quello cioè intimato senza preavviso e, in caso di contratto a tempo
determinato, prima della scadenza del termine.
Queste due norme vanno così a costituire il fondamento della
disciplina dei licenziamenti individuali, completate dalla previsione di
alcune limitazioni del potere di licenziare del datore: vengono
contemplati periodi di limitazione temporale durante i quali viene
escluso il licenziamento ad nutum e consentito solo quello per giusta
causa, per situazioni di particolare debolezza del prestatore quali ad
es. infortunio, malattia, gravidanza e puerperio (artt.2110-2111 c.c.).
Verso la fine degli anni quaranta cominciarono a manifestarsi in sede
dottrinale le prime perplessità sull’identificabilità del recesso ad
nutum con quello arbitrario, con conseguente ammissione della sua
censurabilità sotto il profilo del motivo illecito ex art.1345 c.c. e
venne evidenziata una mancanza di coordinamento tra l’art.4 Cost. e il
Codice civile. In quest’ultimo infatti il licenziamento è inserito
nell’ambito di una normativa ispirata al principio di piena libertà di
recedere unilateralmente, per entrambi i contraenti; nell’art.4 Cost.
invece viene data rilevanza all’interesse alla conservazione del posto
di lavoro del lavoratore subordinato, non trovando così conferma la
configurazione paritaria delle due parti del contratto di lavoro.
Durante gli anni sessanta sono stati approvati diversi provvedimenti in
materia : il d.p.r. 14 luglio 1960 n.1011 che recepisce l’A.I. 18
ottobre 1950 sui licenziamenti individuali, il d.p.r. 14 luglio 1960
n.1019 che recepisce l’A.I. 20 dicembre 1950 sui licenziamenti
collettivi per riduzione del personale e si è avuta la conclusione
dell’A.I. 29 aprile 1965.
Tutti questi elementi hanno costituito l’antecedente per l’emanazione
di un’organica disciplina legislativa in materia di licenziamento: la
legge 15 luglio 1966 n.604. Quest’ultima evidenzia la tendenza al
superamento dello schema sopra descritto che prevedeva la parità
contrattuale tra i contraenti: il nucleo centrale della nuova disciplina è
rappresentato dal principio in base al quale la legittimità del
licenziamento è subordinata alla sussistenza di una giusta causa o di
un giustificato motivo (per una specifica trattazione del contenuto
della tutela c.d. “obbligatoria” introdotta con l’art.8 l.604/66 si rinvia
al cap.4, par.1). Si assiste così al “rovesciamento dell’originaria
prospettiva concettuale consentendo di configurare il potere di recesso
come sottratto alla sfera di libera determinazione del soggetto in capo
al quale, viceversa, può sorgere e diventare produttivo di effetti
soltanto quando ricorrano tutti i requisiti di legge e, quindi, nella
misura in cui risulti funzionale alla realizzazione dell’interesse tutelato
dalla norma.”
2
In particolare la legge introduce, accanto alla giusta causa (ex art.2119
c.c.), la figura del giustificato motivo di licenziamento con preavviso,
tipizzandone due distinte ipotesi: quella del “notevole inadempimento
degli obblighi contrattuali del prestatore di lavoro” (giustificato
motivo soggettivo) e quella delle “ragioni inerenti all’attività
produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento
di essa” (giustificato motivo oggettivo).
Pur mirando ad adeguare la disciplina positiva del licenziamento al
dettato costituzionale e all’evoluzione della contrattazione collettiva,
la l.604/66 finisce però con il creare nuovi problemi di coordinamento
soprattutto nei riguardi della disciplina del codice civile. Questi
problemi si pongono soprattutto con riferimento agli artt.2118, 2219
c.c. e ad altre disposizioni che presuppongono l’esistenza di un regime
di recedibilità ad nutum: si tratta in particolare di definire con
esattezza i rapporti di lavoro cui continua ad applicarsi esclusivamente
la disciplina dell’art.2118 c.c. e comunque stabilire se, anche al di
fuori dell’ambito di applicazione della l.604/66, l’approvazione di
quest’ultima non abbia comportato comunque una maggiore rilevanza
dell’aspetto motivazionale del licenziamento in modo tale che il
licenziamento ad nutum non possa più essere considerato sinonimo di
licenziamento arbitrario
3
.
