvisare una sorta di evoluzione o, per lo meno, di progressiva trasformazione dei
contenuti.
Il loro confronto ha reso evidente l'aumento del numero dei capitoli contrattuali e l'inasprimento
degli oneri gravanti sul fittabile, che finiva col trovarsi in una posizione assolutamente subalterna
nei confronti del proprietario, in quanto costretto a sottostare alle prescrizioni impostegli
vedendosi ridotta al minimo la propria ‹autonomia tecnica ed economica›14.
Il primo contratto rinvenuto risale al 27 maggio 1818, data in cui, tramite scrittura privata, il
Negri concesse in affitto a Ignazio Grigolo ‹la cascina detta la Morosa co' suoi aratorj› oltre ad
un altro pezzo di terra che Giuseppe Antonio teneva in affitto dal reverendo parroco di
10L.BULFERETTI, R.LURAGHI, Agricoltura, industria e commercio in Piemonte dal 1814 al 1848, Torino, Istituto per la Storia del
Risorgimento Italiano-Comitato di Torino, 1966, p.20.
11O.BORDIGA, L'agricoltura e gli agricoltori del Novarese, Novara, Tip.Riv.di Contabilità, 1882, p.16.
12
Il 5 ottobre 1807 la ‹Commissione delle pie istituzioni e di beneficenza pubblica› di Novara, quale amministratrice dei redditi dell'opera pia di
S.Giuseppe, eretta nella Basilica Cattedrale, diede in affitto al ‹Sig.negoziante Giuseppe Antonio Negri› un prato situato nei pressi del convento di
S.Nazzaro, dell'estensione di poco più di 2 ettari, per nove anni e per l'annuo fitto di 295 lire di Milano. F.O.M.C.E., b.1533, fasc.25, A.S.N.
13G.L.DELLA VALENTINA, Padroni, imprenditori, salariati: modelli capitalistici padani, in Storia dell'agricoltura italiana in età
contemporanea, a cura di P.Bevilacqua, Venezia, Marsilio, 1990, II, p.164.
14G.GIORGETTI, Contadini e proprietari nell'Italia moderna. Rapporti di produzione e contratti agrari dal secolo XVI a oggi, Torino, Piccola
Biblioteca Einaudi, 1974, p.397.
4
Sant'Eufemia15. Il canone annuale della locazione ammontava a ‹lire nuove di Piemonte 107.45
per l'affitto della cassina e per li beni sacchi sette frumento, più i pendizi di due paja caponi e due
paja pollastri›. Come forma di pagamento, dunque, venne scelto il canone ‹misto›, ovvero
comprensivo di denaro e di una certa quantità di sacchi di frumento, secondo quella che era una
prassi ancora molto diffusa agli inizi dell'Ottocento. L'estensione dei beni locati era di quasi 3
ettari. Nel documento non si trova nessun accenno ai tipi di obblighi ed alle modalità di
conduzione della terra richiesti ai fittavoli, ma questa lacuna fu colmata nel contratto successivo,
sottoscritto il 30 ottobre 1827.
In quella data il Negri concesse in affitto a Giuseppe Losio ‹la cascina Morosa con alcuni beni
annessi›. Il canone annuo era stabilito in ‹milanesi lire 150, danti nuove di Piemonte lire
115.12.8› e, ancora, a ‹Sacchi 7 frumento bello e crivellato, due bei paja pollastri e due bei paja
capponi›16. Il contratto, però, cominciava ad essere corredato da ‹capitoli dettagliati che
rivelavano la gravità della pressione padronale sui coltivatori›17, ma che erano, anche, prova di
un'accresciuta attenzione nei confronti della resa fondiaria, nonché dello sfruttamento più
razionale delle terre.
Degni di nota sono i capitoli destinati ad impartire all'affittuario direttive precise riguardo alle
principali operazioni da compiere sui fondi, quali, ad esempio, l'obbligo di ‹far marcire le paglie,
che si raccoglieranno su questi beni, per così lettamarli e farli fruttare›, quello di non poter ‹in
fine di locazione, trasportare né le rimanenti paglie né il letame, come dote del fondo›, il divieto
di ‹atterrare le piante vive, né immaturamente scalvarle, od in qualunque modo danneggiarle› e
quello di ‹tenere le viti da buon padre di famiglia, zappandole due volte all'anno non compreso
l'incalzo nell'autunno, e lo scalzo della primavera, sgarzolarle, potarle, ed impallarle
regolarmente›.
Assai importante, poi, risulta il capitolo sette in cui, si stabiliva che ‹il proprietario darà
all'affittuario quella quantità di moroni che abbisogneranno per questi suoi beni, e l'affittuario sarà
obbligato di farli piantare, e fasciarli di paglia, ed anche fasciare gli altri piccoli già esistenti, e
così tenerli fasciati sino ad una discretta grossezza, e anche sarà obbligato di farli inestare, e tutti
zappare, come anche li grossi, due volte l'anno›.
Ancora una volta all'affittuario venivano richiesti precisi lavori da compiere sui fondi, lavori che,
come è possibile desumere con chiarezza da espressioni quali ‹farli piantare› e ‹farli inestare›,
sarebbero stati svolti dal personale salariato ed avventizio, di cui il fittavolo solitamente si
serviva.
A conclusione dei patti di locazione veniva fatto cenno alla consegna e riconsegna dei beni, ossia
alla stima degli stessi effettuata da un perito al principio e alla fine della locazione, particolare
che getta luce sulla volontà del proprietario di far rispettare, tutelandola, la ricchezza reale o
potenziale del fondo dato in affitto, la cui produttività gli stava a cuore, non meno della
possibilità di ottenere, da esso, il relativo canone di locazione.
Nell'analizzare le scelte economiche di Giuseppe Antonio Negri, sia quelle relative agli acquisti
fondiari sia quelle concernenti il tipo di gestione adottato per il patrimonio terriero, un dato è
dunque emerso come significativo, vale a dire la sua capacità di cogliere le occasioni di mercato,
concentrando i propri affari in periodi particolarmente favorevoli, e la sua competenza nella
conduzione dei fondi, gestiti secondo gli allora moderni sistemi dell'affittanza capitalistica.
* * *
15F.O.M.C.E., b.1535, fasc.12, A.S.N.
16
Ivi, b.1535, fasc.14.
17G.GIORGETTI, cit., p.334.
