2
sindaci, perno del sistema dei controlli delineato prima del codice civile
del 1942, e dal testo unico della finanza, poi.
La riforma del diritto societario in tema di amministrazione e controllo
prende, quindi, le mosse dal testo unico sulla finanza, la legge Draghi,
con il quale si è timidamente iniziato a dettare qualche regola che ha
toccato i quesiti di carattere generale attinenti l’amministrazione
societaria. In primis la separazione tra gestione e controllo, quest’ultimo
da intendersi di controllo sul corretto esercizio dell’amministrazione; in
secondo luogo, il problema del rapporto fra consiglio di amministrazione
e gli organi a vario titolo delegati.
In questo scenario, cioè nell’ambizioso progetto di restaurare fiducia
nei mercati finanziari, si inserisce per ultimo la riforma sulla legge sul
risparmio del 2005. Quest’ultima è la risposta “italiana” agli scandali
finanziari che hanno caratterizzato l’inizio di questo secolo. Scandali che
hanno portato dapprima, negli Stati Uniti, ad una riforma federale del
governo societario, attraverso il famoso Sarbanes-Oxley Act del 2002;
poi nell’UE ad una serie di iniziative tra cui il Piano di azione per il
diritto delle società; nonché negli stati membri, ad una serie di riforme ed
ai nuovi codici di comportamento. In riferimento a questo punto, assume
rilevanza essenziale in Italia il Codice di Autodisciplina redatto dalla
Borsa Italiana SpA dedicato alle società quotate, e contenente una serie
di principi, conformi agli standard internazionali, che ogni società, nel
caso in cui dichiarino di aderirvi, dovrà rispettare.
Riforma sulla tutela del risparmio che si inquadra sul solco delle
precedenti novità in tema di sistemi organizzativi, cercando di colmare le
lacune e di rafforzare la tutela delle minoranze. Compito, come si vedrà,
non sempre portato pienamente a termine
3
L’opportunità concessa alle imprese italiane di scegliere fra diversi
sistemi di amministrazione e controllo, rappresenta una singolarità della
riforma, atteso che sembra esaurire l’intero vaglio di modelli di
amministrazione concepibili che le società possono adottare. Dunque
importante è il ruolo conseguentemente riconosciuto all’autonomia
statutaria, alla quale è data ampia facoltà di scelta con riguardo al
modello di governance che vuole far proprio.
Il modo in cui un’impresa è gestita, infatti, dipende soprattutto dal
modello di corporate governance che essa ha adottato.
La governance di un’impresa definisce, da un lato, l’attribuzione dei
poteri decisionali nelle diverse circostanze e, dall’altro, i rapporti tra
l’impresa stessa ed i soggetti ad essa legati da rapporti economici.
Un modello di governance ha quindi effetti sul grado di efficienza di
un’impresa in primo luogo perché il modo con cui le rendite vengono
divise ex post influenza gli incentivi dei diversi soggetti (chi non riceve
un adeguato compenso non investirà abbastanza in attività redditizie per
la società); in secondo luogo, perché il sistema prescelto va ad
influenzare il modo in cui si svolge la contrattazione tra i vari soggetti
coinvolti, attraverso gli effetti che ha sul grado di asimmetria informativa
(che incide sul potere contrattuale dei diversi soggetti), sul livello dei
costi di coordinamento (che condizionano la possibilità dei diversi
soggetti di organizzarsi efficacemente), sui vincoli finanziari dei diversi
soggetti.
Un’ultima precisazione. L’art. 4 della legge delega prevede per le
società per azioni l’adozione di un assetto organizzativo idoneo a
promuovere l’efficienza e la correttezza della gestione dell’impresa
sociale. Concetto di “efficienza” del diritto societario che non ha
4
carattere assoluto e non permette di determinare regole generali che
possano essere ritenute ideali per qualsivoglia impresa. Dunque, si
cercherà di porci nell’ottica della efficienza parametrata sul controllo
della gestione per cercare di capire come il legislatore ha risposto alle
varie esigenze. Ed il presente elaborato parte proprio da ciò: cercare di
concentrare l’attenzione sui rimedi che i vari sistemi di amministrazione
e controllo hanno adottato per un efficace sistema di controllo.
Si partirà dunque, nel primo capitolo, da un rapido escursus storico che
cercherà di porre in evidenza i problemi di corporate governance già
emergenti a seguito dell’emanazione del codice civile del 1942, sino a
giungere, dopo l’esame di diritto comparato e delle proposte comunitarie
che hanno influenzato il nostro legislatore, alle recenti riforme
introduttive dei modelli organizzativi oggetto dell’esame; in quest’ultima
parte verrà compiuta anche una prima valutazione dei modelli applicabili
alle società base.
