2
Negli Stati retti da governi democratici, invece, il valore dello sport è
rappresentato dallo sviluppo della personalità umana e l’attività agonistica non
può che adeguarsi a questa esigenza.
Con la fine della II guerra mondiale, poi, si sviluppano modelli
ordinamentali diversi, che possono dividersi in due grandi filoni: quello
liberistico e quello interventista.
Nel primo l’attività sportiva, essendo un’attività sociale, appartiene ai
cittadini, e spetta al movimento sportivo organizzare tale attività,
rappresentarne gli interessi e supportare la politica socio-sanitaria dello Stato
che, da parte sua, deve promuovere lo sviluppo e la crescita della pratica
sportiva.
Il modello interventista è invece caratterizzato dal fatto che la pratica
sportiva deve sottostare agli indirizzi che lo Stato detta, per adempiere ai
compiti istituzionali di promotore del benessere della collettività; il movimento
sportivo gode di un’autonomia limitata ai profili tecnici.
Con il passare degli anni, le differenze tra i due modelli si sono
assottigliate, soprattutto in Italia, laddove l’ordinamento sportivo si è
manifestato con caratteristiche originali, tanto da renderlo difficilmente
inquadrabile all’interno di uno dei suddetti modelli: si è così parlato di un
tertium genus, noto come “Modello Italia”.
L’ordinamento sportivo italiano, infatti, trova anch’esso
nell’associazionismo e nel volontariato il proprio fulcro e risulta dotato di
un’ampia autonomia economica e normativa perché caratterizzato da una
naturale spontaneità e da una sostanziale omogeneità di base. L’ordinamento
giuridico statale, però, ha dovuto iniziare ad occuparsi della pratica sportiva, in
quanto, con il passare del tempo, questa ha assunto dimensioni tali da incidere
sulla complessiva vita sociale. Ciò in conseguenza della perdita, da parte del
fenomeno sportivo, del carattere dell’occasionalità. Con l’incessante diffondersi
dell’attività sportiva si è creata una struttura con una propria disciplina
generale: è nato così un sistema organizzato, con norme proprie.
Punto di partenza per la nascita di questo sistema, che comporta inoltre
il riconoscimento alle discipline sportive della qualità di ordinamento giuridico,
3
è il passaggio dall’agonismo cosiddetto «programmato» all’«agonismo a
programma illimitato»
2
.
Tutti i giochi di competizione, sportivi e non, si possono svolgere con due
diverse modalità: senza creare alcun collegamento tra le prove, che restano
così isolate (agonismo occasionale), oppure collegandole tra loro, allo scopo di
desumere, valutando comparativamente i risultati, la graduatoria dei giocatori
(agonismo programmatico). Le gare di quest’ultima categoria si dividono in
due classi: a) quella delle gare a programma limitato (in cui le graduatorie
riguardano solo i giocatori appartenenti ad una determinata comunità); b)
quella delle gare a programma illimitato (in cui le graduatorie si riferiscono ai
giocatori appartenenti a tutte le comunità del mondo).
Il passaggio dall’agonismo occasionale all’agonismo programmatico
illimitato ha segnato nei giochi sportivi una profonda rivoluzione, sul piano
sociologico, ma soprattutto sul piano giuridico, ed ha provocato la profonda
trasformazione dalla quale ha avuto origine lo sport moderno.
Nell’agonismo occasionale, o a programma limitato non si presentano
particolari problemi organizzativi. Viceversa, nell’agonismo a programma
illimitato diviene necessario fissare regole scritte, per evitare il pericolo di
variazioni che renderebbero non comparabili i risultati; inoltre, devono essere
creati meccanismi di controllo, d’accertamento, di utilizzazione e di
archiviazione dei risultati. E da qui deriva la necessità di organi che si
occupano della redazione, dell’accertamento e dell’applicazione delle regole.