5
Dal matrimonio di Giuseppe Antonio Negri con Angiola Vecchio18, nel febbraio del 1801,
nacque Giovanni, il quale fra il dicembre 1823 ed il gennaio 1824 sposò Clara Fornara di
Soriso19, allora diciassettenne.
Data la giovane età dei coniugi, specie della sposa, e data la lontananza, di certo non irrilevante,
dei due rispettivi luoghi di origine, è verosimile credere che Giovanni e Clara non avessero avuto
molte possibilità di frequentarsi e di conoscersi a fondo prima della celebrazione delle nozze.
Molto probabilmente le due rispettive famiglie ebbero un ruolo determinante nella suddetta
unione matrimoniale, il che era la norma, specie nella prima metà dell'Ottocento, ed una
dimostrazione del fatto che le nozze venivano spesso intese come ‹oggetto di strategie che sono
il grande affare della famiglia›20, ossia come veri e propri investimenti, dal cui buono o cattivo
esito sarebbe in parte dipesa la prosperità o meno dei due gruppi familiari in questione. Diventa,
pertanto, determinante conoscere lo status della famiglia Fornara, per stabilire quali siano stati la
natura e i presupposti delle nozze qui considerate. Il primo dato interessante riguarda
l'ammontare della dote di Clara, che fu di lire 15.350.37 nuove di Piemonte21, una cifra di tutto
rispetto che già da sola è prova di una condizione economica piuttosto florida, in grado, quindi,
di conferire all'unione matrimoniale una giusta dose di ‹convenienza›.
Nell'analizzare, tuttavia, il contratto dotale della sposa si arguisce che la sua famiglia non solo
era discretamente danarosa, ma doveva avere investito parte del suo patrimonio nell'acquisto
fondiario, così come aveva fatto il padre del futuro sposo. Si legge, infatti, nel documento di
dote ‹Dichiarano li signori sposi non essere del loro interesse di ritenere li stabili paterni, che
potranno spettare alla sposa signora Clara nella divisione da seguire in corso dell'altra di lei
sorella germana Maria maritata Vercelli› e ‹convengono che debba il signor Fornara rilevarli al
prezzo che verrà attribuito all'epoca suddetta›. Giovanni e Clara preferirono, quindi, ricevere il
denaro corrispondente al valore dei beni stabili di cui Clara avrebbe dovuto entrare in possesso,
forse per evitare di gestire un patrimonio fondiario disomogeneo e frazionato, quale sarebbe
risultato se ai possedimenti novaresi del Negri si fossero aggiunti quelli della moglie di Soriso,
piuttosto distanti. Il gesto dei due sposi non è imputabile al loro scarso interesse per la terra, dal
momento che, sempre dal medesimo documento, si può desumere che parte della dote di Clara
avrebbe potuto, tramite ‹impiego fruttifero› e soltanto su richiesta di padre e figlio Negri, essere
convertita ‹nell'acquisto di fondi stabili›. Da questo dato, quindi, riemerge l'intenzione di creare
un patrimonio terriero compatto e ben accorpato, costituito da appezzamenti selezionati e non
semplicemente da poderi distanti, privi di coesione.
Un'ultima, importante considerazione relativa allo status della famiglia Fornara si evince da un
altro documento che la riguarda: si tratta di un contratto di compravendita22 che coinvolge alcuni
membri della famiglia, fra i quali Giovanni Fornara, zio paterno di Clara e ‹negoziante in
Novara›. Poiché il padre di Clara, Benedetto Fornara, era morto nel 180623 e la bambina, insieme
alla sorella Maria, fu presa in custodia dallo zio Giovanni24, è verosimile credere che fu proprio
quest'ultimo a prendere contatti con Giuseppe Antonio Negri al fine di unire le due rispettive
famiglie con il matrimonio fra sua nipote e Giovanni Negri.
18Stato della popolazione della città di Novara, 1814-1815, in F.C.N., parte antica, b.1784, A.S.N.
19Soriso, località a circa km 40 a nord di Novara, non lontana dal lago d'Orta.
20M.PERROT, Matrimonio e famiglia, in Ph.ARIÈS - G.DUBY, La vita privata. L'Ottocento, Roma-Bari, Laterza, 1988, p.110.
21Dote della signora Clara Fornara futura sposa del signor ingegnere Giovanni Negri, 28 novembre 1823, in Fondo notaio Serafino Prone,
b.12753, A.S.N.
22Cessione d'un corpo di casa fatta dalli signori Lucia Cavagliana vedova Fornara tutrice delle signore figlie Clara e Maria pupille ed il
signor Giulio Fornara tutore di lei surrogato per lire quattromille cento quaranta tre, soldi sei e denari otto, terza parte del patrimonio
lasciata dal signor Benedetto Fornara al di lui signor fratello Pietro Fornara, in Fondo notaio Francesco Buzzi, b.14312, A.S.N.
23Testamento del signor Benedetto Fornara, Soriso, Dipartimento dell'Agogna, lì 19 novembre 1806, Ivi.
24Dal Libro delle anime, ARCHIVIO PARROCCHIALE DI SORISO, del 1819 è stato possibile rintracciare un nucleo familiare così composto:
• Fornara Giovanni, di anni 52
• Clara, moglie, di anni 52
• Giacomo, fratello di Giovanni, di anni 38
• Maria, nipote, di anni 14
• Clara, nipote, di anni 12
• Alessandro, servo, di anni 28.
6
Come Giuseppe Antonio Negri, anche Giovanni Fornara era dedito al commercio, il che
consente di affermare che il matrimonio fra Giovanni Negri e Clara Fornara fu una delle tante
unioni fra pari-ceto, dove ad equivalersi non furono soltanto le condizioni sociali ed economiche
delle due famiglie , ma anche le attività dei due rispettivi capifamiglia, in nome di un perfetto
equilibrio. Evidentemente a Giovanni Negri ed a suo padre Giuseppe Antonio non interessava la
possibilità di stringere legami di parentela con appartenenti alla nobiltà, che avrebbero potuto
accelerare l'ascesa sociale della famiglia, offrendole un'agevole chance per emergere.
Sembrerebbe, piuttosto, che l'atteggiamento adottato dai Negri fosse, per così dire, di chiusura
nei confronti di chi apparteneva ad uno status diverso dal loro, il che denota una spiccata
vocazione omogamica e, forse, anche una volontà di ottenere successo in campo economico e
sociale solo grazie ai meriti personali e non mediante opportunistici escamotages.