Nel secondo capitolo si concentrerà il “cuore” del lavoro, ove
verranno poste in rilievo le norme che sono state attuate per cercare di
ridurre le interferenze dei soci di controllo (tipico problema dei nostri
assetti proprietari), ma soprattutto le scelte organizzative, partendo dagli
amministratori salendo fin su all’organo di controllo, per un penetrante
ed efficace controllo sulla gestione.
Il terzo ed ultimo capitolo, invece, avrà ad oggetto una analisi pratica
delle prime esperienze di società quotate che hanno optato per i sistemi
alternativi di amministrazione e controllo. Parte essenziale questa, in cui
si noterà come, ad oggi, i “particolari interessi” di ciascuna società
prevalgano su qualunque altro elemento di appetibilità che possa attirarli
verso un modello piuttosto che per un altro.
5
CAPITOLO PRIMO
CORPORATE GOVERNANCE: IL DIBATTITO SUI MODELLI
DI AMMINISTRAZIONE E CONTROLLO
1.1 Dal codice di commercio al modello previsto dal codice del 1942.
Cenni.
In Italia il dibattito sulla corporate governance ha origini molto
antiche; può essere fatto risalire quantomeno all’adozione del codice di
commercio del 1882
1
, ove già si discuteva sulla composizione e poteri
dell’organo di controllo cioè del collegio sindacale.
Sebbene fosse del tutto pacifico in dottrina
2
che, nonostante la
presenza di altri due organi oltre l’assemblea, il nostro ordinamento
appartenesse a quelli a struttura monistica, si cercavano di scovare i
caratteri differenziali rispetto agli altri paesi europei, in particolare
volgendo l’attenzione al consiglio di sorveglianza
3
, l’organo deputato al
controllo sulla gestione in altri ordinamenti europei che avevano optato
per una strutturazione c.d. “dualistica” dell’organizzazione societaria.
Era palese
4
, infatti, come il collegio sindacale italiano fosse privo di
funzioni amministrative, così come di poteri di nomina e revoca del
consiglio di amministrazione, questi ultimi, invece, tipici del consiglio di
sorveglianza tedesco.
1
Si parla qui del progetto Mancini reperibile nei lavori preparatori (1939-1940) al codice del 1942 e
custoditi presso la Biblioteca del Senato.
2
Si veda MOSSA, Società per azioni, Cedam, Padova, 1957, pp. 399 ss.
3
Qui si pone l’attenzione sul sistema Tedesco soprattutto, ma anche quello belga.
4
Si pensi a Vivante (reperibile nella Relazione ai lavori preparatori 1920 custoditi dalla Biblioteca
Parlamento italiano) che fu fautore di un primo progetto di riforma della materia commerciale.
6
Peraltro, negli anni successivi, e fino all’approvazione del codice
civile, il sistema imperniato sul collegio sindacale tese a stabilizzarsi;
nessun progetto di riforma del codice di commercio, nonché lavori
preparatori al codice civile
5
, misero in discussione la struttura monistica
della società anonima per azioni, imperniata sul controllo esercitato dal
collegio sindacale.
Infatti, in realtà, l’esperienza italiana dimostrava come, in quegli anni,
in discussione era, più che altro, il ruolo svolto dagli organi societari ed,
in modo particolare, la preminenza dell’assemblea che il Codice di
Commercio sembrava averle attribuito
6
.
Molti erano gli studiosi
7
che non mettevano in dubbio la
subordinazione degli amministratori all’assemblea: sottolineavano come
il consiglio di amministrazione derivava i suoi poteri da essa, padrona
della loro elezione e della loro revoca (art. 2364 c. 1, n .1) e con potere
di restringere o sospendere l’esercizio delle loro attribuzioni
8
.
5
Ci si riferisce ai Progetti Vivante (1922), d’Amelio (1925) e Asquini (1940). In realtà, l’unico
contributo che si può rinvenire è il progetto Vivante del 1934 (Contributo alla riforma delle società
anonime, in Riv. dir. Comm, 1950,pp. 312 ss.): esso, incaricato di esaminare alcuni problemi che
affliggevano l’ordinamento delle società anonime, propose di strutturare l’amministrazione secondo il
tipo germanico. Ciò in quanto prese atto della necessità di tutelare gli azionisti attraverso un efficiente
ordinamento interno di amministrazione. In sostanza si prevedeva di affidare l’amministrazione della
società a due organi, il comitato esecutivo e il consiglio: organi che avrebbero dovuto completarsi e
controllarsi a vicenda, quindi con una attività che proveniva dall’interno e più efficace di quella dei
sindaci, la quale proveniva dall’esterno. Con riguardo ai compiti, l’amministrazione normale e la
rappresentanza avrebbero dovuto essere affidate al comitato, che avrebbe poi dovuto intraprendere un
rapporto di reciproco scambio di informazioni col consiglio; a quest’ultimo, invece, sarebbe spettato
la revisione sul bilancio secondo le risultanze che fossero accertate dal comitato, e sulla base di esse
proporre all’assemblea la distribuzione degli utili.
