3
Capitolo I
Dall’urbanistica prescrittiva a quella consensuale
1. Premessa. Il declino del macroparadigma Stato di diritto
Vi era già chi
1
, agli inizi del secolo scorso, metteva in guardia gli operatori
giuridici dall’euforia contrattualistica dilagante che, poco alla volta, indeboliva una
delle convinzioni più radicate della cultura amministrativa dell’epoca. La
convinzione che l’onere di dotare la città di impianti di urbanizzazione fosse la
manifestazione più tipica e congenita dei pubblici poteri che la esercitavano in
regime di monopolio
2
.
Ciò sull’errato presupposto che la Pubblica Amministrazione, in quanto
rappresentante della collettività, non potesse rapportarsi con il privato in modo
sostanzialmente paritario, ma dovesse necessariamente porsi in posizione di
supremazia, a fronte di uno stato di soggezione del singolo individuo, portatore del
(solo) proprio interesse di cittadino.
Da tale dogma arcaico, tra l’altro, scaturiva tutta una serie di corollari, come
per esempio l’irrisarcibilità degli interessi legittimi o non la non assoggettabilità della
Pubblica Amministrazione all’istituto della responsabilità precontrattuale ex art.
1337 c.c. Principi questi, considerati come verità immutabili e per questo immanenti
1
FORTI, Natura giuridica delle concessioni amministrative, in GI, 1900, IV, p. 369.
2
CANDIAN-GAMBARO, Le convenzioni urbanistiche, Giuffrè, Milano,1992, p. 12.
4
del panorama giuridico amministrativo, che sono stati progressivamente superati
3
dall’inarrestabile avanzamento di quella che è possibile definire la “cultura del
consenso”
4
.
La progressiva erosione della concezione di “ Stato a diritto amministrativo”
5
ha radici antiche e profonde che possono ricondursi al declino dello Stato borghese
6
con la conseguente ascesa del cosiddetto Stato sociale
7
e culminata poi con l’entrata
in vigore della Costituzione repubblicana.
Da un lato infatti, si chiede all’amministrazione di farsi sempre più parte
attiva nella realizzazione di fini sociali; dall’altro lato, dinanzi all’accrescersi di
interessi collettivi che esigono protezione e soddisfazione, la legge non è più in grado
di porsi come fattore selettivo, frammentandosi in una accozzaglia di norme
particolari e deteriorando così la sua funzione principale di legittimare il potere
amministrativo nei confronti della società.
Sebbene incontestato si atteggi il principio di legalità come faro guida
dell’agire amministrativo, la legge tende ormai ad esprimere una “legalità debole”
che si concreta nell’emanazione di “principi”, più che in regole, che mostrano il
pregio di rendersi maggiormente duttili nel bilanciare gli interessi in gioco e quindi
più adeguati alla realtà degli ordinamenti contemporanei, la cui complessità non può
essere compressa in un comando astratto
8
.
3
Basti ricordare l’emblematica pronuncia delle Sezioni Unite della Cassazione n. 500/1999,
in Foro it., 1999, I, che contiene anche un’esposizione dell’evoluzione della giurisprudenza verso un
sempre maggiore ampliamento dell’area del danno risarcibile.
4
SCOCA, Autorità e consenso, in Dir. amm., n. 3/2002, p. 455.
5
CASSESE, Il sistema amministrativo italiano, Il Mulino,Bologna, 1983, p. 27 e ss.
6
GIANNINI, Stato sociale, una nozione utile, in Scritti in onore di Costantino Mortati, I ,
Milano, 1977, p. 139 e ss.
7
GIANNINI, Amministrazione pubblica, ad vocem, in Enc. It. Sc. Soc., 1991, p. 182 e ss.
8
MAZZAMUTO, La legalità debole dei principi, in Dir. e soc., 1993, p. 475 ss., il quale
rileva efficacemente l’affermarsi di una “legalità procedurale posta al servizio della legalità dei
principi” a proposito del rapporto legge- amministrazione.
5
L’intangibilità del sistema si sgretola e l’impostazione tradizionale inizia a
mostrare tutti i suoi limiti di rigidità e di inadeguatezza all’evoluzione dei tempi e
accenna a lasciare il passo ad una concezione dell’attività amministrativa più
aderente alla realtà del mutato contesto sociale.
