INTRODUZIONE
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Il Giappone, chiamato anche Paese del Sol Levante dai kanji che ne
compongono il nome 日本/日本国 (letteralmente “Origine del sole”), è ancora
oggi, per molti in Italia, un paese esotico e avvolto dal mistero. Conosciuto in
Italia generalmente come patria di samurai e di geishe, del sushi e del sakè,
dello shintoismo e del karate e, purtroppo, vittima dell’esplosione della bomba
atomica, il Giappone ha vissuto a partire del secolo scorso uno sviluppo
sorprendente. “Dalla seconda guerra mondiale, da cui ne uscì distrutto, questo
paese ha saputo evolversi in una potenza economica mondiale diventando
autore di una delle più incredibili rivoluzioni industriali e si è in breve imposto
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come gigante economico”.
Reduce di trecento anni di politica di autoesclusione, chiamata il Sakoku, il
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Giappone venne obbligato con la Convenzione di Kanagawa del 1854, ad
aprirsi al commercio con gli Stati Uniti. L’intera storia del Giappone è
caratterizzata da periodi di isolamento e da periodi di forti influenze del mondo
esterno e quindi la sua cultura moderna risulta essere una miscela di fattori
esterni e sviluppi interni.
L’avvicinamento con l’Occidente è stato possibile nel tempo grazie a scambi
commerciali e mediatici i quali hanno acconsentito ad una maggiore
conoscenza delle tradizioni, delle credenze e delle produzioni culturali dei
rispettivi popoli, ma non ha portato a una completa reciproca comprensione.
Nonostante questo, soprattutto nell’ultimo secolo alcuni aspetti sono stati
assorbiti.
Famoso per i prodotti ad alto contenuto tecnologico e associato a precisione,
puntualità e affidabilità, il Giappone odierno è entrato a far parte della cultura
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Nome con cui si indicano gli ideogrammi usati nella scrittura giapponese.
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Zaccagnino M. e Contrari S. “Manga: il Giappone alla conquista del mondo”, www.limesonline.com pubblicato il
31/10/07.
3 I
l 31 marzo 1854 venne conclusa la Convenzione di Kanagawa (日米和親条約, Nichibei Washin Jōyaku) o Trattato
Kanagawa (神奈川条約, Kanagawa Jōyaku) tra il Commodoro Matthew Perry della Marina degli Stati Uniti e l'Impero
del Giappone. Il trattato aprì i porti giapponesi di Shimoda e Hakodate al commercio con gli Stati Uniti, garantendo la
sicurezza per i naufraghi statunitensi e stabilendo un console permanente. Questo fu un trattato ineguale imposto al
Giappone dalla superiore forza della flotta navale di Perry. Comunque ciò portò alla fine dei trecento anni di politica di
autoesclusione del Giappone (Sakoku).
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popolare italiana anche con un biglietto da visita di ben altra specie: attraverso
le “immagini casuali, senza senso”, traduzione letterale dei segni che
compongono gli ideogrammi “man-ga” cioè il fumetto giapponese sviluppatosi
soprattutto nella seconda metà del ‘900 (che ad oggi risulta essere il genere di
lettura più diffuso in tutto il Giappone). Il manga, se di successo, viene
trasposto in una versione televisiva detta “anime”, contrazione del vocabolo
inglese “animation”, tradotto in Italia come “cartone animato giapponese”.
In realtà la traduzione italiana non è completamente adeguata, in quanto il
nome di “cartone animato” deriva dalla traduzione del “cartoon” americano,
nel quale Disney ebbe un ruolo piuttosto rilevante indirizzando il programma
prevalentemente ai bambini. Il cartoon per gli occidentali divenne un genere,
sinonimo di prodotti per bambini relegando le sue capacità espressive al
racconto per i più piccoli. Invece l’animazione giapponese degli ultimi
quarant’anni, come anche i manga, sono prodotti destinati a tutte le fasce di
pubblico.