Solo i giochi competitivi programmatici a programma illimitato sono
collegati anche da interconnessioni a rilevanza giuridica e costituiscono in ogni
sistema un ordinamento giuridico
3
. La rilevanza di questo passaggio è
soprattutto giuridica in relazione al principio di eguaglianza: le organizzazioni
sportive hanno dovuto ispirarsi ad un ideale di uguaglianza e di giustizia che
non trova riscontro in nessun ordinamento giuridico generale. Il requisito di
tutti i giochi competitivi è costituito dalla “par condicio” dei giocatori.
2
T. MARANI, Gli ordinamenti sportivi, 1977.
3
T. MARANI, Sport, in Nuovissimo Digesto italiano, XVIII, 1971, 49 e 50.
4
È quindi nella seconda metà dell’800 che hanno inizio e si sviluppano le
moderne organizzazioni sportive. L’organizzazione dello sport si è dovuta
adeguare alle nuove dimensioni del fenomeno sportivo. L’ordinamento sportivo
assicura, attraverso una regolamentazione precisa ed ispirata al principio di
uguaglianza, il rispetto di criteri omogenei garantendo che lo stesso principio
sarà rispettato da tutti i paesi, da parte di tutti i futuri giocatori.
L’ordinamento sportivo nasce, quindi, con il passaggio dall’agonismo non
programmatico, o a programma limitato, all’agonismo a programma illimitato.
I giochi sportivi sono divenuti ordinamento allorché il gioco si è eternato
dandosi uno scopo, che non ha limiti di durata e di spazio, e per il
perseguimento del quale è stato necessario che l’organizzazione e la
normazione acquistassero le caratteristiche che sono peculiari degli
ordinamenti giuridici
4
.
Pertanto l’associazione sportiva, considerato che l’evoluzione del
fenomeno aveva comportato la formulazione di principi e regole sempre più
puntuali ed internazionali, è progressivamente diventata un ordinamento
giuridico, sia a livello statale che sovrastatale; in questo differenziandosi
rispetto a molte altre formazioni sociali meritevoli di rilievo e di tutela.
Il fenomeno sportivo, con il passare del tempo, ha quindi assunto
connotati e significati nuovi, che lo hanno catapultato in una diversa
dimensione: non più solo ludica, ma anche e soprattutto economica. Da questo
punto di vista, infatti, lo sport rappresenta ormai una rilevante percentuale del
commercio mondiale ed è attraversato sempre di più da molteplici interessi
extrasportivi. Peraltro, è da sottolineare che grande accentuazione di dette
mutazioni proviene, oggettivamente, dalla quotazione in borsa delle società
sportive (soprattutto di quelle calcistiche), prevista e consentita dalla legge 18
novembre 1996, n. 586.
Il settore maggiormente coinvolto da tali trasformazioni, sul quale
concentrerò la mia attenzione, è quello calcistico.
Il calcio, da più parti definito come lo “sport nazionale”, da tempo
monopolizza sempre più l’attenzione dei tifosi per vicende legate a questioni
4
P. D’ONOFRIO, Sport e giustizia, 2004, 30 ss.
5
economiche: le mancate iscrizioni ai vari campionati per falsi in bilancio; i
dissesti finanziari ed i fallimenti delle società calcistiche, alcune delle quali di
radicamento diffuso e antico (come la Fiorentina ed il Napoli).
Il recente c.d. “scandalo calciopoli”, che ha coinvolto il “sistema calcio” e
l’immediatamente precedente “scandalo” relativo alla società Genoa calcio
sono gli esempi più clamorosi di quanto il mondo dello sport (e soprattutto
quello del calcio) si stia allontanando da quei valori che, invece, dovrebbero
rappresentare le fondamenta su cui costruire lo stesso.
In conseguenza di ciò, il fenomeno “sport” è, quindi, “investito” da una
serie di situazioni che avevano ed hanno del paradossale, se raffrontate all’idea
dello stesso come un gioco, un divertimento.
A questo si deve aggiungere, anche come conseguenza del contesto
descritto, che - da ormai un quindicennio - il principio dell’assoluta autonomia
della giustizia sportiva (c.d. “domestica”), in passato affermato senza rilevanti
contestazioni, ha trovato smentita in ripetute “incursioni” della magistratura
dello Stato, in particolare di quella amministrativa, in ragione della c.d.