In questo nuovo scenario socio-giuridico, si innesta la consapevolezza che
un’attenuazione dell’autorità mediante l’uso di strumenti fondati sul consenso
nell’azione amministrativa trovi la sua ragione primaria nella convinzione della
maggiore funzionalità e flessibilità dei modelli consensuali rispetto a quelli
autoritativi, al fine di raggiungere il congruo soddisfacimento dell’interesse
pubblico
9
.
L’Amministrazione Pubblica, per svolgere i compiti che la legge le
attribuisce, possiede una certa discrezionalità nel prediligere strumenti propri del
diritto pubblico o del diritto privato avendo riguardo al limite insuperabile della
tutela degli interessi affidati alla sua cura
10
.
Ma l’adozione di tecniche di concertazione tra le parti in gioco non deve mai
spostare l’attenzione degli interpreti su una constatazione fondamentale: l’utilizzo
degli strumenti consensuali si atteggia come una mera possibilità accordata
all’amministrazione nel suo agire abituale. La natura “privata”
11
del procedimento
amministrativo quindi, non appare affatto concepita, almeno inizialmente, come
alternativa all’esercizio del potere autoritativo, bensì come strumentale a
9
CAPUTI JAMBRENGHI, Studi sull’autoritarietà nella funzione amministrativa, Giuffrè,
Milano, 2005, p. 45.
10
MORABITO, Brevi note sull’accordi di diritto pubblico, in Riv. Amm., 1989, p. 1469.
11
PERICU, L’attività consensuale dell’Amministrazione pubblica, in AA.VV., Diritto
Amministrativo, Milano, 1993, II, p. 1622.
6
quest’ultimo in quanto elemento incomprimibile del modo d’essere
dell’amministrazione
12
.
Di conseguenza, l’estendersi del fenomeno in questione non si sostituisce agli
ordinari metodi di esercizio del potere ma costituisce solo il “temperamento di aspetti
autoritativi”
13
con cui l’amministrazione concorda, con i soggetti interessati
all’adozione di un certo provvedimento, il contenuto dell’atto stesso. La fungibilità
del contratto all’interesse pubblico, secondo la tradizionale opinione, sarebbe
garantita da procedimenti amministrativi che si svolgono parallelamente alla
sequenza negoziale e preordinati a mettere in luce il motivo apprezzabile sotto il
profilo pubblicistico insito nella conclusione del negozio privatistico
14
.
Come è noto, il merito di aver inquadrato la questione in questi termini va
attribuito all’amministrativista Antonio Amorth
15
che, nelle Osservazioni sui limiti
dell’attività amministrativa, ha approfondito particolarmente il tema della
surrogabilità di un’attività pubblicistica con un’attività privatistica indagandone i
presupposti i e limiti.
Fermo restando che non è ammissibile sostenere una completa fungibilità tra
“contratto” a “atto” amministrativo, ci è comunque oggi consentito parlare di
“attività amministrativa di diritto privato”
16
.
12
PUGLIESE, Il procedimento amministrativo tra autorità e contrattazione, in Riv. Trim.
dir. pubbl., 1971, p. 1486.
13
GIANNINI, Amministrazione pubblica, op. cit., p. 182 e ss.
14
GIANNINI, Amministrazione pubblica, op. cit., secondo cui il “negozio
dell’amministrazione pubblica non ha dignità inferiore al provvedimento amministrativo”, p. 185.
15
AMORTH, Osservazioni sui limiti dell’attività amministrativa di diritto privato, in Arch.
Dir. pubbl., 1938, p. 354.
16
Sulla capacità di diritto privato delle pubbliche amministrazioni la letteratura è vastissima
e non è possibile in questa sede che offrirne solo un minimo scorcio. Come è noto, si passa da una
fase storica in cui si riconosceva agli enti pubblici soltanto una capacità speciale di diritto privato, in
quanto limitata agli scopi istituzionali dell’ente (ad esempio CAMMEO, I contratti della pubblica
amministrazione: capacità e legittimazione a contrattare, Firenze, 1937, p. 120), ad una fase in cui si
ammette una generale capacità privatistica delle amministrazioni sulla base di una comune
soggettività giuridica tra persone giuridiche private e pubbliche (ad esempio, GIANNINI, Diritto
7
Nell’ordinamento vigente, i paradigmi normativi di maggiore significato che
traducono questi principi in diritto positivo sono ravvisabili nelle disposizioni
seguenti: l’art 1, comma 1-bis
17
e l’art. 11 comma II
18
, entrambi della legge n.
