7
Introduzione
Un ingegnere operante in ambito di ricerca e sviluppo si trova spesso nelle
condizioni di dover disegnare una struttura completamente nuova. Le condizioni
di carico e i vincoli sono usualmente noti ma il progettista difficilmente ha la
certezza di quale sia l’aspetto della struttura che fa al suo caso.
Il peso è notoriamente uno dei fattori principali che concorrono alle prestazioni
e al costo del manufatto, e per questa ragione la riduzione di esso è molto
frequentemente l’obiettivo fondamentale da raggiungere. È possibile che
esistano casi simili affrontati in precedenza ma è tuttavia improbabile che un
ridimensionamento del disegno precedente dia benefici concreti. Diversamente
si può fare ricorso all’intuizione ed esperienza del progettista, ma anche questo
approccio può diventare lungo e laborioso, senza che per altro la buona riuscita
del progetto sia garantita. In alternativa il problema della buona progettazione
può essere facilitato dagli strumenti dell’ottimizzazione strutturale.
Storicamente il problema dell’ottimizzazione strutturale è legato allo sviluppo di
quei settori nei quali la leggerezza del componente è requisito fondamentale per
il loro esercizio, basti pensare all’edilizia civile, all’industria aerospaziale o
automobilistica.
Già nel 1904 Michell ([1]) studiò il problema dell’ottimizzazione topologica
delle strutture reticolari. Lo sviluppo delle tecniche connesse al problema ha
avuto crescita notevole solo in periodi più recenti ed hanno portato alla
definizione di quelle che sono oramai regole e pratiche pienamente affermate.
Oggi i risultati raggiunti nel campo vanno ben oltre il soddisfacimento della
riduzione di massa (obiettivo di gran lunga più frequente) e incontra campi di
applicazione sempre più vasti come la dinamica, l’acustica, la trasmissione del
calore o ancora le recenti applicazioni microelettromeccaniche.
Negli ultimi decenni si è assistito ad una rapida diffusione degli strumenti di
ottimizzazione tanto che essi sono divenuti insostituibili nei settore automotive e
aeronautico e cominciano a fare la loro comparsa nel mondo della competizione
sportiva (ciclismo) o addirittura nella progettazione di protesi articolari.
Ciò che ha dato rinnovato impulso alle ricerche in ambito di ottimizzazione
strutturale è da un lato il recente sviluppo di modelli matematici per il
comportamento dei materiali, dall’altro l’impennata delle prestazioni dei
calcolatori. Vedremo infatti come inevitabilmente la stragrande maggioranza di
tali tecniche verta sull’utilizzo di codici di calcolo ad elementi finiti.
È bene sin da ora distinguere alla base i vari aspetti dell’espressione
“ottimizzazione strutturale”, che denota un campo quanto mai vario di intenti,
pratiche e discipline. Nel presente lavoro parleremo di volta in volta di
ottimizzazione di dimensioni, di forma e topologica.
8
La scelta delle dimensioni, della forma e della topologia rimandano a differenti
aspetti del problema strutturale. Qualora applicati, questi concetti concorrono a
pari merito alla qualità e prestazione del componente progettato.
Figura 0.1: Le tre fasi della progettazione del componente ottimo.
Un tipico problema di dimensionamento può essere la ricerca della sezione
ottimale di ognuna delle travi costituenti una struttura al fine di diminuirne il
peso o massimizzarne la risposta dinamica. La caratteristica fondamentale di un
problema così definito è che il dominio dell’analisi è conosciuto a priori: della
struttura devono essere note le proporzioni e il modo in cui i vari elementi sono
connessi. Il discorso è analogo per l’ottimizzazione di forma, esempio calzante
può essere la definizione della geometria ottima di una foratura interna ad una
piastra per la quale il diametro minimo è imposto dalla funzionalità richieste: in
questo caso sono note dimensioni e posizione del foro, la scelta và quindi fatta
sul profilo di quest’ultimo che minimizza lo sforzo.
L’ottimizzazione topologica è basata su quelle che sono le caratteristiche
costitutive di base della struttura: per esempio posizione dei fori, numero di travi
e loro connettività.
