4
Ecco allora che, se riflettiamo un istante, gran parte di ciò che ci viene offerto
quotidianamente sul video non è poi tanto dissimile dalla merce esposta nei baracconi
delle fiere medievali o nei freak-shows ottocenteschi… (2).
Oggi, in Tv, si può prendere di tutto, perché tutto ci viene dato: una miscellanea
variopinta di fisici perfetti nella sinuosità della danza e di corpi scomposti nella rigidità
della morte, volti raggianti di mistica religiosa e sguardi impauriti di profughi alla
deriva, interviste rilevanti all’economista di turno e piccanti confessioni dell'ultimo,
improbabile trans-gender …
“Di tutto e di più”; dunque... L'oggi televisivo si nutre (e ci nutre) di un' abbondanza
di esibizioni, invasioni e intrusioni nella sfera più personale dell'individuo e dei suoi
luoghi sociali, in un tale crescendo bulimico di fisicità, intimità, pulsioni, seduzioni e
confessioni, da farci chiedere cosa possa esserci ancora oltre...
Punto estremo di non-ritorno di una parabola televisiva che solo cinquant'anni fa
appariva nella rigida austerità di un bianco e nero, non solo formale...
Quella televisione - la cosidetta paleo-televisione (3) - aveva visioni, toni e contenuti
diametralmente opposti. La sua funzione pedagogico-sociale, chiedendole di “mostrare
il meglio della cultura e della conoscenza umana”, le imponeva un conseguente,
premuroso distacco da immagini che non fossero istruttive, formative, moralmente
edificanti...
La stessa distanza fisica, spaziale dello spettatore rispetto all'apparecchio-video
sembrava curiosamente ricalcare i termini di tale distacco: da un lato lo schermo e la sua
presenza immanente e severa; dall'altro lo spettatore, “discepolo” attento e un po'
soggiogato dalla visione di quella “maestra” così onnipotente e onniscente.
Come “immagine riflessa” di un sociale più agiato e “leggero”, esplodeva poi la
Neotelevisione, con tutta la sua carica di colori, sorrisi, ammiccamenti...; un flusso
continuo di visioni e tentazioni da assaggiare freneticamente, furtivamente,
emozionandosi con il telecomando. Non più specchio della realta, ma “essa stessa
produttrice di realtà” (4), la Neo-Tv veniva a fondere al suo interno mondo reale e
mondo rappresentato, in un interscambio continuo, vorticoso, perchè la Tv è come la
vita e vuole “che il pubblico si riconosca, e che dica siamo proprio noi”. (5)
Pubblico frammentato, disperso in pratiche di fruizione non più collettive ma
individuali, non più attente ma superficiali, non più condivise ma solitarie... Il guardare
come esperienza comune vissuta nell'intimità della propria famiglia, lascia il posto ad
un guardare più individualistico, nell'intimità della propria solitudine...
Ma se è diverso il pubblico che guarda la Tv, diverso è anche il modo in cui la Tv
guarda al pubblico: non più spettatori da “educare” ma audience da affascinare,
convincere, per poi catturare e strappare alla voracità delle altre emittenti; i flussi della
Neo-Tv hanno tutti questo fine preciso: sedurre il pubblico, mantenere il contatto e
ottenere quote di ascolto sempre maggiori.
“Diamo alla gente ciò che alla gente piace” è il nuovo grido dei programmatori: non
importa più il dictum (ciò che si dice) ma il modus (come lo si dice). Ed ecco la stagione
della massima esibizione, dei colpi di scena, dei talk show, della piazza televisiva, dei
“fatti vostri” da mostrare in pubblico senza più freni nè pudore.
In nome di quest'ansia persuasiva e seduttiva, il medium catodico comincia a spingersi
sempre più oltre, a ricercare ogni possibile forma di visibilità che possa attrarre, far
sensazione, far scandalo, far parlare di sé. I “nobili” obiettivi di un tempo (istruire,
educare...) sembrano ormai aver ceduto il passo ai più democratici bisogni “nazional-
popolari”, ad una tv che sappia “parlare” alla gente e in cui la gente si riconosca.
5
La mostra dell’eccesso - fisico, verbale, spaziale - si fa così categoria necessaria,
paradossale ritorno (degenerato) all’antica funzione referenziale di “discorso sulla
realtà”. La grande “finestra sul mondo”, si è ormai ridotta ad una piccola ... “finestra
sul cortile”, molto più simile a tante minuscole feritoie da cui spiare la vita e rimandarla
in onda... Tv-verità, che dà voce all'individuo comune, che lo invita a raccontarsi, a
confessarsi, a disperarsi in diretta; Tv-esternazione, che accoglie nei suoi spazi un intero
bestiario di tipi umani, amplificandone umori e rancori; Tv del dolore, che spalanca le
sue porte alla pietas di orrori che un mondo troppo vasto non riesce più a suscitare; Tv-
esibizionista, che mette a nudo - senza problemi - fisici perfetti e corpi devianti,
inscatolati con cura e offerti “come merce sugli scaffali del tele-supermercato”… E
l'occhio della telecamera è sempre lì, sempre pronto a cogliere il disvelarsi di emozioni
private, morbose, tragiche; sempre attento a scandagliare l'intimità dei luoghi, dei corpi,
dei pensieri....
Progressivamente ma spudoratamente, questa tendenza è venuta a consolidarsi nei
palinsesti dei programmatori e a “normalizzarsi” nelle attese del pubblico: è l'oggi
televisivo.
Se fosse possibile coniare un termine adatto per la televisione di questi ultimi anni,
sarebbe giusto definirla “Endotelevisione”: una tv che va “dentro” come una sonda, che
esamina, spia, fotografa, esplora, seziona luoghi, fatti e persone, soprattutto persone,
senza alcuna remora, senza alcun rispetto, senza alcuna vergogna; “flusso nel flusso,
sovragenere immanente”…, estrema, compiaciuta visibilità per un pubblico incitato a
guardare sempre più da vicino, con il naso incollato al video e le orecchie tese.