241/1990.
Quest’ultima norma sancisce che agli accordi integrativi o sostitutivi di cui al
I comma “ si applicano, ove non diversamente previsto, i principi del codice civile in
materia di obbligazioni e contratti, in quanto compatibili”. Il comma 1-bis, invece,
inserito dalla legge n.15 del 2005, stabilisce, per la prima volta esplicitamente, che la
“ pubblica amministrazione, nell’adozione di atti di natura non autoritativa, agisce
secondo le norme di diritto privato, salvo che la legge disponga diversamente”.
In altri termini, all’interno della legge sul procedimento amministrativo, è
stato inserito un significativo criterio residuale in forza del quale, tranne che in
determinati settori e in mancanza di diverse esplicite previsioni normative, la
Pubblica Amministrazione è autorizzata, e sollecitata, a servirsi degli strumenti
privatistici per il raggiungimento del suo fine istituzionale, ovvero il soddisfacimento
dell’interesse comune.
Nonostante la portata innovatrice di una simile novella, è doveroso tenere
presente che il potere di autonomia privata dell’amministrazione deve sempre
esplicarsi nel rispetto dei principi di legalità, imparzialità e di tutela del terzo. Non è
possibile quindi perdere di vista che si tratta pur sempre di un’autonomia negoziale
“limitata”, in quanto i fini dell’agire sono sempre e necessariamente predeterminati
dalla legge, non sono disponibili e devono essere perseguiti secondo canoni di
amministrativo, Milano, 1993, II). Sul tema può notarsi l’importante apporto di PERICU, Note in
tema di attività di diritto privato della pubblica amministrazione, in Annali della Facoltà di
Giurisprudenza di Genova, Milano, 1966.
17
Articolo così rubricato : Principi generale dell’attività amministrativa.
18
Articolo così rubricato: Accordi integrativi o sostitutivi del provvedimento.
8
doverosità e di continuità, senza discriminazioni e senza che il negozio giuridico
possa limitare e/o pregiudicare il diritto di azione dei terzi a tutela degli interessi
legittimi
19
.
Si deve ritenere, infatti, che nell’attività amministrativa di diritto privato
l’interesse pubblico è sempre rilevante e in quanto tale è suscettibile di condizionare,
almeno in alcuni casi, la validità del negozio.
In tale ottica va segnalato come, anche sullo slancio delle disposizioni
normative sopra richiamate, molte pronunce giurisprudenziali (tra cui diverse
sentenze del Consiglio di Stato
20
), negli ultimi anni, hanno riconosciuto
l’applicabilità della disciplina civilistica contrattuale nell’ambito degli accordi
stipulati tra privati e Pubblica Amministrazione, inducendo anche diversi legislatori
regionali a muoversi in questa direzione
21
.
Per ciò che attiene in particolare al campo dell’urbanistica, o per meglio dire
del “governo del territorio”
22
come viene definita la materia nella nuova accezione, la
concreta applicazione dei principi consensualistici e il conseguente utilizzo di quegli
strumenti negoziali già affermati in ambito privatistico, ha consentito il
raggiungimento di alcuni traguardi inaspettati, e quasi inipotizzabili, fino a pochi
anni fa.
19
CERULLI IRELLI, Note critiche in tema di attività amministrativa secondo moduli
negoziali, in Dir. amm.,2003, p. 218-219.
20
Ex multis Tar Lombardia-Brescia sent. n. 173 del 1991; Consiglio di Stato, sez. VI, 13
aprile 1994, n. 454; Consiglio di Stato, sez. IV, 11 giugno 2002, n. 6440 in www.ratioiuris.it.
21
CAPUTI JAMBRENGHI, Studi, op. cit., p. 9.
22
Espressione per la prima volta introdotta in un testo di legge nel nostro ordinamento grazie
alle modifiche apportate dalla l. cost. n.3 del 2001 che ha novellato il testo dell’art. 117 della
Costituzione.
9
2. Crisi della pianificazione tradizionale
Prima di focalizzarsi sulla disciplina dei modelli concertativi ora previsti nel
nostro ordinamento a livello statale e soprattutto a livello regionale in materia
urbanistica, è necessario anteporre una riflessione di carattere generale dalla quale
trae origine l’oggetto di questo studio.
