V
Tuttavia, si riscontra una grande carenza di ricerche che leghino le due
tematiche sopra citate: manca, in altre parole, un’attenzione rivolta alla previsione
e alla prevenzione della crisi della PMI italiana.
Nonostante questa realtà sia l’asse portante del sistema produttivo nazionale,
si percepisce ancora la propensione, nella teoria manageriale, a proporre soluzioni
e strumenti analitici rivolti esclusivamente alle grandi organizzazioni aziendali;
ciò forse scaturisce dall’influenza che il mondo anglosassone ha su questi studi
anche in ambito italiano.
Si rende necessario, quindi, approfondire le analisi e le ricerche empiriche
riguardo ai temi della prevenzione e della previsione del dissesto delle PMI; in
una tale direzione si rivolge il presente lavoro, che ha l’obiettivo di verificare
l’efficacia degli strumenti previsionali finalizzati alla rilevazione del processo
degenerativo alla base della crisi d’impresa. A tal fine si focalizzerà dapprima la
nostra attenzione sulle criticità delle aziende di piccole e medie dimensioni,
delineandone il loro profilo di rischio; successivamente, si cercherà di appurare le
carenze ed i possibili miglioramenti dei modelli di scoring, prendendo spunto dai
risultati della ricerca realizzata tramite l’applicazione della funzione di scoring del
Confidi Imprese Toscane.
La struttura dell’elaborato è suddivisa essenzialmente in due parti: la prima,
composta dagli iniziali due capitoli, si sofferma sull’analisi degli studi effettuati
fino ad ora riguardo alle tematiche della previsione della crisi; la seconda, che
costituisce il nucleo principale della tesi, si prefigge di realizzare l’obiettivo
proposto attraverso l’applicazione della funzione di scoring ad un campione di
aziende.
Nel capitolo 1 ci siamo concentrati nella delimitazione del profilo di rischio
della piccola e media impresa italiana, soprattutto dal punto di vista di uno
stakeholder esterno, sia esso un finanziatore, un fornitore, un investitore o un
istituto di credito. Tale tematica è stata suddivisa, per facilitare la trattazione, in
tre aspetti: finanziario, economico e organizzativo.
In ambito finanziario le maggiori criticità riscontrate fanno riferimento alla
sottocapitalizzazione delle imprese, all’assetto proprietario chiuso e di ambito
VI
familiare ed al forte utilizzo dell’indebitamento bancario, usato come principale
mezzo di finanziamento, data la scarsa propensione ad aprire il capitale sociale a
soggetti terzi.
Dal lato economico si possono sottolineare le difficoltà derivanti dalla
eccessiva specializzazione produttiva in settori di forte concorrenza
internazionale, dallo scarso ricorso ad attività con elevato tasso di ricerca e
sviluppo e dalla limitata capacità di sfruttare le economie di scala.
A tutto ciò si aggiungono le problematiche di tipo organizzativo, connesse allo
stretto legame tra l’assetto proprietario ed i processi decisionali, alla carenza di
una struttura manageriale adeguata ed allo scarso ricorso alla delega dei poteri.
I tre aspetti del profilo di rischio sono tenuti in particolare considerazione
dall’Accordo del 2007 denominato “Basilea 2”, che si propone come uno
strumento, sia pur indiretto, avente come obiettivo il miglioramento delle criticità
sopra elencate.
La definizione del profilo di rischio della PMI permette di individuare gli
aspetti critici della gestione, offrendoci la possibilità di introdurre i temi della
prevenzione della crisi, in grado di indirizzare il management verso
comportamenti e azioni capaci di minimizzare gli effetti delle inefficienze interne
e le minacce provenienti dall’ambiente.
Dal punto di vista esterno all’impresa, invece, abbiamo inquadrato il tema
della previsione, rivolto principalmente a soggetti finanziatori e sviluppato nel
capitolo successivo. L’importanza di un tale approccio è accentuata dall’entrata in
vigore di Basilea 2, che crea un legame ancor più diretto tra l’effettiva rischiosità
dell’impresa, da un lato, ed il costo nonché la quantità del credito erogato
dall’altro.