“La proliferazione delle immagini è giunta ad un [tale] livello per cui la nozione stessa di corpo, dei suoi
confini e [dei suoi pensieri], è stata scompaginata in una visione sempre più regressiva. Sembriamo in
preda alla dannazione di dover fotocopiare [per poter guardare] anche le particelle invisibili della
materia.” (6)
Tv eccessiva e Tv compiacente, dunque, capace di articolare, in brevi istanti e senza
ritegno, sintassi visive al limite del sostenibile.
E’ questa, dunque, la nuova mania della televisione all'alba del nuovo millennio:
sicuramente l'ennesima conferma del bisogno di stupire per “far audience”, forse anche
l'ultima, disperata risposta al suo rigor mortis già da qualche parte preconizzato (7), o
forse, ancora qualcosa di più…
“E' come guardare il mondo dal buco della serratura...” ha affermato amaramente un
noto giornalista commentando alcuni recenti prodotti televisivi. (8)
Ed è proprio quest'ultima, esasperata propensione del video che andremo ad esplorare,
cercando di analizzarne - nei suoi programmi più distintivi - le visioni più eloquenti, i
brusii più velati, i toni più squillanti…, per comprenderne il senso, le forme e le
ragioni del loro essere così televisivamente appetibili.
6
NOTE ALL'INTRODUZIONE
(1) “Ecco la televisione: la vostra finestra sul mondo”. La frase è di Thomas H. Hutchinson, 1946 (cit. in
C. Sartori, Evoluzione del sistema delle comunicazioni di massa nella società industriale, Edizioni
Quattroventi, Urbino, 1984, p. 127).
(2) Freak, termine inglese che designa un “essere bizzarro”, uno “scherzo di natura”, un “mostro”…
Nel corso dell’ottocento, i freaks erano esposti alla morbosa curiosità durante spettacoli itineranti.
(Cfr. il saggio di R. Braidotti, Madri, mostri e macchine, Manifestolibri, Roma, 1996, pp. 44 e sgg.).
A tal proposito, si veda anche lo splendido film di David Lynch, Elephant Man, del 1980.
(3) I termini “Paleotelevisione” e “Neotelevisione” si devono a Umberto Eco che, in un saggio del 1983,
scriveva: “C'era una volta la paleotelevisione [...]. Ora, con la moltiplicazione dei canali, con la
privatizzazione, con l'avvento delle nuove diavolerie elettroniche, viviamo nell'epoca della
neotelevisione”.
U. Eco, “Tv: la trasparenza perduta”, in Sette anni di desiderio, Bompiani, Milano, 1983, pp.163.
(4) Cfr. U.Eco, “Tv: la trasparenza perduta”, op. cit., p.170.
(5) U. Eco, “Tv: la trasparenza perduta”, op cit., p. 177.
(6) R. Braidotti, Madri, mostri e macchine, op., cit., p. 43. [corsivo nostro]
(7) “In un futuro non molto lontano la televisione non sarà più monomediale, generalista e nazionale ma
multimediale, tematica e internazionale. Inoltre sarà digitale e non più analogica”.
(R. Parascandolo: La televisione oltre la televisione, Editori Riuniti, Roma, 2000, p. 89).
“Il video non ha più alcuna ragione di usare un segnale vulnerabile, complesso, inefficiente e non
manipolabile. L'età della televisione per tutte le intenzioni e per tutti gli scopi è finita. Come tutte le
tecnologie superate da invenzioni più potenti, la televisione non scomparirà in fretta. Il cadavere rimarrà
nei salotti [...] per molti anni ancora, ma il suo destino è segnato.
Il nuovo sistema sarà il telecomputer o teleputer, un personal adatto per elaborare video e connesso da
cavi di fibra ottica agli altri teleputer intorno al mondo”.
(G. Gilder: La vita dopo la televisione. Il Grande Fratello farà la fine dei dinosauri? tr. it., Castelvecchi,
Roma, 1995, p.32).
(8) E. Biagi, “Il buco della serratura. Bufera su Grande Fratello”, in La Repubblica, 20.09.2000, pag.13.
7
Capitolo Primo
Finestre sul mondo e…finestre sul cortile
Nel 1961 io mi preoccupavo perché i miei figli
non avrebbero tratto gran beneficio dalla tv,
ma nel 1991 io mi preoccupo perché
i miei nipoti saranno danneggiati da essa.
Taking Television Seriously, N. Minow, 1992
1.1. In principio era... la “Paleo-TV”.
Un'analisi delle caratteristiche attuali della televisione - e dei suoi riflessi sul vivere
sociale - non può prescindere dal gettare uno sguardo ai suoi esordi, al come eravamo di
cinquant'anni fa. Inizieremo perciò la nostra indagine da dove tutto ebbe origine: la
Paleotelevisione (1).
E' il 3 gennaio1954 allorché il video si accende nelle case dei pochi fortunati
possessori dell'apparecchio, ed ha il volto bonario di Riccardo Paladini, primo speaker
del nascente telegiornale nazionale. La scelta di iniziare con il genere informativo per
eccellenza non è casuale; la RAI - come gli altri enti radiotelevisivi europei - ha infatti
accolto fedelmente la filosofia pedagogica espressa per voce di John Reith, primo
direttore generale della BBC inglese:
“ Il broadcasting […] dev'essere gestito come servizio pubblico ben definito da precisi standard. Ciò vuol
dire che non può essere usato unicamente per finalità d'intrattenimento. Impiegare uno strumento così
grande e universale solo per intrattenimento costituisce non solo un'abdicazione di responsabilità, ma
anche un insulto all'intelligenza del pubblico. Il broadcasting dovrebbe portare il meglio della cultura e
della conoscenza umana nel maggior numero possibile di case e nella più ampia quantità”. (2)
Si intravedono qui le funzioni - prettamente sociali - a cui tendono le prime emittenti
pubbliche nazionali: “informare, educare, intrattenere”. Il fine dichiarato è quello di
contribuire a costruire il cittadino, facendo leva sulle capacità del mezzo di educere per
rinvigorire i valori civili e morali della nazione.
