1
INTRODUZIONE
<<L’apparato giudiziario francese è considerato sia dai cittadini sia dagli stessi magistrati
come lento, costoso, tortuoso e disorganico>>
1
. Questa affermazione è di Gérard Pluyette,
Presidente della Prima Sezione della Corte di Cassazione Civile francese.
Analogamente Charles Jarrosson, capo redattore di Revue de l’Arbitrage e Professore presso
l’Università di Parigi II sostiene che <<i cittadini francesi hanno la sensazione di non essere
ascoltati; essi rimproverano ai giudici di non svolgere più alcuna funzione pacificatrice e
s’interrogano sulla capacità dello Stato di rendere giustizia>>
2
.
Il legislatore francese, allo scopo di migliorare questa immagine dell’amministrazione
giudiziaria e al fine di produrre un sistema giudiziario che soddisfi i cittadini, ha deciso di investire
molto nello sviluppo degli strumenti alternativi di risoluzione delle liti.
Sono la similare percezione che si ha in Italia rispetto al sistema giudiziario
3
e le numerose
somiglianze tra i due ordinamenti giuridici, a spiegare perché la pluriennale esperienza francese in
materia di Alternative Dispute Resolution merita senz’altro di essere esaminata.
Partendo da questi presupposti, il presente elaborato intende fornire un’ analisi dei metodi
alternativi di risoluzione delle controversie nell’ordinamento francese.
La parte iniziale della trattazione illustrerà il cammino evolutivo degli strumenti alternativi
della soluzione dei litigi in Francia dalle loro origini ai giorni nostri, e mirerà a mettere in luce le
ragioni storico-sociali che hanno determinato l’evoluzione degli stessi.
In un secondo momento saranno esaminate le diverse tipologie degli Alternative Dispute
Resolution, poiché accanto, alla mediazione e alla conciliazione, che rappresentano quello che può
essere definito il nocciolo duro dei metodi alternativi di risoluzione delle controversie, esiste una
miriade di declinazioni differenti, più o meno vicine al modello di queste ultime (si pensi, ad
esempio, all’Early Neautral Evaluation od al Mini-Trial).
Va detto fin da subito che questo elaborato si occupa dei metodi alternativi di risoluzione delle
controversie di tipo non aggiudicativo, anche detti ADR in senso stretto. Non ci si occuperà quindi
1
G. Pluyette, La médiation judiciaire, in Gazzette du Palais, 1998, Sezione Dottrina, p. 702, p. 705.
2
C. Jarrosson, La médiation et la conciliation, in Revue Droit et patrimonie, dicembre 1999, p. 36, p. 39.
3
E. Bruti Liberati - L. Pepino, Giustizia e referendum, Donzelli, Roma, 2000, p. 24.
2
della figura dell’arbitrato. Tale scelta è stata dettata da ragioni di opportunità, poiché si è preferito
favorire un approccio approfondito nei riguardi delle materie prescelte, piuttosto che uno studio
dallo spettro più ampio ma necessariamente meno preciso.
Una volta chiariti i concetti fondamentali e l'evoluzione storica della materia, si presenteranno
in dettaglio i méthodes alternatives de règlement des conflits previsti dall’ordinamento francese.
Parleremo dapprima della mediazione e della conciliazione in generale e successivamente
esamineremo invece le figure specifiche della mediazione.
Incominceremo da un ambito in cui gli Alternative Dispute Resolution assumono una rilevanza
imprescindibile, ossia la materia del diritto di famiglia. L’elevato numero di associazioni dei
genitori e di quelle a tutela dei minori ha fatto sì che la Francia sia diventata un cantiere aperto e
uno Stato all’avanguardia nella materia del diritto di famiglia; per questa ragione, nel capitolo
dedicato alla Mediazione familiare, sì è deciso di approfondire con particolare attenzione questa
materia.
Ugualmente interessante è l'istituto del mediatore del credito alle imprese, soggetto incaricato
di ascoltare e di mettersi a disposizione delle imprese che si trovano in difficoltà ad accedere al
credito. Tale istituto si è sviluppato negli ultimi anni a seguito della attuale congiuntura economica,
ma la sua efficienza ed opportunità ha fatto sì che la sua natura da temporanea diventasse
semipermanente.
Un altro tema meritevole di un capitolo a se è quello della mediazione dell’acqua: data
l’elevata privatizzazione delle imprese che si occupano della gestione dei servizi dell'acqua e della
depurazione nel territorio francese, tale particolare tipo di metodo alternativo di risoluzione delle
controversie è stato istituito allo scopo di favorire la definizione consensuale delle liti che possono
sorgere tra i consumatori e i servizi idrici e di depurazione.
Dopo quest’analisi delle diverse species della mediazione nell’ordinamento francese,
l’elaborato approfondisce quello che è il quadro internazionale in cui si colloca la materia degli
Alternative Dispute Resolution.
L’impulso di matrice comunitaria ha influenzato notevolmente questa materia nell’ultimo
decennio e continua a farlo innovandola e arricchendola di nuovi strumenti, come ad esempio quelli
apprestati tramite l'Online Dispute Resolution.