A tal fine il capitolo 2 si rivolge ad un’analisi approfondita dei metodi
previsionali, studiati in letteratura a prescindere dal tipo d’azienda presa in esame
e suddivisi in quantitativi e qualitativi. I primi sono incentrati essenzialmente sui
dati numerici e sugli indici ricavabili dal bilancio dell’impresa; i secondi, invece,
affiancano all’indagine di tipo quantitativo ulteriori elementi di carattere
VII
qualitativo, più difficili da rilevare ma di fondamentale importanza nel processo di
valutazione dell’azienda.
Per quanto riguarda il primo approccio si descrive inizialmente il
fondamentale strumento dell’analisi di bilancio; questa è infatti considerata, dalla
teoria e dalla prassi, un’attività indispensabile e preliminare per costruire un
quadro sufficientemente affidabile delle condizioni di redditività, solidità e
solvibilità.
Conseguentemente si passa alla disamina dell’analisi univariata, caratterizzata
dalla verifica della capacità previsiva di singoli quozienti di bilancio.
Di maggiore complessità operativa è la costruzione di differenti modelli di
scoring suddivisibili in due diverse tipologie: la multivariata, che valuta
complessivamente un insieme di indicatori che conducono ad un unico punteggio
globale; la discriminante, che per evitare influenze soggettive in cui incorrono i
precedenti metodi, utilizza una ponderazione statistica dei vari indici.
I modelli qualitativi si propongono come strumenti alternativi all’analisi
discriminante, nel tentativo di superarne la rigidità del risultato sintetico e
numerico, nonché la dipendenza dall’affidabilità dei dati di bilancio. Si tratta di
porre l’accento su valutazioni di tipo soggettivo e qualitativo, se pur affiancandole
ai tradizionali indicatori quantitativi.
La disamina dei vari metodi previsionali ci ha permesso di approfondire la
seconda parte dell’elaborato, incentrata sull’analisi dell’effettiva validità della
funzione di scoring del Confidi Imprese Toscane e sul suo possibile
miglioramento.
Il capitolo 3 descrive la storia del Confidi e la composizione qualitativa e
quantitativa delle sue aziende associate. Si illustrano inoltre gli effetti
dell’accordo di Basilea 2 per quanto riguarda il rapporto banca-impresa e la
concessione del credito. La nuova normativa prevede che solo le garanzie degli
intermediari finanziari iscritti all’art. 107 del T.U.B. saranno utili ai fini
dell’abbattimento del patrimonio di vigilanza degli istituti creditizi e pone i
metodi di scoring al centro del calcolo del rating. Il consorzio si inserisce in tale
VIII
processo di trasformazione, adeguandosi alla nuova normativa con ingenti
investimenti.
Nella seconda parte del capitolo si descrive la metodologia della ricerca: si è
indicato dapprima un campione di imprese andate in contenzioso negli ultimi
quattro anni, delle quali si sono potuti esaminare sia i bilanci in possesso del
Confidi, che varie ed importanti informazioni extra-contabili. Successivamente la
nostra attenzione si è spostata alla disamina delle aziende del gruppo in cui lo
scoring non ha individuato rilevanti problematiche. Per tali imprese si è cercato di
cogliere i fattori, quantitativi e/o qualitativi, trascurati o non sufficientemente
considerati dall’analisi di tipo discriminante, nel tentativo di ricercare una nuova
metodologia che, affiancata al nostro modello, sia in grado di dare delle
indicazioni aggiuntive per l’istruttoria.
Nel capitolo 4, infine, vengono descritti i risultati dell’applicazione della
funzione al campione d’imprese andate in contenzioso. In un primo momento ci
siamo soffermati sulle caratteristiche delle aziende valutate in maniera positiva,
per poi passare ad analizzare con maggior dettaglio gli aspetti finanziari,
economici e qualitativi non correttamente evidenziati.
L’individuazione di tali limiti non conduce solamente al tentativo di
miglioramento dello scoring, ma apre la via ad ulteriori campi di studio in un
ottica preventiva. Nelle conclusioni, infatti, ne esamineremo alcuni possibili
sviluppi, cercando di collegare l’utilizzo del modello con approcci di tipo
maggiormente qualitativo, attuabili all’interno dell’impresa stessa.
1
CAPITOLO PRIMO
IL PROFILO DI RISCHIO DELLE PMI ITALIANE
1.1 IL PROBLEMA DELLO SVILUPPO DELLE PMI ITALIANE
L’universo delle piccole e medie aziende costituisce un aggregato economico
piuttosto complesso ed eterogeneo, con al suo interno molteplici realtà produttive
e problematiche specifiche, difficilmente inquadrabili in rigide definizioni o
configurazioni.