Il tipo di programmazione offerta riflette appieno tale intento formativo: vi è una
corretta informazione attraverso il telegiornale, una capillare presenza di programmi
educativi di cultura “alta” e una sana pausa di divertimento, anche se mai fine a se
stessa ( gli stessi quiz rientrano in un intento pedagogico...).
Anche la ripartizione temporale dell'offerta predefinisce il ruolo e il fine sociale
dell'emittente. Innanzitutto si tratta di una programmazione “a singhiozzo”, che evita di
occupare per intero la giornata: la preoccupazione più evidente è quella di lasciare
tempo libero agli spettatori - in particolare ai ragazzi - che nel pomeriggio devono fare i
compiti. Fino al 1958 i programmi iniziano alle 17,30; c'è una lunga pausa dalle 19,30
alle 20,45 e le telecamere si spengono verso le 23. Gli appuntamenti forti sono dunque
quelli serali, organizzati in un palinsesto molto rigido: la loro impaginazione è stabilita
in modo preciso, quasi una “dieta controllata” a cadenza settimanale ( il film al lunedì,
lo sceneggiato giallo al martedì, il telefilm al mercoledì, il quiz al giovedì, il teatro al
venerdì, il varietà al sabato e lo sceneggiato in prosa la domenica).
8
Anche i programmi rispondono a questo criterio di selezione: le lentissime sigle di
apertura e chiusura hanno il duplice scopo di preparare il telespettatore alla fruizione di
un certo genere e di delimitare con chiarezza il passaggio al genere successivo.
E' indubbiamente vero – specie nei primi tempi – che…
“ … Il [...] tipo di fruizione prevalente di quel periodo [è] una fruizione soprattutto comunitaria, in quanto
il possesso familiare dell'apparecchio era ancora limitato...” (3),
ma va comunque ribadito che la storia della televisione, soprattutto dal punto di vista
del consumo, è strettamente legata ai caratteri di una fruizione tipicamente domestica e
famigliare; la Tv - in questo figlia naturale della radio - viene a porsi come nuovo
“focolare” della casa, punto di riferimento molto caldo per delle emozioni da viversi
nell'intimità del nucleo casalingo.
Fruizione privata che non significa però chiusura verso il mondo esterno; tutt'altro. La
televisione, nel proporsi “finestra sul mondo”, si offre quale ponte ideale tra la sfera
domestica dei destinatari e lo spettacolo quotidiano del mondo esterno, e in ciò
annuncia l'essenza fondante del suo statuto: uno strumento vero, fedele ed obiettivo per
la rappresentazione della realtà circostante.
A dire il vero, i primi telegiornali sembrano proprio tutt'altra cosa: le notizie sono
scelte con premura e orientate su temi apertamente filo-governativi (quelle
politicamente imbarazzanti vengono scartate a priori...). Il messaggio che “arriva a
casa” fornisce un'immagine “buona” del paese; i temi sono sobri, il tono è rassicurante,
tutto pare essere “sotto controllo”...
Riguardando alcune Schegge dei Tg del periodo, si respira proprio questa percettibile
sensazione: lo speaker - serissimo ed imperturbabile - elenca le notizie una dopo l'altra,
in modo asettico e neutro, quasi a sottolinearne la pretesa oggettività. Apparentemente
non vi è alcun manifesto segnale di “aggancio” sul destinatario: si guarda poco verso la
telecamera, si sorride ancor meno...; eppure proprio attraverso il tipo di notizie
impaginate ed il modo di esporle si può cogliere il tentativo di dar corpo ad un
primigenio “effetto di realtà” ed “effetto di presenza” che la Tv degli anni ’80 porterà a
livelli perfetti.
Ci pare di poter dire, in sostanza, che già la Paleotelevisione punta a stabilire un
contatto - il più prossimo possibile - con lo spettatore. Lo fa in modo garbato e pudico
(il suo statuto ideologico le impone infatti di essere “credibile” e, soprattutto,
“famigliare e rassicurante”), ma comunque lo mette in atto.
Poiché il telegiornale è il clou della giornata televisiva dell'italiano medio, tutto deve
essere predisposto con grande cura, ad iniziare dalla scelta dello speaker più adatto.
Ricordano Calabrese e Volli:
“Il conduttore viene scelto per la bontà del suo timbro [che deve dare] sicurezza, profondità, distacco
dal reale, oggettività. Il tono della voce vuole essere convincente, non impositivo, ma piuttosto degno di
fiducia, rassicurante. Non a caso si può affermare che il mezzobusto [...] praticamente non sorridesse mai.
L'asetticità di questa voce veniva confermata dalla tecnica di ripresa [...]. Lo speaker era infatti inquadrato
in una posizione che ne tagliava il tronco all'altezza del torace: per l'appunto, a mezzobusto. Tale
inquadratura non consente alcuna inserzione nell'immagine che sia estranea alla pura lettura[...].
Lo speaker legge dall'inizio alla fine un testo già scritto parola per parola e alza solo di tanto in tanto gli
occhi verso l'ipotetico ascoltatore. Non gli sono permesse espressioni facciali personali, non può ridere o
sorridere (l'informazione è una cosa seria), ma neppure tossire (l'emittente non è di salute cagionevole) e
soprattutto non può commettere errori. [Deve avere inoltre] il carattere dell'affabilità (per mantenere saldo
il contatto con il pubblico), ma soprattutto deve essere un campione dell'uomo medio, piuttosto che una
9
personalità individualmente o socialmente prestigiosa. [...]. La figura del primo speaker italiano, Riccardo
Paladini, è in questo senso perfetta: fronte nediamente alta, volto allungato, orecchie a sventola, in
sostanza una figura casereccia tendente decisamente al padre di famiglia.” (4)
Se ben definito è il genere informativo, altrettanto ben nutrito appare il genere
educativo. Trasmissioni come Una risposta per voi, La tv degli agricoltori, Telescuola,
Non è mai troppo tardi hanno fatto la storia della tv pedagogica degli anni '60. In
particolare Non è mai troppo tardi è stato giustamente definito il programma-emblema
di questo tipo di televisione.
