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Capitolo 1: La portata della tutela del marchio rinomato
nella legislazione e nella giurisprudenza
1.1. L’evoluzione della funzione del marchio e il valore attrattivo dei segni distintivi –
1.2. La riforma e l’assetto normativo attuale in Italia e nella comunità europea -1.3. La
portata della tutela allargata nell’evoluzione giurisprudenziale della corte di Giustizia-
1.3.1. La sentenza “Davidoff” : l’estensione della tutela a prodotti e servizi identici o
affini-1.3.2. La sentenza “Adidas”: La sussistenza del “nesso” tra i segni distintivi -
1.3.3. La sentenza “Intel” :la modifica del comportamento economico del consumatore-
1.4. Il giudizio di affinità tra segni distintivi nel particolare ambito dei marchi notori e
l’ampiezza dell’estensione della tutela a prodotti e servizi non affini -1.5. Il profilo della
territorialità rispetto ai marchi notori: la tutela del marchio comunitario
1.1 L’evoluzione della funzione del marchio e il valore attrattivo
dei segni distintivi
Il marchio è un segno che, apposto ad un oggetto o riferito ad un servizio,
percepito o memorizzato dal pubblico, consente di distinguere i prodotti e i
servizi da quelli che tale segno non hanno: il marchio è dunque
essenzialmente un segno distintivo
1
.
L’accento posto dal legislatore sulla funzione distintiva del marchio è
confermato dal testo dell’attuale Codice della Proprietà Industriale
2
, che
all’art. 7 precisa che sono registrabili come marchi tutti i segni […] atti a
1
G. Sena, Il nuovo diritto dei marchi, Milano, 2007, pag. 46.
2
D.LGS 10.02.2005 n°30.
5
distinguere i prodotti o i servizi di un’impresa da quelli di altre imprese”,
mentre all’art 13 si parla di “carattere distintivo” come elemento essenziale
di esso.
Il segno, originale e nuovo, costituisce la forma essenziale del marchio di
impresa ed è in origine privo di qualsiasi significato, non dà alcuna
informazione. Semplicemente, è il nome del prodotto sul mercato, che
consente di individuarlo tra gli altri. Il marchio in sé dunque svolge in
origine una funzione meramente distintiva, senza alcuna valenza
significativa.
E’ chiaro infatti che presupposto della concorrenza è che il consumatore
possa attribuire i meriti e i demeriti dei prodotti e dei servizi che gli sono
offerti all’imprenditore da cui realmente provengono. La funzione
distintiva del marchio è dunque quella tipica prevista dalla legge; ma è
altrettanto evidente come il ruolo del marchio sul mercato non si esaurisca
in questa fattispecie, ed occorre chiedersi se dalla disciplina vigente si
possano desumere per i segni distintivi differenti funzioni giuridicamente
tutelate, prima tra tutte una funzione informativa.
6
In particolare, occorre chiedersi quali siano le caratteristiche
differenziatrici del prodotto che il marchio evoca, vale a dire quale sia il
messaggio distintivo che al riguardo il marchio comunica.
3
L’opinione tradizionale
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attribuiva al marchio la funzione essenziale di
indicazione d’origine dei prodotti o servizi da una data fonte produttiva.
Questa impostazione trovava fondamento nella normativa nazionale
5
, che
prevedeva la legittimazione esclusiva dell’imprenditore alla registrazione
del marchio (art. 22 l. m.), il divieto di cessione del marchio senza azienda
o ramo di essa (art.15 l.m.), la decadenza del marchio per cessazione
definitiva dell’impresa (art 43.2 l.m.).
Il riferimento esclusivo dell’ambito della tutela del marchio alla funzione di
indicazione d’origine si volgeva a tutela degli interessi facenti capo sia
all’impresa del titolare sia al pubblico dei consumatori, in rapporto al
rischio di confusione: al rischio cioè che a causa di equivoci sulla
provenienza dei prodotti di una certa impresa le scelte dei consumatori
potessero essere sviate
6
.
Questo “sviamento” avrebbe pregiudicato direttamente da una parte i
consumatori, la cui volontà di acquistare un determinato prodotto sarebbe
stata viziata dall’equivoco, attuandosi in favore di imprese diverse da
3
Vanzetti- Di Cataldo, Manuale di diritto industriale, Milano, 2012, pag. 153.
4
Vanzetti, La nuova legge marchi, Milano, 1993; Di Cataldo, I segni distintivi, Milano, 1985, pag 22.
5
R.D. 21 giugno 1942, n. 929, di seguito “Legge Marchi”.
6
Gustavo Ghidini, Profili evolutivi del diritto industriale, Milano, 2008, pag 234.