6
L’art. 122, c.3, statuiva che “ gli amministratori non possono fare altre operazioni che quelle
espressamente menzionate nell’atto costitutivo”, con una formula che sembrava sancire che tutti gli
atri sarebbero spettati all’assemblea quale organo sovrano. Ma tale norma fu interpretata ( tra gli altri
ABBADESSA, Gestione dell’impresa nelle società per azioni,Giuffrè, Milano, 1975, 30 ss; FINALI,
Memorie intorno alla legislazione delle società commerciali, 1885,55 ss) nel senso di vietare agli
amministratori di compiere atti estranei all’oggetto sociale, orientamento conformatosi ai lavori
preparatori del codice da cui emergeva l’intento dei riformatori di reagire contro il convincimento che
le società anonime potessero fare tutte le operazioni non vietate dallo statuto.
7
Per tutti VIVANTE, Trattato di diritto Commerciale, 1926, p. 284.
8
Ad esempio votando contro la conclusione di un affare (art. 2364 n. 4).
7
Nonostante ciò, fu proprio con l’avvento del codice del 1942 che prese
corpo, nella nostra penisola, quel vento di cambiamento che avrebbe
portato alla revisione del tradizionale assetto dei rapporti tra i due organi.
Sovvertimento di ruoli
9
che non fu portato pienamente a compimento a
causa del n. 4 dell’art. 2364 che in via sussidiaria attribuiva
all’assemblea, per il tramite dell’atto costitutivo e degli amministratori,
un potere di deliberazione sugli altri oggetti attinenti alla gestione
societaria
10
.
Così si statuì che gli amministratori, in collegio o quale unico
soggetto, formassero l’organo dirigente, gestore e di rappresentanza
all’interno e all’esterno della s.p.a. ( artt. 2980- 2984 codice 1942). La
loro nomina era fatta nell’atto costitutivo ed aveva una durata di tre anni,
quindi temporale ( art. 2983), regola d’altronde avevente lo scopo di far
si che l’amministratore “non diventasse, di diritto, un arbitrio del destino
9
La prima contestazione del ruolo assegnato all’assemblea si ritrova in uno studio di A. CANDIAN,
Nullità ed annullabilità di delibere di assemblea delle società per azioni, Milano, 1942, pp. 187 ss., il
quale negava che, in mancanza di espressa disposizione statutaria, competesse ai soci di ingerirsi
nell’amministrazione, ma affermava anche l’esistenza di un principio organizzativo che estendesse
l’ambito di inderogabilità della relativa disciplina. Il primo punto era sorretto dal rilievo per cui
l’assemblea, per quanto avesse coefficienti di preminenza, era pur sempre un organo soggetto al
regolamento della legge e dello statuto. In ordine, invece alla derogabilità della competenza degli
amministratori, il limite fosse segnato dalla necessaria tutela di quegli interessi dei terzi che
nell’ordinamento era garantita da sanzioni di responsabilità a carico degli amministratori, in quanto se
l’assemblea, che non assumeva responsabilità verso terzi, avesse potuto prender il posto degli
amministratori, ai terzi sarebbe stata sottratta una fondamentale garanzia. L’opinione di Candian circa
il potere direttivo dei soci ha avuto largo seguito in dottrina, che ne ha individuatp una conferma nella
lettera dell’art. 2364, n.4. In questo senso FRE’, Società per azioni, in Commentario cod. civ. , a cura
di Scialoja e Branca, libro quinto, Del lavoro, Bologna-Roma, Zanichelli, 1972, p. 297; A. MIGNOLI, e
R. NOBILI, Amministratori di società, in Enc. Dir., II, Milano, 1958, p. 131; P. GRECO, Le società nel
sistema legislativo italiano, Giappichelli, Torino, 1959, pp. 316 ss.; F. GALGANO, Degli
amministratori di società personali, CEDAM, Padova, 1963, pp. 38 ss.; P. DE MARCHI, In tema di
organo amministrativo composto di due membri, in Riv. soc., Giuffrè, Milano, 1963, p. 321; G.