Iniziato nel 1960 e durato fino al 1968, ha come scopo prioritario la lotta
all'analfabetismo. Il maestro Alberto Manzi - interlocutore perfetto per una tv che cerca
di attirare pubblico attraverso un servizio educativo - sa sfruttare al meglio la principale
caratteristica del mezzo televisivo: l'immagine in movimento. Sullo schermo lo
spettatore può seguire il formarsi delle lettere, tracciate lentamente dalla mano del
maestro grazie all'uso della lavagna luminosa, mentre la voce ne pronuncia il suono.
Ricorda lo stesso Manzi:
“La televisione era riuscita a risolvere il problema dell'analfabetismo: un milione e quattrocentomila
persone avevano dato gli esami per ottenere un titolo di studio; milioni di persone, tra anziani e bambini,
non dettero esami [...] ma avevano imparato a leggere e a scrivere e si sentivano fieri, specialmente gli
anziani. Potevano firmare non più con un segno di croce, ma con il loro nome e cognome, potevano
leggere e non più farsi leggere lettere e documenti dagli altri...erano fieri di loro stessi: erano come gli
altri, sapevano fare le stesse cose degli altri”. (5)
Il culmine del genere intrattenimento trova invece la sua espressione più seguita nel
programma a quiz Lascia o raddoppia? condotto da Mike Buongiorno, nuovo divo della
televisione italiana. Iniziato nel 1955 e in onda fino al ’59, il programma dà luogo ad
una partecipazione collettiva senza precedenti:
“I bar affollati, i cinema vampirizzati dalla televisione (si interrompeva la programmazione per lasciar
posto al piccolo schermo), le strade deserte e tutti i televisori d’Italia accesi il giovedì sera per godere
dell’unico, vero mito della televisione italiana: Lascia o raddoppia? […] In esso [si vedeva] lo
“spettacolo eminentemente televisivo” in grado di esaltare le principali peculiarità del mezzo:
immediatezza, personaggi e non attori, alternanza di tangibilità e sogno. Insomma il Quiz stava alla
Televisione come il Western stava al Cinema: erano i generi forti per eccellenza…”. (6)
Intorno alla ripartizione del palinsesto tra intenti informativi, educativi e ricreativi,
vengono realizzati programmi che istituiscono le tradizioni della televisione italiana:
Il festival di Sanremo, Canzonissima, Lo zecchino d'oro fondano il sodalizio tra
televisione e musica leggera; Duecento al secondo e Lascia o raddoppia? inaugurano il
filone dei quiz e Un due tre quello del varietà. Un'ampia produzione di sceneggiati
(Cime tempestose, Piccolo mondo antico, Capitan Fracassa e molti altri) - a metà strada
tra l'evasione e l'educazione - dà il via a una fiction tutta nostrana.
Che impressione ci resta oggi di quelle prime forme televisive? L'idea più immediata
è quella di un medium “monolitico e monocratico”, chiuso in se stesso ma bramoso di
piacere e consapevole del suo alto compito sociale.
Tv-“magistra” per un pubblico-“discipulo”: i due ruoli restano ben separati; non c'è
interazione ma solo unidirezionalità; non c'è dialogo ma solo paternalistico indirizzo.
Se ben definiti sono i ruoli, altrettanto rigidi sono i contenuti, ispirati ai sani principi
della morale: l'emittente-magistra deve trasmettere esempi di rettitudine e modelli di
comportamento, ogni altra visione è bandita. Il solo barlume di nudo televisivo viene
censurato senza indugi...
10
Nel novembre 1956, durante il varietà La piazzetta, la soubrette Alba Arnova, per uno
strano gioco di luci, sembrava non indossare né la calzamaglia, né il corpetto (in realtà
scuro, ma aderentissimo); il varietà fu bruscamente interrotto. La stessa soubrette
ricorda così quel primo scandalo televisivo:
“Io danzavo indossando il costume da prova di balletto, cioè la calzamaglia rosa e il corpetto nero, tutto
molto aderente. Venne fuori il finimondo. Il giorno dopo, al telefono, mi insultarono, mi spedirono anche
pezzi di stoffa per farmi le mutande”. (7)
Dario Fo - cacciato dalla RAI nel 1962 - riesce a darci una sintesi colorita, ma
sicuramente efficace, del modello castigato seguito allora dall’emittente nazionale:
“Bernabei [direttore generale della Rai dal 1961 al 1975] ci diceva sempre che dovevamo considerare gli
italiani come dei bambini di dieci anni. Non bisognava angosciarli, non bisognava turbarli: non si poteva
veder la coscia, non si poteva dire il membro del governo...”. (8)
Come si vede, il richiamo costante al pudore è preminente in ogni tipo di trasmissione,
ma diventa un assillo ossessivo nella scelta delle notizie da affidare al telegiornale.
Questo documento lo conferma in modo esplicito. Redatto dal Consiglio di
Amministrazione della RAI, porta la data del 1953:
“[...] E' opportuno che il delitto e il vizio non siano descritti in maniera seducente e attraente, e che i
sentimenti dello spettatore, rifuggendo da essi, siano per contro attratti verso i principi dell'honeste vivere
e del neminem laedere [...]. Il divorzio potrà essere rappresentato quando la trama lo renda indispensabile
e l'azione si svolga in paesi dove questo sia ammesso dalle leggi. Il divorzio non deve essere trattato in
maniera tale da indurre a ritenerlo come mezzo indispensabile per la soluzione dei contrasti tra i coniugi,
specie se detti contrasti non abbiano serio fondamento [...]. Deve essere posto in rilievo che le relazioni
adulterine costituiscono grave colpa [...]. Attenta cura deve essere poste nella rappresentazione dei fatti e
di episodi in cui appaiono figli illegittimi [...].
