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Paesi ad un aumento del 10% per l’Islanda. Gli obiettivi comprendono le emissioni di
sei gas serra elencati nell’Annesso A del Protocollo.
Per entrare in vigore, il Protocollo deve essere ratificato (o accettato) da un numero di
Paesi dell’Annesso I della UNFCCC che comprendano il 55% delle emissioni di
anidride carbonica nel 1990.Fino ad un anno fa, centoventuno Paesi oltre alla Unione
Europea, avevano ratificato o accettato il Protocollo, raggiungendo il 44,2% delle
emissioni dell’Annesso I. La ratifica da parte della Russia ha portato la percentuale di
emissioni dell’Annesso I oltre il 55% rendendo il Protocollo di fatto in vigore. Gli Stati
Uniti, che rappresentano un quarto delle emissioni mondiali di gas serra e superano il
35% delle emissioni dell’Annesso I, hanno confermato l’intenzione di non ratificare il
Protocollo di Kyoto.
I Paesi dell’Annesso I possono raggiungere parte dei propri obiettivi di emissione
attraverso i cosiddetti “meccanismi di Kyoto”. L’articolo 12 del Protocollo di Kyoto
definisce lo strumento Clean Development Mechanism (CDM) che permette l’accredito
di Certified Emissions Reductions (CERs) da progetti localizzati in Paesi non compresi
nell’Annesso I che generino riduzioni di emissioni di gas serra o assorbimento degli
stessi gas. Una volta verificate e certificate da un certificatore indipendente, tali
riduzioni di emissioni possono essere utilizzate dai Paesi dell’Annesso I per rispettare i
propri limiti di emissione ed impegni di riduzione.
Gli altri due meccanismi ammessi dal Protocollo di Kyoto – progetti previsti
all’articolo 6 (Joint Implementation) ed Emission Trading secondo l’articolo 17-
permettono ad un Paese dell’Annesso I di acquistare, rispettivamente, riduzioni di
emissioni generate attraverso un progetto sviluppato in collaborazione con un altro
Paese dell’Annesso I (Emission Reduction Units –ERUs -) o quote di permessi di
emissione assegnate ad un altro Paese dell’Annesso I (Assigned Amount Units – AAUs
-) ed utilizzare tali quote per raggiungere i propri obiettivi. Le regole per
l’implementazione dei meccanismi di Kyoto sono definite negli Accordi di Marrakesh,
adottati durante la settima sessione della COP, svoltasi nel novembre 2001 in Marocco.
Gli Accordi di Marrakesh ammettono come eleggibili secondo le regole del CDM (nel
primo periodo) progetti di uso del territorio, cambio di destinazione d’uso e
forestazione, benché limitino queste attività di forestazione e ri-forestazione. La COP7
ha inoltre definito che i Paesi dell’Annesso I contabilizzino riduzioni di emissioni da
questi progetti solo fino ad un massimo dell’1% sulla propria base annua. La COP9,
10
tenutasi nel dicembre 2003 a Milano, ha risolto alcune delle questioni rimaste aperte
dalle precedenti negoziazioni.
In particolare, le riduzioni di emissioni da progetti di forestazione e ri-forestazione sono
ammesse fino ad un massimo di 60 anni, soggette a verifica e certificazione della
continua capacità di stoccaggio di CO2 ogni cinque anni.
Ci si aspetta che un efficiente mercato globale per le riduzioni di emissioni di gas serra
favorisca il raggiungimento dei target di riduzione delle emissioni ad un costo
competitivo e riduca il rischio di impatti ambientali (legati ai cambiamenti climatici)
sulle Regioni povere ed in via di sviluppo.
Risulta essere determinante il destinare capitale pubblico e privato al fine di mitigare i
cambiamenti climatici. Ed ancora, coinvolgere diversi stakeholders pubblici e privati
nel combattere i cambiamenti climatici è essenziale al fine di attuare un programma
sostenibile a lungo termine per la riduzione della concentrazione di gas serra in
atmosfera. Questo richiede la mobilitazione di capitale prevalentemente privato in una
scala senza precedenti nella gestione di un problema ambientale globale, e può essere
realizzato attraverso lo sviluppo di un mercato efficiente per l’acquisto ed il trading di
riduzioni di emissioni. Il Protocollo di Kyoto offre tale opportunità. E’ questo il
contesto in cui si inserisce l’istituzione dell’Italian Carbon Fund, ideato per fornire una
fonte di finanziamento per progetti di riduzione delle emissioni in Paesi in via di
sviluppo e con economie in transizione.