COTTIMO, Società per azioni, in Noviss. Dig. It., XVII, Torino, 1971, p. 107; G. OPPO, In tema di
invalidità delle deliberazioni del consiglio di amministrazione delle società per azioni, in Riv. soc.,
Giuffrè, 1967, pp. 929 ss. Secondo qualche autore (in particolare FRE’, cit., p 318) inoltre il divieto di
ingerenza non escluderebbe la facoltà dell’assemblea di esprimere raccomandazioni o pareri nelle
materie riservate al consiglio, con la conseguenza che i soci potrebbero legittimamente richiedere, a
questo unico scopo, l’inserzione all’ordine del giorno di argomenti relativi alla gestione dell’impresa.
10
Norma interpretata ( ABBADESSA, cit., 40) nel senso di abilitare gli amministratori al compimento di
qualsiasi atto relativo all’esercizio dell’impresa sociale, in quanto tale art. escluderebbe l’esistenza di
atti di gestione ricadenti nella sfera necessaria dell’assemblea ordinaria.
8
delle s.p.a.
11
”; così come al centro dei loro doveri stava la cura
dell’interesse sociale, sin dalla loro origine ( art. 2392).
Al collegio sindacale, invece, era attribuito il controllo contabile e di
legalità sull’amministratore, escludendo quello di merito
12
.
Per ciò che concerneva la nomina, prima dell’approvazione del codice,
non si esigevano garanzie personali o di funzionamento. Solo nel ’42
venne introdotta la norma
13
sulla loro necessaria professionalità,
richiedendosi che almeno uno di essi, se tre, o almeno due ,se cinque,
fossero scelti tra i revisori ufficiali dei conti. Al contrario, ad assicurare
la loro indipendenza dalla società si esigeva, tra le altre, che essi non
fossero dipendenti in virtù di un rapporto continuativo oneroso ( art.
2399).
Facile immaginare come già in quegli anni numerosi erano gli autori
che esprimevano preoccupazione circa il non penetrante controllo
attribuito a tal organo, uno su tutti Mossa
14
, il quale in un suo scritto
affermava che “..l’opera di controllo doveva e poteva essere illuminata e
preziosa per la s.p.a. e la duplice faccia dell’amministrazione e del
controllo poteva, teoricamente, riunirsi in una sintesi prodigiosa. Ma
questo era un ideale, e l’ideale è irraggiungibile..”.
Emergeva, quindi, come molti dei problemi che alimentano il dibattito
attuale sulla composizione degli organi societari e sulle possibili
soluzioni per garantirne maggiore efficienza alla loro azione, fossero
all’epoca già un leit motive del dibattito dottrinario italiano: si pensi
11
Così MOSSA, cit, pp. 400.
12
Infatti l’art. 2403 richiamava tra i doveri del collegio il controllo sull’amministrazione, la vigilanza
sull’osservanza della legge e dell’atto costitutivo e l’accertamento della regolare tenuta della
contabilità; nonché gli venivano attribuiti alcuni poteri ispettivi. Non gli competevano, invece, poteri
di nomina e revoca.
13
Cioè l’art. 2397, c. 2.
14
MOSSA, cit, pp. 433. In queste righe possono sintetizzarsi le preoccupazioni che già all’epoca
scaturivano sulle eventuali attenuazioni dell’opera del controllo dei sindaci.
9
come già Ascarelli
15
nel 1956 auspicasse l’inserimento nel collegio
sindacale di una rappresentanza di minoranze qualificate
16
per garantire
maggiore trasparenza nel funzionamento dell’organo.
Ma un altro tema alimentava gli animi in quegli anni e che interessa ai
nostri fini, in quanto direttamente connesso alle regole di corporate
governance: il modello di società anonima che il legislatore avesse preso
in riferimento nel redigere le norme del codice civile.
In particolare alcuni autori, tra cui Guido Rossi
17
, identificavano la
società anonima nella grande impresa caratterizzata da un’elevata
dispersione del capitale azionario. Ponevano l’accento sulla esclusione
degli azionisti dal controllo
18
come conseguenza della natura stessa delle
società di capitali, in particolare della dissoluzione dei concetti di
proprietà e rischio che tale forma organizzativa avrebbe dovuto
implicare
19
. Il giurista affermava che il legislatore del 1942 nel
disciplinare la società per azioni aveva adottato come modello di
riferimento società “anguste o circoscritte”
20
, quasi a voler abbandonare
15
ASCARELLI, I problemi delle società anonime per azioni, in Rivista delle soc., Giuffrè, 1956, p. 32.