L'incitamento all'odio di classe e la sua esaltazione sono proibiti [...]. Sabotaggi, attentati alla pubblica
incolumità, conflitti con le forze di polizia, disordini pubblici possono essere riprodotti o rappresentati
con somma cautela, e sempre in maniera tale che ne risulti ben salda la condanna [...]. Le relazioni
(sessuali) illegali debbono essere sempre configurate come anormali e non debbono suscitare incitamento
all'imitazione [...]. Sono vietate le vicende che abbiano per oggetto o facciano cenno a malattie veneree, a
perversioni sessuali, a forme patologiche, alla prostituzione ed ai luoghi ad essa destinati [...]. Le scene
erotiche sono proibite: i i baci, gli abbracci, altre pose che abbiano comunque esplicita relazione con
l'istinto sessuale, possono essere rappresentati con discrezione e senza indurre a morbose esaltazioni [...].
Le vesti e gli indumenti non debbono consentire nudità immodeste che offendano il pudore o che abbiano
carattere lascivo [...].”(9)
A parte l'inevitabile ilarità che suscita, questa specie di “catechesi per il video” è
oltremodo interessante ai fini del nostro discorso. Nel fornirci le convinzioni sul
“normale senso del pudore” dell'epoca, essa si offre anche come valido strumento di
indagine comparativa: un indicatore che - in proiezione - ci permette di valutare il
radicale mutamento avvenuto nei programmi della tv di qualche anno dopo.
Proviamo infatti a rileggere il passo, avendo cura di trasformare le prescrizioni in
esso contenute in altrettante “licenze” (per es: è opportuno che il delitto e il vizio siano
descritti in maniera seducente e attraente... e così via.).
Ci apparirà un sorprendente elenco di tutte le tipologie che costituiranno il “il pepe e
le spezie” - per dirla con Popper (10) - della cosiddetta Neotelevisione (nell'ordine:
delitti, vizi, divorzi, relazioni adulterine, figli illegittimi, odio di classe, sabotaggi,
attentati alla pubblica incolumità, conflitti con le forze di polizia, disordini pubblici,
relazioni sessuali anormali, malattie veneree, perversioni sessuali, forme patologiche,
prostituzione, scene erotiche, baci, abbracci, altre pose...(?), morbose esaltazioni,
nudità immodeste, lascivia...).
11
Le stesse esasperate tipologie che - in maniera ben più condita e talvolta appena
digeribile - sono servite sui piatti del più recente menù televisivo. Un fast food da
consumarsi frettolosamente, senza gusto, senza passione, senza anima, nelle pause
rubate ai ritmi della quotidianità.
E' stato detto che “il destino della Paleotelevisione era la Neotelevisione”(11). Non
sappiamo ancora quale sarà il destino di quest'ultima, ma certo oggi stiamo assistendo
alla fase della sua massima “involuzione” tematica e del culmine estremo della sua
“esternazione” visiva: la Endotelevisione.
12
1.2. "Come ti chiami? Da dove ci chiami?"… : la tv degli anni '80.
Se la televisione è lo specchio della società (per riprendere un suo slogan tanto
amato… quanto abusato), l'immagine che vi si riflette, negli anni '70 - '80, è quella di
una collettività che appare completamente trasformata rispetto al ventennio precedente:
più agiata e individualista, più spontanea e desiderosa di sognare... insomma, una
società più a colori.(12) Un cromatismo di nuove identità, stili di vita, atteggiamenti,
attese che l'apparato televisivo di stato - almeno da solo - non pare più in grado di poter
rappresentare.
Si può comprende meglio, allora, il senso dell'affermazione vista sopra (“il destino
della Paleotelevisione era la Neotelevisione”): era cioè, in certo senso, inevitabile
l'avvento di un nouveau règime televisivo in grado di dar volto, corpo e voce al bisogno
di “fantasmagorie” della nuova complessità sociale. (13)
E' su tali premesse che, verso la metà degli anni '70, prendono corpo alcuni
provvedimenti legislativi volti a mutare l'assetto del sistema televisivo nazionale.
Innanzitutto vi è il varo della legge 103/75 (detta “Riforma della Rai”) che separa da un
punto di vista organizzativo i tre canali della rete (il 2° canale era nato nel 1961, il 3°
aprirà ufficialmente i battenti nel 1979) e dà di fatto inizio ad un regime di concorrenza
interna all'azienda con il conseguente sviluppo di nuove ipotesi nella costruzione di
palinsesti.
L'anno successivo, poi, la sentenza n. 202/76 della Corte Costituzionale sancisce la
nascita dell'emittenza privata e pone così le basi per un cambiamento radicale nel
panorama televisivo (con una felice espressione, è stato detto che essa ha dato “agli
italiani la emozionante sensazione del telecomando”.) (14)
La “liberalizzazione dell'etere”, in effetti, permette il proliferare di centinaia di Tv
locali (la spensierata “stagione dei cento fiori”) con il conseguente, vertiginoso aumento
dell'offerta generale dei programmi. Da un lato, le reti Rai - agendo in un'ottica di
complementarità tra i due canali - iniziano una strategia volta ad incrementare l'ascolto
complessivo (vengono colonizzate anche le fasce orarie “storicamente” lasciate vuote);
dall'altro le neonate emittenti private cominciano ad approntare i loro primi,
approssimativi palinsesti (un miscuglio di generi e programmi senza una precisa logica
di impaginazione, una sorta di tv-marmellata, come è stata definita...).
Sono anni di transizione ma già vi compare il seme di quel nuovo modo di “intendere”
e “fare” televisione che troverà la sua completa maturazione negli anni '80, con
l'affermarsi dei tre network commerciali della Fininvest (Canale 5, Italia 1, Rete 4) e
l'instaurarsi di un regime di concorrenza pubblico-privato che il varo della legge
Mammì verrà qualche anno dopo a legittimare. (15)
Il transito dalla Paleotelevisione alla Neotelevisione può dirsi a questo punto
definitivamente avviato...