Le riduzioni di emissioni di carbonio rappresentano uno straordinario strumento per lo
sviluppo. Il carbon market offre l’opportunità di veicolare capitale privato verso
tecnologie pulite in Paesi in via di sviluppo e con economie in transizione, favorendo il
loro sviluppo sostenibile. Inoltre permette agli stessi Paesi di ridurre l’intensità delle
emissioni delle diverse attività economiche nel lungo periodo, riduzione difficile senza
un incremento degli investimenti esteri in tecnologie più pulite ed in infrastrutture a
maggior efficienza energetica.
Data la differenza nei costi di abbattimento delle emissioni tra Paesi OECD e Paesi più
poveri, risulta sorprendente che la risposta dai Paesi in via di sviluppo e con economie
in transizione sia stata limitata. Solo circa 200 milioni di tonnellate di anidride
carbonica equivalente sono state oggetto di scambio dall’inizio del Protocollo di Kyoto
nel 1997, con un prezzo internazionale compreso tra pochi centesimi per tonnellata e
circa $10. Questi prezzi rappresentano solo una frazione dei costi di abbattimento
11
necessari nei sistemi a maggior efficienza energetica dei Paesi dell’Annesso I, compresi
tra circa $15 e $100 o oltre a tonnellata .
A causa in parte delle incertezze relative alla entrata in vigore del Protocollo di Kyoto
ed alla mancanza di chiarezza sulle regole del mercato, il settore privato – in particolare
in Europa – è stato finora riluttante ad entrare nel mercato dei progetti di riduzioni di
emissioni secondo i meccanismi di CDM e JI. Ricerche di settore evidenziano come
acquirenti del settore privato preferiscano comperare riduzioni di emissioni da grandi
progetti in India, Indonesia ed in America Latina oppure in parternariati
pubblico/privato come il Prototype Carbon Fund, dove i rischi ed i costi di transazione
possono essere gestiti attraverso un ampio portafoglio di progetti, piuttosto che
acquistare direttamente da sponsor di progetto in Paesi più piccoli in via di sviluppo.
Tali Paesi, così come l’Africa o le aree più povere dei Paesi in via di sviluppo, che
generalmente tendono a ricevere minori investimenti esteri diretti, rischiano di non
ricevere alcun investimento significativo legato al carbon market.
Nel 2002 sono stati conclusi contratti per oltre 32 milioni di tonnellate di anidride
carbonica equivalente (tCO2eq); quasi 60 milioni di tCO2eq sono state oggetto di
transazioni nel 2003, con un incremento significativo rispetto al volume approssimativo
di 12 milioni di tCO2eq scambiate nel 2001. I primi progetti per la riduzione delle
emissioni di CO2 (i carbon project) sono stati sviluppati nei Paesi industrializzati,
mentre ora la percentuale di partecipazione dei Paesi in via di sviluppo nel mercato
delle transazioni di riduzioni di emissioni derivanti da progetti è in continua crescita, e
ha raggiunto una percentuale superiore all’80% negli ultimi due anni.
Gli accordi di Marrakesh hanno fornito maggiori certezze sulle riduzioni di emissioni
da Paesi in via di sviluppo. Tra il 2002 e il 2003, il 44% degli acquisti di carbon asset
da parte del settore privato è provenuto da Paesi in via di sviluppo. Di questi, la
maggioranza delle riduzioni proviene da progetti di ampie dimensioni in America
Latina ed in misura minore dall’Asia, mentre solo volumi ridotti sono associati a
progetti nelle regioni più povere dell’Asia e dell’Africa. Nei prossimi anni, si prevede
che una percentuale maggiore di riduzioni di emissioni derivi da progetti in India e
Cina.
Grazie alla proficua collaborazione con sei governi e 17 compagnie private, la Banca
Mondiale ha svolto un ruolo primario nello sviluppo del mercato delle riduzioni di
emissioni di gas serra attraverso il Prototype Carbon Fund (PCF). Operativo dal 2000,
12
la missione del PCF è seguire l’evoluzione del carbon market contestualmente alla
promozione dello sviluppo sostenibile,ed offrire un’opportunità di learning-bydoing ai
propri stakeholders.