I Negri erano, dunque, membri del cosiddetto ‹terzo stato› tipico dell'età napoleonica, fra le cui
peculiarità si riconosce la fiducia nella meritocrazia e nella ‹carriera aperta ai talenti›25.
Il ‹buon› matrimonio di Giovanni rappresentò l'inizio di una vita dedicata agli affari e,
specialmente, alla terra. Nel 1844 diventò curatore degli affari paterni in qualità di suo
procuratore generale26 e tutti i contratti relativi all'acquisto, alla cessione od all'assunzione in
affitto di determinati appezzamenti di terra lo ebbero come contraente. E' probabile che
l'influenza paterna abbia inciso sulle scelte di Giovanni, le quali non si discostarono in modo
consistente da quelle del genitore. Inoltre la compartecipazione agli affari fu resa più facile dal
fatto che, dopo le nozze, Giovanni abitò sempre nella casa paterna, seguendo la ‹regola della
residenza patrilocale›, adottata da moltissimi sposi nell'Ottocento e tesa a perpetuare il modello
di ‹famiglia multipla›, formata da membri appartenenti a più generazioni27.
Una volta chiamato in prima persona ad incrementare il patrimonio fondiario, Giovanni Negri si
orientò verso un'area già più volte privilegiata dalla sua famiglia, quella di S.Nazzaro28 o, al
massimo, verso il sobborgo di Sant'Agabio, che si estende a est del nucleo cittadino e può
considerarsi il proseguimento settentrionale di quello della Bicocca di cui la zona di S.Nazzaro
faceva parte29.
Le informazioni più interessanti sugli affari condotti da Giovanni emergono dalla sua denuncia di
successione del 185330 e specialmente da quella parte del documento relativa ai ‹crediti, livelli
attivi e simili›, dalla quale si desume che alcuni privati erano debitori verso il Negri di somme di
denaro avute in prestito, altri perché, in qualità di affittuari dei suoi fondi o delle sue case,
dovevano ancora versargli l'annuale canone di locazione, altri ancora perché, occupando
proprietà sulle quali Giovanni godeva il ‹diretto dominio›, dovevano pagargli il ‹livello› stabilito.
Fra i crediti figurano anche lire 400, ‹somma corrispondente ai quattro decimi delle due azioni›
dell'Impresa della Ferrovia da Torino a Milano. Giovanni Negri, dunque, fu azionista, ma non
certo di quelli grossi, forse perché questo tipo di investimenti non gli apparve tanto sicuro
quanto l'acquisto fondiario, nerbo di tutta la sua ricchezza.
L'ammontare complessivo dei crediti, costituiti da mutui, canoni d'affitto, livelli ed altre fonti di
reddito di più difficile identificazione, raggiungeva la somma di lire nuove 28.722.71 di
Piemonte.
Debitori di Giovanni erano anche i cugini Gaudenzio e Pietro Negri, figli di Francesco, zio
paterno del Nostro. Essi dovevano 750.35 lire nuove di Piemonte, compreso l'interesse
maturato. Gli affari del Negri, dunque, coinvolsero anche i parenti, segno di quanto fosse
25C.CAPRA, L'età rivoluzionaria e napoleonica in Italia 1796-1815, Torino, Loescher, 1978, pp.255-257.
26Procura Generale passata dal sig.Giuseppe Antonio Negri, in capo al suo figlio sig.Ing.Giovanni, in Fondo notaio Carlo Gaudenzio Speciani
(d'ora in poi F.N.C.G.S.), b.13973, A.S.N.
27M.BARBAGLI, Sotto lo stesso tetto. Mutamenti della famiglia in Italia dal XV al XX secolo, Bologna, Il Mulino, 1984, p.37 e p.60.
28F.O.M.C.E., b.1539, fasc.53, A.S.N.
29Vedasi ad esempio: Vendita fatta dalla signora Margherita Pellizoglio vedova del signor Luigi Ravioli e dal di lei figlio signor Gaudenzo
Ravioli al signor ingegnere Giovanni Negri, in F.N.C.G.S., b.13991, A.S.N. Giovanni, in quest'occasione, comprò la cascina di S.Giuseppe e beni
annessi.
30Consegna dell'eredità dell'ingegnere Giovanni Negri, 23 gennaio 1854, in Fondo ufficio d'Insinuazione di Novara. Successioni, vol.20, atto
n°225, A.S.N.
7
naturale, per costoro, coniugare gli affetti con gli interessi economici. Infine, poiché nella parte
della successione dove si elencavano le ‹iscorte sì vive che morte, esistenti sui fondi› figurano
anche ‹cento stuoie circa da bachi da seta› ed alcuni utensili destinati alla produzione del vino,
come ‹due torchi da vino, due tinelli, sei tine, ventiquattro vascelli e metri ventiquattro di
calastre›
31
, è verosimile credere che Giovanni si fosse dedicato anche alla gelsibachicoltura e alla
produzione di vino. Al momento della sua morte era inoltre proprietario di quattro case e di una
bottega, l'antica chincaglieria paterna, tutte ubicate nel centro storico. Alle case si aggiungevano
cinque cascinali di campagna ed i fondi ad essi uniti, per una superficie totale di poco più di 50
ettari e per un valore di 120
.
000 lire di Piemonte. Infine Giovanni era proprietario di altri beni
immobili situati nell'abitato di Olengo, pervenutigli dall'eredità dell'omonimo zio Giovanni.
L'estensione dei terreni sfiorava i 100 ettari ed il loro valore toccava le 282
.
000 lire di Piemonte,
con un incremento considerevole rispetto al patrimonio fondiario del padre.
Giovanni intraprese anche studi funzionali alla gestione della proprietà terriera. Nei documenti
che lo riguardano è definito talvolta ingegnere e talaltra geometra. E' arduo stabilire quale sia
stata la reale sua carriera scolastica, in quanto non si sono rintracciati documenti che fornissero
notizie chiare e sicure al riguardo. La Guida di Novara del 1846, però, annoverava Giovanni
Negri nella lista dei ‹misuratori›, mentre quella del 1852 lo elencava fra i ‹geometri›32. Egli
possedeva, quindi, una certa competenza in materia di perizie sulle superfici agrarie.
Gli studi dovrebbero avergli consentito, inoltre, di ‹trasformare l'istruzione agraria da sapere
tramandato di padre in figlio in una vera e propria "scienza", in grado di assicurare all'azienda il
conseguimento del massimo profitto›33.