16
Il numero dei componenti il collegio avrebbe dovuto essere fissato in un minimo ad esempio 3,
potendo però poi comprendere tanti membri quanti necessari per includervi un membro per ogni
gruppo qualificato nell’elezione. Tale organo avrebbe assunto così una funzione “parlamentare” di
esponente dell’elettorato riunito in assemblea, fissando la percentuale di minoranza qualificata
necessaria per nominare un membro del collegio in relazione al capitale della società.
17
Si veda ROSSI, Controllo pubblicistico sulle società per azioni, in Riv. delle soc., Giuffrè, 1957, pp.
518 ss; La grande impresa fra privato e pubblico e le leggi speciali, nella medesima rivista, 1980, pp.
401 ss;. PESCE, Amministrazione e delega di potere amministrativo nelle società per azioni, Giuffrè,
Milano,1960
18
L’autore arrivava ad affermare il ruolo ormai di semplice investitore dell’azionista. Conclusione che
altri autori, tra cui si veda ABBADESSA, cit., p.49,, ritenevano scontata, se pur non condivisibile,
qualora ci si ponesse nella prospettiva del modello della grande impresa; l’azionista avrebbe dovuto
assumere un ruolo di semplice investitore.
19
Tutto ciò conseguente alla presa d’atto che nelle società di grandi dimensioni ci fosse il passaggio
ad un paradigma giuridico c.d. istituzionalistico, che tendeva a valorizzare al massimo l’impresa
recidendo il legame tra essa e i soci. Rilevante è sottolineare come questo passaggio non significava
abbandonare del tutto, secondo Rossi, l’essenziale struttura contrattuale della società come volevasi
dimostrare dall’articolo 2247. Per la storia delle varie posizioni della teoria istituzionalista si veda R.
GOLDSCHMIDT, Recenti tendenze della società anonima, Firenze, 1935.
20
Sempre ROSSI, La grande impresa, cit, p. 401, ove sottolinea come il legislatore del 42 approvava,
in contemporanea al codice civile, la legge sulla nominatività dei titoli azionari; legge che avrebbe
avuto l’intento di scoraggiare l’afflusso del risparmio verso le società azionarie, per dirottarlo verso
10
la grande impresa all’autodisciplina; scelta che in realtà avrebbe
comportato una non disciplina o meglio un’arbitrarietà di
regolamentazione
21
.
Rilievi che dimostravano come la disciplina unitaria alla quale il
codice assoggettava piccole-medie e grandi imprese, non potesse più,
sempre secondo tal dottrina, rispondere alle esigenze della pratica,
proprio perché la seconda aveva esigenze funzionali e strutturali opposte
alle prime, il cui capitale si formava sulla base dei semplici apporti di
persone inizialmente ben determinate. Senza mancare di citare autori
22
che auspicavano l’introduzione di due modelli distinti necessari per
adattarli alle caratteristiche delle varie società.
Concezione, tuttavia, che fu confutata da un’altra corrente
dottrinaria
23
, la quale giunse a non poter ammettere come “tipo legale” la
grande impresa tanto paventata dall’altra parte della dottrina e che, al
contrario, il legislatore non avesse modellato le norme sulla base delle
esigenze delle sole medie e piccole imprese.
In particolare i dati normativi ( artt. 2327, 2345, 2355, c.3, 2366,c. 3)
dimostravano al contrario come il legislatore avesse guardato alla società
forme di finanziamento alo stato impegnato nelle spese belliche. Si consulti MINERVINI, Le origini
della nominatività obbligatoria dei titoli azionari, in Riv. delle soc., Giuffrè, Milano, 1973, pp. 1125
ss.
21
Concordava con Rossi, F. FENGHI, Giurisprudenza degli interessi e società per azioni: appunti per
una discussione, in Riv. soc., Giuffrè, Milano, 1968, pp. 670 ss., il quale tentava di giustificare la
scelta della grande impresa come modello ricostruttivo dello statuto della società anonima assumendo
che essa costituisse l’espressione tipica e autentica di tale forma sociale, senza meglio argomentare
però un tale assunto.
22
Si veda dettagliatamente FERRI, Potere e responsabilità nell’evoluzione della società per azioni, in
Riv. delle soc., Giuffrè, Milano,1956, pp.39. il quale constatava come il legislatore per ovviare a
queste lacune iniziò ad elaborare nuovi istituti e ad introdurre adattamenti: a partire dalla possibilità di
emettere obbligazioni convertibili in azioni, alla politica dei dividendi e al sistema degli acconti nella
grande società per azioni, al quale faceva riscontro nella piccola-media impresa il fenomeno dei
sindacati di voto, degli accordi parasociali, dei patti di prelazione.