È naturale osservare che nell’ottimizzazione dimensionale il compito è sì
semplificato dalla relativamente esigua quantità di variabili in gioco, ma è d’altro
canto limitato nei benefici che ne possiamo trarre, poiché gran parte della
prestazione è imposta dalle condizioni di partenza, così come è evidente che
ottimizzare il profilo di un foro non porta a risultati così soddisfacenti se esso è
situato nella zona più sollecitata della piastra.
I tre concetti (prematuro per il momento parlare di procedure) vanno allora
applicati “in cascata” per evitare di ottenere geometrie ben progettate nei dettagli
ma scadenti dal punto di vista globale: ottimizzazione topologica →
ottimizzazione delle dimensioni → ottimizzazione di forma.
Nel presente lavoro si cercherà di dare una descrizione per quanto possibile
esaustiva della gran varietà di mezzi esistenti per progettare componenti ad alte
prestazioni. L’attenzione verrà focalizzata su metodi empirici (euristici) basati
sull’osservazione delle strutture naturali e attuabili sui software di calcolo più
ricorrenti in commercio. Verrà illustrata nel dettaglio l’implementazione di
questi metodi per la risoluzione di casi già trovati in letteratura e infine si
esploreranno le loro potenzialità applicative nell’ottimizzazione di componenti
9
sottoposti a condizioni di carico multiple. A tal fine verrà analizzato e risolto il
problema del calcolo a fatica multiassiale per mezzo degli elementi finiti.
L’intera trattazione sarà ristretta all’ambito elastico lineare. Seppure alcuni
metodi siano già stati messi appunto per l’ottimizzazione su problemi non lineari
(in presenza di contatto, comportamento plastico del materiale o grandi
spostamenti) questi costituiscono un campo in cui c’è ancora molto da esplorare
e sperimentare, pertanto non si è ritenuto appropriato trattarne in questo lavoro.
Seguendo l’ordine logico dei concetti sopra introdotti riguardo la progettazione
ottima, si è diviso il lavoro in due parti principali. La prima verterà
sull’ottimizzazione topologica. Come già anticipato verrà dato risalto alle
proprietà dei più recenti algoritmi euristici, di cui si presenterà un confronto
critico con le tecniche matematicamente più rigorose. Infine verranno presentati
degli esempi di applicazione di uno di questi algoritmi, per l’esattezza l’SKO,
metodo basato sull’osservazione delle strutture naturali.
Nella seconda parte verrà presentata l’ottimizzazione di forma, per essere più
precisi del contorno, la quale rappresenta una sorta di “regolazione fine” della
geometria del componente a valle dell’ottimizzazione topologica. In particolare
il CAO, derivato anche questo dai principi biologici, sarà introdotto come tecnica
capace di aumentare di decine o centinaia di volte la vita di un componente
attraverso uno schema di funzionamento dalla semplicità strabiliante. In chiusura
verranno infine presentati i risultati delle applicazioni SKO-CAO a casi di
ottimizzazione in presenza di condizioni al contorno multiple.
11
1. Ottimizzazione topologica
La soluzione del problema topologico è la risposta alla domanda: come
distribuire il materiale a disposizione in modo ottimale relativamente ai carichi
di esercizio?
La scelta della topologia è quella che nella pratica comune viene operata in fase
di progettazione di massima, essa porta alla definizione preliminare della forma,
degli ingombri e della disposizione dei supporti e costituisce pertanto il passo
obbligato prima del dimensionamento e verifica del componente. Quando non
proprio immediata, la scelta della geometria dell’oggetto è fatta sulla base
dell’esperienza del progettista, il quale sintetizza in essa esigenze funzionali,
affidabilistiche e produttive.
In funzione di quanto importante sia il raggiungimento di una determinata
prestazione può sorgere la necessità di svincolare la scelta della topologia dal
fattore umano e affidarne la riuscita a procedure automatiche, studiate in modo
da massimizzare il risultato nel rispetto dei vincoli imposti.