Una riflessione che ci porta decisamente indietro nel tempo e che vede il suo
baricentro nella legge 17 agosto 1942, n. 1150, che rappresenta ancora oggi il testo
fondamentale di disciplina della materia
23
. Una legge sulla quale si ancora e si
sviluppa l’intero sistema di pianificazione del nostro Paese. Una legge, si ribadisce,
promulgata nei primi anni quaranta.
Vero è che questo testo legislativo ha subito delle modifiche nel 1967 (grazie
alla legge 6 agosto 1967, n. 765), successivamente nel 1977 (con la promulgazione
della legge 28 gennaio 1977, n. 10, cosiddetta Legge Bucalossi) e più recentemente
dal d.p.r. n. 380/2001, il Testo Unico dell’edilizia
24
, ma corrisponde altresì a verità
affermare che gli interventi normativi riportati non hanno contribuito a destrutturare
e a flessibilizzare l’impianto della antica legge urbanistica rendendo in questo modo
l’intero sistema decisamente obsoleto per poter affrontare le innumerevoli
metamorfosi della città del nuovo millennio. Alla luce di queste ultime
considerazioni, non è azzardato asserire che la pianificazione italiana, unica in
occidente, sia sostanzialmente ferma dalla sua nascita. Infatti, dal 1942, il Piano
Regolatore Generale è stato il principale strumento di programmazione delle risorse
23
SALVIA, Manuale di diritto urbanistico, CEDAM, Padova, 2008, p. 28 ss.
24
Accanto e in parallelo alla normativa riportata, è sa segnalare poi lo sviluppo di una
normativa settoriale tra cui spicca quella sull’edilizia residenziale pubblica. ( Si vedano ad esempio la
legge n.167/1962, la legge n. 865/1971).
Di notevole importanza altresì sono i provvedimenti legislativi aventi ad oggetto l’abusivismo e il
condono edilizio ( legge n.47/1985; legge n. 724/1994; legge n. 326/2003).
10
del territorio comunale a cui il legislatore ha affidato le scelte future di utilizzazione
dei suoli
25
.
L’ inadeguatezza degli strumenti giuridici previsti dalla legge si è rivelata
essere inversamente proporzionale alle esigenze concrete di crescita delle grandi e
medie aree urbane. Influenzate altresì dalle politiche comunitarie in materia di
ambiente, fonti energetiche, assetto territoriale e ambiente urbano
26
, a partire dai
primi anni novanta le nuove città sono diventate rapidamente realtà sempre più
complesse e organizzate nelle quali si fondono modernizzazione e competitività.
Di fronte a queste nuove necessità, i poteri pubblici centrali e locali hanno
dovuto prendere atto che la crescente concentrazione della popolazione in ambiti
urbanizzati richiedesse una riconsiderazione complessiva delle politiche pubbliche in
materia di pianificazione e sviluppo dei territori locali.
Questo clima di grande fermento innovativo si è tradotto in due risultati
tangibili a livello urbanistico: il primo consiste nell’avvio di trasformazioni urbane
articolate dalle quali nascono interi quartieri, il tessuto urbano viene dotato di nuove
funzioni, di nuove tipologie edilizie. All’occhio del cittadino la città si trasforma, si
demolisce e si ricostruisce, si occupano aree inedificate a svantaggio degli spazi
agricoli. Nuovi oggetti si inseriscono nell’armonia tradizionale del paesaggio urbano
25
URBANI, Territorio e poteri emergenti, Giappichelli Editore, 2007, p.110 e ss.
26
E’ il caso degli interventi della Comunità Europea aventi ad oggetto l’ambiente e la sua
tutela dagli inquinamenti per il quale sono fissati direttamente standards quantitativi e qualitativi cui le
amministrazioni nazionali non possono derogare. Si veda CASSESE, Diritto amministrativo europeo
e diritto amministrativo nazionale: signoria o integrazione?, in Riv. It. Dir. pubbl. com, 2004, p.1135
e ss.
11
e ne alterano l’aspetto tipico. Il secondo elemento di novità consiste nella volontà di
modificare le destinazioni d’uso del patrimonio edilizio esistente affinché possa
essere riconvertito, e quindi valorizzato.
