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distante la parola dal flusso della coscienza. Questa, si è sempre creduto, almeno
fino a Derrida, dettava all’uomo il suo pensiero nel modo dell’immanenza e della
parousia. La chirografia era al contrario metafisica.
Eppure sia all’uomo non esperto in cose filosofiche, che al filosofo, sfugge il
condizionamento mediatico e tecnologico, e il ruolo che ciascun medium/tecnologia
ha avuto nella storia della cultura.
Forse perché, anche a semplice livello di ricognizione, è difficile parlare di
media. Dire media oggi significa tutto e niente. Si richiede ad un medium che possa
in qualche modo portare informazioni da una parte ad un’altra. Tale ingenua
definizione funzionalistica apre in modo smisurato lo spettro: in Understanding
Media, Mcluhan
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cerca di dare una fenomenologia mediatica esaustiva: voce,
scrittura fonetica, stampa, città, scrittura matematica, abbigliamento, architettura,
denaro, orologi, fumetti, mezzi di trasporto, fotografia, giornali, pubblicità, giochi,
telegrafo, macchina da scrivere, telefono, grammofono, cinema, radio, televisione,
armi, automazione. L’uomo dispone di questi e altri strumenti per comunicare;
talvolta in senso molto lato e mediato.
Alcuni dei lavori filosofici che riguardano i media lo fanno in maniera
involontaria: Hegel o Heidegger, ad esempio, parlano involontariamente di media
quando sono alle prese di organizzare le diverse arti in una struttura gerarchica. I
discorsi artistici nell’Estetica o nell’Origine dell’opera d’arte sono anche vicini in modo
sospetto: al posto apicale la parola poetica, in fondo la pietra – del tempio per
Heidegger – come Faktum bruto. Quest’atteggiamento tassonomico e ortopedico che
riguarda l’arte tradisce forse il presupposto fonologocentrico su cui si basa l’intera
storia occidentale; la stessa idea di storia secondo Derrida. Questo presupposto, che
privilegia enormemente il peso della parola orale su quella scritta, e del logos su ogni
altra forma comunicativa, ha disposto attorno a sé il resto degli strumenti mediatici in
modo derivato e secondario.
Pertanto è d’obbligo seguire la via già battuta per una de/ri-costruzione
mediatica: senza tentare nuove gerarchie, di cui non mi sento in alcun modo capace,
rimane comunque da partire – forse da finire – con le vicissitudini della parola parlata
e udita, in seguito scritta con la penna, con i caratteri mobili, con procedimenti
tipografici, con il trattamento elettrico e informatico, culmine di un processo che la
vede ripresentarsi sotto altre fogge nuovamente orale. Il percorso in qualche maniera
5
circolare della parola segna il cammino tecnologico dell’uomo. E’ senza dubbio un
cammino storico. Ma quello che interessa qui è il suo senso metastorico;
fenomenologico verrebbe da dire ancora sotto la scorta di Derrida.
L’oralità e la scrittura, la stampa e Internet non individuano solo ere umane,
almeno non allo stesso modo in cui la comparsa di specie animali caratterizza le età
della terra. Si ha a che fare con il percorso della coscienza e del suo altro, con il
senso stesso di questa opposizione, con il senso di ogni op-posizione, con il senso
delle dicotomie filosoficamente standard di soggetto/oggetto, forma/materia,
atto/potenza, significante/significato, dentro/fuori. Attraverso il trattamento orale,
scritto o elettrico della parola, l’uomo elabora i propri concetti e i propri significati; a
seconda dell’età tecnologica che egli raggiunge questi possono farsi più o meno
complessi e strutturati. La parola, e solo essa, coagula attorno a sé tutto il potere
significante di ciò che per l’uomo è significante; se la parola viene gestita in modi
differenti, anche il significante non sarà più lo stesso.
