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Le voci presentano i dovuti rimandi incrociati; ma cambiando
l’ordine dei fattori, il prodotto non cambia: la straordinaria poesia di
Montale.
Il (non) viaggio degli Ossi
Abbiamo cercato di ripercorrere il lunghissimo viaggio del poeta
ligure; la maggior parte dei luoghi citati è stata infatti fisicamente
visitata da Montale – tranne naturalmente l’immaginario Eldorado e
pochi altri (cfr. le voci «Città del Capo», «Ontario», «Carinzia»,
«Hudson») – che ne dà quindi testimonianza diretta e concreta. In
realtà la prima silloge – Ossi di seppia – è pervasa dalla staticità del
paesaggio ligure, dal Montale sedentario delle Cinque Terre, dove il
poeta soleva passare le estati della giovinezza nella casa di
Monterosso: «le parole viaggio/ viaggiare nella prima raccolta hanno
sempre e solo un valore metaforico-esistenziale tipico del simbolismo
naturale del Montale prima maniera» (Grignani 1998, 51). Cinque
Terre che non vengono mai nominate nelle liriche, ma solo fortemente
alluse, o descritte anche con dovizia di particolari; Cinque Terre che
sono specchio dell’anima del poeta, cui le lega una relazione
fortissima e contraddittoria: «il paesaggio delle Cinque terre e la “casa
delle sue estati lontane” costituiscono lo sfondo unico, fortemente
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emblematico, degli Ossi di seppia e del discorso sull’uomo e sul
mondo che in essi il poeta conduce» (Zoboli 2006, 36). Impossibile
quindi non riportare la voce corrispondente nel dizionario, e proprio la
voce «Cinque Terre», che rappresenta tutta la zona unitariamente,
come fosse una parte strutturale del poeta. La stessa Monterosso non
ha riscontri toponomastici nelle liriche, ma l’importanza straordinaria
di questo luogo nell’economia dell’opera montaliana – si veda anche il
racconto La casa delle due palme – è talmente tangibile e foriera di
significati da “meritarsi” il diritto di essere voce effettiva del
dizionario.
Sempre legato al paesaggio ligure è l’altro grande protagonista
degli Ossi, il mare, rappresentato dal Mediterraneo, il “mare di
mezzo” dove naufraga la vita del poeta. Poi incontriamo Rapallo, sede
d’incontro con l’amico poeta Camillo Sbarbaro, e quel torrente
Bisagno dove si verificano le prime metamorfosi montaliane –
Annetta che diviene Dafne –, che avranno sviluppi più complessi nelle
poesie successive.
Interessante è la citazione dantesca di Corsica e Capraia,
metafora dell’epifanica felicità rappresentata attraverso il dato
oggettivo e reale, secondo il quale le due isole sono difficilmente
avvistabili dalla costa ligure.
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Ề presente poi il ricordo dell’esperienza bellica del poeta in
Vallarsa, associata al piccolo paese di Valmorbia – poi Cumerlotti e
Anghébeni nelle Occasioni –, unico elemento che allontani lo sguardo
dalla riviera ligure insieme a quell’Eldorado – anch’esso presente pure
nelle Occasioni – che nella poesia Corno inglese apre una parentesi
favolosa, una vera e propria invocazione al leggendario mondo dorato.
Viaggio nel viaggio
Il viaggio vero e proprio ha inizio nelle Occasioni, dove si “apre” in
modo deciso la carta geografica del poeta, dove nasce il Montale
viaggiatore e «la parola viaggio viene ad assumere anche il significato
proprio» (Grignani 1998, 51); se la raccolta inizia ancora, in
collegamento ideale con gli Ossi, con il paesaggio delle Cinque Terre
– stavolta esplicitate nei paesi di Coniglia, Vernazza e nell’isola del
Tino –, subito ha inizio il tour attraverso l’Italia, con qualche tappa
europea, e «i luoghi salgono sovente all’onore del titolo […].
Senonché il legame tra titolo e testo sempre è o tenue o volutamente
trattato di scorcio, così che l’occasione-spinta sia oltrepassata
dall’imporsi di un messaggio esistenziale» (Grignani 1987, 32).
La Toscana ricopre sicuramente un ruolo da protagonista: il
lungo soggiorno fiorentino di Montale in qualità di direttore del
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Gabinetto Viesseux, legato anche e specialmente ai ricordi bellici
della seconda guerra mondiale e alla visita di Hitler nel capoluogo
toscano; la Versilia delle cure termali a Bagni di Lucca, che tornerà
nella Bufera in una veste più emotiva e memoriale; la gita a Siena
sullo sfondo di Piazza del Campo insieme a Clizia e all’amico
Sbarbaro; le casupole medioevali del monte Amiata, dove si riconosce
il paese di Arcidosso.