L’output è in questo modo rigoroso (nei limiti in cui lo è il funzionamento
dell’algoritmo) e la procedura riutilizzabile (il funzionamento è discinto dalla
particolarità del caso al quale è applicato). Da diversi anni sono oramai
disponibili numerosi software capaci di ottimizzare la geometria in funzione di
numerosi obiettivi possibili. Il funzionamento degli algoritmi utilizzati è
raggruppabile in due principali categorie:
1. quelli che si rifanno al metodo di omogeneizzazione o al formalmente
analogo power law approach (o SIMP: Solid Isotropic Material with
Penalization);
2. quelli basati su principi di evoluzione;
l’impostazione che ne segue è molto differente, benché spesso i risultati siano
del tutto paragonabili. Nel primo caso si passa attraverso una formalizzazione
matematica del problema, che a seguito di assunzioni e ipotesi aggiuntive
diventa un problema di ottimizzazione tradizionale. La soluzione viene ricavata
poi attraverso uno dei tanti algoritmi di ottimizzazione operanti su un numero di
dimensioni finite (spazio delle variabili).
I metodi evolutivi sono approcci basati sull’intuizione. Là dove i metodi della
prima categoria presentano complesse operazioni matematiche e una
programmazione tutt’altro che semplice, questi si avvalgono di semplici regole
evolutive mutuate dalla natura.
Il problema dell’ottimizzazione topologica non è comunque limitabile alla sola
descrizione e spiegazione dei mezzi operativi. La letteratura nel settore è
vastissima e la varietà di approcci al problema altrettanto varia. Un rapido volo
sulla storia della disciplina è senz’altro utile nella definizione del problema e di
grande aiuto nel familiarizzare con la terminologia tipica di essa.
12
Il primo storico esempio di ottimizzazione topologica sono i lavori di Michell,
che studiò strutture staticamente determinate composte di sole aste per una
varietà di carichi e condizioni di vincolo. Nelle strutture di Michell ogni asta è
soggetta a deformazione (o sforzo) costante.
Figura 1.1: tipiche strutture di Michell.
È stato provato analiticamente che esse rappresentano la migliore soluzione per
la massimizzazione della rigidezza globale se confrontate con qualsiasi altra
struttura soggetta alle stesse condizioni al contorno costruita con la stessa
quantità di materiale. La loro importanza nell’ingegneria è quindi non tanto
legata all’applicabilità nella pratica, bensì teorica, poiché esse forniscono un
limite superiore non raggiungibile nella creazione di una struttura ottimale.
Figura 1.2: dominio di partenza tipico del “ground structure approach”:
le variabili da gestire sono le dimensioni di ogni singola asta.
Negli anni sessanta l’ottimizzazione topologica compì un notevole balzo in
avanti quando venne introdotto il cosiddetto “ground structure approach” per il
posizionamento ottimo dei nodi di una struttura reticolare ([9] in [2]).
Originariamente la risoluzione di tali problemi avveniva per mezzo metodi di
ottimizzazione diretta (per esempio l’MP, Mathematical Programming).
Tuttavia essi erano e sono ancora inefficienti per risolvere problemi di larga
scala, sebbene rimangano ancora validissimi per un’ampia gamma di
applicazioni.
13
Un decisivo avvicinamento alla fruibilità industriale della teoria del problema
topologico è stata l’introduzione di metodi di ottimizzazione indiretta, primi tra
tutti i criteri di ottimalità (OC), che permettevano di risolvere casi caratterizzati
da un gran numero di gradi di libertà. In un approccio basato su tali criteri è
necessario determinare un appropriato criterio sul quale è basata l’ottimalità
della soluzione. Esso può essere correlato, per esempio, alla tensione di
esercizio, l’assunzione è spesso quella di considerare ogni asta della struttura
sollecitata alla massima tensione ammissibile. L’approccio corrispondente è
anche chiamato Fully Stressed Design (FSD). Tipicamente un algoritmo basato
sui criteri di ottimalità consiste di iterazioni consecutive che tendono
gradualmente verso la soluzione in cui lo stress del materiale è uniformemente
uguale su tutta la struttura. Il contributo fondamentale all’approccio OC si deve
a Prager (seconda metà anni sessanta).