Nonostante la piccola imprenditoria costituisca l’ossatura del sistema
produttivo nazionale, è ancora forte la tendenza a considerare le sue tematiche di
natura secondaria rispetto a quelle delle imprese di grandi dimensioni, a cui gli
studiosi dedicano maggiore attenzione.
1
Lo sviluppo delle PMI italiane potrebbe assumere infatti un ruolo
fondamentale nel rilancio del nostro modello capitalistico, il quale trarrebbe
decisamente beneficio dalla crescita dimensionale delle piccole aziende, dalla loro
affermazione sui mercati internazionali e dalla loro maggiore competitività.
1
Cfr. PAOLONI M., La crisi della piccola impresa ed il problema del suo risanamento, in
"Piccola Impresa-Small Business", n. 1, 2002, p. 3. Si veda anche RICCI R. & COLOMBINI F.,
La finanza delle piccole e medie aziende, Giuffrè, Milano, 1987, pp. 3-4.
CAPITOLO PRIMO
2
Fino alla fine degli anni novanta il capitalismo italiano ha ottenuto risultati
importanti basando la propria capacità di competere su pochi ma decisivi fattori;
da una parte la ridotta dimensione delle imprese ha permesso una grande
flessibilità produttiva, unita ad una crescente abilità nella personalizzazione dei
prodotti e nella loro differenziazione; dall’altra la debolezza della Lira ha
contribuito in modo decisivo all’aumento delle esportazioni verso i mercati
esteri.
2
Mai come oggi, tuttavia, le PMI italiane si trovano nella necessità di rivedere i
loro modelli di business, allo scopo di affrontare le molteplici sfide nate dal
cambiamento di alcune importanti variabili competitive di carattere nazionale ed
internazionale.
Innanzitutto si è assistito ad una forte crescita d’intensità nei processi di
globalizzazione. L’ingresso nel mercato di nuovi paesi, provenienti
principalmente dal mondo asiatico, ha comportato un aumento generalizzato della
concorrenza, che si è certamente riversato sui margini di guadagno delle imprese
occidentali. Inoltre, come vedremo più avanti, le aziende di piccole dimensioni
hanno risentito più delle altre dello sviluppo del Sud-Est asiatico, che sta
raggiungendo importanti performance proprio nei settori in cui le nostre PMI
erano leader incontrastate, come il tessile, l’abbigliamento e le calzature.
Le imprese hanno dovuto quindi ripensare, in taluni casi, all’intera idea di
business ed al complessivo sistema – prodotto, per fronteggiare concorrenti che si
sono presentati sul mercato con prezzi estremamente competitivi, sfruttando
condizioni di costo assai vantaggiose.
Contemporaneamente si è assistito ad una notevole accelerazione dei
miglioramenti tecnologici, conducenti alla necessità di continui processi
d’innovazione; si è passati insomma da una relativa stabilità a livello politico ed
economico, caratterizzata fino ai primi anni ottanta da una strategia
2
A differenza di quanto accade in altri paesi, in Italia la quota di fatturato che viene esportata non
aumenta con la dimensione aziendale. I settori che ad esempio negli anni ’90 hanno maggiormente
contribuito all’export sono caratterizzati dalla rilevante presenza di piccole e medie imprese. Si
veda su questo a tal proposito DESARIO V., Il finanziamento delle piccole e medie imprese tra
localismo e globalizzazione, in ''Rivista italiana di ragioneria e di economia aziendale'', n. 3/4,
1999, p. 50.
CAPITOLO PRIMO
3
imprenditoriale improntata sulla crescita dimensionale e sulla diversificazione, ad
una necessità di rinnovamento continuo, improntato sull’incremento di servizi e
prodotti ad alto grado di differenziazione.
3
Purtroppo, la chiusura del capitale di
rischio a nuovi soci, come vedremo successivamente, e la conseguente cronica
mancanza di risorse da investire in ricerca e sviluppo non consentono alle PMI di
poter competere a livello internazionale nei nuovi settori tecnologici di successo.
A questi fattori possiamo aggiungere la presenza attuale di una pressione
fiscale tra le più alte d’Europa e un quadro macroeconomico fortemente
recessivo.
Si intravede dunque la necessità di rivedere il nostro tradizionale modello di
sviluppo, sia da un punto di vista dimensionale che culturale.