Giovanni Negri morì il 14 settembre 1853 lasciando un testamento pubblico di grande
interesse34. Da esso si possono non solo desumere le sue ultime volontà, ma anche alcune
espressioni in grado di gettare luce sui suoi sentimenti nei confronti delle persone a lui care e sul
suo modo di concepire e di vivere la religione ed i suoi riti. Proprio in riferimento a quest'ultimo
punto, occorre sottolineare la totale assenza, nella scrittura testamentaria, di formule di
invocazione o di raccomandazione a Dio ed ai suoi santi, ‹modellate secondo la tipologia dei
beaux testaments› ed ancora piuttosto frequenti all'inizio del XIX secolo, specie nei testamenti
patrizi35. Negri evitò anche di fornire precise disposizioni relative ai ‹suffragi per l'anima›,
rimettendosi, per questo, alla pietà del figlio, avvocato Giuseppe. L'unico suo desiderio riguardò
la natura della cerimonia funebre, che avrebbe dovuto celebrarsi ‹in modo decente, ma senza
pompa›.
Non mancarono, invece, le disposizioni di carità, ma esse furono indirizzate esclusivamente ad
istituti laici, e precisamente allo Stabilimento dei Poveri (a cui il Nostro legò ‹lire 600 per una
volta tanto›) e all'Asilo Infantile (al quale furono devolute ‹altre lire 600›, sempre ‹per una volta
tanto›). Giovanni si mostrò molto risoluto nel rifiutare la beneficenza a destinatari di altra natura,
come si può ben capire dalla frase che conclude la sua scrittura testamentaria. Vi si legge, infatti:
‹Esortato poi esso testatore da me notaio a lasciare qualche cosa al venerando Ospedale de'
Santi Maurizio e Lazzaro della città di Torino, o ad altri spedali e luoghi pii massime della città di
Novara e provincia ha risposto e risponde negativamente›. Se ne deduce che la religiosità del
Negri doveva essere un poco tiepida in linea, forse, con quella tendenza ottocentesca, da
Hobsbawm ritenuta addirittura europea, di ‹secolarizzazione delle masse›36.
31
‹Calastra›: trave di sostegno per la filiera delle botti.
32G.LENTA, Guida di Novara per l'anno 1846, Novara, Miglio, p.90 e Guida di Novara per l'anno 1852, Novara, Miglio, p.318.
33M.L.BETRI, R.GOSI, Una vocazione alla proprietà terriera: le vicende degli Jacini nell'Ottocento, in Annali della Fondazione Giangiacomo
Feltrinelli, Milano, 1993, p.95.
Nella sua analisi sul patrimonio agricolo novarese nell'Ottocento, Bordiga, cit., p.205, fa notare che ‹ove l'irrigazione predomina, sono tra le meglio
tenute non solo le terre coltivate dai possidenti, ma quelle altresì il cui conduttore ha fatto qualche studio, ed è specialmente agrimensore od
ingegnere›.
34Testamento pubblico del signor geometra Giovanni Negri, 14 settembre 1853, in F.N.C.G.S., b.13992, A.S.N.
35A.M.BANTI, Ricchezza e potere. Le dinamiche patrimoniali nella società lucchese del XIX secolo, in Quaderni storici, 1984, p.418.
36E.J.HOBSBAWM, Le rivoluzioni borghesi. 1789-1848, Roma-Bari, Laterza, 1991, p.304.
8
Per quanto riguarda la trasmissione del patrimonio, Giovanni nominò erede universale il figlio,
avvocato Giuseppe, di 27 anni, ancora celibe. La moglie e l'altra sua figlia, Camilla, ottennero
soltanto denaro e, la prima, l'usufrutto della casa di abitazione. Dunque Giovanni operò – non
discostandosi affatto dalla consuetudine del tempo – una scelta che privilegiava la linea maschile
della famiglia, in nome della volontà di non frazionare un patrimonio, il cui valore era costituito,
tra l'altro, dalla sua compattezza e vastità. A prevalere era la cosiddetta ‹logica del cognome›,
per rispettare la quale ‹nobili, rentiers, alta e media borghesia danno vita ad un sistema familiare
fortemente coeso e, al tempo stesso, fortemente gerarchico›, in nome del quale ‹è la linea
agnatizia che vince sempre e comunque, svalutando non solo la parentela acquisita – i coniugi e
le loro famiglie – ma anche tutti i rami femminili destinati a perdere il proprio cognome›37.
* * *
Giovanni Negri ebbe due figli: Giuseppe (1826-1900) e Camilla (1833-1896).
Già dall'analisi del suo testamento pubblico è stato possibile notare come il trattamento del
maschio fosse altamente privilegiato rispetto a quello riservato alle femmine. Questa sorta di
diseguaglianza – come è noto – non si limitava a manifestarsi al momento della divisione
dell'eredità, bensì contrassegnava l'intera esistenza degli appartenenti ai due diversi sessi: ‹La
vera scissione tra maschi e femmine iniziava dunque dopo la prima infanzia, alla fine del primo
ciclo scolastico, allorché mentre i maschi diventavano oggetto speciale di pensieri e scelte
familiari, per le bambine si apriva la noiosa prospettiva dell'attesa matrimoniale›38. I sacrifici,
soprattutto economici, che il padre sopportava per una figlia erano quasi esclusivamente
finalizzati alla sua buona collocazione matrimoniale, dalla quale sarebbe dipeso praticamente
tutto il destino della fanciulla. Gli aspetti che, quindi, meritano attenzione nel caso di Camilla,
sono quelli che riguardano la sua vita familiare e le sue nozze, tenendo presente che, dopo queste
ultime, la sua esistenza si stemperò, per così dire, in quella di suo marito, Pietro Negri.
Quest'ultimo, figlio del macellaio Francesco39, nacque a Novara il 27 marzo 1827 e morì
giovanissimo, a soli 35 anni, il 2 febbraio 1862.
Relativamente alle nozze è stato possibile consultare l'atto contenente gli sponsali con
costituzione di dote40, dal quale risulta che i due sposi erano ‹cugini in secondo grado di
agnazione›. Questo elemento fa subito supporre che l'unione sia stata combinata per interesse.