23
ABBADESSA, Gestione dell’impresa, cit, p.52 ss.
11
per azioni come un modello fruibile da tutte le tipologie di società
24
; il
che avrebbe dovuto portare all’esclusione di qualunque ragione che
privilegiasse la ricostruzione dello statuto della società azionaria nel
modello della grande impresa
25
. Al contrario, si argomentava come
l’interprete avrebbe dovuto ispirarsi al criterio della massima elasticità
del sistema, considerata la varietà di tipi su cui la disciplina in oggetto si
rifletteva; aggiungendovi l’ulteriore rilievo che la tendenza opposta
avrebbe portato a discriminare senza motivo la piccola e media
impresa
26
. Scartata la l’identificazione società anonima con la grande
impresa, l’azionista non poteva più essere inteso come un semplice
investitore, ma avrebbe dovuto recuperare il suo ruolo all’interno della
società.
24
Il rilievo era condiviso da G. B. PORTALE, I conferimenti in natura atipici nella s.p.a., Giuffrè,
Milano, 1974, pp. 27 ss.
25
Nonostante poi nella prassi la società per azioni fu adottata da medie e piccole imprese; di ciò iniziò
a prendere atto lo stesso legislatore con la legge del 4 marzo 1958, sul bilancio delle società elettriche.
Tale legge, secondo Rossi, Controllo pubblicistico, cit., costituiva un primo passo per un
ammodernamento delle società per azioni e l’adattamento alla grande impresa. Infatti, il controllo sul
bilancio, in tali imprese, diventava lo strumento maggiormente indispensabile per l’esercizio del
controllo e per una tutela degli stessi azionisti.
26
Sulle ragioni che giustificavano la tendenza a favorire l’accesso alla forma delle società di capitali
da parte della piccola e media impresa si veda T. ASCARELLI, Disciplina delle società per azioni e
legge antimonopolistica, in Problemi giuridici, II, Milano, 1959, pp. 904; F. DENOZZA, Responsabilità
dei soci e rischio dell’impresa nelle società personali, Giuffrè, Milano, 1973, pp. 254 ss. Contrario a
ciò era GALGANO, L’invalidità delle deliberazioni del consiglio di amministrazione, in Riv. dir. Civ,
1967, pp. 95 ss, il quale vedeva nella piccola e media società di capitali lo strumento grazie al quale
la grande impresa avrebbe attuato i piani di frazionamento del rischio che tendevano a trasferire sui
terzi i risultati negativi di iniziative particolari. Ma era evidente che l’abuso poteva essere controllato
mediante l’elaborazione di appropriate tecniche di estensione della responsabilità, senza che fosse
necessario ricorrere ad una discriminazione a danno delle imprese minori circa l’uso della forma
società di capitali.
12
1.2 Il dibattito sulla struttura della funzione amministrativa: uno
sguardo d’insieme. Cenni.
Analizzata brevemente la situazione italiana negli anni successivi alla
entrata in vigore del codice civile, bisogna adesso passare in rassegna la
disciplina di corporate governance che è stata adottata da alcuni
maggiori paesi europei.
Occorre, infatti, sempre a livello europeo, prendere atto della
sussistenza di una varietà di modelli riguardanti la struttura
amministrativa della società per azioni e dai quali non si può prescindere
proprio perché avrebbero alimentato e spostato il dibattito in seno agli
organi comunitari.
Appunto due sono i modelli che emergono
27
:
a) un sistema binario incentrato sulla distinzione tra controllo e
amministrazione;
b) un sistema unitario.
27
Si veda per una disamina di diritto comparato BARBIERA, La Corporate governance in Europa,
Giuffrè, Milano,2000; ABBADESSA, Organizzazione della giurisdizione amministrativa nella società
per azioni: esperienze e prospettive di riforma, in Riv. soc, Giuffrè, Milano, 1970; MARCHETTI,
BIANCHI, GHEZZI, NOTARI, Commento alla riforma delle società. Sistemi di amministrazione e
controllo, Giuffrè, Milano, 2006; BIANCHI, Diritto societario, Amministrazione e controllo nelle
società per azioni, collana Management de Il Sole 24-ore, 2006; A. GUACCERO, sub artt. 2409
sexiesdecies-noviesdecies, in Società di capitali, Commentario a cura di Niccolini e Stagno
d’Alcontres, 2004, vol. II, Napoli; V. CARIELLO, Il sistema dualistico,Giuffrè, Milano, 2007; A.