7
quelle volute; e dall’altra per riflesso le imprese titolari, in ragione della
perdita di clientela. Questa impostazione faceva sì che la tutela fosse
operante esclusivamente nei limiti del rischio di confusione tra i segni
distintivi confliggenti, che tipicamente sono definiti dall’uso del marchio in
settori identici o comunque merceologicamente affini. Al di là di tali limiti,
la eventuale identità o comunque forte somiglianza tra i segni distintivi non
ne rendeva di per sé illecita l’adozione, anche temporalmente successiva,
da parte di altre imprese, poiché non potendo verificarsi nessuna
confusione in merito all’impresa di provenienza dei beni e servizi offerti,
non era configurabile nessuna lesione dei sopracitati interessi.
E pertanto anche il fondamentale requisito della novità per la validità del
segno poteva ritenersi escluso solo se l’altrui adozione anteriore avesse
avuto luogo in riferimento a prodotti di genere identico o affine.
Senonché con la novella del 1992
7
i sopracitati riferimenti normativi sono
venuti a mancare, con l’inserimento nella disciplina posteriore alla riforma
di una serie di istituti che diluiscono lo stretto legame che nella normativa
precedente collegava il marchio ad una determinata impresa.
In particolare, è previsto che chiunque (dunque non necessariamente un
imprenditore) possa registrare un marchio (art 19 c.p.i.
8
), ed è stata
7
D.LGS 4 dicembre 1992 n. 480 ,introdotto in attuazione della Direttiva Comunitaria 89/104 C.E.E. sul
ravvicinamento delle legislazioni degli Stati Membri in materia di marchi d'impresa.
8
D.LGS 10.02.2005 n°30.
8
correlativamente da un lato eliminata l’ipotesi di decadenza per cessazione
dell’impresa (art 26 C.p.i), e dall’altro stabilita la libera cessione del
marchio, indipendentemente da una contestuale cessione dell’azienda o di
un ramo di essa (art 23 C.p.i
9
).
E’ dunque evidente come risulti attualmente impossibile continuare a
parlare di una funzione prevalente e giuridicamente protetta del marchio
come indicazione d’origine
10
, dal momento che il segno distintivo è oggi in
grado di circolare indipendentemente dall’impresa di riferimento.
Si deve dedurre dunque che il marchio d’impresa è di per sé un segno
meramente distintivo, che non comunica alcuna informazione aggiuntiva.
Ma è altrettanto fuor di dubbio che posto in relazione con altri fattori (la
pubblicità, le pratiche commerciali, le strategie di marketing) il marchio
possa acquisire un significato ulteriore, informando i consumatori sulla
qualità, la destinazione, il valore, l’origine commerciale, la provenienza
geografica del prodotto. In altre parole, il marchio, che in sé non fornisce
nessuna informazione, diventa attraverso l’ausilio di mezzi ulteriori
portatore di un messaggio.
9
Cfr anche art. 17 RMC 40/94. Attualmente il regolamento è stato sostituito dal Regolamento (CE) N.
207/2009 del consiglio. Per comodità si farà in seguito riferimento alla numerazione originale degli
articoli del precedente RMC 40/94.
10
G. Sena, op. cit, pag 49; Contra: Vanzetti ritiene che il marchio sia prevalentemente disciplinato e
protetto come indicazione d’origine. Cfr in tal senso Vanzetti, Osservazioni sulla tutela dei segni distintivi
nel Codice della Proprietà industriale, in Riv .Dir. Ind. 2006, I. Anche la Corte di Giustizia ha spesso
ribadito che la funzione essenziale del marchio consiste nel garantire al consumatore l’identità di origine
del prodotto, consentendo di distinguere tale prodotto da quelli di provenienza diversa. (Cfr. Corte CE,
22 giugno 1998, Canon kabushiki c. Metro Goldwin Mayer, in Giur. Ann. Dir. Ind. 1999, pag 1461).
9
Da un lato dunque il marchio è disciplinato in sé come oggetto di un diritto
assoluto di proprietà industriale, e la sua funzione è meramente distintiva.
Dall’altro, si presentano una serie di casi in cui il marchio, attraverso l’uso
concreto, acquista una particolare valenza informativa.
Senonché, perché la funzione informativa sia effettiva, occorre che la legge
assicuri la corrispondenza della realtà al messaggio comunicato dal segno,
prevenendo in tal modo un inganno nei confronti del consumatore.
La prospettiva che vede il marchio portatore di un messaggio determina
infatti il rischio che esso possa concorrere a fornire informazioni scorrette,
sia a causa della decettività dei messaggi che gli hanno attribuito un
significato mendace, sia a causa del riferimento a prodotti diversi da quelli
originariamente pubblicizzati. E’ evidente che la decettività non attiene al
segno in quanto tale ma al marchio visto con riferimento al contesto in cui
è utilizzato: occorre quindi tener conto delle informazioni, precisazioni,
rettifiche introdotte dal messaggio.
In tal senso si sono mosse sia la normativa comunitaria (art 50c RMC) e
nazionale (art 14° c.p.i.) prevedendo la decadenza del marchio per
decettività sopravvenuta a causa dell’uso che ne viene fatto.