Infatti tutto ciò che Camilla avrebbe portato in dote, benché si trattasse sempre e soltanto di
denaro, si sarebbe aggiunto a ciò che possedeva suo marito Pietro, cosicché l'accresciuto
patrimonio sarebbe rimasto legato al cognome Negri. Non è tuttavia del tutto giustificato
conferire alle nozze un carattere meramente economico; le informazioni che si possono trarre da
due lettere di Giuseppe Negri alla sorella Camilla fanno anzi intendere che si trattasse di un
matrimonio d'amore. Nel settembre del '54 Giuseppe scrisse: ‹Se io non potei dapprima
acconsentire al tuo matrimonio, ciò io riputava di fare unicamente in vista del tuo bene, ma non
era mia intenzione di vincolare la tua volontà, né di averti men cara col perché tu abbia voluto
seguire la tua inclinazione. Argomentando dal sistema della nostra famiglia, dall'educazione che
abbiamo avuto dai nostri amatissimi genitori e dalla tua personale conoscenza non mi pareva che
vi potesse essere tra te ed il tuo sposo quell'uniformità di carattere ed armonia di pensieri che è
pur tanto necessaria alla pace e felicità d'un matrimonio. Sono contento delle premure che ti usa
il tuo sposo, l'amore certamente modifica i caratteri, e voglio quindi sperare che la tua unione
37P.MACRY, Una ricerca su élites, borghesie e famiglie, in Borghesie, ceti medi, professioni, in Passato e presente, 1990, p.33.
38M.D'AMELIA, Figli, in La famiglia italiana dall'Ottocento a oggi, a cura di P.Melograni, Roma-Bari, Laterza, 1988, p.504.
39Francesco Negri era fratello di Giuseppe Antonio. Per chiarire il grado di parentela intercorrente tra i due protagonisti, vedi albero genealogico
della famiglia allegato.
40Sponsali tra la damigella Camilla Negri ed il sig.Pietro Negri, con costituzione di dote per parte della prima nella somma di lire 45.000 di
Piemonte nuove, Novara, 16 ottobre 1854, in Fondo notaio Carlo Carotti, b.13754, A.S.N.
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sarà coronata da un esito felice›41.Giuseppe, dunque, disapprovava le nozze della sorella, ma,
nonostante ciò, Camilla si sposò ugualmente.
Evidentemente i due futuri coniugi dovevano essere legati da un sincero sentimento d'amore per
contraddire così palesemente i consigli di un fratello-cognato il quale, in assenza del padre,
scomparso nel 1853, si sentì in dovere, in linea con le consuetudini del tempo, di vegliare sulla
sorella e di proteggerla da scelte avventate o presunte tali.
La determinazione dimostrata da Camilla in questa circostanza non deve passare inosservata;
ancora a metà Ottocento, l'autonomia decisionale delle donne risultava più rara ed improbabile
del già insolito matrimonio d'amore. Infatti, nonostante avesse dichiarato di non volere affatto
imporre una scelta alla sorella, Giuseppe Negri mal sopportò la sua decisione, come si evince
dalle parole contenute nella lettera rivoltale pochi giorni prima delle nozze, celebrate alla fine di
ottobre. In essa, seppur con gentilezza, egli declinò l'invito di Camilla al matrimonio, adducendo
impegni di lavoro e disturbi di salute e tuttavia aggiungendo, non senza una punta di
risentimento, che l'invito gli ‹riuscì assai gradito, ma lo sarebbe stato di più se vi avesse avuto
parte anche il signor Sposo›42.
Con il loro comportamento Camilla e Pietro convalidarono quel modello di ‹famiglia coniugale
intima›, la cui principale caratteristica è data dal desiderio dei coniugi di sentirsi ‹più liberi dalle
intromissioni e dalla presenza dei parenti e della comunità›43. Le scelte abitative dei due
personaggi avvalorano tale ipotesi. Essi, infatti, decisero di scegliere una dimora che avrebbe
consentito loro di allontanarsi fisicamente dai parenti più stretti e che avrebbe permesso di
cominciare una nuova vita in due. Si trattava della casa cosiddetta al Corpo di Guardia al civico
n. 170, affacciantesi, a levante, sulla centralissima piazza del Duomo a Novara. Di essa e del suo
arredamento ci è fornita la descrizione nell'Inventario d'eredità di Pietro, risalente al 1862, anno
della sua morte44. La dimora disponeva di una serie di camere al primo piano, il cosiddetto piano
nobile. Esse rappresentavano il nucleo più importante della casa, che inoltre aveva una camera al
secondo piano, una legnaia, o sottotetto, e una cantina. Il numero dei vani al primo piano,
compreso quello che l'inventario testualmente definisce ‹camerino›, ossia un piccolo spogliatoio,
ammontava a otto, che, per una famiglia di sole tre persone (Camilla, Pietro e la figlia Erminia,
nata il 13 gennaio 1857), era davvero notevole.
La presenza di numerose stanze dotate ciascuna di una precisa funzione e fra loro nettamente
separate sembra suggerire l'ipotesi che la famiglia Negri avvertisse il valore della privacy. Per
usare le parole di Montroni, ‹la separazione e la natura esclusivamente residenziale che vanno
assumendo antichi spazi sono i presupposti di quell'intimità familiare che è uno dei tratti distintivi
dello stile borghese di vita›45.
Ma non è solo la quantità degli ambienti a stupire, bensì la loro qualità, ovvero le modalità con
cui furono concepiti ed arredati. Destano curiosità ed interesse le descrizioni di stanze come il
‹Gabinetto rosso› oppure la ‹Sala verde›, che con i loro specchi contornati da cornici dorate, le
pendole, le ottomane rivestite di ricchi tessuti ed ornate di cuscini colorati e gli ampi tappeti
rappresentavano ‹il cliché del salottino borghese ottocentesco›46. L'influsso della moda e, con
ogni probabilità, anche il gusto di mettere in mostra il proprio status dovettero influire, tuttavia il
valore estetico degli oggetti non sembra essere stato il solo criterio di selezione adottato. Nelle
scelte di coloro che, come i Negri, fondarono sui meriti personali i presupposti dell'ascesa socio-
economica, la categoria dell'utile ebbe un peso maggiore, il che lascia supporre, in definitiva, che
negli intenti di questi personaggi non prevalesse il compiacimento dell'ostentazione e della
rappresentanza gratuite.
41Archivio Rognoni, Fondo Negri (d'ora in poi A.R.F.N.), b.3, Novara, 7 settembre 1854, A.S.N.
42
Ivi, Novara, 23 ottobre 1854.
43M.BARBAGLI, cit., p.485.