VERONELLI, L’organo amministrativo nel sistema monistico. Amministratori indipendenti e funzioni
di controllo, Giuffrè, Milano, 2006; SCHIUMA, Il sistema dualistico. I poteri del consiglio di
sorveglianza e del consiglio di gestione, in Il nuovo diritto delle società, Liber Amicorum G. F.
Campobasso, II, Assemblea-Amministrazione, Utet, Torino, 2006.
13
1.2.1 Il sistema binario controllo-amministrazione
28
. Cenni.
Tal tipologia trova la sua genesi nel sistema tedesco, in cui, accanto al
Vorstand, al quale viene attribuito la funzione di dirigere la società sotto
la sua responsabilità ( art. 76 AktG), vi è l’Aufsichtsrat
29
(nominati
dall’assemblea) con compiti di sorveglianza molto penetranti
30
.
Occorre subito rimarcare come il dibattito sulla efficienza dei vari
sistemi di governo societario, non ha causato in Germania un
arretramento della scelta a favore della struttura c.d. dualistica,
disciplinata senza riserve per le società azionarie dal 1884, anno in cui,
con la riforma del codice di commercio HG, il consiglio di sorveglianza
fu previsto come organo intermedio tra assemblea e il Vorstand.
Scelta che è stata poi ulteriormente avvalorata e rinnovata nel tempo
dalle più recenti riforme tedesche
31
.
La discussione tedesca, invece, si è sempre incentrata sul
rafforzamento dei controlli, ragion per cui si è sviluppato l’interrogativo
28
Nella prassi alcuni autori tra cui ABBADESSA, Gli organi di gestione nella società per azioni, in Il
diritto delle società per azioni: problemi, esperienze, progetti, Giuffrè, Milano, 1993, hanno rilevato
la sussistenza di una ulteriore ripartizione: cioè tra alta amministrazione e gestione operativa,
rinvenibile tanto soprattutto nel modello francese basato sul conseil /prèsident-directeur gènèral ove
al primo viene affidato il compito di eleggere un presidente (art. 110 loi) al quale poi gli viene affidata
la direzione generale e la rappresentanza della società. In sostanza la gestione spetterebbe allo stesso
presidente, al conseil di limiterebbe ad autorizzare le operazioni più importanti, a definirne gli
orientamenti direttivi. Ma essendo diffuso il convincimento che si tratti di un modello monistico, si
veda ampiamente nel prossimo paragrafo.
29
Per una disamina dettagliata del sistema di governo tedesco si veda in italiano oltre BARBIERA, cit,
LUTTER, Corporate governance in Germania, in AA.VV., Governo dell’impresa e mercato delle
regole. Scritti giuridici per Guido Rossi, t. 1, Milano, 2002, ROSSI, Il sistema del consiglio di
sorveglianza nel diritto societario tedesco, in Riv Soc, Giuffrè, Milano, 1988 pp. 95 ss,; ABBADESSA,
Gli organi di gestione nella società per azioni, cit.
30
Vedi in prosieguo nel paragrafo.
31
Ci si riferisce ad esempio alle ultime leggi intervenute in materia e che non hanno inciso sui
caratteri essenziali del sistema di amministrazione e controllo tedesco: Legge sul controllo e
trasparenza delle imprese del 1998, e quella sulla riforma della disciplina azionaria e del bilancio del
2002.
14
circa l’opportunità di mantenere inalterato il sistema della cogestione,
elemento essenziale e caratterizzante di tale modello
32
.
Ciò che preme rimarcare in questa sede è il ruolo svolto dall’
Aufsichtsrat, al quale non viene attribuito una semplice verifica della
legalità sostanziale della gestione, ma un vero e proprio potere di
incidere nel merito delle scelte gestionali del Vorstand.
Infatti, oltre alle già richiamate attribuzioni ordinarie
33
, vi è la
disposizione (par. 111) che impone allo statuto o allo stesso organo di
sorveglianza di individuare determinate categorie di atti che gli
amministratori possono compiere solo previa approvazione dell’
Aufsichtsrat
34
.
In merito la dottrina
35
tedesca afferma che l’Aufsichtsrat non può
prescrivere determinati comportamenti al Vorstand, aggiungendo
tuttavia che l’autorizzazione può essere negata non solo per
l’antigiuridicità ma anche per incongruità del negozio palesato dal
32
Si veda per tutti K. J. HOPT, Gemeinsame Grundsatze der corporate governanze in europa?, in
ZGR, 2000, p. 779; nonché in italiano G. E. COLOMBO, Il problema della cogestione alla luce delle
esperienze e dei progetti germanici, in Riv. soc., 1974, pp. 89 ss. Infatti, si ritiene che il sistema
cogestito sia inefficiente proprio nella funzione del controllo; imporrebbe consigli di sorveglianza
troppo numerosi, con ripercussioni sulla effettiva funzionalità delle loro attribuzioni ( scarsa
responsabilizzazione in ragione della crescente individualizzazione dei compiti, ritualizzazione nello
svolgimento dei compiti), che sarebbero amplificati in caso di scarso utilizzo della delega di funzioni a
comitati costituiti all’interno dell’ Aufsichtsrat.