3
Da ultimo si è voluto esaminare lo svolgimento tipico della mediazione stragiudiziale, il ruolo
fondamentale che ricopre il mediatore e le diverse azioni che può compiere al fine di aiutare le parti
a trovare una soluzione condivisa.
La raccolta dei dati e le ricerche bibliografiche, dopo un’iniziale documentazione avvenuta in
Italia, si sono svolte direttamente in Francia.
Inoltre l’elaborato è stato implementato dagli incontri con gli addetti ai lavori in materia di
mediazione presso lo European Doctoral College di Strasburgo, la Chambre de Commerce et
d'Industrie de Paris, la European Commission for the Efficiency of Justice presso il Consiglio
d'Europa, la Fédération Professionnelle des Entreprises de l’Eau e la Fédération Nationale de la
Médiation et des Espaces Familiaux.
Grazie alla collaborazione di tali istituti la trattazione ha potuto raccogliere un importante
valore aggiunto attraverso il contatto diretto con i soggetti coinvolti nelle procedure della
mediazione.
4
CAPITOLO I: L’EVOLUZIONE STORICA DEI METODI ALTERNATIVI DI
RISOLUZIONE DEI CONFLITTI
1. La mediazione nell’antichità
1.1 La mediazione nella mitologia greca
Il mediatore è un soggetto che fa da tramite tra due o più persone in conflitto e le aiuta a
trovare una soluzione comune, condivisa da entrambi, in virtù di reciproche concessioni.
Non si tratta affatto di un istituto nuovo. E' anzi corretto dire che nel corso dei secoli e dei
millenni esso ha subito una costante, talvolta lenta, talvolta repentina evoluzione.
In questo capitolo si focalizzerà l’attenzione sull’importanza degli eventi storici che hanno
determinato lo sviluppo della mediazione. Infatti per poter comprendere appieno il profilo attuale di
questo strumento è necessario capire le ragioni delle sue evoluzioni, ed il perché dei fatti va
ricercato appunto nella realtà storica.
Già nella Grecia Antica il ruolo del mediatore era ampiamente riconosciuto, tanto che vi è una
figura mitologica che ne assume spesso la parte, Hermès, il messaggero degli Dèi.
Hermès è figlio di Zeus, re dell’Olimpo, e della ninfa Maia, la quale vive in una caverna
sotterranea. Hermès rappresenta quindi fin dalla nascita l’unione tra gli opposti, tra la cima e il
fondo.
E’ sempre Hermès, Mercurio nella mitologia romana, a fare da tramite tra le cime dell’Olimpo
e i sotterranei dell’Ade
4
, indicando agli uomini ed agli Dèi possibili cammini da percorrere per
giungere ad un compromesso tra di loro, facilitandone la comunicazione
5
e proponendo delle
soluzioni. Egli è un Dio, ma, essendo sempre errante nel mondo degli uomini, conosce bene
entrambe le parti delle numerose liti che intercorrono tra gli esseri umani e le divinità. Hermès, alla
pari della figura di Caronte, rivestiva anche il ruolo di psicopompo
6
, ossia di un accompagnatore
dello spirito dei morti, aiutandoli a trovare la via per il mondo sotterraneo dell'aldilà. Si tratta quindi
4
S. Reynal, voce Hermès, in Dictionnaire critique de l'ésotérisme, PUF, Paris, 1998, p.599.
5
M. Ventris - J. Chadwick, Documents in Mycenaean Greek, Cambridge University Press, Cambridge, p.126.
6
W. Burkert, Greek Religion, Blackwell Publishing, Padstow, 1985, p.156.
5
sempre una figura che si frappone tra due mondi in antitesi e funge da mediatore tra i due, sarà ad
esempio Hermès a riportare Persefone da sua madre Demetra dall’Ade sulla Terra.
Nell'Iliade, è Hermès ad aiutare Priamo, re di Troia, ad entrare di nascosto nell'accampamento
dei Greci guidati da Agamennone per parlare con Achille e convincerlo a restituirgli il corpo di suo
figlio Ettore
7
. Nell’Odissea Hermès viene inviato a chiedere che Ulisse, prigioniero di Calipso,
fosse lasciato andare alla ninfa
8
.
Nel Prometeo Incatenato
9
, Zeus invia Hermès a discutere col titano Prometeo che si trova
incatenato per farsi rivelare da quest’ultimo la profezia segreta per la quale Zeus sarebbe stato
rovesciato dal suo trono. Hermès colloquia con Prometeo, lo consiglia di confidargli il segreto e gli
dice che è irragionevole voler prolungare la sua tortura, ma Prometeo si rifiuta di spiegare la propria
profezia e come punizione verrà poi scagliato in un abisso senza fondo da Zeus. Hermès è
mediatore, non arbitro; consiglia e aiuta a cercare soluzioni, ma non può imporre la sua volontà.