Nel 2002, la Banca ha ampliato l’attività di partnership con il Ministero dell’Ambiente
Olandese con il lancio del Netherland Clean Development Mechanism Facility
(NCDMF), che acquista riduzioni di emissioni di gas serra in Paesi in via di sviluppo.
A seguito di consultazioni iniziali con il segretariato dell’UNFCCC e con
l’International Emission Trading Association (IETA), nel marzo 2003, la Banca
Mondiale ha istituito il Community Development Carbon Fund (CDCF) con il doppio
obiettivo di acquistare e facilitare la produzione di riduzioni di emissioni di gas serra di
alta qualità, da progetti di piccolo taglio che riducano la povertà e migliorino la qualità
della vita delle comunità locali nei Paesi più poveri e nelle aree in via di sviluppo. Il
CDCF è progettato per estendere la portata della carbon finance e del Clean
Development Mechanism ai Paesi in via di sviluppo che sarebbero altrimenti
potenzialmente esclusi dai loro benefici.
La Banca Mondiale ha lanciato il Biocarbon Fund nel novembre 2003, per veicolare
capitale privato a progetti pilota di assorbimento di gas serra in foreste ed ecosistemi
agricoli. Attualmente il mercato sta trascurando l’opportunità di rimuovere l’anidride
carbonica dall’atmosfera attraverso l’uso sostenibile del territorio, l’agricoltura e la
forestazione – incluso la ri-forestazione per la conservazione della biodiversità – e di
conseguenza sta perdendo l’opportunità di aumentare il supporto finanziario per le zone
rurali più povere attraverso l’utilizzo sostenibile delle risorse naturali. Infine, la carbon
sequestration – assorbimento di carbonio può essere la sola opzione significativa per
molte Nazioni povere che hanno poche attività industriali e limitati usi energetici per
beneficiare della carbon finance. Il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del
Territorio è l’agenzia capofila nelle politiche per i cambiamenti climatici a livello
italiano.
L’obiettivo di riduzione per l’Italia nel 2008-2012, secondo il Protocollo di Kyoto è del
6,5% rispetto alle emissioni del 1990. Le previsioni indicano che le emissioni
aumenteranno del 13% rispetto ai livelli del 1990, in un regime di business-as-usual. Ne
consegue che sarà richiesta nel 2008-2012 una riduzione di emissioni di circa il 19,5%.
Per rispondere a questa sfida, nel 1998 il Governo italiano ha adottato un Piano
Nazionale che prevedeva un numero di misure, comprese l’aumento di efficienza
energetica e l’uso di energia rinnovabile (attraverso incentivi come i certificati verdi),
13
l’implementazione di carbon sink domestici, la riduzione di gasolio per i trasporti, e la
riduzione dell’uso industriale e domestico di energia elettrica.
In aggiunta, la legge di ratifica del Protocollo di Kyoto, approvata dal parlamento
italiano il 1 giugno 2002, ammette il pieno uso dei meccanismi di Kyoto – Clean
Development Mechanism e Joint Implementation – per raggiungere l’obiettivo di
riduzione delle emissioni ad un costo competitivo e per promuovere lo sviluppo
sostenibile.
L’Italia è compresa nello schema di Emissions Trading dell’Unione Europea.
Recentemente il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio ha pubblicato la
bozza del Piano di Allocazione Nazionale, che prevede l’allocazione di un totale di
837,4 milioni di tonnellate di permessi alle sorgenti previste, nella prima fase 2005-
2007. L’allocazione proposta sarebbe annuale, a partire da 278,5 milioni di tonnellate di
permessi nel 2005, aumentati a 279,7 milioni di tonnellate di permessi nel 2006, poi
279,2 milioni di tonnellate di permessi nel 2007.
L’Italian Carbon Fund è stato istituito su richiesta del Ministero dell’Ambiente e della
Tutela del Territorio. Il Fondo è progettato per acquistare riduzioni di emissioni da
progetti compatibili con le regole dei meccanismi di Clean Development Mechanism e
Joint Implementation nonché con lo schema di Emissions Trading dell’Unione
Europea.
Le operazioni dell’ICF sono progettate per condividere competenze ed informazioni
con il Governo italiano e le attività imprenditoriali, riducendo i costi sia per il settore
pubblico che privato nel raggiungere i propri impegni per la riduzione di emissioni, e
contemporaneamente assistendo lo sviluppo dei Paesi ospite attraverso l’acquisto di
riduzioni di emissioni da progetti localizzati negli stessi.