Questa è una delle prime differenze tra cartoon e anime, cioè che il primo è in
prevalenza pensato per i bambini mentre il secondo no. Ciò che principalmente
evidenzia questa differenza è che in Giappone l’animazione non è un genere
bensì un linguaggio tramite il quale si affrontano i più disparati argomenti
essendo il diretto discendente del manga e quindi come questo, diretto a varie
fasce di pubblico. Così come vi sono differenze tra i cartoon e gli anime,
esistono differenze tra il fumetto occidentale e il manga, il fumetto
giapponese. Le differenze tra queste due espressioni culturali sono molteplici.
Una delle caratteristiche principali che anche chi non ha mai letto un manga sa
riconoscere immediatamente sono i giganteschi, coloratissimi e scintillanti
“occhioni” che ricoprono gran parte del volto dei protagonisti. Grazie a questo
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espediente i mangaka riescono a trasmettere il carattere del personaggio.
Altra caratteristica propria del manga è che questo entra nella vita quotidiana
delle persone di qualsiasi età o estrazione sociale e racconta storie di svariati
argomenti. Molti in Giappone, appena hanno qualche minuto di tempo, ad
esempio nel tragitto in treno per andare a lavoro o a scuola, sfogliano un
manga. Un espediente usato per far parlare i disegni senza l’uso delle scritte
sono le “linee cinetiche”, che venivano già usate anche in Europa, ma che in
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Letteralmente “esperto di fumetti”, si chiamano così i disegnatori professionisti di manga giapponesi.
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Giappone sono state assorbite e reinterpretate. Infatti queste particolari linee
rendono partecipe il lettore coinvolgendolo nella storia, cosa che non fa il
fumetto occidentale. Altre peculiarità del disegno nipponico sono, sia che
spesso i personaggi stessi dei manga interagiscono con il lettore, uscendo dai
riquadri delle vignette sia l’invenzione del disegno deformed, che consiste nello
stilizzare in maniera esageratamente buffa i personaggi. Nei manga che lo
utilizzano, la comicità sta proprio nel disegno mentre in Europa si ride molto
più per ciò che viene scritto anziché per come viene disegnato. Altra
caratteristica del manga sta nel raccontare un’intera storia divisa in capitoli
consequenziali, mentre il fumetto occidentale si basa il più delle volte su storie
del tipo autoconclusivo e quest’ultima novità fu determinante per la diffusione
del fumetto nipponico.
Comunque, sia il fumetto occidentale che quello giapponese sono letture ricche
e stimolanti. “Il manga in special modo è contenitore di molte emozioni …
[come ad esempio, il fatto che quando si arriva al termine di una] serie i
personaggi vengono salutati come delle persone care, che stanno per
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lasciarci”, come i personaggi dei maestri quali Takahashi Rumiko, Toriyama
Akira, Takeuchi Naoko che hanno fatto emozionare, piangere, ridere e
riflettere. I loro racconti hanno influenzato molti giovani, portandoli, ad
esempio, a dedicarsi al disegno.
“I manga nella cultura popolare italiana degli ultimi trent’anni” presenta
inizialmente una spiegazione sull’etimologia della parola, seguita da un
excursus sulla storia del fumetto giapponese e degli anime, soffermandosi su
alcuni degli autori più significativi e sui loro principali disegni. Primi fra tutti
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Tezuka Osamu chiamato anche il “Dio del manga”, codificatore di alcune delle
principali caratteristiche del manga contemporaneo, e Miyazaki Hayao noto
autore di animazioni conosciute a livello internazionale, ne è prova il premio
Oscar ottenuto nel 2005. Da qui si passerà a parlare della globalizzazione del
fumetto giapponese; per poi spiegare la nascita di un manga, il percorso dalla
mente dell’autore alla pubblicazione di un Tankōbon, volume di prestigio sul
quale vengono pubblicati i manga di maggior successo, e i criteri di
appartenenza ad una precisa categoria, data la vastità di generi di manga
presente ancora oggi in Giappone. Si proseguirà quindi sulle tematiche
5
Valenzi C.I., “Differenze tra fumetto e manga”, www.bibliotecacircolante.it , del 18/05/08.
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Nella lingua giapponese la sequenza è cognome nome.