Confrontati con gli algoritmi MP, i metodi OC sono molto più efficienti nei
problemi di grandi dimensioni, anche se mancano di generalità in vari casi di
minimizzazione. Solo negli anni ’80 hanno avuto inizio le ricerche nel campo
dell’ottimizzazione topologica applicata alla meccanica del continuo. Tra tutti i
risultati quello che merita maggiore attenzione è il lavoro di Bendsøe e Kikuchi,
i quali hanno per primi introdotto il cosiddetto metodo dell’omogeneizzazione.
Qui il dominio di partenza è costituito da una infinità di micropori la cui
geometria e orientazione influisce sulle proprietà macroscopiche del materiale.
A causa del gran numero di variabili, i metodi OC sono i più utilizzati in questa
classe di problemi.
L’ottimizzazione topologica è stata anche applicata con successo mediante
l’adozione di cosiddetti metodi evolutivi. In genere tali metodi non hanno una
ferma base teorica a loro sostegno, e la convergenza è pertanto ancora in aperta
discussione. Essi imitano la selezione naturale, per esempio la sopravvivenza
dell’esemplare migliore, e l’evoluzione osservata tra gli organismi viventi.
Dall’osservazione di taluni fenomeni si può ragionevolmente credere che la
natura tenda verso una condizione di ottimo. Nei successivi capitoli verrà
mostrato dove possibile che, sebbene non sia agevole descrivere
matematicamente le intuizioni contenute nei principi evolutivi, essi portano in
molti casi a soluzioni molto vicine ai risultati analitici (Michell) o rigorosamente
matematici (omogeneizzazione e affini).
1.1 Il metodo dell’omogeneizzazione e SIMP
Come già anticipato il problema dell’ottimizzazione può essere formalizzato
come un tradizionale problema di massimizzazione (o minimizzazione)
definendo una funzione obiettivo (che può essere la rigidezza, il volume, la
prima frequenza propria etc.) e affiancando ad essa i vincoli che ne assicurano la
14
buona posizione del problema (la massima tensione ammissibile, e talvolta la
posizione ed estensione di aree di non-design come vuoti o supporti).
Come esempio introduttivo ([1]) si dà la descrizione del più semplice problema
possibile in termini di funzione obiettivo e vincoli, che sono rispettivamente la
minimizzazione del lavoro delle forze esterne e il volume del dominio.
Ricordiamo che il problema elastico può essere formalizzato a partire dal
principio dei lavori virtuali o, equivalentemente, in forma variazionale.
Sia Ω la porzione di spazio (ℜ
2
o ℜ
3
senza perdita di generalità) occupata da
un solido elastico, E il tensore di rigidezza che lo caratterizza in ogni suo
punto, p le forze di massa e t quelle applicate alla porzione di frontiera
Ω∂⊂Γ
T
. È possibile introdurre le forme rispettivamente bilineare e lineare
()uua , e ()ul definite come segue:
() ( ) ( ) ( ) Ω=
∫
Ξ
dvuxEvua
klij
εε, ;
()
T
dtupudul
T
Γ+Ω=
∫∫
ΓΩ
;
in cui
()
⎟
⎟
⎠
⎞
⎜
⎜
⎝
⎛
∂
∂
+
∂
∂
=
i
j
j
i
ij
x
u
x
u
u
2
1
ε 3,2,1, =∀ ji
rappresenta il campo di deformazione elastica nel dominio. La forma ()uua ,
costituisce una misura dell’energia interna di deformazione associata al campo
di spostamenti u , mentre ()ul il lavoro delle forze esterne.
L’equilibrio è allora garantito in corrispondenza di un punto di stazionarietà del
funzionale
() ()()uluuauP −= ,
2
1
Il problema di massimizzazione della rigidezza globale può essere scritto nella
seguente forma:
( )ul
EUu ,
min
∈
(1.1)
I limiti imposti all’insieme dei valori ammissibili sono rappresentati dai seguenti
vincoli:
()( )vlvua
E
=, , per ogni Uv∈ (1.2)
amm
EE ∈
15
Qui l’equazione di equilibrio (1.2) è espressa in forma debole. U è lo spazio dei
campi di spostamento cinematicamente ammissibili.
ammE rappresenta l’insieme
di tutti i tensori di rigidezza ammissibili per E . Il limite del materiale a
disposizione è espresso come vincolo sul volume:
Vd
m
≤Ω
∫
Ω
.