1.2 La mediazione e la maieutica socratica
La mediazione trova la sua origine nella maieutica socratica, la quale consiste in un metodo
dialettico d'indagine filosofica basato sul dialogo
10
.
La maieutica è letteralmente “l’arte della levatrice o dell’ostetrica”, e tale arte viene paragonata
da Socrate all’arte dialettica poiché in questa il filosofo intende "tirar fuori" al suo allievo dei
pensieri assolutamente personali, costringendolo a ragionare per conto proprio, senza imporgli
alcuna veduta attraverso la persuasione o la retorica
11
.
La maieutica spinge chi ne fa uso a pensare alle proprie relazioni con gli altri e di conseguenza
a se stessi attraverso la propria coscienza individuale, Socrate la adoperava per consentire
12
ai suoi
allievi di conoscere ed esprimere al meglio loro stessi, controllando le proprie passioni
13
.
La maieutica si fonda sul presupposto che chiunque è in grado di comprendere e risolvere la
7
Omero, Iliade, trad. it. V. Monti, Stamperia Reale, Milano, 1812, p.365.
8
Omero, Odissea, trad. it. I. Pindemonte, Antonio Fortunato Stella e Figli, Milano, 1829, p.251.
9
Eschilo, Prometeo incatenato, trad. it. C. Pavolini, Edizioni Casini, Firenze, 1962, p.18.
10
J. N. Findlay, Platone (1974), trad. it. G. Reale, Vita e Pensiero, 1994, p.275.
11
B. Mondin, Storia della Metafisica, ESD, Bologna, 1998, p.112.
12
M. Montuori, Socrate, Vita e Pensiero, 1998, p.178.
13
Platone, La Repubblica, trad. it. E. Ferrai, Armando Editore, Roma, 2007, p.114
6
situazione problematica in cui si trova, a patto che sia messo nelle condizioni di poterlo fare da
parte di una persona che ne conosca le tecniche.
Il soggetto che si trova nella situazione problematica è quindi aiutato a leggere e a
comprendere il problema, a coglierne le ripercussioni personali e relazionali e a ricercarne delle
possibili soluzioni.
Qualora due soggetti in conflitto tra loro decidano di adottare il metodo della maieutica, esse si
dovranno quindi rivolgere a un soggetto terzo che le aiuti a compiere questi passi, che le aiuti a
comprendere i loro problemi personali, a riconoscere eventualmente i loro errori e loro
responsabilità, ad esprimere le loro pretese e a formulare delle possibili soluzioni. In questo appunto
consiste il ruolo di un mediatore.
La parola mediazione deriva dal latino mediare, nel senso di “dividere, aprire nel mezzo”, e
indica un procedimento volto alla apertura di canali comunicativi bloccati per ottenere l’evoluzione
di una situazione da conflittuale a non conflittuale.
Il mediatore si attiva quindi per aiutare i soggetti a cominciare o a ricominciare a comunicare
tra loro, in modo che possano trovare una soluzione al litigio. Sono i litiganti a dover parlare, non il
mediatore né nessun altro.
1.3 La mediazione e l’arbitrato nell’Antica Grecia
Nell’anno 1520 a.C. si ha la traccia del primo arbitrato nella Antica Grecia. Si tratta
dell’arbitrato dell’anfizionia
14
, che aveva lo scopo di regolare i conflitti fra i diversi gruppi etnici
che vivevano nelle città intorno ad Atene
15
. Gli arbitri erano dodici anziani
16
, ognuno dei quali
rappresentava una tribù diversa della lega dei popoli che abitavano ad Atene e nelle città
circostanti. Si trattava quindi di una sorta di arbitrato interstatale
17
, dove i litiganti erano delle
città-stato in contrapposizione tra loro
18
. Con l’affinamento della pratica, come riportano gli
storiografi del tempo Plutarco
19
e Tucidide
20
, le polèis spesso subordinavano le loro dispute
14
A. Giuliani, La città e l’oracolo, Vita e Pensiero, Milano, 2001, p. 241.
15
G. Zecchini, Il federalismo nel mondo antico, Vita e Pensiero, Milano, 2005, p.75.
16
T. Luce, Roman History, Arno Press, New York, 1975, p.207.
17
L. Piccirilli, Gli arbitrati interstatali greci, Marlin, Pisa, 1973, p. 50.
18
L. Prandi, Memorie storiche dei Greci in Claudio Eliano, L’erma di Bretschneider, Roma, 2005, p.162.
19
P. Fiore, Sul problema internazionale della società giuridica degli stati, Stamperia Reale, Torino, 1878, p. 87.
7
all’arbitrato di una terza città-stato ritenuta neutrale.
Nello stesso periodo, sempre in Grecia, vi erano anche degli arbitrati di carattere pubblico,
eletti tra quarantaquattro patriarchi, i quali avevano il compito di giudicare le cause criminali e di
carattere pubblicistico. In taluni casi, come ad Atene, durante il periodo di governo di Demostene,
fu permesso alle parti, nella eventualità di un arbitrato avente ad oggetto esclusivamente soggetti
privati
21
, di poter chiedere, di comune accordo, l’irrevocabilità e la non impugnabilità del lodo
arbitrale.