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dominanti evidenziando il bagaglio di cultura esotica che ha esportato e il suo
impatto in Italia da Ufo Robot Gurendaiza (Ufo robot Grendizer, in Italia
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conosciuto come Atlas Ufo Robot, Goldrake) per poi passare a parlare della
“prima invasione” in Italia attraverso gli anime negli ultimi anni Settanta, e il
“second impact” avvenuto negli anni Novanta. Concludendo con le critiche che
hanno dato il benvenuto al manga nel nostro paese, e con gli studi, i saggi e le
associazioni che invece ha ispirato.
Negli ultimi anni il Giappone e la sua cultura hanno goduto in Occidente di un
notevole aumento di popolarità dovuto in parte alla diffusione di anime e
manga. Le principali cause di questa enorme diffusione mondiale si possono
sintetizzare nella seguente maniera: il prezzo è notevolmente più basso
rispetto ai fumetti ed ai cartoni animati americani; il mercato nipponico offre
una quantità di storie molto più grande e soprattutto offre pubblicazioni
destinate a vari tipi di pubblico; i manga e gli anime presentano una grafica ed
un disegno completamente nuovi; e per ultimo la presenza della cultura
giapponese, così nuova per la popolazione occidentale.
Obiettivo del presente elaborato sarà evidenziare come la lettura di manga e la
visione degli anime abbiano avuto un ruolo particolare in questa crescente
familiarità, diventando i principali esportatori della cultura nipponica nel
mondo, stuzzicando la curiosità dei lettori verso il Giappone.
Il fumetto e i cartoni animati giapponesi hanno stimolato l’interesse delle
nuove generazioni per l’Oriente e più precisamente per il Giappone.
Dall’iniziale fascinazione esotica si è passati ad un interesse diffuso, più
consapevole nei confronti delle espressioni culturali, come cinema e
letteratura, di quelle tradizionali e spirituali, arti marziali e religioni, e di alcuni
aspetti della quotidianità come l’arte culinaria e l’arredamento. Protagonista
dell’aumentato interesse verso il Sol Levante è soprattutto la Goldrake
Generation, definita così dallo scrittore Marco Pellitteri nel suo libro Mazinga
Nostalgia, nel quale fa riferimento a quella generazione cresciuta negli anni
Settanta e Ottanta, e che quindi ha vissuto in pieno la prima “invasione
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nipponica” soprattutto tramite la trasmissione sulle reti televisive italiane di
“Atlas Ufo Robot, Goldrake” da cui infatti riprende il nome. Generazione che
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Anime prodotto dalla Toei Animation, basato su un soggetto dell’autore Nagai Go dell’omonimo manga.
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Definizione comunemente usata con cui si identificano gli anni dal 1978 al 1985. Primo boom degli anime in Italia.
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ha poi rivolto “da grande” studi, interessi, viaggi, corsi, libri, riviste specializzate
e saggi proprio verso il Giappone, verso quella cultura che aveva imparato a
conoscere dalle pagine dei suoi autori preferiti.
CAPITOLO 1
“STORIA DEL MANGA”
1.1 Etimologia della parola
Il termine Manga 漫画 indica, ormai a livello globale, i fumetti giapponesi in
generale. Come parola risale all’epoca Tokugawa (chiamata anche epoca Edo
che copre il periodo dal 1603 al 1867), quando indicava un tipo di disegno
eseguito liberamente senza troppa cura. Fu per la prima volta coniato da
Hokusai Katsushika, artista che alla fine del XVIII sec, in alcune pubblicazioni,
percorrendo le principali vie di comunicazione del paese, ne riportò le vedute
più belle, tra cui quelle più comunemente conosciute del monte Fuji. Hokusai
Katsushika (1760-1849) disegnò nel 1814 quindici rotoli di immagini buffe,
bizzarre, caricature che chiamerà Hokusai Manga, gli ideogrammi che scelse
sono due: man con l’accezione di bizzarro e ga, cioè immagine; da quì il
significato di “immagini senza senso”.