I dintorni di Capua, con l’ansa del fiume Volturno, fanno da
cornice alla fuga di Clizia per l’America, mentre il parco della Reggia
di Caserta è una sorta di teatro metafisico dove si rappresenta la
vicenda umana. Molto intenso, con dovizia di particolari coloriti sulla
vita del posto, è il ricordo di Pico Farnese, paesino del Lazio dove
risiedeva l’amico scrittore Tommaso Landolfi. Altri aneddoti sono
legati a Modena e Ravenna: il primo è reale e inerente a due bizzarri
sciacalli al guinzaglio, il secondo riguarda invece un’immaginaria
passeggiata sul porto Corsini con Dora Markus, la donna ebrea mai
effettivamente conosciuta dal poeta.
Un metafisico e oscuro carnevale veneziano chiude il giro
d’Italia delle Occasioni per lasciare spazio all’Europa: il velodromo
parigino di Buffalo, la piazza della città svizzera di Lindau, la gita in
barca sulla Marna francese e il concorso ippico nel Sussex inglese
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sulla spiaggia di Eastbourne; luoghi ed esperienze che lasciano tracce
importanti nel poeta, che ne annota particolari e caratteristiche per
riportarle poi alla propria vicenda personale.
Dove il viaggio diviene veramente ampio è nella Bufera, in
particolare nella sezione Flashes e dediche, vero e proprio taccuino in
versi di appunti, e dove «i lampi sono quelli di magnesio, cioè
istantanee di luoghi visti dal viaggiatore» (Grignani 1998, 55). L’Italia
è qui rappresentata da un ricordo della Lunigiana, da una gita nel
Chianti senese, da un viaggio in treno che passa dalla cittadina di
Sesto Calende, dalla Versilia (già incontrata), dalla collina fiorentina
di Fiesole, dall’Appennino romagnolo, dove finisce il metaforico
viaggio della donna-anguilla Clizia, e dal torinese Cottolengo,
identificativo della terra natia della poetessa Maria Luisa Spaziani,
l’interlocutrice prediletta della silloge. Poi la solita, immancabile
Liguria: ricordi prosastici nei poemetti Dov’era il tennis e Visita a
Fadin di una terra ormai snaturata dal passare degli anni, dove uguali
a prima ci sono soltanto le uve per lo sciacchetrà di Punta Corone e la
linea dell’orizzonte dell’isola di Palmaria. Ma compare anche, per la
prima volta, la città natale del poeta, quella Genova già tratteggiata dai
portici del quartiere portuale di Sottoripa, rumorosa e contraddittoria,
evocatrice di emozioni intense e dolorose.
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Poi inizia un viaggio intorno al mondo, soprattutto in qualità di
inviato del «Corriere della Sera»; a partire dal lembo di terra più
occidentale d’Europa, Finisterre, il cui nome evoca una fine prevista
dal poeta per la società occidentale; il viaggio nel Regno Unito che
attraversa la capitale Londra, Reading, la sontuosa cattedrale di Ely, la
Scozia di Glasgow ed Edimburgo, l’acquatico “Argyll Tour”, che
porta il poeta nell’affascinante grotta di Fingal, luogo suggestivo e
carico di significati. Corsi fluviali protagonisti assoluti della Bufera: il
Tamigi, lo Hudson e la Senna sono infatti gli emblemi dell’élite della
cultura occidentale – Inghilterra, Stati Uniti e Francia – che sta per
autodistruggersi.
Dal Mar Baltico inizia invece il viaggio metaforico della donna-
anguilla Clizia, che si concluderà nell’Appennino romagnolo. Al
fiume spagnolo Llobregat è legato un aneddoto inerente a una donna
misteriosa, mentre un aneddoto sicuramente riferibile alla Spaziani è
quello proveniente dallo svizzero Lago Lemano. Ma anche il cielo, e il
volo in particolare, riveste un ruolo importante nella silloge; la stessa
cattedrale di Ely è descritta durante un atterraggio aereo, così come
l’Acropoli di Atene e le affascinanti rovine dell’antica Palmira sono
ammirate dall’alto. Ma quello in Medioriente è anche e soprattutto un
viaggio on the road, in macchina attraverso la Siria e il Libano,
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ammirando la Moschea di Damasco, la città di Aleppo, la catena
montuosa dell’Antilibano che segna il confine tra i due paesi, il
deserto, tra guasti al motore e incontri suggestivi e surreali, sempre
avvolti da un’atmosfera di laica religiosità che traspare anche dalle
pagine del racconto-reportage Sulla strada di Damasco.