44
Inventario della eredità del defunto Pietro Negri, rogato dal notaio Carlo Carotti, 18 febbraio 1862, in A.R.F.N., b.2, A.S.N.
45G.MONTRONI, La famiglia borghese, in La famiglia italiana..., cit., a cura di P.Melograni, p.108.
46
Ivi, p.109.
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Relativamente alla persona di Pietro Negri occorre sottolineare un altro aspetto interessante, vale
a dire il suo coinvolgimento nelle vicende del Risorgimento. Nonostante nel periodo in cui visse
fosse piuttosto rara l'abitudine di firmare gli articoli che comparivano sui giornali, risulta che
Negri fu collaboratore assiduo del settimanale locale Novella Iride Novarese, il quale ‹concesse
spazio al contributo di uomini di sinistra, come Angelo Brofferio e il novarese Pietro Negri›47, e
de L'Opinione, organo di liberali lombardi e piemontesi, il cui programma ‹si riassumeva nei
termini Nazionalità - Monarcato - Progresso - Legalità›48. Il Nostro fu inoltre autore di due
libelli, rispettivamente intitolati Risposta di un cittadino alle considerazioni sopra gli
avvenimenti militari del marzo 1849 e I misteri della catastrofe di Novara svelati, nelle cui
pagine ‹si nega che la popolazione abbia male-trattato i soldati dell'esercito piemontese riparato
in città a seguito della disfatta che concluse la prima guerra d'Indipendenza›49.
Di non secondaria importanza è l'informazione che ci fornisce l'avvocato Finazzi il quale, alla fine
dell'Ottocento, pubblicò una serie di notizie biografiche sui personaggi novaresi, includendovi
anche Pietro Negri. Di lui scrisse: ‹Si dilettò di lettere, collaborò in varii fogli periodici, fu amico
amatissimo di Aurelio Bianchi Giovini›50. Il fatto che in succinte notizie biografiche dedicate a
Pietro Negri il Finazzi abbia ritenuto opportuno menzionare l'amicizia che lo legava al Bianchi
Giovini, redattore capo de L'Opinione, fa supporre che fra i due non ci fosse soltanto familiarità,
ma esistesse anche un'affinità di vedute e di pensiero, sicché si può supporre che Pietro, come il
Bianchi Giovini, fosse carico di ostilità verso l'Austria e difensore dei provvedimenti liberali del
Governo piemontese.
Se Pietro Negri si distinse rispetto agli altri membri della famiglia per il coinvolgimento negli
avvenimenti politici, in materia di affari non si discostò affatto dai loro comportamenti, dando
prova di sapersi ben destreggiare nel mercato terriero e di trovarsi a proprio agio tra i contratti di
locazione e di compravendita. Dal suo Inventario di eredità si ricava che, nel corso della sua
seppur breve esistenza, acquistò quasi 5 ettari di terreno nell'area di Gozzano51, ai quali si
aggiunsero circa 17 ettari di terreno a Olengo e 31 a Novara. Anche nel caso di Pietro Negri,
quindi, si può parlare di una vocazione alla proprietà terriera, che divenne motivo di interesse e di
coinvolgimento anche per la consorte, Camilla. Costei, infatti, dopo la morte del marito, gestì
con competenza il cospicuo patrimonio, che, in assenza di un figlio maschio, passò, per espressa
volontà testamentaria di Pietro, alla figlia Erminia.
Indotta dalle circostanze, Camilla svolse così ruoli tradizionalmente maschili, rientrando nel
caso, raro ma non improbabile, ‹delle mogli degli imprenditori, rimaste improvvisamente vedove
in giovane età, chiamate a supplire il defunto nelle sue funzioni direttive›52.
Quasi certamente Camilla non si cimentò in operazioni di ulteriori acquisizioni fondiarie.
Tuttavia ella non poté limitarsi a confermare passivamente le scelte in precedenza compiute dal
marito; probabilmente si assunse la responsabilità di dar vita ad alcune opere di trasformazione,
se non addirittura di miglioria sui fondi da lei gestiti. Questo, infatti, sembra si possa dedurre da
una perizia giurata, del 14 novembre 1878, effettuata dall'ingegnere-agronomo Gaspare Omodei,
nella quale, oltre alla descrizione dei ‹beni stabili di spettanza della signorina Erminia Negri›,
rientranti nel territorio di Olengo e facenti parte della possessione detta Luogo Nuovo e quella
dei beni posti nel sobborgo della Bicocca in Novara, presso il podere denominato la Cappuccina,
era compreso anche il relativo giudizio di stima.
Riguardo ai beni di Olengo si legge: ‹La descritta possessione del Luogo Nuovo forma un solo
corpo insieme unito col fabbricato concentrico per la condotta dei beni stessi, i quali sono forniti
47P.CIRRI, L.POLO FRIZ, La battaglia di Novara del 1849 nei giornali dell'epoca, Novara, Comitato per il Parco della Battaglia della Bicocca,
1994, pp. 15-16.
48A.GALANTE GARRONE, F.DELLA PERUTA, La stampa italiana del Risorgimento, in Storia della stampa italiana, a cura di V.Castronovo-
N.Tranfaglia, Roma-Bari, Laterza, 1978, II, p.293.
49D.PESCARMONA, Il medagliere napoleonico e le sue fonti grafiche, in Museo novarese, a cura di M.L.Tomea Gavazzoli, Novara, Comune di
Novara, 1987, p.374.
50G.B.FINAZZI, Notizie biografiche, Novara, 1890, p.86.
51Località a circa 37 Km. a nord di Novara, non lontana dal lago d'Orta.
52P.BAIRATI, Le dinastie imprenditoriali, in La famiglia italiana..., cit., a cura di P.Melograni, p.170.
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di cavetti e fossi adacquatori, col cui mezzo sono presentemente irrigati quasi nella loro totalità.
Laonde in considerazione di tale essenzialissima e vantaggiosa circostanza della loro irrigazione,
di cui godono il beneficio solo da due anni, essendosi a tale uopo ultimamente costrutti gli
opportuni cavi conduttori per l'acqua proveniente dal canale Quintino Sella, diramatore questo
del canale Cavour›, il valore dei beni risulta di lire 116.000 italiane53.