“Nel corso degli anni altre denominazioni si sono affermate. In era Meiji (1868-
1912), le singole vignette comiche o satiriche erano definite odoke-e (disegno
comico)… Successivamente negli anni Taishō-Shōwa (1912-1989), il termine
manga si affermò in generale, arricchito … della connotazione del contenuto
comico. Nel dopoguerra [si diffusero anche] denominazioni come sutori manga,
[pronuncia giapponese di story manga] e gekiga [che sta per disegno-
rappresentazione], impostosi dalla fine degli anni ’50, che fa preciso
riferimento ad un tipo di fumetto dotato di un accentuato carattere realistico …
senza particolari intenti comici e rivolto ad un pubblico non necessariamente
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infantile”. In effetti il gekiga presenta contenuti crudi e drammatici non adatti
ai bambini.
9
Orsi M. T. “Il fumetto in Giappone: 1)l’evoluzione del manga dall’era Meiji alla guerra del Pacifico” , Il Giappone, vol
XVIII, 1978, p. 133.
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1.2 Storia ed evoluzione del manga
La storia del fumetto in Giappone viene fatta risalire all’era Meiji (1868-1912),
quindi collegandola indirettamente alla fase di industrializzazione del paese e
direttamente all’abrogazione del Sakoku (politica di isolazionismo praticata
durante il periodo Edo dallo shogunato Tokugawa 1603-1867), cioè la chiusura
del paese verso le potenze straniere, che conseguentemente diede il libero
accesso ai disegnatori stranieri nel paese, i quali ebbero in seguito un
importante ruolo nello sviluppo del manga.
Tuttavia il Giappone vanta di una lunga e ricca tradizione a proposito degli
antecedenti del manga. Se ne considera il punto di inizio durante l’epoca Heian
(749-1185) quando dalla Cina venne preso il metodo di pittura su rotolo come
lo emakimono, una pittura eseguita su rotoli di seta o di carta con illustrazioni
narrative. Trattavano soprattutto di temi umani come nel famoso Genji
Monogatari (Storia di Genji, il principe splendente) del XI sec. Per poi passare
all’epoca Tokugawa quando la narrativa popolare attraverso i cosiddetti ukiyo-
zoshi (I romanzi del mondo fluttuante che riportavano opere a colori) iniziò a
considerare l’illustrazione come indispensabile alla comprensione del testo.
Infine in epoca Meiji, ebbe luogo un nuovo tipo
di giornalismo, promosso da iniziative straniere
e favorito nel suo rapido sviluppo dall’elevato
livello dell’editoria giapponese, che si propose
come strumento di diffusione della vignetta
umoristica e satirica, dai contenuti politici e
interessata all’evoluzione dei costumi.
A fianco all’influenza di autori occidentali,
nasceva una forma grafica e narrativa ben più
vicina al fumetto moderno. La proposta venne
da Kitazawa Rakuten (1876-1955) fondatore nel
10
1905 del Tōkyō Pakku, prima rivista satirica
Fig. 1, Tagosaku To Mokube No Tokyo
giapponese, che dette vita al rinnovamento del
Kenbutsu, Kitazawa Rakuten, pubblicato sul
Jiji shinpō, ottobre 1902.
tratto del disegno. Il Tōkyō Pakku ebbe un
enorme successo, così immediato e duraturo che provocò la nascita di periodici
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Pronuncia giapponese di Tokyo Puck. Fu la prima rivista a colori. Presentava la novità del formato in folio, numerose
vignette stampate a litografia a quattro colori nelle quali si dispiegò l’abilità di Rakuten.
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che tentavano di ripeterne la formula, come il Tōkyō Hapi e l’Osaka Pakku.
Rakuten entrò a far parte dello staff del quotidiano Jiji shinpō, occupandosi del
supplemento domenicale (Jiji Manga), e in questo ambito, nel 1901,
comparvero le prime strisce in sei riquadri disposti in due sezioni, che
riportavano un minimo di struttura narrativa e di sequenza temporale.
Egli seppe esprimersi al meglio negli anni della sua partecipazione come
disegnatore di cartoons nella rivista Tōkyō Pakku. Fu di Rakuten il merito se il
cartoon giapponese si perfezionò a livello grafico, affinò le sue tecniche di
caricatura di ironia e di esagerazione, rappresentando un esame critico della
società e della vita politica donando al manga nuovi significati. Rakuten fu il
primo mangaka professionista del Giappone e il primo ad aver utilizzato il
termine manga nella concezione moderna.