C’è anche un’altra ragione, lo psicologo e filosofo Marshall McLuhan ne è il
padre, per cui la parola nella storia tecnologica dell’uomo ha un peso privilegiato; ed
è per così dire una ragione estetica. Secondo McLuhan il passaggio dalla civiltà orale
alla civiltà della scrittura ha cambiato il modo di pensare perché in primo luogo ha
cambiato gli equilibri estetici e percettivi dell’uomo: si è passati da una civiltà fondata
sulla supremazia estetica dell’orecchio e del tatto, ad una fondata sulla supremazia
dell’occhio.
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L’avvento della scrittura ha dotato l’uomo della percezione spaziale e
cinematica, abituandolo a scorrere gli spazi della parola scritta accompagnati dalla
verbalizzazione interna (la lettura stricto sensu). La parola scritta si smarca cioè dalla
sua qualità originaria, il suo mondo di suono e di impatto tattile. Ma proprio perché
sempre di parola si tratta, la parola scritta isola il senso della vista da quelli dell’udito
e del tatto; si produce un isolamento estetico e una iperestesia del senso della vista.
La frattura estetica è fondamentale per lo sviluppo culturale dell’uomo: McLuhan la
reputa responsabile, come primo agente, della detribalizzazione e del costituirsi della
civiltà occidentale.
Il fatto che l’alfabeto fonetico abbia dato all’uomo un occhio in cambio di un
orecchio rappresenta probabilmente, sul piano sociale e politico, la più radicale
esplosione che si possa dare in una struttura sociale. Quella sorta di esplosione
1
Marshall McLuhan, Understanding Media, trad. it Gli strumenti del comunicare, Il Saggiatore, Milano,
1967.
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dell’occhio, che spesso si ripete nelle “aree arretrate”, viene comunemente chiamata
occidentalizzazione. Adesso che l’alfabetismo sta per ibridare la cultura della Cina,
dell’India e dell’Africa, ci prepariamo ad assistere a un tale scarico di energie umane e di
violenza aggressiva da far sembrare quasi insulsa la precedente storia della tecnologia
dell’alfabeto fonetico.
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Dall’invenzione della scrittura molta strada è stata compiuta. A livello
tendenziale si può notare che l’introduzione di media, alcuni dei quali, come il
telefonino o Internet, non hanno un utilizzo di massa più vecchio di 15 anni, piuttosto
che amplificare la frattura estetica del passaggio alla parola scritta, abbiano
corteggiato gli altri sensi ritornando all’integrità tattile offerta solo dal predominio
orale.
La parola scritta e letta è diventata inaspettatamente fragile. Il terreno è pronto
per il ritorno di una seconda oralità (espressione coniata dal padre gesuita Walter
J.Ong, già collaboratore di McLuhan) che in parte è fenomeno già noto, ripetuto
(nachträglich secondo il linguaggio della psicoanalisi), ma proprio in quanto ripetuto
emerge con caratteri imprevisti. La seconda oralità abbatte gli edifici della società
civile e sotto le rovine, accende il fuoco per la nuova tribù globale (o le tribù globali).
Molte voci (fra cui Spengler, Jünger, un certo Heidegger e anche un certo Adorno,
Derrida, McLuhan) si sono levate a denunciare la fine della storia, la fine della cultura
e dell’arte, il ritorno di una forza mitica sopita dall’invenzione della storia di Erodoto,
che, guarda caso, coincide temporalmente con l’adozione della chirografia. Di
conseguenza cercherò di analizzare non solo il percorso che va dall’oralità alla
scrittura; ma anche e viceversa dalla scrittura all’oralità di ritorno, alla seconda
oralità. Il mondo si sta riorientando attorno illusioni di presenza piena (cioè si sta
forse ricadendo nel pregiudizio fonologocentrico denunciato da Derrida, ma nella
nuova inedita foggia della virtualità) e attorno ai senti dell’udito e del tatto.
La prima faccenda di cui mi occuperò sarà la questione cibernetica e
protesica. Cercherò di mostrare come il soggetto umano abbia attraversato le diverse
ere mediatiche non senza cambiare il proprio corpo e anche, di conseguenza cioè, le
proprie costruzioni culturali e filosofiche. La filosofia di Derrida e di McLuhan, benché
ciascuno ignorasse l’altro, sono avvicinabili perché sono entrate anche nella
“biologia”: l’uomo, con i suoi sensi ed i suoi nervi, per i due autori, cambia a seconda
2
Marshall McLuhan, La Galassia Gutenberg, Armando, Roma, 1995 (1976), p. 205 e segg.