1.4 L’arbitrato nel diritto romano
Il concetto di mediazione era già conosciuto e praticato in Mesopotamia, nel secondo millennio
avanti Cristo. Vi facevano ricorso come strumento per la risoluzione delle controversie, nell’ambito
del diritto privato, i commercianti o i membri appartenenti alla stessa famiglia
22
. Allo stesso modo
fonti storiografiche confermano che esso veniva impiegato con lo stesso utilizzo (come abbiamo
visto) nella Grecia antica
23
, ma anche a Roma
24
e nella Cina Imperiale
25
.
Tra le varie civiltà dell’antichità, una breve analisi del sistema romanistico appare essenziale,
poiché il diritto romano distingueva da un lato la conciliazione, che portava ad una transazione, e
dall’altro lato l’arbitrato ex compromisso all’interno del quale l’arbiter, investito dalle parti,
emanava una sentenza definitiva, che doveva essere accettata dalle parti poiché queste ne avevano
precedentemente accettato la vincolatività
26
.
Il compromìssum era appunto l’accordo con cui due o più soggetti litiganti potevano far
decidere una o più controversie ad un terzo, l’arbiter, dando inizio ad un arbitratus
27
. Tale
20
L. Prandi, Platea, Editoriale Programma, Milano, 1988, p.37.
21
M. Morone, Il diritto marittimo del Regno d’Italia, Forzani, Roma, 1889, p. 150.
22
S. Lafont, L'arbitrage en Mésopotamie, in Revue de l'arbitrage, 2000, n. 4, p. 557-590.
23
J. Velissaropoulos, L'arbitrage dans la Grèce antique: époques archaïque et classique, in Revue de l'arbitrage, 2000,
n.1, p. 9-26.
24
B. De Loynes De Fumichon - M. Humbert, L'arbitrage à Rome, in Revue de l'arbitrage, 2003, n.2, p. 285-348. Si
veda anche D. Papadatou, L'arbitrage byzantin, in Revue de l'arbitrage, 2000, n.3, p. 349-376.
25
D. Gaurier, Le règlement privé des conflits dans la Chine impériale: arbitrage ou médiation?, in Revue de l'arbitrage,
2004, n.2, p. 189-223.
26
B. de Loynes de Fumichon e M. Humbert, L'arbitrage à Rome, in Revue de l'arbitrage, 2003, n.2, p. 285-290.
27
F. Del Giudice, voce arbitratus, in Dizionario Giuridico Romano, edizione IV, Edizioni Giuridiche Simone, Napoli,
2010, p. 62.
8
compromìssum si risolveva in concessioni reciproche, con cui i litiganti si obbligavano l’un l’altro
al pagamento di una penale nel caso di mancata accettazione o di mancata osservanza della
decisione dell’arbiter
28
.
Ne conseguiva che la sentenza emessa produceva in capo alla parte soccombente un obbligo
tutelabile attraverso l’actio ex stipulatu la cui finalità era equiparabile alla actio iudicati che aveva
luogo nel processo
29
.
La sentenza derivante dall’arbitratus non dava oggetto però a res iudicata ma si limitava a
produrre degli effetti obbligatori
30
.
Da tale nozione romanistica di arbitrato si distingueva la nozione di conciliazione, istituto nel
quale il soggetto terzo era presente solamente al fine di aiutare le parti a conciliarsi, senza tuttavia
disporre di un potere decisionale. Era quindi a seconda dei poteri conferiti alla parte terza che si
distingueva tra la mediazione e l’arbitrato, e tali poteri dovevano essere chiaramente identificati per
sapere in quale ambito ci si trovava e specialmente per sapere quali sarebbero state le conseguenze
del relativo atto finale. In questo modo, storicamente parlando, la mediazione si concludeva
generalmente con un contratto od una transazione, la quale poteva poi esser rimessa in discussione,
ad esempio attraverso un vizio del consenso. In maniera opposta, sempre nella Roma antica,
l’arbitrato portava a una sentenza definitiva, mentre nel sistema francese attuale è possibile
l’appello della decisione pronunciata in appello.
2. Dal diritto romano all’antico diritto francese
Queste distinzioni si trasmisero dal diritto romano a quello francese, e venivano ancora
richiamate verso la fine dell’Ancien Régime da diversi autori, come ad esempio Domat a parere del
quale <<ci sono due metodi per porre fine benevolmente a un processo o per prevenirlo. Il primo è
la strada dell’accordo tra le parti, le quali regolano loro stesse o attraverso il consiglio o la
mediazione dei loro amici, le condizioni di un accomodamento e vi si sottomettono attraverso un
accomodamento, così viene chiamata la transazione. La seconda è un giudizio arbitrale nel quale si
giungerà a un compromesso>>
31
.