14
1
EFFETTO SERRA E CAMBIAMENTI
CLIMATICI
1.1 EFFETTO SERRA E CAMBIAMENTI CLIMATICI
1.1.1 Descrizione del fenomeno
Il fenomeno dell’ effetto serra “naturale” consiste nel riscaldamento del pianeta grazie
all’azione di alcuni composti presenti nell’aria.
L’energia radiante proveniente dal sole viene in parte assorbita dalla superficie terrestre
e in parte riflessa verso l’alto sotto forma di radiazioni infrarosse ( radiazioni termiche).
Una parte consistente di queste radiazioni termiche viene assorbita e poi nuovamente
rilasciata verso la terra dalle molecole di alcuni gas presenti in atmosfera e che appunto
sono detti “ gas serra”. Permettendo alle radiazioni solari di passare attraverso
l’atmosfera, e trattenendo parzialmente le radiazioni infrarosse dirette verso lo spazio, i
gas serra agiscono come pannelli di vetro di una serra, che consentono l’ingresso del
calore e ne impediscono l’uscita, favorendo così l’accumulo di energia termica e il
conseguente riscaldamento della superficie del pianeta.
È stato stimato che, grazie alla presenza di gas serra, la temperatura media della terra
sia di circa 33°C superiore a quanto sarebbe stata senza la loro presenza: +15°C anziché
– 18°C.
1.1.2 I gas ad effetto serra (GHGs)
I principali gas serra si trovano naturalmente nell’atmosfera e sono:
• Biossido di carbonio (CO2)
• Metano (CH4)
• Protossido d’azoto (N2O)
• Ozono (O3)
15
• Vapor d’acqua (H2O)
Tuttavia alcune attività dell’uomo, legate alla crescita della popolazione mondiale e al
processo di industrializzazione, aumentano il livello di questi “greenhouse gas” e
liberano nell’aria altri gas serra di origine esclusivamente antropogenica e
particolarmente attivi, detti Alocarburi.
I più conosciuti sono:
• Idrofluorocarburi (HFC)
• Perfluorocarburi (PCF)
• Esafluoruro di zolfo (SF6)
Andiamo ad analizzare in dettaglio i gas serra sopra citati.
1.Anidride carbonica
L’anidride carbonica è forse il più importante dei gas serra ed è responsabile per circa il
70% dell’innalzamento dell’effetto serra. E’ presente sulla terra da oltre 4 miliardi di
anni in proporzioni anche maggiori del presente, con la rivoluzione industriale però la
sua concentrazione è cresciuta di circa il 30%, soprattutto nell’emisfero Nord.
L’anidride carbonica, che permane in atmosfera per circa un centinaio di anni, è
prodotta da alcune fonti naturali: principalmente dalla putrefazione delle piante
(umificazione), dalle eruzioni vulcaniche o come prodotto di scarto della respirazione
animale. Viene invece rimossa dall’acqua, soprattutto dalla superficie degli oceani, e
dalle piante, tramite la fotosintesi. Durante molte delle nostre attività quotidiane,
come l’uso della macchina, il riscaldamento delle
16
Figura 1.1.2a : livelli dell' anidride carbonica.
case, ma anche la produzione di energia elettrica, vengono bruciati grandi quantitativi
di combustibili fossili che rilasciano in atmosfera la CO2 immagazzinata milioni di anni
fa. A queste emissioni si aggiunge poi l’impatto della deforestazione, che si traduce non
solo in un rilascio della CO2 immagazzinata negli alberi, ma anche in una minor
superficie di assorbimento forestale.
2. Metano
Anche se meno presente della CO2, il metano produce 21 volte il calore di quest’ultima
ed è responsabile per il 20% dell’innalzamento dell’effetto serra.
Il metano è prodotto dai batteri responsabili della decomposizione della materia
organica, dalle discariche e dalla normale attività biologica di molti animali, come i
milioni di bovini presenti sulla terra. Si emette metano anche durante la produzione e il
trasporto di carbone e gas naturale.
Il metano è sequestrato dall’atmosfera nel processo naturale di formazione dell’acqua e
rimane in atmosfera per 11-12 anni, meno di molti altri gas serra.
17
Figura 1.1.2b : livelli del metano.