7
del medium utilizzato. Oggi l’integrazione tecnologica nelle idee e nel corpo assume
un peso schiacciante. Mi pare che questo punto possa essere facilmente condiviso,
senza cadere nel qualunquismo.
Per l’analisi di questa questione seguirò due piste parallele, una di Derrida,
l’altra della scuola di Toronto, cioè McLuhan e Ong. Sono avvicinabili, ma anche
divergenti per quanto riguarda la concezione della scrittura che essi propongono:
Derrida cerca di allargare il concetto chirografico contro le barriere della metafisica
che privilegiano la presenza e il tempo presente, dimostrando così come la scrittura
sia anzitutto l’impronta che la parola lascia all’interno del logos. Mentre molto più
ristretta e classica è la concezione della scrittura per McLuhan e Ong, per i quali la
scrittura (fonetica) è solo la trasposizione grafica e spaziale della parola parlata. Più
o meno è la stessa cosa che già diceva Aristotele nel De Interpretatione, laddove
scrive che il suono emesso dalla voce è il simbolo dello stato dell’anima, e la scrittura
è il simbolo del suono.
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In Mal d’Archive
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Derrida riflette sulle nuove tecnologie cibernetiche. Egli
sostiene che siano “protesi del dentro”, totalizzanti perché iscrivono e archiviano in
codice binario ogni cosa, e tuttavia devono presupporre un luogo, un archivio non
codificabile a sua volta. Derrida identifica questo luogo con l’annichilimento della
memoria: il codice binario traduce tutto il traducibile, ma sradica tutto ciò che non si
lascia ridurre a due soli segni. Il luogo, il supporto in cui risiede l’archivio ha per
Derrida a che fare con la pulsione di morte: una macchinazione tecnico-scientifica
che tenta di cancellare l’origine mnemonica dell’archiviato.
In La Voix et le Phénomène
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Derrida aveva cominciato il lavoro decostruttivo
della pseudo-evidenza del dato. Egli denunciava il presupposto fonologocentrico che
consiste nell’assumere come Erkenntnistheorie l’adeguazione a-problematica tra
pensiero e oggetti del mondo. Secondo un’idea classica della filosofia, la coscienza
dispone di una sorta di collegamenti “a tubo” che si appropriano dell’oggetto.
7
Uno di
questi “tubi”, secondo quest’idea classica, è la parola verbale. Derrida contesta la
concezione della linguistica strutturalista che identificava la parola verbale come un
“tubo”, cioè l’idea per cui il linguaggio verbale ha una funzione battesimale e
ostensiva che si mimetizza per filo e per segno con la cosa e con il pensiero. Il
3
Marshall McLuhan, Gli strumenti del comunicare, cit., p. 59.
4
Aristotele, De Interpretatione 1, 16 a 3; ed. italiana Sull’interpretazione, Bur, Milano, 1992.
5
Jacques Derrida, Mal d’Archive. Une Impression Freudienne, Galilée, Paris, 1995.
6
Jacques Derrida, La voix et le phénomène, Puf, Paris, 1967 (2005).
7
Walter J. Ong, Oralità e scrittura, Il Mulino, Bologna, 1986, p. 231.
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linguaggio verbale, per Derrida, è illusoriamente più prossimo alla cosa, soprattutto
quando il linguaggio verbale si presenta orale, una parola che si ascolta nell’atto di
essere detta. Ma anche la prossimità a sé dell’oralità solo apparentemente intrattiene
un pieno rapporto col pensiero, essendo al contrario la ripetizione di una traccia
mnestica. La traccia è un’archiscrittura: Derrida ribalta il tradizionale dominio che
l’orale esercitava sulla scrittura, proponendo una concezione in cui la grafia ha un
ruolo di primo piano.
