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Introduzione
Questo elaborato di tesi triennale si prefigge di affrontare, tramite un percorso
culturale, storico e letterario, un tema così complesso e allo stesso tempo attuale, quale
quello della schiavitù in opposizione alle libertà dell’uomo. Al centro dello studio sarà
la campagna abolizionista contro il sistema schiavista, di grande importanza nello
scenario culturale dell’Inghilterra tra Settecento e Ottocento. Non si può fare a meno
di individuare nel profitto economico la causa principale di un tale meccanismo di
annullamento della dignità umana, secondo il quale la vita dello schiavo era ridotta a
semplice merce di scambio.
Analizzare l’evoluzione del contesto storico rappresenta, a mio avviso, il
metodo più utile per delineare l’origine e gli sviluppi dei meccanismi che hanno dato
forma alla mentalità odierna. I fatti del 2020, in particolare la morte di George Perry
Floyd avvenuta il 25 maggio in seguito all’arresto da parte di quattro agenti della
polizia di Minneapolis negli Stati Uniti d’America, hanno riportato sotto i riflettori
gravi problematiche, prima fra tutte quella legata all’abuso di potere. Se in precedenza
le motivazioni di tali soprusi erano di matrice economica, nel corso della storia una
vera e propria ideologia razzista si è radicata nella società.
Partendo dal presupposto che il compito oggi svolto dai media, ossia quello di
trasmettere l’informazione a livello globale al fine di suscitare delle reazioni nella
popolazione, spettava precedentemente in gran parte alla letteratura, ci si interesserà
alle fonti artistico-letterarie che hanno dato voce all’abolizionismo nel diciottesimo e
diciannovesimo secolo. Attualmente è grazie ai nuovi mezzi di diffusione
dell’informazione che l’omicidio di Floyd e quelli di tanti altri afroamericani hanno
innescato proteste a livello mondiale, fino ad arrivare alla creazione del movimento
attivista internazionale Black Lives Matter.
Essendo io stessa una studentessa universitaria di lingue, culture e letterature
straniere attenta al tema della diversità e dell’inclusione, mi sono sentita
particolarmente motivata nel procedere con la stesura del presente elaborato.
L’obiettivo è infatti quello di fornire una chiave di lettura dei fatti di attualità attraverso
l’esplorazione delle discriminazioni e dell’opposizione tra forme di schiavitù e libertà
nel panorama letterario inglese del tempo, analizzando le opere dei vari autori che si
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sono impegnati sul fronte dell’abolizionismo e della schiavitù. Sarà fondamentale
rintracciare gli avvenimenti storico-culturali che hanno condotto all’emanazione dello
Slavery Abolition Act del 1833 e le figure rivoluzionarie nell’ambito letterario – e non
solo – come le donne scrittrici e William Blake.
Lo studio è articolato in tre capitoli: nel primo capitolo si forniranno le basi del
contesto storico che ha permesso il passaggio dalla schiavitù all’abolizionismo. Dopo
aver brevemente definito la mentalità colonialista, sarà descritta la tratta atlantica e le
difficoltà fronteggiate dagli schiavi durante il terribile viaggio. Molta attenzione sarà
prestata a quei personaggi politici che hanno agito in favore della libertà contro gli
interessi economici degli schiavisti: non si parlerebbe di abolizionismo, ad esempio,
senza i contributi di William Wilberforce e di Thomas Clarkson e senza le
testimonianze di cui essi si servirono per la propaganda della causa.
Il secondo capitolo permetterà poi di concentrarsi sulle opere letterarie che più
hanno rappresentato l’ideologia abolizionista, come le critiche mosse da Samuel
Taylor Coleridge con il discorso On the Slave Trade e soprattutto la poesia femminile.
Capiremo in che modo le scrittrici si sentirono coinvolte e vicine alla situazione degli
schiavi. Essi vivevano all’epoca una condizione per certi versi simile a quella delle
donne, ancora private del riconoscimento della propria individualità. Helen Maria
Williams, Anna Laetitia Barbauld e Amelia Opie trasmisero con i rispettivi
componimenti poetici le sofferenze degli oppressi, ispirate dagli ideali
protofemministi espressi da Mary Wollstonecraft nel 1792 in A Vindication of the
Rights of Woman. Tra gli altri, il loro operato sarà il principale oggetto di discussione
della parte centrale del lavoro di tesi.
Infine, collegando ulteriormente le due forme di costrizione – quelle dello
schiavo e della donna – il terzo capitolo esaminerà uno scrittore e artista complesso,
rivoluzionario e molto rilevante in Inghilterra e all’estero quale William Blake, fedele
seguace delle orme della Wollstonecraft. Di Blake si analizzeranno alcune delle
illustrazioni presenti nel libro di John Stedman Narrative of a Five Years Expedition
Against the Revolted Negroes of Surinam e poesie come The Little Black Boy e Visions
of the Daughters of Albion. Quest’ultima opera, pubblicata nel 1793, va ben oltre
l’affermazione delle libertà dello schiavo di colore. Servendosi del linguaggio figurato
e del simbolismo che sempre lo contraddistinse, l’autore rifletté ancora una volta sulle
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costrizioni del mondo femminile nel periodo di pieno sviluppo del Romanticismo
inglese.