È comunque possibile più di una scrittura, eventualmente anche in termini di
tensioni o la formalizzazione del problema nel caso in cui il corpo sia sottoposto
a più casi di carico. La questione è adesso spostata sulla distribuzione ottimale
del materiale isotropo dato, il che significa che dovremo determinare per ogni
punto di Ω se questo è costituito da vuoto o appunto materiale. L’insieme dei
tensori di rigidezza ammissibili diventa allora del tipo:
( )Ω∈
∞
LE
0
1 EE
m
Ω
= ,
⎭
⎬
⎫
⎩
⎨
⎧
ΩΩ∈
Ω∈
=
Ω
m
m
xse
xse
m
/0
1
1 (2.2)
( ) VVold
m
m
≤Ω=Ω
∫
Ω
Ω
1 ;
dove l’ultima disuguaglianza esprime il limite sulla quantità di materiale a
disposizione. Il tensore
0
E rappresenta il tensore del materiale isotropo
assegnato alla geometria finale. Si noti che questa scrittura dà luogo ad un
problema in cui la variabile è una distribuzione a valori discreti (0-1). Per una
qualsiasi griglia di calcolo ragionevolmente buona per una analisi ad elementi
finiti il problema così posto coinvolgerebbe una quantità di variabili fuori
portata per i metodi di ottimizzazione a valori discreti esistenti. Inoltre la
valutazione delle funzioni scritte comporterebbe, oltre che un’analisi FEM,
anche l’utilizzo di algoritmi di miglioramento genetici i quali costituiscono già
per loro conto un onere di calcolo non indifferente.
Esempi di applicazione dell’approccio descritto si possono trovare su pochi
problemi di piccola dimensione. Un impedimento ancora più serio associato al
problema a valori discreti è la oramai ben dimostrata assenza della soluzione
unica ([1]). Oltre che dal punto di vista teorico (sappiamo per certo che non è
possibile trovare una soluzione di ottimo globale) questo costituisce una seria
compromissione anche nella ricerca di soluzioni ragionevolmente buone, poiché
il risultato è fortemente dipendente dalla mesh.
Studi teorici hanno mostrato come l’esistenza della soluzione sia assicurata
introducendo materiali compositi studiati ad hoc nella ricerca della topologia
16
ottimale. Introducendo una densità del materiale ρ attraverso la costruzione del
nostro materiale composito costituito da infinite porosità infinitamente piccole
otteniamo un modulo elastico variabile in modo continuo in funzione di
parametri della micro-geometria adottata. Il problema, non più a valori discreti,
diverrà allora molto più trattabile dal punto di vista computazionale.
L’espressione matematica assunta adesso è sempre la (1.1), associata però ad
una nuova parametrizzazione del campo
amm
E :
variabili geometriche ( )Ω∈
∞
L,...,γμ , angolo ( )Ω∈
∞
Lθ
() ( ) ( ) ( )( )xxxExE θγμ ,...,,
~
= , (1.3)
densità del materiale ( ) ( ) ( ) ( )( )xxxx θγμρρ ,...,,=
() ;Vdx ≤Ω
∫
Ω
ρ ( ) ,10 ≤≤ xρ Ω∈x .
In cui ()xE
~
rappresenta le proprietà effettive del composito ed è una quantità
che può essere ottenuta analiticamente attraverso una opportuna modellazione
micro-meccanica. La teoria della omogeneizzazione consiste appunto nello
studio delle possibili geometrie dei micro-vuoti e nella loro influenza sulle
proprietà di convergenza del problema dell’ottimizzazione.
1
Figura 1.3: Materiali utilizzati nell'omogeneizzazione: possibile microstruttura stratificata.
1
La teoria matematica dell’omogeneizzazione è stata introdotta per altre categorie di problemi.
In particolare le applicazioni principali sono da ricercarsi in campo fluidodinamico. Le proprietà
del materiale omogeneizzato sono infatti utili nella risoluzione di problemi dello strato limite e
di diffusione-trasporto. Tra gli autori più illustri a riguardo si citano i francesi Bensousson,
Periaux, Glowinski.