McLuhan è invece il riferimento obbligato per la concezione protesica della
tecnologia. Proponendo ogni media come una protesi, anche quelli della “seconda
oralità” elettrica (protesi del sistema nervoso, “psicotecnologie” secondo De
Kerckhove), si rompe con l’illusione di un’immediata presenza a sé, di una totale
disponibilità della comunicazione, al contrario “mediata” da un innesto tecnologico sul
nostro corpo. E’ un’idea che ha trovato molto seguito, ma vedremo quali idee
presuppone ed implica. Io non sarò totalmente d’accordo con McLuhan, anche per
quanto riguarda il ruolo dell’arte, su cui mi soffermerò più oltre. Intanto mi permetto di
fare qualche considerazione sulla centralità tecnologica nelle nostre vite; sono
esempi sconosciuti a McLuhan, ma ritengo che egli li avrebbe approvati.
Solo 15 anni fa non si usava il telefonino come oggi. Il telefonino è già
vecchio; ora sono diffusi sul mercato Smartphone e palmari che associano al
telefonino (protesi dell’orecchio) macchine fotografiche, dispostivi video, collegamenti
Tv e internet, processori computazionali. La tendenza della tecnica è quella non
tanto di sfruttare tutte le possibilità di un settore d’applicazione particolare, ma di
combinare assieme i diversi risultati e offrire prodotti ibridi, che insomma consentano
di “installare” più protesi contemporaneamente. Tali prodotti tecnologici intrattengono
più rapporti con la filosofia di quanto si sospetterebbe. Oggi che si sta ritornando ad
un’epoca di seconda oralità vari sintomi rivelano l’inquietudine dell’umanità che
deriva dalla sua riorganizzazione. Il dibattito pubblico è significativamente dominato
dal tema dell’adeguato utilizzo degli strumenti mediatici. L’individuo sta cambiando,
così come è cambiato con la tecnologia della scrittura. Le sue idee stanno
cambiando, così come già sono cambiate un’altra volta con la scrittura. Per cercare
di descrivere adeguatamente il passaggio dall’oralità alla scrittura, e dalla scrittura
alla seconda oralità, e in particolare al trattamento informatico e telematico della
parola che culmina nell’invenzione di Internet, seguirò un passo di Deleuze e
9
Guattari, che in Mille Piani
8
, paragonavano due stili di scrittura, nonché di pensiero, a
dei modelli relativi a diverse radici arboree: da un lato la radice dell’albero, fittonante,
che penetra nel terreno come fondo o fondamenta del tronco, e che dunque diventa
immagine della metafisica. Dall’altro lato la radice a rizoma, che
connette un punto qualunque con un altro punto qualunque, e ognuno dei suoi
tratti non rinvia necessariamente a tratti della stessa natura, mette in gioco regimi di segni
molto differenti e anche stati di non-segni. Il rizoma non si lascia riportare né all’Uno né al
molteplice. Non è l’Uno che diventa due, né che diventerebbe direttamente tre, quatto o
cinque, ecc. Non è un multiplo che deriva dall’Uno, né a cui l’Uno si aggiungerebbe (n+1).
Non è fatto di unità, ma di dimensioni o piuttosto di direzioni in movimento. Non ha inizio
né fine, ma sempre un centro, dal quale cresce e deborda. Costituisce molteplicità lineari
a n dimensioni senza soggetto né oggetto, estendibili su un piano di consistenza e da cui
l’Uno è sempre sottratto (n-1). Una tale molteplicità non varia le sue dimensioni senza
cambiare natura in se stessa e metamorfizzarsi. All’opposto di una struttura che si
definisce per un insieme di punti e posizioni, di rapporti binari tra i punti e di relazioni
biunivoche tra le posizioni, il rizoma è costituito soltanto da linee: linee di segmentarietà,
di stratificazione, come dimensioni, ma anche linee di fuga o di deterritorializzazione
come dimensione massimale, a partire dalla quale, nel seguirle, la molteplicità entra in
metamorfosi cambiando natura. Non si confonderanno tali linee, o lineamenti, con le
discendenze di tipo arborescente, che sono soltanto collegamenti localizzabili tra punti e
posizioni. All’opposto dell’albero, il rizoma non è oggetto di riproduzione: né riproduzione
esterna come l’albero immagine, né riproduzione interna come la struttura-albero. Il
rizoma è un anti-genealogia. E’ una memoria corta o un’anti-memoria. Il rizoma procede
per variazione, espansione, conquista, cattura, iniezione. […] Contro i sistemi centrati
(anche policentrati), a comunicazione gerarchica e collegamenti prestabiliti, il rizoma è un
sistema acentrato non gerarchico e non significante, senza generale, senza memoria
organizzatrice o automa centrale, definito unicamente dalla circolazione di stati. Ciò che è
in questione nel rizoma è il rapporto con la sessualità, ma anche con l’animale, con il
vegetale, con il mondo, con la politica, con il libro, con le cose della Natura e dell’artificio,
completamente diverso dal rapporto arborescente: tutte le specie di “divenire”.