28
E. De Ruggiero, L’arbitrato pubblico in relazione col privato presso i Romani, L. Pasqualucci, Roma, p.34.
29
F. D’Ottavi, Manuale teorico-pratico dell’arbitrato, CEDAM, Padova, 2007, p.9.
30
G. De Sanctis, Storia dei Romani, volume 1, La Nuova Italia, Firenze, 1979, p.512.
31
J. Domat, Les lois civiles dans leur ordre naturel, le droit public et legum delectus, Pierre & Jean Herissant, Paris,
1777, Tomo 1, Libro I, Titolo XIII, Preambolo, p. 212.
9
Da queste parole la distinzione sembrava essere perfettamente chiara. Essa tuttavia si offuscava
rapidamente alla lettura di un altro celebre giurista, Lange, il quale nel 1731 scriveva che l’arbitrato
quando è composizione consensuale <<può accomodare le parti e comporre le loro differenze in
modo sommario, senza attaccarsi a regole di diritto né a formalità di giustizia>>
32
. Merlin notava
ugualmente che <<gli arbitri investiti della qualità di compositori consensuali non sono in realtà,
che dei mandatari preposti per porre fine attraverso una transazione imparziale, le differenze
sottomesse al loro esame>>
33
.
La difficoltà sorge in effetti quando dalla prospettiva storica si passa a quella pratica, in quanto
difficilmente i poteri accordati al terzo ricadevano perfettamente nella categoria dell’arbitrato o
della mediazione. Spesso i terzi infatti ricevevano allo stesso tempo il compito di riconciliare le
parti e quello di porre fine alla controversia al loro posto se queste non vi riuscivano da sole.
I soggetti terzi erano dunque spesso al contempo mediatori ed arbitri, e la pratica conosceva la
possibilità di poter optare per una soluzione negoziata prima ed una imposta poi. E’ un
insegnamento che la storia ci ha lasciato, ed è proprio tale insegnamento a giustificare la trattazione
della conciliazione e dell’arbitrato dentro la stessa prospettiva storica.
Un’altra lezione che si apprende dall’esame storico dell’esperienza pratica è che l’arbitrato e la
mediazione sono stati principalmente utilizzati in due ambiti ben determinati: nel diritto degli affari,
il quale è un campo tradizionalmente tipico dell’arbitrato sia di diritto interno che internazionale; e
nella risoluzione dei litigi riguardanti interessi pecuniari di minor spessore ed in materia civile, in
particolar modo in materia familiare. Col passare dei secoli, a seconda dei campi di applicazione,
arbitrato e mediazione hanno seguito sentieri evolutivi differenti.
In materia commerciale l’arbitrato è sempre stato favorito dal potere politico ed è rimasto
pressappoco immutato fino ai nostri giorni, al contrario in materia civile l’arbitrato e la mediazione,
anche se praticati per lungo tempo, si sono poco a poco scontrati, specialmente a partire dalla
Rivoluzione francese, con una legislazione che prediligeva forme di intervento più autoritarie e che
hanno prodotto un loro declino.
L’arbitrato in materia commerciale è sempre stato considerato benvenuto sia da parte del
legislatore nazionale (in quanto esso accelera il regolamento delle controversie e non urta in
maniera eccessiva la sovranità dello Stato, in quelle materie comunque poco incisiva), sia da parte
dei professionisti del settore, quale strumento capace di favorire il buon andamento dei loro
32
F. Lange, La nouvelle pratique civile, criminelle et bénéficiale, Francois Le Breton, Colonia, 1731, p. 85.
33
M. Merlin, Recueil alphabétique des questions de droit, Voglet, Parigi, Edizione IV, Volume Arbitres, Titolo 1, 1830,
p. 531.
10
commerci. I mercanti hanno sempre avuto un loro diritto e le loro giurisdizioni, sia nella Antichità
che nella Francia Medievale delle fiere, tant´è che, durante il regno di Carlo IX, nel 1563 fu creata
la prima giurisdizione consolare del Regno con sede a Parigi
34
, composta unicamente da mercanti,
cui l’autorità sovrana era disposta a lasciare l´amministrazione esclusiva delle controversie che li
riguardavano
35
.
Il divenire della mediazione e dell’arbitrato in materia civile, viceversa, si è storicamente
dimostrato più fragile e dipendente dalle circostanze politiche, in quanto settore tipicamente
identificato come un ambito della cui gestione quale spetta allo Stato farsi carico ed esprimere la
propria sovranità.
Nel prosieguo di questo Capitolo si analizzerà il susseguirsi degli eventi che hanno determinato
l’evoluzione dei metodi di risoluzione alternativa dei conflitti all’interno dell’ordinamento francese.
Lo studio avrà prima per oggetto la stessa previsione di metodi alternativi della risoluzione delle
controversie all’interno dell’antico diritto francese, mentre successivamente verrà descritto il modo
in cui lo Stato è intervenuto, durante il periodo che va dalla Rivoluzione Francese fino all’epoca
della codificazione napoleonica, per restaurare il proprio monopolio sulle forme non statali di
risoluzione delle liti.