Un ventennio di Neo-Tv ha prodotto migliaia di programmi ed una quantità enorme di
riflessioni critiche che ne hanno investigato tutti gli aspetti: teorie sociologiche, analisi
antropologiche, interpretazioni psicologiche, punti di vista letterari, studi di marketing,
ricerche statistiche..., insomma un vero e proprio flusso di materiale dal quale pare
difficile, talvolta, estrapolare buoni contenuti senza farsi assalire dal dubbio di averne
tralasciati altri altrettanto validi se non migliori (non ci accade lo stesso ogni volta che
guardiamo la Tv?).
Come procedere allora? L’impulso più immediato è quello di vestire i panni del
telespettatore, immergersi nel flusso e procedere a zapping…
E perché non iniziare la “navigazione” riflettendo proprio sullo strumento che ce la
13
rende possibile, il telecomando?
Vero oggetto-simbolo della Neotelevisione, questa “nuova diavoleria elettronica” è
stata tema di varie analisi, non ultima quella che riconosce allo spettatore un ruolo attivo
nella costruzione di “flussi trasversali” che – attraverso la ricomposizione dei frammenti
via via accumulati – egli gestirebbe in maniera personale ed autonoma.
Ora, è indubbio che ogni processo di ricezione comporta un certo grado di
“rielaborazione del senso” da parte del fruitore, tuttavia – pensiamo – ipotizzare l’idea
di un “palinsesto a self-service” non pare rispondere alle strategie di mediazione (come
ricerca del contatto) che il video attiva con lo spettatore. Inoltre, le azioni rese possibili
dal telecomando non vanno sempre e solo nella direzione di una “perlustrazione dotata
di senso”; più spesso, invece, consistono nella semplice ricerca ludica quando non
addirittura nel salto dei canali per evitare la pubblicità. (16)
Ciò che prevale, in sostanza, è piuttosto una lettura schermica che si adatta ai ritmi del
video: molto più frenetica, superficiale e solitaria, e soprattutto modulata su percorsi di
costruzione del senso che è lo stesso video ad imporci. Ne deriva un rapporto
comunicativo che - anche nei casi di supposta “interazione” (come vedremo) - ha molto
più del “simbolico” e ben poco dell’autentico... Quello che in realtà il medium cerca
non è tanto una comunicazione “vera” quanto un contatto costante e prolungato con il
suo “interlocutore”. (17)
E' questo il senso del patto comunicativo che la Tv stringe con il pubblico; un accordo
basato su un rapporto di fiducia (illusorio per lo spettatore, ma assai interessato per
l'emittente) che viene ribadito e rafforzato in ogni istante televisivo (“io sono qui, io
sono io, e io sono te”). (18)
In ultima analisi, è dunque la cattura dell'audience il vero obiettivo della Neo-Tv…
A questo punto occorre fermarsi un istante perché appare chiaro come, rispetto a
qualche anno prima, sia intervenuto un evidente spostamento qualitativo nel modo di
concepire il pubblico da parte dei programmatori.
Nel periodo della Paleo-Tv - si è visto - l'interesse della RAI verso gli spettatori
risentiva della filosofia pedagogica dell'ente: lo spettatore era visto come “cittadino” e
come tale andava orientato, educato, intrattenuto - in breve, “servito” - presumibilmente
per renderlo capace di assolvere al meglio i suoi doveri democratici o per rivendicare i
suoi diritti. La preoccupazione che svolgesse bene tale compito istituzionale si
sostanziava nella creazione di “indici di gradimento” in grado di dare la misura
dell'avvenuta comprensione dei messaggi, (il che voleva dire, in buona sostanza,
verificare l'apprezzamento dei programmi trasmessi...).(19)
La situazione subisce un brusco cambiamento con l'avvento dei network commerciali
e la moltiplicazione dell'offerta televisiva.
Il pragmatismo del sistema televisivo commerciale si concretizza in un paio di assiomi
semplici e diretti: la produzione è volta al profitto e l'utilizzo dei canali televisivi serve
come veicolo per attirare la pubblicità, unica sua fonte di reddito.
Il meccanismo utilizzato è altrettanto semplice: l'emittente vende spazi della sua
programmazione ad un inserzionista pubblicitario. Questi, acquistando tali spazi, in
realtà acquista il pubblico di quel programma (la cosiddetta audience). Detto in altre
parole, la Tv commerciale non vende i propri prodotti (programmi) al consumatore
(pubblico), ma vende direttamente il pubblico all'inserzionista pubblicitario.
Un cambio così netto di prospettiva ridefinisce completamente il rapporto televisione-
pubblico: il singolo “individuo-spettatore” viene a perdere rilievo a fronte di una
“aggregazione di spettatori” dai tratti individuali difficilmente riconoscibili ma,
all'opposto, dalle valenze oggettive più facilmente misurabili e quantificabili.
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Leggiamo queste brevi note; nella loro “cruda” sintesi, esse valgono più di ogni
ulteriore commento al riguardo:
“L'audience è un concetto del tutto ideologico, che ha ben poco a che vedere con ciò che gli spettatori
fanno, o con il modo in cui sono interpellati. Agli organismi di telediffusione non interessano gli
«spettatori», ma l'«audience» Gli spettatori sono individui, sono persone che utilizzano la Tv nei loro
contesti sociali domestici o di gruppo. Gli spettatori sono quelle rare persone che presentano reclami, o
che scrivono ai programmatori o ai quotidiani [..]. Al contrario le audience non possiedono queste
caratteristiche irritanti. Le audience sono aggregati voluminosi creati dalla ricerca statistica. Non hanno
voce, e, soprattutto[...] non usano la Tv, la guardano e la consumano. Le emittenti televisive non cercano
spettatori, cercano audience”. (20)
L'enfasi del passaggio non deve, tuttavia, indurci alla semplice equazione “Tv
pubblica cerca spettatori” come “Tv privata cerca audience”. Sebbene la filosofia di
base dei duellanti sia differente (ma è ancora vero, poi?) esiste una fondamentale
identità che tende spesso ad essere celata: entrambi concepiscono una visione
strumentale del pubblico come “oggetto da conquistare”, entrambi, insomma, cercano
audience. La cosiddetta guerra del palinsesto per la conquista del prime time (e in
seguito anche del day time) ne è una dimostrazione evidente: si combatte a colpi di
share e il responso delle battaglie di ogni giorno è decretato dall' Auditel.(21)
Ma torniamo all'oggetto del contendere: il nostro spettatore neotelevisivo. In che cosa
si sostanzia il nuovo “patto di fiducia” stretto con il mezzo televisivo? O, per dirla più
bruscamente, quali innovazioni strategiche hanno introdotto le emittenti neotelevisive
per “agganciarlo” e “tenerlo” il più a lungo possibile legato alle proprie reti?