4
L’ostacolo più gravoso alla crescita sembra essere la mancanza di una
consolidata attitudine all’uso del capitale di rischio, presente nei principali paesi
industrializzati e soprattutto del mondo anglosassone.
Ai problemi suddetti si aggiunge una delle caratteristiche più evidenti del
sistema italiano: il fatto di essere bancocentrico (bank-oriented), ovvero basato su
un sistema bancario che resta assolutamente centrale nella circolazione dei
capitali.
5
Il sistema bancario del nostro Paese è molto diverso da quello, considerato da
molti studiosi più evoluto, di stampo anglosassone, dove esiste una netta
separazione tra l’esercizio del credito e l’attività di investment banking,
demandata ad istituti specializzati. In Italia si riscontra invece una spiccata
confusione in materia, con la presenza di attività di investment banking
all’interno di banche commerciali. Si comprende dunque come sia molto difficile
lo sviluppo di un’economia market-oriented. In più, non è azzardato supporre che
3
Cfr. SCHILLING M.A., Gestione dell'innovazione, Milano, McGraw-Hill, 2005, p. 1; inoltre, per
ulteriori approfondimenti, si veda anche ZAMPI V., Le reti di ruoli imprenditoriali, Giappichelli,
Torino, 1997, pp. 1-31.
4
Cfr. CORBETTA G., Le medie imprese: alla ricerca della loro identità, Egea, Milano, p. 20.
5
Cfr. DESSY A. & VENDER J. (a cura di), Capitale di rischio e sviluppo d’impresa, Egea,
Milano, 2001, p. 89.
CAPITOLO PRIMO
4
sia proprio tale peculiarità a essere una delle tante cause della presenza di un
elevatissimo numero di micro e piccole imprese nel nostro Paese.
6
Secondo l’Archivio Statistico delle Imprese Attive (ASIA)
7
le micro e PMI in
Italia sono circa 4,5 milioni, operanti nell’industria e nei servizi, con
un’occupazione complessiva di 16,5 milioni di addetti; rappresentano il 98% del
totale delle imprese italiane ed il 47% degli occupati; solo le aziende con meno di
10 dipendenti raggiungono oltre i 4 milioni. Soltanto 3.417 società (0,08%)
impiegano più di 250 addetti, assorbendo il 20% dell’occupazione totale
complessiva (oltre 3,3 milioni). Ben il 94% delle aziende fattura meno di 1
milione di euro all’anno, il 6% tra 1 e 50 milioni ed appena lo 0,11% più di 50
milioni.
E’ necessario ricordare che le statistiche sopra citate considerano PMI solo le
realtà imprenditoriali che possiedono requisiti di carattere quantitativo ben
determinati; da alcuni anni, infatti, il termine PMI ha assunto una connotazione
dimensionale ben precisa, a dispetto del precedente significato, molto più
generico, di impresa di ridotte dimensioni e con una struttura organizzativa
estremamente semplice.
Il DM 18/4/2005
8
recepisce i parametri dati dalla Commissione Europea per
l’individuazione delle caratteristiche delle micro, piccole e medie imprese, basati
sul rispetto dei diversi limiti massimi fissati in riferimento al numero dei
dipendenti, al fatturato, al totale di bilancio ed al criterio di indipendenza (tabella
1.1).
6
Cfr. DESARIO V., op. cit., p. 49. Lo sviluppo economico della maggior parte dei paesi
industrializzati si basa, al contrario del caso italiano, su un aumento del peso delle grandi imprese
rispetto alle piccole; solo la Spagna, all’interno dell’UE, costituisce una caso di sviluppo basato
sulle piccole imprese.
7
I dati presi in esami sono aggiornati al 31 dicembre 2004. Il registro Asia è costituito dalle unità
economiche che esercitano arti e professioni nelle attività industriali, commerciali e dei servizi alle
imprese e alle famiglie; fornisce informazioni identificative (denominazione e indirizzo) e di
struttura (attività economica, addetti dipendenti e indipendenti, forma giuridica, data di inizio e
fine attività, fatturato) di tali unità. Oltre a costituire la base informativa per le analisi
sull’evoluzione della struttura delle imprese italiane e sulla loro demografia, Asia rappresenta
l’universo di riferimento delle indagini sulle imprese condotte dall’Istat.
8
Il decreto regola la determinazione della dimensione aziendale ai fini della concessione di aiuti
alle attività produttive.