I lavori atti a rendere capillare la rete d'irrigazione furono frutto dell'impegno di Camilla, alla
quale va, dunque, riconosciuto il merito di avere colto l'utilità di opere atte a migliorare la resa
dei campi. Evidentemente l'esempio, dapprima della sua famiglia di origine e poi del marito
Pietro, contribuì ad ispirarle comportamenti e scelte, in cui centrale e prioritario fosse il valore
della possidenza. E così anche l'apporto di una componente femminile della famiglia si rivelò in
perfetta sintonia con i valori e le aspirazioni da tempo perseguite dai suoi esponenti maschili.
* * *
Con Giuseppe, figlio di Giovanni, nato a Novara il 9 luglio 1826 e morto nella stessa città il 5
dicembre 1900, si conclude la storia della famiglia Negri, che con lui raggiunse il culmine di
quell'ascesa socio-economica tanto tenacemente perseguita da tutti i personaggi fin qui illustrati.
L'avvocato Negri, infatti, morì senza figli maschi54, sicché il ramo familiare si esaurì con lui,
mentre il patrimonio di famiglia, per espressa sua volontà, fu diviso in due parti, una delle quali
fu trasmessa alla nipote Antonietta Rognoni, mentre l'altra toccò all'Ospedale Maggiore della
Carità di Novara.
La crescita sociale ed economica raggiunse il suo acme con l'ultimo dei Negri per più di una
ragione: Giuseppe frequentò l'Università55, il che consente di rilevare un'ulteriore elevazione del
livello culturale e scolastico rispetto a quella già operata a suo tempo dal padre Giovanni nei
confronti di Giuseppe Antonio; Giuseppe poi, per tutta la sua vita, si dedicò costantemente
all'incremento del patrimonio immobiliare, mediante una massiccia politica d'acquisto sia di fondi
sia di stabili, compresi nelle zone del Novarese predilette dal padre e dal nonno; infine degno di
menzione è l'impegno socio-politico dell'avvocato, che partecipò all'attività del Comizio Agrario
cittadino e fu membro del Consiglio Comunale di Novara.
Tutto lascerebbe intendere che Giuseppe abbia sentito l'esigenza di realizzarsi oltre che come
possidente anche come membro di una società all'interno della quale raggiungere posizioni
sempre più prestigiose.
Analizzando con ordine le tappe più significative della sua vita, si può notare come gli affari
abbiano dominato l'intera sua esistenza. Egli vi si dedicò con costanza fino a pochi mesi prima di
morire, superando indenne le periodiche crisi economiche, specie quella tra il 1880 ed il 1890. La
sua solidità gli consentì di approfittare di buone occasioni, come l'acquisto di alcune case urbane
e di lotti di terreno, messi all'incanto in seguito ad espropriazione. Alle molte aste pubbliche o
private, indette per assegnare beni immobili egli ebbe spesso la meglio.
Dal suo Inventario d'eredità56, compilato all'indomani della morte, a partire dal 6 dicembre 1900,
si desume che gli appartenessero proprietà immobiliari per un'estensione complessiva di circa 187
ettari e beni immobili per un valore pari a lire 1.234.019. Il numero delle cascine acquistate nel
53A.R.F.N., b.2, 14 novembre 1878, A.S.N.
54Dal Registro di popolazione del Comune di Novara del 1901, VIII, in Comune di Novara, parte moderna, A.S.N., si apprende che l'avvocato
Giuseppe, coniugato con Barabino Antonietta (1838-1878) ebbe i seguenti figli:
• Giovanni: nato il 5 marzo 1857, morto il 16 novembre 1874;
• Chiara: nata il 17 dicembre 1864, morta il 13 febbraio 1877;
• Biagina: nata l'11 settembre 1859, morta il 13 marzo 1879;
• Giacomo: nato il 12 giugno 1866, morto il 2 novembre 1884.
• Giuseppina, nata il 23 novembre 1867, che nel 1886 andò in sposa all'avvocato Enrico Rognoni. Dal loro matrimonio nacque Antonietta.
55A partire dall'anno accademico 1846-47 fino al 1849-50 Giuseppe studiò presso il collegio Caccia di Torino, istituto - ancora oggi attivo - nato per
sovvenzionare gli studi degli universitari novaresi più meritevoli, con l'elargizione di borse di studio e sussidi.
56
Inventario della eredità del cav.uff.avv.Giuseppe Negri - rogato notaio Giuseppe Costa, in Fondo Ospedale Maggiore della Carità (d'ora in
poi F.O.M.C.), b.107, fasc.III, A.S.N.
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circondario di Novara, comprendente i sobborghi di Sant'Agabio e della Bicocca, salì a sette.
Alle quattro cascine del padre Giovanni si aggiunsero la ‹Ginevra›57, la ‹Cappuccina›58 e la
‹Morosa›59.
L'avvocato Giuseppe dimostrò notevole competenza e abilità nella gestione del patrimonio
fondiario, per il quale venne adottato il sistema del grande e moderno affitto capitalistico. I
contratti da lui stipulati si arricchirono di clausole e di dettagliati richiami al Codice Civile, forse
anche per la dimestichezza che l'avvocato, aveva con esso. Aumentarono in numero ed entità
anche i doveri degli affittuari, che si fecero sempre più gravosi, il che - secondo il Giorgetti - può
essere spiegato con la volontà padronale di mantenere il fittavolo in posizione subalterna60.
Negri prestò particolare attenzione alla resa dei fondi e allo sfruttamento delle loro potenzialità.
Fra gli investimenti da lui realizzati ve ne furono alcuni volti esclusivamente a migliorare la rete
irrigatoria e, quindi, il rendimento dei terreni61. L'avvocato diede prova di possedere una
mentalità aperta e moderna, manifestata anche con la collaborazione al Comizio Agrario di
Novara, associazione nata per volontà di Vittorio Emanuele II, il quale, con un Regio decreto del
23 dicembre 1866, istituì in ‹ogni Capo-luogo di Circondario un Comizio agrario per l'utilità e
l'incremento dell'agricoltura›62.
Il Negri entrò a far parte del Comizio sin dalla sua costituzione: infatti, nel ‹Bollettino› del
gennaio 1870, nell'elenco dei ‹Nomi dei signori Soci accettati dal luglio 1869 al presente› quello
dell'avvocato Giuseppe vi compare contrassegnato dal numero 17.
Egli non si limitò ad essere un membro ‹nominale›, ma partecipò spesso alle adunanze ordinarie,
intervenendo con proposte ed idee. Inoltre, a partire dall'agosto 1872, la sua cascina di S.