Nell’era Taishō (1912-1926), il manga si sarebbe sviluppato di pari passo con
l’evoluzione dell’editoria e del giornalismo. Il manga risentì di questo periodo
di fermento dato che da una parte si affermò la grande editoria, si
intensificarono le pubblicazioni in edizione economica e dall’altra lo stimolo
crescente dato dal confronto con i movimenti d’avanguardia europei e
americani portò a ricerche innovative.
Il momento era del resto molto favorevole poiché vari quotidiani dedicarono
delle pagine alle vignette e si moltiplicavano le riviste di manga. Nacque la
prima rivista per ragazzi, Shōnen Kurabu (Shonen Club, club dei ragazzi),
pubblicata dalla Kōdansha nel 1914, mentre quella per ragazze, Shōjo Kurabu
(shōjo club, club delle ragazze), dalla stessa casa editrice, nacque nel 1923;
Manga del 1917 di carattere più popolare e la casa editrice Isobe Kōyōdō iniziò
nel 1918 a pubblicare la serie Manga sōshi in undici fascicoli dedicati a raccolte
di cartoons. In generale i soggetti presi in considerazione furono scene di vita
provinciale o cittadina, fatti di cronaca e politici sotto forma di vignette
satiriche e anche questo lo si deve al contributo di Kitazawa Rakuten.
L’ascesa costante del manga diede vita, nel 1915, all’organizzazione di mostre
annuali e alla nascita di associazioni di disegnatori, come la Tōkyō Mangakai
(Associazione del Manga di Tōkyō) divenuta poi Nihon Mangakai (Associazione
giapponese del Manga) cui aderirono gli artisti più noti del momento come
Okamoto Ippei (1886-1940), uno dei primi autori a rivolgersi al genere per
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ragazzi che si mise in luce grazie alla cronaca di un viaggio intorno al mondo che
intraprese nel 1922, riportandolo su carta con una serie di disegni raccolti
successivamente in due opere, che coglievano paesaggi, figure umane e stati
d’animo. Egli collaborò alla rivista Asahi Shinbun dal 1912, con disegni e
commenti dove si riconobbero i suoi pregi, tra cui la sicurezza del disegno,
l’abilità nel ritratto e la caricatura mai esagerata. Tuttavia si sottolineò anche i
suoi difetti quali la mancanza di vigore polemico e in particolare la mancanza
dell’analisi psicologica dei personaggi soprattutto politici, dei quali sottolineava
soltanto le caratteristiche esteriori.
Allievo di Okamoto Ippei fu Miyao Shigeo (1902–1983), che pubblicò “Le
cronache di viaggio di Dango Kushisuke”,
(il suo nome faceva riferimento alle
focaccine di riso, dango appunto, inserite
negli spiedini di bambù) un racconto di
ambientazione storica, prototipo di un
genere che sviluppò una grande
popolarità. Il protagonista appariva come
un samurai giovanissimo, che grazie alla
sua abilità con la spada e al suo coraggio
Fig. 2, Shochan no Boken (Le avventure di Shochan),
Kabashima Katsuichi, pubblicato su Asahi Gurafu,
supera innumerevoli ostacoli.
1923.
Contemporaneo del personaggio Dango fu
Shōchan no Bōken (Le avventure di Shōchan) pubblicato nel 1923 sul Asahi
gurafu, per opera di Oda Shōsei che ne curava il testo e di Kabashima Katsuichi
(1888-1965) che si occupava della grafica, autore noto per la tecnica
estremamente elaborata nella ricchezza del particolare e nella minuzia
fotografica del dettaglio che caratterizza i suoi disegni a penna come le vignette
di Shōchan no Bōken.
Destinato al manga per ragazzi, attraverso una garbata mescolanza di elementi
avventurosi, magici e fiabeschi, racconta le avventure di Shochan nel salvare la
città dalla minaccia di una specie di strega. Il dialogo esordisce per la prima
volta entro il fukidashi, la nuvoletta, e all’esterno del riquadro si trovano alcune
didascalie esplicative.
Tanto Shōchan no Bōken quanto Dango, in quanto indirizzati ad un pubblico
giovanile, costituirono un punto fermo nell’evoluzione del manga d’anteguerra.
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