3.Protossido di azoto
Il protossido di azoto costituisce una piccolissima parte dell’atmosfera, ed è mille volte
meno presente della CO2 ma quasi 300 volte più potente nel trattenere il calore.
La concentrazione del protossido di azoto è cresciuta moltissimo negli ultimi decenni,
passando da 275 ppb del periodo pre-industriale ai 312 ppb del 1994 (vedi figura
1.1.2c).
Figura 1.1.2c : livelli del protossido di azoto.
La maggior parte del protossido di azoto in atmosfera deriva da processi
microbiologici. Nei terreni e nelle acque, le maggiori fonti di emissione di N2O sono i
processi di nitrificazione e denitrificazione, quest ultimo è il principale responsabile
18
delle emissioni di N2O in ambienti sotterranei. Si sono osservati anche fenomeni di
assorbimento del protossido di azoto da parte degli oceani, ma ad oggi la conoscenza su
come il suolo e sistemi marini fungano da sinks per questo gas è troppo ridotta per
considerare la loro importanza su scala globale.
4.Ozono
L’ozono è un componente essenziale dell’atmosfera, ma se negli strati più alti è utile
perché capace di filtrare la radiazione ultravioletta del sole verso la terra, negli strati più
bassi, nella troposfera, è da considerasi un inquinante (anche se il suo potenziale come
gas serra rispetto alla CO2 non è ancora stato calcolato).L’ozono è naturalmente creato
e distrutto dalle radiazioni ultraviolette: quelle più potenti lo creano a partire
dall’ossigeno, mentre le più deboli lo distruggono. Parte dell’ozono è anche prodotta
nei processi di inquinamento atmosferico.
L’ozono è coinvolto nella formazione delle piogge acide e la sua concentrazione può
provocare patologie respiratorie.
5.Vapore d’acqua
E’ il maggior responsabile del naturale effetto serra del nostro pianeta. La sua
concentrazione in atmosfera è molto variabile: nelle regioni polari, poichè l’aria fredda
trattiene poca acqua, l’atmosfera ne contiene pochissimo, ai tropici, al contrario, è
molto umido e l’atmosfera può quindi contenere fino a 4% di vapore acqueo.
Il vapore acqueo è un elemento importante nei processi di cambiamento climatico,
poiché, per questo effetto a catena: una crescita nelle temperature può portare ad un
aumento del vapore acqueo globale, che conduce, a sua volta, a un innalzamento
dell’effetto serra. In generale le attività umane hanno un basso impatto sui livelli di
vapore acqueo in atmosfera.
6.Alocarburi
I più conosciuti tra questi gas sono i CFC, clorofluorocarburi, gli HCFC,
idroclorofluorocarburi, e gli HFC, idrofluorocarburi. La concentrazione di questi gas in
19
atmosfera è molto bassa, ma il loro potenziale di riscaldamento è da 3.000 a 13.000
volte superiore della CO2. Gli alocarburi non derivano da processi naturali; la loro
presenza in atmosfera è attribuibile per la maggior parte alle attività umane. Fino alla
metà degli anni ’70 i CFC erano largamente impiegati come propellenti per le
bombolette spray, nei solventi e in alcuni collanti. Nel 1987, siglando il Protocollo di
Montreal, le nazioni del mondo hanno stretto un accordo per ridurre drasticamente l’uso
di questi gas lesivi dell’ozono atmosferico. I CFC sono stati in gran parte sostituiti dagli
HCFC, meno dannosi per l’ozono ma comunque nocivi per l'effetto serra poiché
contribuiscono al riscaldamento globale. Così mentre la concentrazione di CFC
diminuisce, quella degli altri gas aumenta. Oltre ad essere molto potenti, questi gas
permangono in aria per periodi molto lunghi, fino a 400 anni.
Per meglio definire l’apporto che ogni gas serra fornisce al fenomeno del riscaldamento
globale, è stato individuato un indice di misura del potenziale di riscaldamento globale:
Global Warning Potencial (GWP).
Questo indice rappresenta il rapporto fra il riscaldamento globale causato in un
determinato periodo di tempo da una certa quantità di una sostanza, e il riscaldamento
provocato dalla stessa quantità di anidride carbonica.
Solitamente i periodi di tempo utilizzati sono di 100 anni (il più comune), 500 anni o 20
anni. Naturalmente per scegliere quello più adatto per le circostanze considerate è bene
riferirsi al tempo di vita in atmosfera (Atmosfheric lifetime) del gas in esame (vedi
tabella 1.1.2d).