2
DE MARINIS “ Il licenziamento illegittimo: profili concettuali della nozione tra
recenti tendenze razionalizzatrici e possibili prospettive evolutive” ,DL 1994, I,
450
3
LISO-RUSCIANO La revisione sulla normativa del rapporto di lavoro, 1987
Dopo la l.604/66, l’altro fondamentale intervento legislativo in
materia di licenziamenti è costituito dalla legge 20 maggio 1970,
n.300, il c.d. Statuto dei lavoratori. Di particolare rilevanza sono
l’art.7 in materia di licenziamento disciplinare e l’art.18 in materia di
reintegrazione nel posto di lavoro del lavoratore illegittimamente
licenziato, due disposizioni molto importanti che hanno però portato,
come le precedenti, una serie di problemi di coordinamento. Per
quanto riguarda l’art.18 St.lav. esso modifica il sistema sanzionatorio
del licenziamento illegittimo previsto dall’art.8 l.604/66, stabilendo un
nesso di cumulatività e non più di alternatività tra l’obbligo del datore
di lavoro di reintegrare il lavoratore e obbligo di risarcire il danno (per
una specifica trattazione del contenuto della tutela c.d. “reale”
introdotta con tale articolo si rinvia al cap.4, par.2); si è posto in
proposito un delicato problema allorché si è voluto delimitare la sfera
di applicazione soggettiva, dovendo necessariamente coordinare
l’art.11 l.604/66, che si riferisce al “datore di lavoro di lavoro”, con
l’art.35 St.lav (che pone un limite inferiore per l’applicabilità del
regime di tutela sancito dall’art.18 St.lav.) che fa riferimento
esclusivamente alle “imprese”. Altri problemi posti dall’art.18 St.lav.
riguardano l’applicabilità della disposizione indicata anche ad ipotesi
di invalidità del licenziamento diverse da quelle espressamente
menzionate (a tal proposito si rinvia al cap.4, par.2.1) e, dal punto di
vista strettamente processuale, la coercibilità della sentenza di
reintegrazione (per tale questione si rinvia al cap.4, parr.2.5.3 e 2.5.4).
Dato questo stratificarsi di “edifici normativi” dunque il problema
principale che si è posto alla giurisprudenza è stato quello di stabilire
come essi si coordinino con il regime generale, posto dall’art.2118
c.c., gli artt.11 l.604/66 e 35 St.lav. ai fini della definizione del campo
di applicazione delle tutele. La tesi prevalsa in giurisprudenza è stata
quella della contemporanea vigenza delle due normative: la c.d.
teorica del “parallelismo delle tutele” il cui schema si regge sulla
valutazione differenziata del criterio dimensionale e la cui legittimità
costituzionale è stata ripetutamente riconosciuta dalla Corte
Costituzionale. La Corte con diverse sentenze ha innanzitutto escluso
che la limitazione del campo di applicazione della l.604/66, operata
secondo criteri quantitativi dall’art.11 della stessa legge, comporti una
violazione del principio di eguaglianza.
4
Anche in seguito all’entrata
in vigore dello Statuto dei lavoratori e dunque in merito all’art.35
dello stesso, con tre pronunce nello spazio di un anno
5
la Corte ha
ribadito la legittimità costituzionale del suddetto criterio ed ha
affermato la piena compatibilità fra gli indici numerici posti
dall’art.11 l.604/66 e dall’art.35 St.lav., insistendo sugli “equilibri
economico-sociali” di un ambiente di lavoro ristretto che non
consentirebbero la reintegrazione effettiva del lavoratore nel posto di
lavoro.
6
Nonostante l’opinione espressa dalla Corte Costituzionale sia stata
prevalentemente accolta dalla Cassazione, sono rimaste nella
giurisprudenza di merito ampie riserve sulla soluzione proposta, tanto
che al fine di assicurare una disciplina unitaria del licenziamento
individuale anche presso unità produttive di minori proporzioni, le
forze interessate a rimuovere il limiti dimensionali al campo di
applicazione delle tutele contro il licenziamento, hanno intrapreso la
strada del referendum abrogativo. Nel 1982 si è avuto un tentativo in
tal senso dichiarato però inammissibile dalla Corte Costituzionale
7
;
dopo alcuni anni è stata intrapresa una nuova iniziativa referendaria su
tre quesiti ( abrogazione del riferimento all’art.18 St.lav. contenuto
nell’art.35 St.lav.; abrogazione dell’art.11 l.604/66 e abrogazione
dell’art.8 della stessa legge) di cui solo il primo raggiungeva il numero
sufficiente di firme. La Corte Costituzionale
8
ha ammesso tale
referendum, individuando l’intento dei promotori nel “voler ampliare
la tutela dei lavoratori nelle unità produttive indipendentemente dal
4
C.Cost. sentt.81/69 e 131/69
5
C.Cost 6 marzo 1974, n.55 in RGL 1974, II, 543; 19 giugno 1975, n.152 e 8
luglio 1975, n.189 in FI 1975, I, 1578
6
LISO- RUSCIANO cit.