La carta geografica tracciata da Montale è quindi un favoloso
excursus della propria vita e della propria opera letteraria, divise
appunto in tappe; un viaggio intimo e personale che si fonde con uno
oggettivo e reale. Il viaggiatore Montale – ma anche quello sedentario
degli Ossi – incontra durante il percorso, o crede di incontrare, le
figure femminili fondamentali della propria storia, i tipici animali del
personale bestiario, perfezionando e arricchendo lo stile poetico e
narrativo, tendendo a una problematicità che va di pari passo con la
piena coscienza della sconfitta esistenziale. Il viaggiatore Montale
insomma, sembra trovare una piena maturità attraverso la conoscenza
del mondo, e tuttavia, chiudendo il cerchio della vita, le conclusioni
saranno le medesime del sedentario Montale degli Ossi.
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Semantica dei luoghi
Luoghi cartolina
Possiamo individuare tre funzioni semantiche fondamentali per la
toponomastica montaliana: luoghi citati per la loro specificità
oggettiva, luoghi citati per evocare e luoghi citati con valore di
“correlativo oggettivo”.
La prima categoria è quella dei cosiddetti “luoghi-cartolina”,
visitati dal poeta e ricordati nei versi. Ne troviamo nelle Occasioni:
Bagni di Lucca è legato ai soggiorni termali del poeta mentre Ponte
all’Asse – e in particolare l’osteria di Bibe – a ricche e piacevoli
mangiate fiorentine; sulla falsariga tra i portici di Modena avviene il
bizzarro incontro con gli sciacalli al guinzaglio. Nella Bufera Montale
ricorda una gita toscana nel Chianti senese, dove si annoverano i
passaggi sul torrente Ambretta e dal paesino di San Gusmè, con
doviziosa cura dei particolari paesaggistici. Stessa situazione in alcune
tappe del viaggio inglese del poeta del ’48: appunti dalla città di
Reading, dal fluviale Argyll tour scozzese, e dalla maestosa cattedrale
di Ely. Il fascino dell’Acropoli ateniese e delle rovine dell’antica
Aleppo fanno poi da cornice a un viaggio in Medioriente, le cui tappe
avranno ben altre implicazioni semantiche.
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Luoghi evocativi
I luoghi senza “secondo fine” si riducono sostanzialmente a
questi, mentre ben più nutrita si presenta la lista dei toponimi
evocanti. Già negli Ossi – poi ripresentato nelle Occasioni – è
presente l’unico luogo immaginario delle tre sillogi analizzate:
Eldorado. Il richiamo al mitico paese dell’oro dell’America latina,
ormai irrimediabilmente perduto, è anche motivo per introdurre la
ragazza peruviana Paola Nicoli, una delle protagoniste fondamentali
della poesia montaliana. Valmorbia, Cumerlotti e Anghebéni – il
primo negli Ossi, gli altri due nelle Occasioni – sono tre piccoli paesi
della Vallarsa, a cui aggiungere il fiume Leno, facenti parte dei ricordi
personali di guerra, quando Montale vi comandava un avamposto.
Riferibili alla seconda guerra mondiale, e al soggiorno fiorentino di
Montale in qualità di direttore del Gabinetto Viesseux, sono i versi
dedicati alla Martinella, la campana di Palazzo Vecchio, al paesino
collinare di Maiano, a Fiesole e a Ponte Santa Trinita, dove si
ricordano le distruzioni belliche subite dalla città toscana.
Il Bisagno è il torrente ligure dove è avvenuta la metamorfosi
dell’amata Annetta – altra presenza femminile costante – in Dafne. Le
evocazioni femminili sono tuttavia ancora più ricorrenti nelle
Occasioni; la figura predominante è senza dubbio quella di Clizia –
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l’americana Irma Brandeis –, la studiosa ebrea di Dante dedicataria
dell’intera silloge. La sua figura è ricordata da Montale in modi
estremamente diversi tra di loro. Talvolta si lega a eventi ben precisi
dove la donna è realmente presente, come durante il soggiorno
fiorentino (cfr. le voci «Arno», «Costa San Giorgio» e «Greve»), o
durante una gita a Siena (cfr. la voce «Piazza del Campo»); in altre
occasioni è il forzato ritorno – dovuto alle persecuzioni naziste in atto
– di Clizia in America, e la relativa dolorosa lontananza, a essere
protagonista dei versi; ritorno, o meglio fuga, che passa sul fiume
Volturno, nei pressi di Capua, o viene metaforizzata con la corsa del
Palio senese, fino a concludersi in Ontario, la patria natale. In mezzo
la profonda nostalgia per la donna, che sembra acuirsi
irreparabilmente proprio nella città natale del poeta, Genova, nei
quartieri portuali di Sottoripa dove i rumori e le voci familiari
divengono quelli di un intimo inferno. Ma l’aspetto forse più
importante a livello lirico e filosofico, è la trasfigurazione di Clizia in
donna-cristofora, unica salvatrice di un’umanità eletta; in particolare
nei borghi medioevali di Pico Farnese e del Monte Amiata, dove si
fondono sacro e profano, il poeta la chiama epifanicamente in causa,
nella veste di donna angelicata; veste rintracciabile anche tra gli stessi
ricordi di guerra (cfr. le voci «Martinella», «Anghébeni» e
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«Cumerlotti») dove viene eletta come unico ed efficace “rimedio” alla
barbarie bellica; epifanica speranza che si accende anche nei ricordi da
Finisterre, proprio per scongiurare la “fine della terra” e di se stesso.