17
1.1.1 Le formule di omogeneizzazione
L’approccio alla ottimizzazione topologica introdotto nel paragrafo precedente
fa affidamento sulla possibilità di modellizzare un materiale che consenta di
descrivere una struttura attraverso una distribuzione di densità. Ci si avvale a
questo scopo di un materiale in cui una cella unitaria elementare è costituita da
una alternanza di pieni e vuoti. Il mezzo elastico sarà così costituito da una
infinità di queste celle, che si ripeteranno periodicamente in tutto il dominio Ω.
Il comportamento elastico così ottenuto ha proprietà macroscopiche dipendenti
dalla geometrie delle celle elementari, proprietà che possono essere ricavate
attraverso le formule di omogeneizzazione, di cui per completezza, si riporta
l’applicazione ad un caso bidimensionale del tutto generico ([1]). Immaginiamo
quindi una microstruttura periodica nell’intorno del punto x di un dominio
elastico lineare. La periodicità è rappresentata da un parametro δ molto piccolo,
il tensore di rigidezza locale è esprimibile allora come:
()
⎟
⎠
⎞
⎜
⎝
⎛
=
δ
δ
x
xExE
ijkl
ijkl
,
dove ()yxEy
ijkl
,→ è Y-periodica con la cella [ ][ ]
LRLR
YYYYY
2211
,, ×= . La
grandezza x così gioca il ruolo di variabile “macroscopica”, mentre δx quello di
variabile microscopica e periodica. Qualora soggetta a forze di massa e
condizioni al contorno, lo spostamento nel punto ( )xu
δ
può essere espanso in
serie così da ottenere
() () .....,
10
+
⎟
⎠
⎞
⎜
⎝
⎛
+=
δ
δ
δ
x
xuxuxu
In cui il termine portante ( )xu
0
costituisce lo spostamento macroscopico
indipendente dalla variabile periodica δx . Si può mostrare che questo
spostamento effettivo è la deformazione macroscopica causata dalle forze
applicate quando la rigidezza della struttura è assunta come il tensore di
rigidezza effettivo
() () ()
∫
⎥
⎥
⎦
⎤
⎢
⎢
⎣
⎡
∂
∂
−=
Y
q
kl
p
ijpqijkl
H
ijkl
dy
y
yxEyxE
Y
xE
χ
,,
1
(1.4)
18
Qui
kl
χ è un campo di spostamenti microscopici inteso come la soluzione Y-
periodica del seguente problema (applicato alla singola cella) in forma debole:
() () dy
y
yxEdy
yy
yxE
j
i
Y
ijkl
j
i
Y
q
kl
p
ijpq
∂
∂
=
∂
∂
⎥
⎥
⎦
⎤
⎢
⎢
⎣
⎡
∂
∂
∫∫
ϕϕ
χ
,, per ogni
Y
U∈ϕ (1.5)
in cui
Y
U denota l’insieme di tutti gli spostamenti virtuali Y-periodici. Con
()0,
1
11
yy = , ()0,
2
12
yy = , ( )
1
21
,0 yy = , ( )
2
22
,0 yy = la forma variazionale
delle equazioni 1.4 e 1.5 risulta essere
() ( )ϕϕ
ϕ
−−=
∈
klij
y
U
H
ijkl
yya
Y
xE
Y
,
1
min
Che in notazione più compatta diventa
() ( )
klklijij
y
H
ijkl
yya
Y
xE χχ −−= ,
1
( ) 0, =− ϕχ
ijij
y
ya per ogni
Y
U∈ϕ
Dalle equazioni (1.4) e (1.5) vediamo che i moduli effettivi per il problema
piano possono essere calcolati risolvendo dei problemi relativi alla cella
elementare Y. Questo compito può essere agevolmente svolto attraverso
l’utilizzo degli elementi finiti o altri metodi affini (elementi al contorno o
metodi spettrali) come preparazione alla ottimizzazione vera e propria.
Figura 1.4: Possibili microstrutture per la omogeneizzazione. Le celle stratificate sono le
sole che possono garantire la convergenza del metodo, il numero di rango rappresenta
la possibilità di rappresentare il comportamento meccanico a scale via via più piccole.