7
sent. 10 febbraio 1982, n.27
8
sent. 2 febbraio 1990, n.65 in FI 1990, I, 747 con nota di D’ANTONA e DE
LUCA
numero dei relativi dipendenti.” Si è così acceso un vivace dibattito in
ordine alle conseguenze di un eventuale esito positivo del referendum
a causa del necessario coordinamento tra l’art.18 St.lav e le
disposizioni sul campo di applicazione della l.604/66
9
, dibattito
superato dall’arresto delle operazioni referendarie dichiarato
dall’Ufficio Centrale per il Referendum della Corte di Cassazione
10
, a
seguito dell’approvazione della legge 11 maggio 1990, n.108.
9
per le opposte tesi che si sono sviluppate a riguardo vedi SANDULLI-
VALLEBONA-PISANI La nuova disciplina dei licenziamenti individuali, 1990,
pag.7
10
ord.21 maggio 1990
2. La legge di riforma 11 maggio 1990, n.108
La legge di riforma in materia di licenziamenti che è stata emanata nel
1990 risente dunque moltissimo del fatto di essere stata destinata
essenzialmente ad evitare la consultazione referendaria. Il nucleo
principale di tale norma infatti riguarda proprio il campo di
applicazione della c.d. “tutela reale” e di quella “obbligatoria”:
innanzitutto l’art.1 riunisce in unico testo il contenuto della tutela
reintegratoria ed i nuovi requisiti dimensionali necessari per la sua
applicazione; l’art.2 stabilisce il nuovo campo di operatività della
tutela obbligatoria fissando requisiti dimensionali ottenuti per
differenza da quelli indicati nell’art.1; l’art.4 prevede alcune eccezioni
a tali ambiti di applicazione delle tutele; l’art.6 si preoccupa di
abrogare espressamente le disposizioni riguardanti i requisiti
dimensionali per l’applicazione dei due tipi di tutela, contenute
nell’art.35 St.lav. e 11 l.604/66. La novella disegna dunque un
complesso quadro caratterizzato dalla applicazione della tutela
reintegratoria alle realtà produttive di maggiori dimensioni e dalla
configurazione della tutela obbligatoria quale tutela residuale e
dunque idonea a coprire i licenziamenti non soggetti alla prima.
La riformulazione dell’ambito soggettivo di applicazione della tutela
reale è stato ottenuto con la tecnica della trasposizione
11
, utilizzando
cioè per il nuovo testo dell’art.18 St.lav lo stesso materiale linguistico
e concettuale dell’art.35 St.lav.. L’utilizzo di tale tecnica è stato infatti
necessario al fine di “rinforzare il campo di applicazione della tutela
reale, per non incorrere nel giudizio di agibilità del referendum da
parte dell’ufficio centrale della Cassazione.”
12
Il licenziamento ad nutum è quasi scomparso essendo ammesso solo
in situazioni particolari precisamente individuate dalla legge in base
alla particolare natura del rapporto - come nel caso dei lavoratori
domestici, in prova o dei dirigenti - oppure in considerazione delle
condizioni del lavoratore interessato - come nel caso dei lavoratori che
abbiano maturato il diritto alla pensione e non abbiano diritto alla
11
v GRANDI Il campo di applicazione della nuova disciplina del licenziamento in
DL 1991, pag.3
12
GRANDI op. cit. pag.6
prosecuzione del rapporto di lavoro. A tal proposito è stato osservato
che “l’eliminazione del licenziamento ad nutum [...] è pienamente
condivisibile, corrispondendo ad un diffuso sentire sociale e ad un
auspicio autorevole più volte espresso dalla Corte Costituzionale: un
atto che può incidere pesantemente sulla dignità e sulla vita di un
lavoratore deve essere fornito di forma e fondamento idonei.”
13
La legge di riforma contiene anche una serie di disposizioni che vanno
oltre la questione dell’ambito di operatività delle discipline; con essa
infatti il legislatore ha provveduto ,ad esempio, a modificare il
contenuto della stessa tutela reale, introducendo anche la possibilità,
per il lavoratore illegittimamente licenziato, di “scambiare” il suo
diritto alla reintegrazione nel posto di lavoro con una indennità, che è
stata però vista da molti come il “punctum dolens di questa legge, per
gli effetti distorsivi che possono conseguire al gioco combinato della
maggiore estensione ed intensità della tutela reale, che risulta oggi
finalizzata meno all’effettiva reintegra e più alla realizzazione di una
indennità risarcitoria.”