L’ultima metamorfosi di Clizia è nella donna-anguilla della Bufera,
che percorre il suo lungo viaggio dal Mar Baltico, fino agli italici
Appennini e alle pozze d’acqua della Romagna, sprigionando una
straordinaria vitalità che si fonde empaticamente con il concetto
stesso di poesia.
Sempre nelle Occasioni è presente un’altra enigmatica figura
femminile che si divide tra un ricordo immaginario a Ravenna e la
Carinzia: si tratta di Dora Markus, anch’essa ebrea ma mai conosciuta
personalmente da Montale, in cui si incarnano gli echi dell’orrore
nazista e un misterioso erotismo.
La figura femminile predominante nella Bufera è invece quella
di Volpe, la poetessa piemontese Maria Luisa Spaziani. Volpe viene
evocata attraverso riferimenti ai suoi luoghi natali disseminati nelle
liriche: il torrente Agliena, la casa di cura torinese del Cottolengo, il
museo egizio di Torino, il giardino della casa della poetessa. Ma la
figura di Volpe ha riferimenti topografici ben più complessi e tortuosi;
in tutto il ciclo di poesie dedicato al viaggio mediorientale di Montale
(cfr. le voci «Damasco», «Siria», «Aleppo», «Antilibano»,
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«Palmira») l’immagine della donna si confonde con la profonda
religiosità orientale, dove Volpe diviene sì un Dio, ma un Dio intimo
del poeta che a sua volta diviene schiavo d’amore; «si tratta di una
geografia e di uno spazio fortemente simbolici, in cui soprattutto la
dimensione verticale ha a che fare piuttosto con riferimenti religiosi o
comunque culturali che fisici o astronomici» (Luperini 1984, 156).
Così le descrizioni delle meraviglie orientali – la moschea damascena,
le rovine di Aleppo, la catena montuosa dell’Antilibano, i deserti
siriani – sono sempre accompagnate dalla presenza della donna,
assimilata (cfr. la voce «Galilea») a figure emblematiche come la
Diotima di Hölderlin. Tracce di incontri passati emergono poi dalla
Lunigiana, da Sesto Calende, dal fiume spagnolo Llobregat, dal Lago
Lemano, e anche da quel viaggio inglese di cui si è accennato, in
particolare dalla scozzese grotta di Fingal – certamente anche
“correlativo oggettivo” della cavernosità dell’animo umano –, dove si
ricorda la felicità degli amanti durante una gita in tandem, o sul ponte
di Edimburgo, dove invece è l’assenza della donna a inquietare il
poeta.
Il ricordo dei cari estinti si collega invece alla proda versiliana,
dove s’intrecciano ancora il felice e favoloso passato e il presente
vuoto, come nella eliotiana Terra desolata; elemento memoriale, nei
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confronti della madre, rievocato anche dal Mesco, dove la memoria è
appunto una religione laica, salvatrice delle cose più care.
Infine la cittadina ligure di Rapallo, quale luogo d’incontro con
il grande amico e poeta Camillo Sbarbaro – anche in questo caso
appare evidente il “correlativo-oggettivo” della doppia anima, placida
e maledetta, di Sbarbaro –, e un non ben identificato luogo, la
Madonna dell’orto – probabilmente un vecchio sanatorio ligure –, che
fa da sfondo a una visita di Montale al capezzale di Sergio Fadin.
Luoghi “correlativo-oggettivo”
I luoghi intesi come “correlativo-oggettivo” – ovvero il
concetto poetico di stampo eliotiano secondo il quale una metafora si
realizza attraverso oggetti e concetti concreti – sono principalmente
quelli dell’infanzia del poeta, delle estati passate alle Cinque Terre, il
cui «suolo petroso e riarso […], diviene allora simbolo per eccellenza
di una condizione esistenziale di immobilità, di aridità e di sofferenza:
in formula divenuta celeberrima, “il male di vivere”» (Zoboli 2006,
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Portovenere, a Monterosso – luogo dove la famiglia del poeta aveva
una villa –, l’isola della Palmaria, Punta del Mesco, e tutti i paesini
che formano la Riviera ligure; ma anche le lontane coste del Sussex