“sovranità e supremazia” dell’ordinamento statuale; valgano, come esempio, i
numerosi casi di radiazione di società o di mancata iscrizione delle stesse ai
campionati, portati all’attenzione del Giudice statale. C’è da aggiungere che,
spesso, in tali occasioni, le decisioni giudiziarie hanno finito per prevalere.
Lo sport e gli interessi extrasportivi da cui, negli ultimi anni, lo stesso
risulta investito, oggi, costituiscono, non solo in Italia, una vera e propria
“industria”, stante l’oggettiva prevalenza degli aspetti economico-finanziari.
Perciò, il c.d. “sistema di giustizia domestica” ha finito per manifestarsi
come insufficiente a garantire l’effettiva tutela degli interessi, già accennati,
che oggi dominano l’industria sportiva, proprio per la loro rilevanza e la loro
portata. Ed è soprattutto il già citato scandalo “calciopoli” ad essere
dimostrazione di quanto il sistema di giustizia interno all’ordinamento sportivo
sia non idoneo alla salvaguardia degli interessi dei soggetti che sono membri
dell’ordinamento de quo. L’eccessiva sommarietà dei processi sportivi, in cui le
esigenze di immediatezza mal si conciliano con gli interessi coinvolti, comporta
6
il “doveroso” ricorso alla giurisdizione statale, proprio al fine di tutelare, in
modo adeguato, siffatti interessi.
La “ratio” dell’esistenza stessa del sistema di giustizia sportiva deve
essere individuata nella necessità di pervenire ad una decisione in tempi celeri,
in modo da garantire il regolare svolgimento dei campionati. Ma proprio tale
esigenza può condurre ad una eccessiva sommarietà del processo, a discapito
del diritto di difesa degli imputati; e una tale sommarietà non può più essere
“tollerata”: oggi, lo sport non è un’attività meramente agonistica, ma
soprattutto economica (tant’è vero che alcune importanti Società calcistiche
sono quotate in borsa). Quindi, l’unico procedimento per ovviare e rimediare a
tale sommarietà è il ricorso alla giustizia statale.
Proprio le “incursioni” più incisive del Giudice statale nella “giustizia
domestica” dello sport (il c.d. “caso Catania”, nell’estate 2003) sono state
determinanti affinché il Legislatore statuale intervenisse al fine di dirimere il
conflitto tra gli organi di giustizia sportiva e quelli statali, individuando le
materie di competenza di quest’ultimi.
Invero, la l. 280 del 2003 è stata emanata al fine di arginare le spinte
“eversive” apportate all’ordinamento sportivo della FIGC in quel contesto,
soprattutto a causa delle numerose decisioni dei TAR regionali favorevoli ad
una riammissione nei campionati nazionali di calcio, serie B e C1, delle società
calcistiche, con sede nel medesimo capoluogo del Tribunale Amministrativo
Regionale adito, prima escluse dai rispettivi tornei.
Ad oggi il conflitto tra gli organi di giustizia, sportiva e non, è tutt’ altro
che risolto, stante la continua diatriba in merito a ciò che è rilevante per
l’ordinamento generale, e ciò che invece non lo è. E l’istituzione, ad opera del
CONI (Comitato Olimpico Nazionale Italiano), della Camera di Conciliazione ed
Arbitrato per lo Sport, quale organismo di giurisdizione sportiva di ultima
istanza, con compiti consultivi e amministrativi per procedure alternative di
soluzione delle liti, non ha certamente semplificato la effettiva risoluzione delle
controversie sorte in ambito sportivo.