A livello “tecnico”, la prima novità è costituita dalla trasformazione dei palinsesti.
Quella che era la rigida scansione dei programmi della paleotelevisione (a blocchi
definiti nel corso della giornata e ad appuntamenti ricorrenti sull'arco della settimana)
viene sostituita da un modello di palinsesto organizzato in continuità, un flusso
ininterrotto di immagini e suoni che scorre per tutte le 24 ore; esattamente quello che
aveva descritto alcuni anni prima R. Williams a proposito della Tv americana:
“L'offerta televisiva non è, secondo gli schemi ormai superati, un programma composto da unità singole
con determinate inserzioni pubblicitarie, ma un flusso pianificato, in cui la sequenza effettiva non è quella
dell'orario dei programmi pubblicato dai giornali, ma quella stessa trasformata dall'inclusione di un altro
tipo di sequenza, in modo tale che l'una e l'altra, insieme, compongono il flusso effettivo della
programmazione, il vero broadcasting”. (22)
Con la logica del flusso palinsestuale, la neotelevisione crea dunque il modo più
efficace per occupare tutte le ore di trasmissione e massimizzare gli ascolti: costruisce
percorsi di visione che funzionano come monadi di un ipertesto, ciascuna fruibile per se
stessa (con il suo programma, la sua pubblicità, il suo promo...). Ogni minuto del nostro
tempo sociale è così coperto dal “tempo televisivo”, in ogni istante in cui accendiamo il
video veniamo catturati dal flusso della rete, tanto che:
“L'esperienza diffusa, anche se ammessa malvolentieri, [è] di non riuscire a spegnere la televisione.[...].
Veniamo catapultati dentro un altro programma prima di riuscire a trovare l'energia necessaria ad alzarci
dalla poltrona e molti programmi sono pensati per questo: catturare subito l'attenzione con la reiterata
promessa che vedremo qualcosa di emozionante, se rimarremo di fronte allo schermo”. (23)
Come abbiamo visto, ora non occorre nemmeno più alzarsi dalla poltrona: la Tv è al
nostro servizio e ce lo conferma mettendoci in mano il suo ultimo ritrovato tecnologico,
l’insostituibile telecomando.
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Ma anche a livello “comunicativo” avvengono significativi cambiamenti. Nella sua
ansia perenne di mostrarsi domestica, familiare, accessibile a tutti, la Tv “accorcia” le
barriere della mediazione e ci invita addirittura a entrare in contatto con lei, a farne
parte (“tu mi stai vedendo, se non ci credi, prova, fai questo numero e chiamami, io ti
risponderò”).(24)
Dal 1983, anno in cui il programma “Pronto, Raffaella” eleva alla massima potenza
l'uso del telefono come veicolo per concretizzare il nuovo patto di fiducia con il
pubblico, il “come ti chiami? da dove ci chiami?” diventa il leit-motiv, il vero
tormentone della Neo-Tv.
Non c'è quiz, varietà, inchiesta che non contempli una risposta da casa, una battuta
da casa, un giudizio da casa... Chi telefona è sempre ben accolto, gli si dà del “tu”, gli
si chiede il nome e il luogo in cui vive, spesso anche l'età e la professione... insomma, lo
si personalizza, gli si dà un'identità televisiva, lo si fa sentire a casa sua (!).
L'importante è che il contatto, una volta avvenuto, sia mantenuto e ravvivato
continuamente; tale dimensione fàtica viene perseguita con ogni mezzo: si elargiscono
soldi, viaggi, regali o, più sobriamente, si offre l'irripetibile sensazione di far sentire il
“chi abbiamo in linea” un eroe per un minuto. Osserva opportunamente M.P. Pozzato:
“Il comune, il quotidiano (rappresentato dal telefono) si prolunga naturalmente nello straordinario
televisivo. Il telefono, insomma, è diventato per milioni di persone il ponte simbolico domestico con
l'universo televisivo, nonché una domestica slot machine dato che [...] la gente si porta a casa ormai di
tutto". (25)
A volte succede il contrario… e allora è proprio lo straordinario della realtà ad
imporsi come evento eclatante sul quotidiano televisivo. Ed è qui che il mezzo catodico
coglie l’occasione per dare il meglio di sé, come prova tangibile del suo essere specchio
fedele e dunque degno di fiducia; non importa se ciò che dirà sarà tragico o crudele: il
pubblico ha comunque diritto di vedere (e l’emittente ha bisogno di esser vista,
comunque...).
Due esempi su tutti, che evidenziano i nuovi tratti della visibilità televisiva degli
anni’80. Originariamente ascrivibili all’area “informazione”, essi rappresentano, di
fatto, le prime “prove sul campo” di una commistione di stili e temi che porterà alla
nascita di generi televisivi assolutamente nuovi.
La sera del 23 novembre 1980 un sisma di inaudita violenza sconvolge buona parte
della Campania e della Basilicata. I danni sono enormi, le vittime umane accertate oltre
cinquemila... Alle 21:45 il Tg1 e il Tg2 mandano in onda le prime edizioni straordinarie
dai luoghi dell’evento. Il giorno dopo, oltre trentacinque milioni di spettatori hanno
visto le immagini drammatiche della catastrofe...