3. I metodi alternativi di risoluzione dei conflitti in materia civile nell’antico diritto francese
Innanzitutto va fatta una precisazione fondamentale, in quanto l’espressione “metodi alternativi
di risoluzione delle controversie”, in francese comunemente abbreviato in marc, è inappropriata ove
riferita alle figure più antiche (anche se essa è ormai utilizzata dalla gran parte degli autori
moderni)
36
.
L’arbitrato e la mediazione, così come si sono sviluppati nell’antico diritto francese, traggono
le loro origini da due atti legislativi adottati dal re François II e da suo fratello Charles IX,
rispettivamente del 1560 e del 1561, preparati entrambi dal medesimo soggetto, il cancelliere
Michel de l’Hospital
37
. Entrambi i testi normativi costituiscono un forte incoraggiamento da parte
34
P. Dupieux, Les attributions de la juridiction consulaire de Paris (1563-1792). L'arbitrage entre associés,
commerçants, patrons et ouvriers au XVIIIe siècle, Bibliothèque de l'école des chartes, Paris, 1934, n. 95, p. 116, p.
148.
35
V. J. Hilaire, Introduction historique au droit commercial, PUF, Collana Droit fondamental, Parigi, 1986, p. 355.
36
P. De Royer, Dictionnaire de jurisprudence et des arrêts, Lyon, 1787, Volume Accommodement, Titolo II, p. 1.
37
P. de Royer, Dictionnaire de jurisprudence et des arrêts, Lyon, 1787, Volume Arbitre, Titolo VI, p. 51.
11
della Monarchia nei confronti dei metodi alternativi, e si preoccupano di trovare una soluzione che
risulti efficace nella risoluzione dei diversi tipi di controversie che possono verificarsi
38
.
3.1 I metodi alternativi della risoluzione delle controversie incoraggiati dalla monarchia
Nell’agosto del 1560, re François II e Michel de l'Hospital impongono a determinati soggetti,
in determinati tipi di controversie, un modo di regolamento dei litigi contemporaneamente
extragiudiziario e tra pari, rendendo obbligatorio l’arbitrato tra commercianti e tra membri della
stessa famiglia
39
.
L’idea non è affatto nuova. Già nel XV secolo, i Provenzali avevano in effetti già domandato al
re l´autorizzazione a fare ricorso a dei terzi diversi dal giudice del Regno per regolare le loro
controversie entro negozianti e familiari
40
. La buona fede che regna nel mondo degli affari e
l’equità che deve garantire l’armonia delle relazioni familiari – affermavano i richiedenti –
suggerivano, e al tempo stesso garantivano, la convenienza dell’arbitrato. In tale occasione il re
accettò il principio di arbitrato obbligatorio all’interno di questi ambiti e obbligò i giudici
provenzali regi a rinviare tali affari davanti agli arbitri
41
.
Nel suo Editto di Fontainebleau del 1560, François II riprende questa idea ma stavolta
estendendola a tutto il Regno di Francia. Stabilisce quindi che i mercanti che entrino in conflitto con
altri soggetti della loro categorie debbano esser giudicati da arbitri e che la decisione varrà per loro
come <<transazione o giudicato sovrano>> non suscettibile d’appello
42
.
I genitori dei minori, in caso di conflitti aventi per oggetto <<divisioni e spartizioni delle
successioni e dei beni comuni... costi di mantenimento ... restituzione della dote>>, dovranno
scegliere dei <<soggetti rispettevoli e notabili>>, uno dei quali sia <<parente, vicino o amico>> per
dirimere la questione sorta in ambito familiare.
Ciò sta a significare che gli incaricati non sono dei giuristi, ma dei soggetti che godono della
fiducia delle parti e sono dotati di una certa autorità in ambito domestico. In tale materia, al
contrario di quanto accade in materia commerciale, le decisioni sono oggetto di appello in
38
C. Jallamion, Tradition et modernité de l'arbitrage et de la médiation au regard de l'histoire, Gazette du Palais, n.17,
2009, p. 3.
39
J. Julien, Nouveau commentaire sur les statuts de Provence, Esprit David, Aix, 1778, p. 70 e p. 350.
40
I. De Bomy, Recueil de quelques coustumes du pays de Provence, Charles David, Aix, 1665, p.466.
41
J. Morgues, Les statuts et coutumes du pays de Provence, Charles David, Aix, 1658, p. 21 e p. 157.
42
F. A. Isambert, Recueil général des anciennes lois françaises, Belin-Leprieur, Parigi, 1829, Tomo XIV, p. 51-52.
12
Parlamento
43
.
Il legislatore tuttavia, nell’enunciare la ratio del ricorso all’arbitrato non fa mai menzione a
quello che è un aspetto fondamentale dell’istituto sia in ambito familiare che commerciale, ossia la
salvaguardia della confidenzialità delle controversie.
Queste disposizioni sono infine completate da un altro Editto adottato anche questo a
Fontainebleau, nell’aprile 1561 da Charles IX, il quale incoraggia le parti litiganti a scegliere
<<l’accordo e la transazione>> e limita le possibilità di poterne ottenere l’annullamento, col fine di
assicurare stabilità alla procedura, e di incentivare le parti a scegliere più spesso tale strada.