Invero, la Camera di Conciliazione e Arbitrato per lo sport, con il nuovo
Statuto del CONI, è stata soppressa e sdoppiata, come funzioni, in un
7
Tribunale Arbitrale dello sport (competente a dirimere le sole controversie
tra le Federazioni, che l’hanno introdotto nei propri statuti, e i loro affiliati) e in
un'Alta Corte di Giustizia Sportiva (una specie di corte di cassazione dello
sport). La riforma, finalizzata a rafforzare la terzietà degli Organi di Giustizia
del CONI, non può essere ancora oggetto di una approfondita valutazione, in
quanto poche sono state le occasioni in cui tali organi sono intervenuti.
Le controversie sportive possono distinguersi, in relazione all’identità e
alla qualità delle parti contrapposte, in quattro categorie:
a) controversie in cui nessuna delle parti è un’istituzione
sportiva o un soggetto ad essa affiliato, ma vertente su ambiti
connessi allo sport;
b) controversie in cui una sola delle parti è un’istituzione sportiva;
c) controversie in cui una sola delle parti è un soggetto affiliato ad
un’istituzione sportiva;
d) controversie in cui entrambe le parti sono istituzioni sportive o
soggetti affiliati ad esse.
Quest’ultime possono suddividersi ulteriormente in controversie di natura
tecnica, economica, amministrativa e disciplinare.
L’oggetto del mio discorso sarà incentrato proprio sulle controversie di
cui alla suddetta lett. d).
Le controversie ascrivibili ai primi tre punti non creano particolari
problemi, poiché difficilmente potranno trovare sede di risoluzione negli
strumenti creati in seno alle istituzioni sportive, cioè nell’ambito della c.d.
“giurisdizione domestica”. Ad esse, stante il coinvolgimento di un soggetto
estraneo all’ordinamento sportivo, per unanime opinione, sono deputati gli
organi giurisdizionali statali in riferimento agli interessi concreti correlati alle
posizioni soggettive fatte valere (diritti soggettivi, interessi legittimi, etc.).
Invece, è nell’ambito della categoria di controversie in cui entrambe le
parti sono istituzioni sportive e/o soggetti ad esse affiliati che si viene a creare
il (sopra citato) problema di sovrapposizione tra l’ordinamento statale e
l’ordinamento sportivo. Mentre, a livello teorico, in tali casi, dovrebbero trovare
8
piena applicazione gli strumenti interni o di “giustizia domestica”, nella realtà
pratica la situazione risulta essere molto complessa.
In tale ambito, soprattutto, si è, così, venuto a creare un continuo, e non
ancora definito, confronto – scontro tra l’ordinamento sportivo e l’ordinamento
statale: il primo “rivendica” la propria autonomia, in ragione della sua
specialità; il secondo esclude che tale autonomia possa definirsi assoluta,
riconoscendo, come legittimo, l’intervento del Giudice statuale, in virtù della
“supremazia” dell’ordinamento generale (ordinamento statale) su quello
particolare (ovvero quello sportivo).
La complessità è determinata, non solo, dalla tendenza di club ed atleti,
eventualmente non soddisfatti dalle decisioni adottate dagli organi di giustizia
sportiva, di ricorrere sempre di più alla giustizia statale, per la tutela dei propri
interessi, ritenendo insufficienti le garanzie procedurali fornite dal sistema di
giustizia sportiva, rispetto a quanto previsto nell’ambito dell’ordinamento
statale.
Ma anche, e soprattutto, dal fatto che il soggetto dell’ordinamento
sportivo è, allo stesso tempo, anche soggetto dell’ordinamento statale e,
quindi, come tale, portatore di diritti soggettivi ed interessi legittimi. Non è
possibile, perciò, disconoscere in capo a tale soggetto la possibilità di ricorrere
ad un Giudice statale, in virtù degli artt. 24, 111 e 113 della Costituzione,
laddove lamenti una lesione della sua sfera giuridica. Né è accettabile l’idea
che diritti soggettivi ed interessi legittimi, tutelabili rispettivamente dinanzi al
Giudice ordinario e al Giudice amministrativo, possano essere conosciuti solo
dagli organi di giustizia sportiva.