“Per una settimana la Tv imbastisce, sulla tragedia della Basilicata e della Campania, uno show di rara
efficacia, mostrando tutto quello che c’era da mostrare: corpi senza vita, case squarciate e strade
sprofondate, volti terrorizzati di superstiti e orfani; persino la gente che esala l’ultimo respiro”. (26)
Il 12 giugno 1981, Alfredino Rampi, un bambino di Vernicino (Roma) cade in un
pozzo artesiano incustodito. La notizia giunge alla RAI che invia una troupe per
riprendere il salvataggio in diretta. Ma i primi tentativi falliscono... E’ l’inizio di una
lunghissima diretta televisiva che terminerà il giorno dopo, con la morte del bambino.
Per ben 18 ore consecutive l’evento tiene in ansia trenta milioni di spettatori che
ricevono il “tragico a domicilio” nei suoi dettagli più incisivi: i ripetuti interventi dei
soccorritori, la disperazione sul volto della madre, l’arrivo del presidente Pertini, la voce
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del bambino sempre più fioca, il suo ultimo respiro...
Si sono spesi fiumi di inchiostro su questi due eventi mediatici e sui confini entro i
quali si può muovere la corretta informazione televisiva. Un dato, però, appare
incontrovertibile: specie nel caso di Vermicino, milioni di persone si sono trovate di
colpo nella duplice veste di destinatari e partecipi di un evento tragico-simbolico che il
mezzo televisivo ha contribuito – in certo modo – “a creare”.(27)
Un “gioco dell’orrore” che, oltre a sconvolgere le coscienze, ha intaccato anche le
tradizionali istruzioni di visione collegate ai generi paleotelevisivi:
“Le indicazioni relative al conoscere erano quelle dell’informazione, mentre le indicazioni circa il
partecipare emotivamente e passionalmente erano quelle della fiction...” . (28)
Le dirette dell’Irpinia e di Vermicino rappresentano perciò le prime ipotesi di
costruzione di nuovi generi televisivi – infotainment (information+entertainment),
docu-drama (documentary+drama), reality-show... – che segneranno tutta la stagione
della neotelevisione, fino ad approdare ai più recenti territori endotelevisivi.
Sottolinea F. Casetti:
“Se l’effetto documento (effetto verità) e l’effetto finzione (effetto spettacolo) si vengono sempre più
sovrapponendosi, è perché la contrattazione della fiducia non concerne più i singoli programmi, ma il
rapporto diretto tra schermo e spettatore, all’interno del quale i programmi fluiscono, passano, si
vanificano...”. (29)
Lo spazio catodico è dunque uno spazio di contaminazione di generi, stili e contenuti
differenti, ma anche ambiente per una commistione tra il di qua televisivo e il di là
sociale: se la paleo-Tv era chiusa ed impermeabile, la neo-Tv diventa aperta ed
osmotica. Non solo aggancia i tempi e i luoghi della quotidianità (Uno mattina,
Mezzogiorno italiano, Mezzanotte e dintorni, Piazza Italia, Condominio
Mediterraneo...) ai tempi e luoghi televisivi, ma rende questi ultimi assolutamente
malleabili ad ogni esigenza: ecco che il video diventa piazza, salotto, confessionale,
studio dello psicanalista…e apre le porte a chiunque abbia qualcosa da dire, meglio se il
tema è emozionante, passionale, tragico, inquietante...; meglio se la tensione patemica si
innalza ogni volta che si accenna all' amore, al sesso, al dolore, al mistero, alla morte...
Del resto il pubblico è più “maturo” e nessuno si scandalizza più tanto facilmente; i
confini del privato individuale e collettivo si sono talmente ristretti che la mancanza di
pudore è ormai diventata sinonimo di sincerità…
“Stasera va in onda l'uomo comune”, con i suoi (nostri) mille problemi, le mille
paure, i mille desideri: è facile potersi proiettare dall'altra parte dello schermo,
immedesimarsi in lui, persino provare le sue stesse emozioni. La Tv ha portato i
processi semiotici di identificazione ad un tale livello che:
“E' come se ciascuno di noi vivesse accanto a un replicante televisivo. Insieme al soggetto reale, inserito
in una concreta situazione definita socialmente [...] vive un suo doppio che sogna di avere molto
successo, di avere grandi avventure sessuali con donne fantastiche, di poter colloquiare con i potenti o le
celebrità”.(30)
La metamorfosi può dirsi compiuta... La Neotelevisione si è auto-legittimata nel suo
ruolo di guida. Poco le interessa, in fondo, dell'identità di chi telefona, della
testimonianza del terremotato, dell'ultimo cuore spezzato di turno o di un bambino
morto in un pozzo...
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L'importante è che il coinvolgimento sia attivato, che l'empatia sia scattata, che lo
straniamento dello spettatore sia totale.
Come il Wakefield del racconto di N. Hawthorne, l'individuo davanti allo schermo,
“nel rispecchiamento di sentirsi e vedersi assente, nell'abitare senza luogo e senza relazioni, nel
personalizzarsi attraverso le immagini della folla [televisiva], [...] attraversa l'esperienza fantasmatica di
spettatore, si proietta nel suo gioco di specchi, gode del suo sradicamento, interpreta altre vite [...]”. (31)
“Trasgressione pura, autoreferenziale, senza apparenti scopi e risultati materiali. Solo il piacere/dolore
di giocare sulla differenza tra l’interno e l’esterno, tra due cornici; di vivere l’esercizio di questa
differenza, la sua frequentazione…”. (32)
Alla fine del suo viaggio, Wakefield tornerà a casa sua:
(“da spettatore si è nuovamente fatto attore sociale”) (33),
eppure qualcosa si è spezzato...
(“l'equilibrio si infrange, si consuma; l'identità si indebolisce e con essa la coscienza legata al principio di
realtà; la persona si fa straniera al mondo dei rapporti civili...”). (34)
… Basterà al nostro “Wakefield endotelevisivo” cliccare sul telecomando e spegnere
il video?