14
La l.108/90 si occupa inoltre di dettare,
riscrivendo l’art.2 l.604/66, nuovi termini per la richiesta e la
comunicazione dei motivi del licenziamento e di estendere - punto
molto importante - la necessità della forma scritta dell’atto di recesso
anche ai dirigenti; la stessa legge poi modifica gli importi e i criteri di
quantificazione dell’indennità risarcitoria ex art.8 l.604/66 e introduce
un tentativo obbligatorio di conciliazione e di arbitrato ai fini
dell’invocabilità della tutela obbligatoria.
13
CARINCI La nuova mappa delle tutele produce eccessi di disparità in Il Sole 24
ore, suppl. dell’11/5/90
14
CARINCI op.cit.
3. Il campo di applicazione delle tutele
Il nuovo art.18 St.lav prevede espressamente l’ambito di applicazione
della tutela reale, sancendo che la stessa si applica al datore di lavoro
“imprenditore e non imprenditore, che in ciascuna sede, stabilimento,
filiale, ufficio o reparto autonomo nel quale ha avuto luogo il
licenziamento occupa alle sue dipendenze più di quindici prestatori di
lavoro o più di cinque se trattasi di imprenditore agricolo”. Essa si
applica altresì “ai datori di lavoro, imprenditori e non imprenditori,
che nell’ambito dello stesso comune occupano più di quindici
dipendenti ed alle imprese agricole che nel medesimo ambito
territoriale occupano più di cinque dipendenti, anche se ciascuna unità
produttiva, singolarmente considerata, non raggiunge tali limiti, e in
ogni caso al datore di lavoro, imprenditore e non imprenditore, che
occupa alle sue dipendenze più di sessanta prestatori di lavoro.”
Nel precedente regime si era imposta in giurisprudenza, come già
visto (v. par.1), la teoria delle tutele parallele, che si basava sulla
valutazione differenziata del criterio dimensionale, in relazione al
numero dei dipendenti a livello d’impresa o di unità produttiva o di
territorio comunale, con esclusione delle non-imprese (soggette alla
disciplina della l.604/66, ove la soglia quantitativa superasse i 35
dipendenti).
15
Il nuovo quadro normativo ha introdotto importanti innovazioni
rispetto al precedente ambito applicativo delle tutele. Innanzitutto il
riferimento alla nozione di imprenditore non è più dominante: “la
nozione dominante è quella di datore di lavoro, di cui l’imprenditore è
una qualificazione professionale speciale.”
16
Con la nuova legge
vengono infatti inclusi nell’ambito di tutela anche i datori di lavoro
non imprenditori, facendo così cadere
il generale privilegio previsto per le attività non imprenditoriali per
quanto riguardava la soggezione alla disciplina sui licenziamenti;
dall’ambito della tutela reale vengono escluse solo alcune tipologie di
datori di lavoro non imprenditori, specificatamente individuate dalla
legge in base al tipo di attività svolte: quelli “che svolgono senza fini
15
GRANDI op. cit., pag.4
16
GRANDI op. cit., pag.7
di lucro attività di natura politica, sindacale, culturale, di istruzione
ovvero di religione o di culto.” (art.4, 1°comma, l.223/91)
Un’altra importantissima innovazione prevede l’inclusione
nell’ambito di operatività della tutela reale dei datori di lavoro che
occupano oltre sessanta dipendenti, al di là del primo requisito
occupazionale riferito all’organico dell’unità produttiva. La nuova
disciplina introduce dunque un doppio criterio alternativo e
concorrente che allarga in maniera significativa l’area di operatività
della tutela reale. Sono infatti in tal modo inclusi i datori di lavoro
(imprenditori e non imprenditori) che in ogni caso abbiano, alle loro
dipendenze, più di sessanta lavoratori. Essi sono quei datori di lavoro
che non presentano quella articolazione territoriale e quella
complessità organizzativa della attività prevista dalla prima parte della
norma.
In definitiva si può dunque affermare che la legge di riforma ha
introdotto un doppio criterio tecnico-dimensionale ai fini
dell’applicazione della tutela reale : uno che continua ad essere
fondato sulla nozione di unità produttiva, e l’altro basato sulle
dimensioni dell’intera organizzazione datoriale. Tale ampliamento
prende atto dell’interesse del datore di lavoro al decentramento al fine
di sfuggire all’applicazione del regime di stabilità reale contro il
licenziamento, precludendo “un certo modello di organizzazione
imprenditoriale scientemente diretto ad evitare i vincoli derivanti
dall’art.18 St.lav .”