9
CAPITOLO I
I RAPPORTI TRA ORDINAMENTO SPORTIVO ED
ORDINAMENTO STATALE
10
Sezione I
NOZIONE DI ORDINAMENTO GIURIDICO E TEORIA DELLA
PLURALITÀ DEGLI ORDINAMENTI
Prima di qualunque tentativo di definire l’ordinamento sportivo ed il suo
rapporto con l’ordinamento statale, si manifesta opportuno, per ragioni di
chiarezza, inquadrare il concetto di “ordinamento giuridico” nella sua attuale
configurazione.
Il concetto di ordinamento giuridico è stato oggetto di un attento
approfondimento da parte della dottrina al fine di ricostruirne il significato. Le
teorie che hanno avuto maggior peso sono due.
In una prima fase, predominante è la dottrina “normativista”,
elaborata da Hans Kelsen
5
, in forza della quale l’ordinamento giuridico consta
di un insieme di norme e viene individuato come “sistema normativo”,
composto dal solo elemento della “normazione”. Al vertice dell’ordinamento vi
è la norma fondamentale, identificata dal giurista nel generale dovere,
sussistente in capo a tutti i cittadini, di obbedienza alle norme medesime.
In un secondo momento, prende corpo la teoria “istituzionalista” di
Santi Romano
6
, che considera l’ordinamento come un complesso sistema di
fattori regolatori della società, dotati di valenze diversificate, di efficacia e
persuasività nell’ambito della “Nazione”. Solo all’interno di questa complessa
architettura deve essere collocata la norma, la quale è caratterizzata dal potere
della cogenza e dalla peculiare caratteristica della sanzionabilità, attuata
mediante l’esercizio della giurisdizione. La teoria de quo nega quella
normativista, ritiene che il solo elemento della “normazione” non sia sufficiente
ad esprimere il concetto di ordinamento giuridico. L’insufficienza della nozione
di diritto, come esclusivo insieme di norme, si manifesterebbe, così,
soprattutto, quando si ha riguardo all’intero ordinamento giuridico di uno
Stato. Ciò, poiché l’ordinamento giuridico di uno Stato va ben oltre l’idea dello
stesso come insieme di regole. Il concetto di ordinamento giuridico si
5
H. KELSEN, Lineamenti di dottrina pura del diritto, 2000.
6
S. ROMANO, L’ordinamento giuridico. Studi sul concetto, le fonti e i caratteri del diritto, 1917.
11
sovrappone e coincide con quello di società (“ubi societas, ibi ius”), in quanto
esso risulta essere il prodotto della coscienza sociale: l’elemento della
normazione è preceduto dagli elementi della plurisoggettività e
dell’organizzazione.
Tre sono dunque gli elementi essenziali di un ordinamento giuridico:
Normazione;
Società, come unità ulteriore e distinta degli individui;
L’ordine sociale, che comprende ogni elemento normativo
extragiuridico
7
.
La teoria in questione perviene ad affermare l’esistenza di una “pluralità
di ordinamenti giuridici”
8
: invero, all’interno di ogni ordinamento statale si
collocano una serie di fenomeni associazionistici complessi e di carattere
collettivo, considerati a tutti gli effetti degli “ordinamenti giuridici
settoriali”, dotati cioè di una certa propria autonomia, seppur operanti nel
rispetto della supremazia dell’ordinamento statale.
Secondo il principio della pluralità degli ordinamenti giuridici, ogni
associazione che possieda i caratteri della plurisoggettività (presenza di più
soggetti), dell’organizzazione (governata da propri organi interni) e della
normazione (capacità di emanare norme interne) è definibile come
Ordinamento Giuridico o Istituzione.
Naturalmente, pur essendoci una pluralità di ordinamenti giuridici, uno
di questi deve fatalmente trovarsi in posizione di supremazia rispetto agli altri;
posizione che viene occupata dall’ordinamento giuridico statale, essendo lo
Stato l’unica istituzione portatrice di interessi universali e dotata di sovranità.