19
Figura 1.5: Dipendenza delle componenti del tensore di
rigidezza delle celle in funzione di densità e angolo di rotazione.
In Figura 1.5 sono rappresentati gli andamenti delle rigidezze al variare dei
parametri di densità e rotazione per una cella stratificata di rango 2. È
importante sottolineare che l’uso dei coefficienti derivati dal materiale
omogeneizzato è in accordo con la posizione del problema di minimizzazione
del lavoro esterno in formula (1.1). Consideriamo ad esempio una sequenza di
strutture derivanti da una minimizzazione regolata dalla (1.2) e si assuma che il
dominio sia formato da micro-celle di dimensioni caratteristiche δ>0. Per δ→0
l’andamento della minimizzazione è allora governato dai coefficienti del
materiale omogeneizzato. È proprietà fondamentale del processo di
omogeneizzazione che gli spostamenti ( )xu
δ
della sequenza di ottimizzazione
converge debolmente allo spostamento ( )xu
0
del problema omogeneizzato.
Poiché il funzionale del lavoro esterno è un funzionale degli spostamenti
continuo in senso debole la convergenza per esso è garantita.
In conclusione possiamo affermare che l’introduzione di un materiale
omogeneizzato non fornisce un aumento netto delle prestazioni
nell’ottimizzazione topologica ma piuttosto fornisce un avvicinamento a quella
che è il disegno ottimale della struttura, oltre che una modellazione ben posta
del problema in termini di variabili continue.
1.1.2 Implementazione del metodo dell’omogeneizzazione
Gli ingredienti base per rendere implementabile la procedura di ottimizzazione
sono stati introdotti nella sezione precedente. L’equazione di equilibrio è
calcolabile, come già anticipato, per mezzo di un solutore ad elementi finiti.
Introducendo appositi criteri di ottimalità per l’aggiornamento delle variabili
20
([1]) è possibile dar vita ad una procedura iterativa per la soluzione del problema
topologico.
Il metodo per l’ottimizzazione a partire da un singolo materiale isotropo consta
dei seguenti passi:
Pre-processing delle proprietà del materiale:
• si sceglie un composito dato dalla ripetizione periodica di una cella unitaria,
questa sarà costituita dal materiale dato e presenterà una o più porosità o,
meglio, sarà stratificata (dato che in questo caso i moduli di rigidezza sono
deducibili analiticamente). A questo punto possiamo calcolare le proprietà di
questo composito attraverso le formule di omogeneizzazione. Si dispone
così di una relazione funzionale tra la densità del materiale (o analogamente
i parametri geometrici della microstruttura) e le proprietà effettive del
risultante materiale ortotropo.
• Si genera un database delle proprietà del materiale come funzione delle
variabili (appunto la microstruttura di cui al precedente). Nel caso di
materiali stratificati è sufficiente una subroutine.
Pre-processing della geometria e dei carichi:
• Si sceglie una adeguata forma del dominio di partenza tale da consentire il
posizionamento dei carichi e vincoli previsti (vedi fig. 1.6)
• Si assegnano quindi quelle che saranno le aree in cui si desidera non avere
materiale (vuoti) e quelle in cui il materiale non partecipa al processo di
ottimizzazione (pieni).
• Si genera una mesh ad elementi finiti. Tenendo conto che questa non subirà
modifiche essa dovrà essere fine abbastanza da garantire la sufficiente
definizione della geometria in output al termine della procedura.
Ottimizzazione:
È calcolabile a questo punto la distribuzione ottimale delle variabili.
L’ottimizzazione avviene attraverso criteri di ottimalità per densità ed angolo di
rotazione per le celle elementari. La struttura dell’algoritmo è la seguente:
• Si parte con una distribuzione uniforme di materiale;
quindi il segmento iterativo:
• Per la distribuzione attuale delle variabili vengono calcolati i tensori di
rigidezza su tutta la mesh attraverso i già citati database o subroutines, con
l’ausilio, naturalmente, delle formule di rotazione dei sistemi di riferimento.
• Per la distribuzione così ottenuta calcoliamo il campo di spostamenti
attraverso il solutore FEM, se necessario per tutti i casi di carico a cui è
sottoposta la geometria da ottimizzare.