Nella nostra legge in particolare l’esigenza di tutela del consumatore si
concreta in un vero e proprio “statuto di non decettività”, che si estrinseca
negli art. 14.2a e 21.2 c.p.i., in cui è prevista la decadenza ed il divieto
10
dell’uso del marchio se è tale da indurre in inganno il pubblico a causa del
modo e del contesto in cui viene utilizzato, e negli articoli 14 c1 b) (nullità
del marchio ingannevole) e 23 c) c.p.i. (divieto che dalla cessione del
marchio derivi inganno).
Alla luce di queste considerazioni si potrebbe pensare che a questo punto il
marchio si sia trasformato in una garanzia di costanza qualitativa nel tempo
dei prodotti contrassegnati.
Ma alla tesi che attribuisce al marchio una funzione di garanzia qualitativa
si è da tempo negato qualsiasi fondamento normativo, essendo indubbio
che l’imprenditore titolare del marchio possa modificare le caratteristiche
qualitative dei propri prodotti, nonché utilizzare lo stesso marchio per
contraddistinguere prodotti diversi
11
.
Non esiste infatti a carico del titolare nessuna previsione di un onere di
mantenimento nel tempo di identiche caratteristiche del prodotto
contrassegnato.
12
La funzione sopra richiamata del marchio come “messaggero” diviene
particolarmente evidente quando un segno è noto e affermato presso il
pubblico, divenendo così uno strumento di richiamo particolarmente
efficace.
11
G. Sena, op. cit. pag. 50.
12
Vanzetti- Di Cataldo, op. cit. pag. 154.
11
Si è cominciato così a parlare di un valore suggestivo o attrattivo del
marchio
13
, in grado di convogliare anche un “messaggio attrattivo della
domanda
14
”, e ciò in ragione sia della reputazione sostanziale del prodotto,
sia delle campagne pubblicitarie a sostegno di quest’ultimo, imperniate
appunto sul segno distintivo.
Un siffatto valore attrattivo tende di conseguenza a tradursi in un effetto
fidelizzante e quindi, in ultima analisi, in un fenomeno di “cattura
commerciale
15
”. Il marchio, in seguito all'uso e alla pubblicità, si carica
infatti di significati che vanno ben al di là della semplice espressione
letterale o grafica: non assolve più solo una funzione di distinzione dei
prodotti provenienti da una determinata impresa, ma anche una funzione di
collettore di clientela.
Questa capacità del marchio di attrarre clientela deriva, sostanzialmente da
due fattori. Il primo è la cosiddetta "funzione di garanzia" del marchio: il
consumatore, cioè, desume dal marchio apposto sul prodotto precise
indicazioni circa la qualità del prodotto e l'affidabilità dell'impresa che lo
ha fabbricato e messo in commercio. Tale effetto viene ottenuto mediante
una combinazione di fattori che comprendono prodotti di qualità, corretto
comportamento commerciale dell'impresa sul mercato e nei confronti della
clientela, iniziative promozionali e campagne pubblicitarie.
13
G. Sena, op. cit. pag 64.
14
C. Galli, Funzione del marchio e ampiezza della tutela, Milano, 1996, pag. 142.
15
G. Ghidini, Profili evolutivi del diritto industriale, op. cit., p. 255.
12
Questa valenza del marchio viene avvertita anche come fonte di maggiori
responsabilità dell'impresa nei confronti del pubblico dei consumatori,
specialmente sotto il profilo di un uso veritiero e non ingannevole del
marchio in merito alle caratteristiche e alla qualità dei prodotti.
In secondo luogo, il marchio, specie se riferito a beni di consumo e
particolarmente a quelli della moda, può anche assumere una funzione
evocativa di uno "status symbol". Il marchio, cioè, suscita nel
consumatore sensazioni che vanno ben al di là dell'affidabilità nei riguardi
di certe caratteristiche e qualità intrinseche dei prodotti che
contraddistingue, e tende sempre di più a evocare un determinato stile di
vita. Questa ulteriore caratteristica deriva soprattutto dalla pubblicità e
dalle attività che vengono svolte al fine di promuovere il prodotto e il
marchio, anche se, naturalmente, il prodotto deve possedere caratteristiche
congrue con lo "status symbol" che si intende evocare.
Si può dunque attualmente affermare che il marchio è un simbolo che
consente a un'impresa di comunicare un messaggio complesso alla clientela
per mezzo di un'espressione sintetica, che sia una parola o un disegno
16
. La
parola che costituisce il marchio viene infatti riconosciuta e percepita dal
consumatore come un unico messaggio globale in termini di garanzia di
qualità dei prodotti, affidabilità dell'impresa, appartenenza a un certo status.
16
Così Claudio Costa, La funzione commerciale del marchio, in www.mercatoglobale.it, 14/10/2012.