7
Il momento normativo, come afferma Santi Romano, può essere considerato elemento
dell’ordinamento giuridico, ma non può senz’altro esaurirlo: a conferma di ciò egli richiama
l’esperienza di ordinamenti giuridici come quelli di Common Law, in cui non si rinvengono
norme scritte e nei quali non trova posto la figura del legislatore, ma solo quella del giudice: il
momento giuridico non coincide con quello normativo, che manca quasi completamente, ma si
identifica nel potere del magistrato, il quale esprime l’obiettiva coscienza sociale, ovvero la
volontà dell’ordinamento stesso. P. D’ONOFRIO, Sport e giustizia, cit., 15.
8
Conferma di tale pluralismo ci viene fornita dalla sentenza della Corte di Cassazione, sez. un.,
11 febbraio 1978, n. 625.
12
La Costituzione italiana conferma e legittima tale pluralismo di
ordinamenti, riconoscendo:
l’autonomia funzionale delle formazioni sociali, costituendo
quest’ultime un momento di espressione della personalità
dell’individuo (art. 2)
9
;
il diritto di associazione in generale (art. 18)
10
.
Sulla base di quanto detto, il fenomeno associazionistico sportivo rientra
nella categoria degli ordinamenti settoriali: invero, “è convincimento diffuso tra
i giuristi italiani odierni che il complesso mondo degli sportivi costituisca un
ordinamento giuridico”
11
.
Esso presenta i tre elementi essenziali suddetti di plurisoggettività,
organizzazione e normazione
12
.
La plurisoggettività è data dall’esistenza di un congruo numero di
soggetti, persone fisiche ovvero persone giuridiche, i quali volontariamente si
riconoscono in un determinato corpus normativo, che costituisce la
normazione. A tale corpo di norme risulta affiancato un articolato sistema di
giustizia sportiva. L’organizzazione viene in rilievo come un insieme di
elementi, costituendo un complesso logicamente collegato di persone e di
servizi e destinato a svolgere tutte le funzioni necessarie per la vitalità e lo
sviluppo dell’ordinamento. L’organizzazione deve essere permanente e
duratura e viene esercitata sui soggetti che compongono l’ordinamento. Tra
organizzazione e normazione corrono, inoltre, strettissimi vincoli, di interazione
simultanea: l’organizzazione pone le norme, ma contemporaneamente queste
creano l’organizzazione; ogni modifica dell’una è modifica dell’altra
13
.
Il riconoscimento della natura giuridica dell’ordinamento sportivo poggia,
come detto, sull’applicazione del metodo pluralistico: Giannini, riprendendo e
sviluppando le riflessioni di Santi Romano e Cesarini - Sforza, si contrappose a
quei diversi orientamenti volti a considerare il fenomeno sportivo “nient’altro
9
L’art. 2 della Costituzione sancisce: “La repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili
dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e
richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”.
10
L’art. 18, comma 1, della Costituzione sancisce: “I cittadini hanno diritto di associarsi
liberamente, senza autorizzazione, per fini che non sono vietati ai singoli dalla legge penale”.
11
M.S. GIANNINI, Prime osservazioni sugli ordinamenti giuridici sportivi, in Riv. Dir. Sportivo,
1999, 25 ss.
12
P. D’ONOFRIO, Sport e giustizia, 2004, 13 ss.
13
P. D’ONOFRIO, Sport e giustizia, cit., 40, 41 e 42.
13
che un complesso o sistema di giochi” e dimostrò l’essenza ordinamentale del
fenomeno sportivo riconoscendo in esso i tre, sopra citati, elementi costitutivi
di un ordinamento giuridico.
Questi elementi sono propri di ogni singola Federazione sportiva
nazionale affiliata, per l’Italia, al CONI (Comitato Olimpico Nazionale Italiano),
nonché di ogni singola Federazione sportiva internazionale e del CIO (Comitato
Internazionale Olimpico). Tutte organizzazioni dotate di una loro autonomia, la
quale si esprime attraverso la costituzione di propri organi, di propri sistemi
normativi autonomi e strumenti di tutela differenziati. Pertanto, è evidente la
possibilità di distinguere ordinamenti sportivi aventi carattere nazionale (le
Federazioni sportive nazionali ed il CONI), da ordinamenti sportivi aventi
carattere transnazionale (il CIO e le Federazioni internazionali); ugualmente, è
innegabile l’esistenza di un coordinamento tra questi vari ordinamenti,
attraverso meccanismi di affiliazione e di riconoscimento.