33
Tra cui nomina e revoca degli amministratori (par. 84), determinazione dei relativi compensi,
nonché un importante funzione di emanare il regolamento sul funzionamento del consiglio di
direzione entro limiti determinati dallo statuto (par. 77). Legittimando così l’organo di controllo a
intervenire direttamente nella configurazione dell’assetto strutturale del primo.
34
Interessante è il percorso che ha reso obbligatoria tale norma: in un primo periodo, risalente agli
anni 70, era già presente dopo che l’art. 225 HGB aveva rimesso allo statuto di stabilire quali funzioni
ulteriori dovesse svolgere il coniglio di sorveglianza. Quando contemplato riguardava decisioni del
consiglio di gestione relativamente non significative. Nella fase successiva, dopo un iniziale
degeneramento funzionale dello strumento, utilizzato per creare posizioni di veto a favore dei
lavoratori nel consiglio, vede inserirsi l’obbligatorietà della regola ( con il TransPuG del 2002)
conseguente alla presa di coscienza (si veda LUTTER cit, 228) che per certe operazioni fosse
necessario il concorso dei due organi. Per una maggiore analisi si legga CARIELLO, Il sistema
dualistico, 2007, p.64; nonché SCHIUMA, Il sistema dualistico. I poteri del consiglio di sorveglianza e
del consiglio di gestione, cit., p. 699, nota n. 46 )
35
LUTTER, Rechte und Plichten des Aufsichtsrats, 2004, 100 ss., HOPT, Gemeinsame grundsatze der
corporate governance in Europa?, 2000, p. 799 ss.
15
secondo, precisando che se ritiene inammissibile un’operazione deve
negare il consenso; se al contrario la ritiene opportuna, ma realizzabile
con modalità diverse, può, ma non deve, negarne il consenso stesso
36
.
Opinione di tali autori è che la riserva di approvazione finisca con
l’attribuire poteri di espansione o restrizione delle competenze gestorie,
senza però che ciò si traduca in una reale ingerenza, il che metterebbe a
repentaglio l’esercizio gestorio esclusivo che la legge attribuisce al
Vorstand ( 111, IV, 1); quindi, occorre solamente prendere atto della
volontà del legislatore tedesco di attribuire una funzione di indirizzo
strategico della società e di alta amministrazione. Ciò, affinché sia svolto
un controllo più efficace
37
su quelle decisioni che abbiano una diretta
influenza sulla evoluzione dell’attività imprenditoriale.
In Italia è stato opportunamente rimarcato da alcuni studiosi
38
, a
dimostrazione di quanto detto, come il consiglio di sorveglianza, in
maniera similare a quello tedesco, svolga un controllo di merito
sull’operato degli amministratori, con la rilevante differenza, però, che
mentre l’Aufsichtsrat svolge tale operato preventivamente,
nell’autorizzare o meno il compimento di particolari atti di
amministrazione, il nostro consiglio di sorveglianza lo effettuerebbe
invece a posteriori e in negativo consistente nel revocare anche senza
giusta causa gli amministratori di cui non condivide l’operato
39
.
36
Infatti l’autore afferma che non si può negare che la norma si cui al par. 111 consente ai sorveglianti
di allargare o restringere le competenze gestorie.
37
Il rafforzamento dei controlli fu tra gli obiettivi principali delle leggi citate nella nota 31. La riforma
azionaria si concentrò sui temi dell’efficacia dei controlli interni del consiglio di sorveglianza,
proponendosi maggiormente un rafforzamento dei flussi informativi tra gli organi di amministrazione
e controllo . Col TransPuG del 2002 è stata introdotta, inoltre, una norma importante in tale ottica,
cioè il par. 161 che impone alle società con azioni quotate di dichiarare se siano state rispettate
annualmente le raccomandazioni del codice tedesco secondo l’approccio della complain or explain
rule.
38
CARIELLO, cit. pp. 64 ss.;SCHIUMA, cit., p. 715.
39
Giustamente CARIELLO ( a cui si rinvia per maggiore completezza, pp. 99 ss.) sottolinea come ciò
avviene nel caso in cui la società che adotti il modello dualistico non si avvalga della facoltà prevista