Nazzaro divenne una delle ‹stazioni di monta› del Circondario novarese, in seguito alla vendita
‹al pubblico incanto› di tre tori di razza piemontese, che il Comizio mise a disposizione degli
interessati, per tale scopo63.
Dell'assiduità dell'avvocato Negri nel Comizio Agrario di Novara si ha notizia fino al 1892,
quando, nel verbale dell'adunanza di marzo, egli è annoverato tra i presenti, per l'ultima volta.
Con questa sua partecipazione egli diede prova di avere a cuore le migliorie ed i progressi
dell'agricoltura, ma dimostrò anche di essere consapevole della posizione di forza acquisita come
proprietario di un patrimonio fondiario di discrete dimensioni.
Giuseppe entrò a far parte anche del Consiglio Comunale di Novara. Il suo nome figura fra i
consiglieri dal 1o gennaio al 12 ottobre 1858, e dal 1866 al 189964. La sua partecipazione alla
vita politica, seppure a livello cittadino, costituì un'ulteriore ed importante tappa nell'ascesa
sociale della famiglia. La laurea in legge agevolò l'inserimento di Giuseppe nell'élite cittadina;
studi di questo genere, nell'Ottocento, costituivano il presupposto necessario affinché si
realizzasse uno stretto legame fra borghesia scolarizzata ed istituzioni pubbliche65.
Il Negri con il suo ruolo di avvocato-possidente si collocò in una posizione mediana rispetto alla
borghesia della terra ed a quella professionistica, il che gli consentì di godere dei vantaggi propri
sia dell'una sia dell'altra categoria. Scrive Macry: ‹Sembrano essere di particolare importanza
57F.O.M.C.E., b.1534, fasc.4 e fasc.9, A.S.N.
58
Ivi, b.1530, fasc.8.
59
Ivi, b.1535, fasc.30.
60G.GIORGETTI, cit., p.397.
61F.O.M.C.E., b.1535, fasc.25 e fasc.34, b.1539, fasc.64, A.S.N.
62Bollettino del Comizio Agrario del Circondario di Novara, 1868, n°1, p.6. Le suddette istituzioni si posero come obiettivo il miglioramento
dell'agricoltura, mediante la promozione di concorsi ed esposizioni di prodotti e macchine agricole, la regolamentazione della normativa sull'igiene,
utile per scongiurare la diffusione di epizoozie, e la divulgazione delle informazioni relative alle colture migliori, alle pratiche agrarie più
convenienti, ai concimi più adeguati. I comizi, inoltre, s'interessarono anche dell'allevamento di animali da pascolo e da cortile, incentivando il
miglioramento delle razze, specie di quelle indigene.
L'associazione novarese nacque nel 1868, anno in cui prese anche ad essere pubblicato mensilmente il suo bollettino informativo, che veniva
regolarmente recapitato a tutti i soci.
63
Ivi, 1872, n°8, p.169.
64Atti del consiglio comunale di Novara, I, contenente l'indice generale delle sedute relative al periodo compreso tra il 1° gennaio 1858 ed il 31
dicembre 1879, IX (1880-81), X (1882-83), XI (1884-85), XII (1886-87), XIII (1888), XIV (1889). Sebbene non fosse consigliere nel 1865,
l'avvocato Giuseppe fu nominato ‹membro della Commissione per l'imposta sui redditi della ricchezza mobile› e venne proposto a candidato per la
carica di Conciliatore del Comune.
65M.MERIGGI, La borghesia italiana, in Borghesie europee dell'Ottocento, a cura di J.Kocka, ediz.ital. a cura di A.M.Banti, Venezia, Marsilio,
1989, p.170.
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quei soggetti che svolgono un ruolo di comunicazione, di trait d'union, di mediazione fra altri
soggetti in posizione di reciproca conflittualità o semplicemente troppo lontani per avere un
rapporto sociale, politico ecc. di tipo diretto. Il fatto di ricoprire ruoli di mediazione sembra
dipendere sia dalla oggettiva collocazione nella geografia di una società (essere B fra A e C), sia
dal possedere i requisiti sociali e professionali più adatti per funzioni del genere. Alla presenza di
un simile valore raro di mediazione corrispondono spesso forti remunerazioni o comunque
caratteri e percorsi storici che non rientrano propriamente nei meccanismi di mercato›66.
L'8 dicembre 1900 Giuseppe Negri morì e con lui, in assenza di eredi maschi, si estinse una
piccola dinastia. Le ambizioni di ciascuno dei suoi componenti si coniugarono perfettamente con
le aspirazioni dell'intero gruppo familiare, che mirò sistematicamente ad un'ascesa socio-
economica solidamente supportata da una ricchezza tangibile: la proprietà fondiaria. Nessuno dei
personaggi qui studiati, compresa Camilla, unica donna, trascurò gli affari e la gestione del
patrimonio terriero, anche quando, come nel caso di Pietro e dell'avvocato Giuseppe, fu attratto
da altri interessi.
L'avvocato Negri ricoprì inoltre incarichi pubblici di responsabilità, tanto da raggiungere nella
sua città un considerevole prestigio. Tuttora a Novara rimangono almeno due tracce della sua
esistenza: il busto marmoreo sullo scalone del cortile d'onore dell'Ospedale Maggiore della
Carità, collocato a testimonianza della riconoscenza che l'istituto nutrì nei confronti della sua
liberalità67, e la dedica di una via nei pressi di Sant'Agabio, fino a dove si estendevano le sue
proprietà fondiarie68.
Anche la città, pertanto, fu concorde nell'annoverare fra i propri uomini migliori un personaggio
che, quale ultimo discendente di una famiglia borghese determinata al successo, si distinse non
solo per l'entità del patrimonio immobiliare assemblato nel corso degli anni, ma anche per il suo
talento e la sua generosità.
66P.MACRY, I professionisti. Note su tipologie e funzioni, in Quaderni storici, 1981, p.924.
67E.MONGIAT, Scultura pubblica e storica nella Novara dell'Ottocento, in AA.VV., Le storie di Salomone e altre opere d'arte novaresi,
Novara, Comune di Novara, 1992, p.89, dove l'autrice segnala il nome di Gaudenzio Rossi quale esecutore del busto ed il 1908 come presumibile
data di realizzazione.
68
I.COMOLI, R.DELLAVESA, Vie, Vicoli e Piazze di Novara. I nomi - La storia, Novara, Comune di Novara, 1989, p.143, in cui si precisa che la
dedica avvenne il 22 giugno 1906.