Infatti, mai come negli ultimi 15 anni si assiste al forte utilizzo della
riconversione urbana come strumento per donare nuova vita a zone produttive
dismesse, edifici pubblici, palazzi storici, caserme, ospedali, aree ferroviarie che
cessano di assolvere i loro compiti istituzionali per diventare opportunità di interventi
che nulla hanno a che fare con la loro origine. Essi sono ora concepiti come nuovi
punti di partenza dai quali è possibile reinventare soluzioni che meglio si adattino ai
bisogni eterogenei delle moderne aree territoriali
27
.
Di fronte a mutamenti di così ampia portata che hanno interessato aspetti
economici, sociali e quindi urbanistici della città, è evidente come il sistema
pianificatorio delineato dalla legge del 1942 fosse abbondantemente inadatto ad
affrontare le sfide emergenti del mercato. Un sistema pianificatorio che poneva
almeno ufficialmente come favor il disurbanamento e che, ovviamente, non poteva
prevedere che oggi l’obiettivo prioritario fosse quello di dotare le città di adeguati
servizi ai fini della convivenza civile e della sicurezza urbana.
Così come evidenziato da più autori, l’innegabile rigidità del piano regolatore
funge da ostacolo allo sviluppo sia di aree centrali sia di quelle periferiche del
territorio comunale
28
. Sebbene l’inflessibilità abbia rappresentato una via obbligata
per poter arginare il disordine che caratterizzava la vita urbana delle città dei primi
27
CHIERICHETTI, Moduli consensuali nella concertazione urbanistica, in Riv. Giur. Ed.,
2002, p. 286.
28
Si vedano URBANI, La costruzione della città pubblica: modelli perequativi, diritto di
proprietà e principio di legalità, in La crisi della pianificazione urbanistica generale. Nodi e
prospettive, Atti del Convegno tenutosi a Barletta il 28 maggio 2010, in www.pausania.it ;
CHIERICHETTI, Moduli, op. cit., p. 290.
12
anni del XX secolo
29
, l’immutata situazione legislativa ha cagionato l’intorpidimento
del sistema di pianificazione territoriale.
Com’è noto, l’aspetto maggiormente critico della disciplina in questione è
quello di controllare la vita di ogni cittadino attraverso la divisione del territorio in
zone, ossia distribuendo ordinatamente sull’area in oggetto diverse funzioni urbane e
stabilendo per ciascuna zona differenti limiti di cubatura e altezze, di spazi minimi di
verde e di servizi, differenti limiti di densità fondiaria e territoriale
30
. Attraverso
questo modus operandi le previsioni di piano producono inevitabilmente forti
sperequazioni tra i cittadini a causa della natura vincolistica delle prescrizioni
relative agli spazi da riservare alle aree collettive.
Nonostante gli aspetti di criticità sovraesposti, è da rilevare che il sistema di
pianificazione urbanistica concepito nel 1942 ha previsto uno strumento che permette
ai soggetti coinvolti di essere partecipi alle scelte di piano. Il riferimento è alla
disciplina contenuta nell’art. 9
31
della Legge Urbanistica il quale attribuisce la facoltà
a chiunque, e quindi anche ai privati, di presentare osservazioni al progetto di piano
adottato dal consiglio comunale entro 30 giorni dalla data dal suo deposito.
Tuttavia, l’efficacia di un simile strumento è stata più volte sottoposta
all’esame della giurisprudenza la quale non ha esitato a sottolinearne l’intrinseca
debolezza rispetto alle scelte comunali di politica urbanistica. Infatti, è ormai
prevalente l’indirizzo giurisprudenziale
32
che considera le “osservazioni” di cui
all’art. 9, non come veri e propri rimedi giuridici a tutela degli interessati, ma bensì
come apporti collaborativi dati dai cittadini per la redazione dello strumento
29
SALZANO, Fondamenti di urbanistica. La storia e la norma., Editori Laterza, Bari, 2007.
30
SALVIA, Manuale, op. cit., p. 49 e ss.
31
Rubricato: Pubblicazione del progetto del piano generale. Osservazioni.
32
Nelle sentenze più recenti in proposito si vedano: Cons. Stato, sez. IV, 7 maggio 2002, n.
2443; Cons. Stato, sez. IV, 16 aprile 2010, n. 2166 in www.lexitalia.it.