3.2 L’influenza romana sulla procedura arbitrale francese
Come nel diritto romano, anche nella moderna procedura francese l’arbitrato nasce da un
accordo delle parti, attraverso il quale le stesse si impegnano a ricorrere a tale tipo di procedura per
risolvere la loro lite.
La prassi del tempo ci fornisce delle indicazioni molto precise sui soggetti coinvolti negli
arbitrati. Le parti connesse da legami di parentela si distaccano dalle raccomandazioni degli editti e
nominano degli arbitri che sono raramente degli amici, parenti dei soggetti coinvolti, ma sono
piuttosto dei giuristi competenti in materia di successione o altre competenze specifiche del litigio
in atto. La designazione coinvolge quindi per la maggior parte avvocati, magistrati e professori di
diritto, solitamente uno o due per ogni parte e comunque in numero pari, conformemente all’uso
romanistico
44
.
Gli arbitri inoltre ricevevano spesso dei poteri di composizione amichevole della controversia e
potevano anche designare un arbitro terzo che decidesse l’eventuale litigio sorto tra di loro.
Ne deriva che nel compromesso la controversia è impostata in termini generalissimi. Le parti
d´abitudine autorizzano gli arbitri a <<pronunciarsi generalmente su tutte le controversie>>
45
, a
<<pronunciarsi sulle circostanze e sulle pertinenze>>
46
, o a porre rimedio alle eventuali
43
J. Hilaire, L'arbitrage dans la période moderne, XVI
ème
XVIII
ème
siècle, in Revue de l'arbitrage, n.2, 2000, p. 194-240.
44
Un frammento del Digesto pone la questione della validità della nomina di arbitri in numero pari, a causa della
inclinazione naturale degli uomini al dissenso. Nel frammento viene riconosciuto che la parità degli arbitri è
fondamentale in quanto trattasi di una consuetudine antichissima e al contempo di un valido compromesso. Digesto IV,
VIII, 17, 6, trad. D. Dalla, Istituzioni di diritto romano, Giappichelli Editore, Torino, 1996, p. 100.
45
Si veda il compromesso tra gli eredi Dezeuze, davanti al notaio Antoine Péridier, 10 agosto 1747, Archives
départementales de l'Hérault, Registro 2 E 58 116, f. 188.
46
Si veda il compromesso tra Brémone e primo console di Castelnau, davanti a Pierre Marsal, 1 luglio1650, Archives
13
controversie future
47
.
Così, spesso gli arbitri devono dividere le successioni, liquidare i conti tra eredi e legatari,
stabilire le spese per il mantenimento e pronunciarsi sulle restituzioni di doti. Ciò accadeva perché
l’arbitrato aveva le caratteristiche intrinseche di non esasperare il conflitto tra le parti, di assicurare
un elevato grado di riservatezza e di garantire una notevole flessibilità nella regolamentazione della
successione. Il tutto era anche facilitato dal fatto che i notai iniziarono a svolgere le prime
liquidazioni delle successioni solamente alla fine dell’XVII secolo.
Le parti inoltre, nel compromesso, stabilivano d'abitudine numerose obbligazioni a carico degli
arbitri nominati, come l’obbligo di prestazione di giuramento
48
o quello di lavoro nei giorni sia
feriali che festivi per assicurare una maggiore celerità della risoluzione della controversia
49
. In
quest’ultimo caso vi è un netto distaccamento dalla tradizione romanistica, la quale prevedeva il
divieto assoluto di lavoro dell’arbiter nei giorni festivi
50
. Sempre riguardo alla rapidità della
risoluzione della controversia, le parti di norma si accordavano su un periodo di tempo molto corto
per rendere la loro sentenza, tra gli otto giorni
51
e i sei mesi
52
, ma la scadenza più frequente era di
quindici giorni
53
.
Dopo che l’accordo sullo svolgimento dell’arbitrato veniva raggiunto e gli arbitri avevano
accettato l’incarico, iniziava la fase istruttoria. Secondo il giurista Domat gli arbitri «esercitano le
stesse funzioni che sarebbero dei giudici, se le parti facessero causa in giudizio. Così gli arbitri
possono istruire i processi che hanno da giudicare, rendere sentenze interlocutorie, stabilire dei
termini e udire dei testimoni»
54
.
départementales de l'Hérault, Registro 2 E 55 107, f. 310.
47
Si veda il compromesso tra Prunet, Arles e Mathieu davanti a Jean Péras, 16 ottobre 1677, notaio, Archives
départementales de l'Hérault, Registro 2 E 57 274, f. 57.
48
Si veda il compromesso tra Henry de Latude, sua moglie Suzanne de Ratmaviers e Jean-François Pogat davanti al
notaio Serguières, 15 marzo 1668, Archives départementales de l'Hérault, Registro 2 E 57 271 f. 208.