GWP = (Tg CO2eq )/ (Gg di Gas) X (1000Gg/ Tg)
Dove: Tg CO2eq = Teragrammi di diossido di carbonio equivalente;
Gg = Gigagrammi, equivalenti a 1000 tonnellate metriche;
Tg = Teragrammi;
L’IPCC (Intergovernamental Panel on Climate Change,vedi paragrafi successivi) ha
assegnato i valori di confronto tra i principali gas serra. Nella tabella sottostante sono
riportati i valori del GWP per vari gas e vari orizzonti temporali
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Gas
Formula
chimica
Tempo di
permanenza
in
atmosfera
(anni)
Global Warming Potential
(Time Horizon)
20 anni
100
anni
500 anni
CO2 CO2 variabile 1 1 1
Metano CH4 12±3 56 21 6,5
Protossido di azoto N2O 120 280 310 170
HFC-23 CHF3 264 9100 11700 9800
HFC-32 CH2F2 5,6 2100 650 200
HFC-41 CH3F 3,7 490 150 45
HFC-43-10mee C5H2F10 17,1 3000 1300 400
HFC-125 C2HF5 32,6 4600 2800 920
HFC-134 C2H2F4 10,6 2900 1000 310
HFC-134a CH2FCF3 14,6 3400 1300 420
21
HFC-152a C2H4F2 1,5 460 140 42
HFC-143 C2H3F3 3,8 1000 300 94
HFC-143a C2H3F3 48,3 5000 3800 1400
HFC-227ea C3HF7 36,5 4300 2900 950
HFC-236fa C3H2F6 209 5100 6300 4700
HFC-245ca C3H3F5 6,6 1800 560 170
Esafloruro di zolfo SF6 3200 16300 23900 34900
Perfluorometano CF4 50000 4400 6500 10000
Perfluoroetano C2F6 10000 6200 9200 14000
Perfluoropropano C3F8 2600 4800 7000 10100
Perfluorobutano C4F10 2600 4800 7000 10100
Perfluorociclobutano c-C4F8 3200 6000 8700 12700
Perfluoropentano C5F12 4100 5100 7500 11000
22
Perfluoroesano C6F14 3200 5000 7400 10700
Tab 1.1.2d : Valori del GWP per vari gas e vari orizzonti temporali.
Così , definendo il GWP della CO2 pari a 1, il metano ha un GWP pari a 21, il
clorofluorocarburo CFC-11 ha un GWP di 8500, e l’esafluoruro di zolfo SF6 ( che è un
gas serra estremamente potente) ha un GWP pari a 23900: il che significa che una
tonnellata di SF6 provoca un aumento dell’effetto serra pari a quello causato da 23900
tonnellate di CO2.
1.1.3 Variazioni climatiche osservate
Dall’inizio della Rivoluzione Industriale, la concentrazione atmosferica dell’anidride
carbonica è aumentata del 30% circa, la concentrazione del gas metano è più che
raddoppiata e la concentrazione dell’ossido nitroso (N2O) è cresciuta del 15%. Inoltre
dati recenti indicano che le velocità di crescita delle concentrazioni di questi gas, anche
se erano basse durante i primi anni ’90, ora sono comparabili a quelle particolarmente
alte registrate negli anni ’80.Nei Paesi più sviluppati, i combustibili fossili utilizzati per
le auto e i camion, per il riscaldamento negli edifici e per l’alimentazione delle
numerose centrali energetiche sono responsabili in misura del 95% delle emissioni
dell’anidride carbonica, del 20% di quelle del metano e del 15% per quanto riguarda
l’ossido nitroso (o protossido di azoto).
L’aumento dello sfruttamento agricolo, le varie produzioni industriali e le attività
minerarie contribuiscono ulteriormente per una buona fetta alle emissioni in atmosfera.
Anche la deforestazione contribuisce ad aumentare la concentrazione di anidride
carbonica nell’aria, infatti le piante sono in grado di ridurre la presenza della CO2
nell’aria attraverso l’organicizzazione mediante il processo fotosintetico. Il danno è
ancora più evidente se si pensa che nel corso degli incendi intenzionali che colpiscono
ogni anno le foreste tropicali viene emessa una quantità totale di anidride carbonica