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La suggestione di questo brano si accorda benissimo con la realtà che stiamo
vivendo. Internet e soprattutto il Web 2.0, cioè il web che nasce dal contributo
specifico degli utenti, è un sistema ndimensionale che tiene assieme vari “regimi di
segni” (testo, immagini, audio), navigabili non in base ad un percorso chiuso ma
libero e aperto alle scelte dell’utente. Non avendo gerarchia ogni utente è centro a
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Gilles Deleuze, Félix Guattari, Mille Piani. Capitalismo e schizofrenia, Castelvecchi, Roma, 2006.
9
Ibid., p. 57-8.
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sé, ciascuno può diventare artefice di quello che potrebbe “sfogliare” su Internet, e
senza rapporto ad un centro non esistono nemmeno distanze.
Così entrerò di petto nella seconda questione: quella più propriamente
psicologica e sociologica, che si propone di indagare le fonti identitarie connesse ai
media. Qual è la distanza critica, psichica e politica, che ciascun medium istituisce tra
il sé, la comunità e l’evento? Dal villaggio tribale dell’oralità, agli stati nazionali e alla
società allargata della scrittura, fino al villaggio globale che i media elettrici hanno
costruito. La concezione dell’uomo di sé e del suo vivere sociale è stata modificata
dalle tecnologie. Sono temi di psicologia, di psicologia sociale e di sociologia, ma non
sono irrilevanti in questa sede.
Per prime analizzerò le fonti identitarie che nascono con l’oralità, riprendendo
anche le indagini della psicologia comportamentista (G. H. Mead) che ha sfiorato la
questione del medium.
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Poi, seguendo la scuola di Toronto (che era una scuola di
psicologia) riporterò i mutamenti psicologici e sociali indotti dalla scrittura e dalla
stampa. Infine mi dedicherò ai media dello spettacolo e insieme a quelli informatici,
digitali, telematici ed Internet, seguendo ancora McLuhan e riportando studi
sociologici o economici, come quello di Debord, di Castells, di Lévy e di de
Kerckhove.
Internet è la suprema conferma del rimpicciolimento del mondo: un effetto del
passaggio al network è stato l’annullamento delle distanze, e non al senso ovvio che,
utilizzandolo, la comunicazione si fa, in tempo reale, tra persone distanti migliaia di
chilometri. Che non esiste più distanza attraverso Internet vuol dire che tutti (quasi
tutti) siamo diventati partecipi dello stesso mondo, e testimoni degli stessi eventi. La
contrazione distale porta ordini continentali, statali e regionali ad assumere le
dimensioni di un villaggio, in una prossimità e integrazione di tutti con tutti molto
problematica. Così come il corpo è integrato dalle protesi mediali, tale è l’individuo
integrato nel corpo sociale. Ovviamente se il modello è quello dell’integrazione, la
minaccia della castrazione si fa più terribile: non ne va solo del corpo individuale, ma
della possibilità stessa di essere integrati nel mondo o essere tagliati fuori, di avere
un contatto con l’alterità che possa essere cibernetico/elettrico, cioè dominante, o
fisico, parola che assume oggi i connotati di “primitivo”. A complicare le cose sta il
fatto che la diffusione mediatica non è omogenea; essa si dispone lungo dorsali