49
Si veda il compromesso tra Rodil e Conti davanti al notaio Pierre Marsal, 24 gennaio 1651, Archives départementales
de l'Hérault, Registro 2 E 55 108, f. 58.
50
Digesto IV, VIII, 13, 3.
51
Si veda il compromesso tra E. Cassagnard, J. Bosq e J. Clergue davanti al notaio e cancelliere degli arbitrati Jean
Serguières, 28 gennaio 1676, Archives départementales de l'Hérault, Registro 2 E 57 272, f. 41.
52
Si veda il compromesso tra Rodil e Conti, davanti al notaio Pierre Marsal, 24 gennaio 1651, Archives
départementales de l'Hérault, Registro 2 E 55 108, f. 58.
53
Si veda il compromesso tra G. e J. Mausal, davanti a Pierre Marsal, 22 marzo 1651, Archives départementales de
l'Hérault, Registro 2 E 55 108 f. 219.
54
J. Domat, Les lois civiles dans leur ordre naturel, le droit public et legum delectus, Pierre & Jean Herissant, Paris,
1777, Tomo II, Libro II, Des arbitres, Titolo VII, Sezione I, Paragrafo I, p. 267.
14
O ancora, con le parole di un altro celebre giurista dell’epoca, Jousse, «gli arbitri esercitano
hanno le stesse funzioni che hanno i giudici quando le parti ricorrono alla giustizia. Così essi
possono istruire dei processi nei quali giudicano, rendono sentenze interlocutorie, e dopo
l’istruzione rendono una sentenza definitiva per porre fine alla controversia»
55
. Oppure Merlin,
secondo il quale «le funzioni degli arbitri sono le stesse di quelle esercitate dai giudici quando le
parti ricorrono alla giustizia, Essi possono, quando è necessario, rendere delle sentenze
interlocutorie, ordinare la prova di un fatto contestato, ascoltare i testimoni prodotti dalle parti e
anche ricevere i loro giuramento»
56
.
Gli arbitri quindi, durante la fase istruttoria, godevano di una ampia libertà, ma, salvo
disponessero di una qualche forma di autorità pubblica, essi non potevano obbligare le parti né a
comparire né a produrre i loro documenti
57
, né obbligare testimoni a deporre
58
o esperti a stendere i
loro rapporti
59
.
Tuttavia, dal momento che l´investitura degli arbitri era di fonte privata e non pubblica, era
fondamentale che, nel corso del procedimento arbitrale, fosse garantito il rispetto della volontà delle
parti. Così, contrariamente ai giudici, gli arbitri dovevano partecipare tutti all’istruzione della
controversia
60
. Solo le parti potevano autorizzarli a designare uno solo di essi a procedere agli atti
relativi all’istruttoria
61
. Tutti gli arbitri dovevano dunque di regola esaminare le prove, ascoltare le
parti, udire gli esperti se ne era chiesto l’intervento e liquidare i conti di una società o di una
55
D. Jousse, Traité de l'administration de la justice, Debure, Paris, 1771, Tomo II, n
o
33, p. 698.
56
M. Merlin, Répertoire universel et raisonné de jurisprudence, Garney, Paris, Edizione V, 1828, Volume Arbitrage,
Titolo I, p. 441.
57
Gli arbitri possono «citare davanti a loro le parti stesse che si sono accordate, per interrogarle su fatti e articoli». D.
Jousse, Traité de l'administration de la justice, Debure, Paris, 1771, Tomo II, n
o
36, p. 699.
58
Secondo Merlin, gli arbitri «non possono obbligare i testimoni a deporre, poiché non hanno alcun potere pubblico,
né tanto possono convocarli davanti a loro in quanto non hanno alcun potere giurisdizionale su tali testimoni».
L’autore cita una sentenza resa dal Parlemento di Dijon del 28 marzo 1714 e precisa le differenze tra il ruolo del giudice
e quello dell’arbitro. M. Merlin, Répertoire universel et raisonné de jurisprudence, Garney, Paris, Edizione V, 1828,
Volume Arbitrage, Titolo I, p. 441.
59
D. Jousse, Traité de l'administration de la justice, Debure, Paris, 1771, Tomo II, n
o
37, p. 700.
60
Si vedano J. Papon, Recueil d'arrêts notables des Cours souveraines de France, Le Gras, Genève, 1648, p. 361; J.
Domat, Les lois civiles dans leur ordre naturel, le droit public et legum delectus, Pierre & Jean Herissant, Paris, 1777,
Tomo I, Libro, I, Des compromis, Titolo XIV, Sezione II, V, p. 220; D. Jousse, Traité de l'administration de la justice,
Debure, Paris, 1771, Tomo II, n
o
35, p. 699 ; D. Jousse, Traité de l'administration de la justice, Debure, Paris, 1771,
Tomo II, n
o
54, p. 707.
61
«E’ di regola l’arbitro più giovane che risponde alle domande durante l’istruzione ed è incaricato di seguire il
caso». M. Pigeau, La procédure civile du Châtelet de Paris, La Veuve Desaint, Paris, 1779, Tomo I, p. 23.