Sarà così possibile comprendere il percorso che ha condotto alle varie
conquiste raggiunte in merito alle libertà e ai diritti dell’individuo, risultati che saranno
discussi più approfonditamente nelle conclusioni. Tuttavia, si terrà sempre conto dei
limiti che ancora emergono dai fatti di attualità. Gli omicidi compiuti dalle forze
dell’ordine negli Stati Uniti hanno scatenato e continuano a scatenare rivolte da parte
della popolazione, lo slogan Black Lives Matter è costantemente presente sugli schermi
e tra le pagine dei quotidiani, testimonianze paragonabili a quelle utilizzate durante la
campagna abolizionista. La letteratura, l’arte, la musica svolgono forse una funzione
secondaria nell’era della post globalizzazione, ma non è venuta meno la richiesta del
riconoscimento dell’uguaglianza tra gli esseri umani, un’uguaglianza che prescinde
dal profitto o dai condizionamenti sociali e che – purtroppo – neanche nel XXI secolo
può dirsi pienamente raggiunta.
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Capitolo 1
Il contesto: tra schiavitù e abolizionismo
Delineare con chiarezza gli avvenimenti che condussero prima allo Slave Trade Act
del 1807 e successivamente al più definitivo Slavery Abolition Act del 1833 non
rappresenta un compito facile, in quanto furono tante le personalità di rilievo che
contribuirono a modificare il già burrascoso corso degli eventi.
A cavallo tra il diciottesimo e il diciannovesimo secolo, la tratta degli schiavi
comportava innumerevoli profitti all’Impero britannico. Di conseguenza, la mentalità
della maggior parte della popolazione, fortemente schiavista e abituata ai flussi
commerciali di uomini, donne e bambini africani attraverso l’Oceano Atlantico
dall’Africa centrale alle West Indies, era favorevole all’accrescimento di tali vantaggi
economici.
Quando nel 1787 apparve pubblicamente la frase “Am I Not a Man and a
Brother?” come slogan del medaglione di Josiah Wedgwood che raffigurava uno
schiavo in catene inginocchiato, questo divenne ben presto il logo della campagna
antischiavista. La diffusione delle idee abolizioniste aumentò molto nel paese e venne
supportata con vari mezzi di comunicazione. Il logo recava, come si è detto,
l’immagine di un uomo di colore in catene, inginocchiato in attesa del riconoscimento
di alcuni diritti umani fondamentali: la libertà, l’uguaglianza, la propria umanità.
"Am I not a Man and a Brother?"
Official Medallion and Motto of the British Society for Effecting the Abolition of the Slave Trade
(1787).
Immagine tratta da https://oll.libertyfund.org/pages/images-of-the-british-abolitionist-movement.
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Nello stesso anno, avvenne anche un altro fatto di primaria importanza per gli
sviluppi della mentalità abolizionista: William Wilberforce abbracciò la causa,
unendosi ad attivisti come Thomas Clarkson, Granville Sharps, Hannah More e
impegnandosi in Parlamento nella lotta contro lo slave trade. Wilberforce diventò la
figura principale, una sorta di guida per gli abolizionisti in Inghilterra, i cui molteplici
sforzi contribuirono alla promulgazione del tanto atteso Slave Trade Act.
Nonostante l’illegalità della schiavitù in suolo britannico sancita dal
Somersett’s trial o Mansfield Judgment nel 1772 e il successivo Slave Trade Act del
1807, tali pratiche continuarono. In realtà la legge del 1807 non rese la libertà agli
schiavi nelle piantagioni americane, i quali venivano ancora sfruttati e costretti a vivere
in condizioni disumane. Importante fu però la sua risonanza a livello internazionale:
anche altre potenze coloniali – ad esempio la Francia e i Paesi Bassi – si impegnarono
a favore dell’abolizione della tratta. Infine, fu con lo Slavery Abolition Act del 1833
che la schiavitù poté essere considerata definitivamente abolita all’interno delle
colonie britanniche.
In ambito inglese, durante i primi anni dell’Ottocento svariate furono le
proteste e le riflessioni sulla commercializzazione degli africani, sull’uguaglianza e sui
diritti che spettano all’essere umano in quanto tale. L’obiettivo era quello di abbattere
le pratiche disumane e allo stesso tempo disumanizzanti degli schiavisti, generatesi in
un contesto coloniale e imperialista, due ambiti in cui - come è ben noto - la patria
della lingua inglese svolse un ruolo da protagonista.
1.1 Colonialismo, imperialismo, schiavismo
Il colonialismo, termine che indica l’atteggiamento di dominio assunto da diversi Stati
europei nei confronti di altri territori a partire dal XVI secolo, è il fenomeno che pose
le basi per lo sviluppo di un sistema più complesso quale quello dell’imperialismo,
sviluppatosi successivamente, nel XIX secolo. Secondo quanto affermato dagli
studiosi inglesi Fulford e Kitson:
By the end of the nineteenth century, the British Empire was territorially the largest
empire in world history, its population of over 400 million people to be found in all
regions of the globe. Colonialism shaped the early nineteenth-century church, with the