Deve essere, però, precisato che mentre l’ordinamento sportivo
internazionale presenta il carattere dell’originalità, nel senso che la sua
“costituzione (…) fonda la propria efficacia esclusivamente sulla forza
dell’ordinamento stesso, e non su quella di altri ordinamenti”, quello nazionale
risulta essere invece derivato, in quanto quest’ultimo, a differenza del primo,
trova il proprio titolo di validità nell’ordinamento statale e non in sé stesso
14
.
Per il nostro Legislatore, l’esistenza di un ordinamento sportivo
internazionale appare una solida certezza; lo Statuto del CONI richiama
l’espressione di continuo. L’art. 1 della l. 280/2003 (infra cap. II sez. I)
afferma: “La Repubblica Italiana riconosce e favorisce l’autonomia
dell’ordinamento sportivo nazionale, quale articolazione dell’ordinamento
sportivo internazionale facente capo al CIO”.
Nonostante ciò, l’ordinamento sportivo sovrastale, differentemente da
quello nazionale, appare come una realtà del tutto evanescente, tanto che
sembra opportuno chiedersi se l’impostazione richiamata debba essere data
per certa o se non sia lecito avanzare dei dubbi.
14
T. MARTINES, Diritto costituzionale, 1989, 38; M.S. GIANNINI, Prime osservazioni sugli
ordinamenti giuridici sportivi, cit., 17 ss.
14
Innanzitutto, è necessario considerare che il CIO, il quale dovrebbe
fungere da elemento cardine di questo ordinamento internazionale, non risulta
dotato di personalità giuridica internazionale. La soggettività giuridica del CIO,
avente sede a Losanna, è di diritto svizzero ed i contratti che il CIO stipula in
occasione delle Olimpiadi, con la città ospitante e con il Comitato Olimpico
Nazionale, non sono accordi internazionali, bensì contratti sottoposti alla legge
nazionale svizzera. Pertanto, non si vede come il CIO possa svolgere il ruolo di
ente esponenziale di un ordinamento sovranazionale.
Allo stesso modo, oltre al carattere d’internazionalità, ciò che manca è
anche un vero rapporto gerarchico tra le varie organizzazioni coinvolte. Le
Federazioni sportive internazionali, ferma restando la loro attività di direzione e
riconoscimento delle Federazioni nazionali, esercitano un potere di
regolamentazione e organizzazione programmatica dell’attività agonistica
relativa ad una disciplina sportiva; tale potere, che costituisce la loro principale
attribuzione, non deriva in alcuna maniera dal CIO, il quale ha potere solo di
riconoscere la Federazione, al fine di includere la relativa disciplina sportiva nel
programma olimpico.
L’ordinamento sportivo sovranazionale è, quindi, originario, in quanto
esclusivamente competente ad individuare le regole per lo svolgimento delle
competizioni sportive, ma non sovrano, per l’assenza di piena effettività
nell’ambito delle diverse compagini territoriali.
Così, escluso che si possa parlare di un ordinamento sportivo
internazionale separato e trasversale rispetto ai singoli ordinamenti statali,
appare molto più proficuo ragionare di una pluralità di ordinamenti sportivi i
quali acquistano una propria dimensione nel confronto dialettico che instaurano
con i poteri del singolo Stato, nel cui territorio sono radicati. E ciò vale, non
solo per gli ordinamenti sportivi a carattere nazionale, ma anche per quelli
internazionali se è vero che i contratti stipulati dal CIO sono contratti di diritto
svizzero e i lodi emessi dal Tribunale Internazionale dello Sport di Losanna
sono lodi elvetici.
15
15
A. MERONE, Il diritto dello sport, in Juris Works, 2006, 24 ss.