17
Per quanto riguarda poi il regime di stabilità obbligatoria, è stata
praticamente eliminata ogni soglia dimensionale in modo tale che essa
è ormai praticamente operante dove non lo sa quella reale. A tal
proposito è stato però osservato come “l’ingresso delle aziende minori
e dei piccoli datori nell’area del licenziamento motivato, trascina con
sé anche tutte le prescrizioni formali la cui violazione da parte del
datore di lavoro determina l’inefficacia del licenziamento e, quindi,
una sanzione forte, seppur di diritto comune. [...] Pertanto non sarebbe
esatto sostenere che il regime del licenziamento ora introdotto anche
per le più piccole organizzazioni consisterebbe solo in una tutela
17
FERRARO Reintegrazione in I licenziamenti individuali, 1990, pag.23
meramente economica di modesta entità poiché questa sanzione,
dettata per il licenziamento semplicemente ingiustificato, può essere
superata dall’inefficacia per vizi formali o dalla reintegrazione per
l’eventuale carattere discriminatorio del recesso.”
18
Si ha inoltre l’introduzione del riferimento agli enti pubblici “ove la
stabilità non sia assicurata da norme di legge e contratto collettivo o
individuale” (art.1 l.604/66) che va a completare l’area di applicazione
della tutela obbligatoria. E’ stato a tal proposito evidenziato come tale
disposizione sembrerebbe ignorare la generalizzata estensione della
disciplina a garanzia del pubblico dipendente in caso di licenziamento
intervenuta con la legge quadro sul pubblico impiego 29 marzo 1983,
n.93. “Tuttavia la prudente valutazione della non ancora definita
inventariazione degli enti pubblici ed il rischio che qualche ente
minore possa tuttora sfuggire all’applicabilità della l.93/1983 valgono
a spiegare la scelta del legislatore.”
19
Per quanto riguarda le modalità del computo dei dipendenti ai fini
dell’applicazione delle diverse tutele, la l.108/90, come la precedente
normativa , non precisa il momento in cui esso deve essere effettuato.
L’orientamento giurisprudenziale precedente, che deve dunque
considerarsi ancora valido in carenza di una espressa disposizione,
ritiene che si debba far riferimento non al numero dei lavoratori
occupati al momento in cui è avvenuto il licenziamento, bensì a quello
che risulta dall’organigramma aziendale nel periodo antecedente
20
.
18
SANDULLI-VALLEBONA-PISANI op.cit. pag.18
19
SANDULLI-VALLEBONA-PISANI op.cit. pag.17
20
Cass.3 novembre 1989, n.4579 in FI 1989, I, 3420; Cass.20 ottobre 1983,
n.6165 in FI 1984, I, 139; Cass.26 agosto 1983, n.5489 in MGC 1983, 1948;
contra, nel senso che il computo andrebbe operato con riferimento al numero di
dipendenti alla data del licenziamento Cas. 17 maggio 1984, n.3040 in FI Rep.
1984 voce Lavoro (rapporto ), n.1871
Seguendo un criterio “oggettivo” tale orientamento prevalente fa
riferimento, più che al numero dei lavoratori effettivamente occupati,
al numero delle unità lavorative accertato sulla base
dell’organigramma
21
criterio che rende perciò irrilevanti le riduzioni
occasionali o provvisorie di personale, soprattutto “al fine di evitare
una riduzione fraudolenta del numero dei dipendenti presso l’unità
produttiva cui appartiene il lavoratore licenziato.”
22
Vengono poi sancite espressamente dalla l.108/90 alcune esclusioni
dal computo quale quella del coniuge e dei parenti del datore di lavoro
entro il secondo grado in linea diretta e collaterale ( art.18, 2°comma
St.lav.). Sono viceversa oggi compresi nel computo i lavoratori assunti
con contratto di formazione lavoro, in deroga alla previsione della
l.863/1984 a tutela dell’occupazione giovanile. Rimane poi ferma
l’esclusione degli apprendisti dal computo ai sensi dell’art.23 della
l.56/1987. Per quanto riguarda poi i lavoratori a tempo parziale, la
nuova legge prevede che vengano computati solo quelli a tempo
indeterminato e solo “per la quota di orario effettivamente svolto”
riferito a quello normale prescritto dai contratti collettivi.
21
Cass. 3 novembre 1989, n.4579 cit.; Cass. 20 ottobre 1983, n.6165cit.;Cass.26
agosto 1983, n.5489, cit.;Cass.9 settembre 1982, n.4864 in MGC1982, 1759;
Cass. 3 novembre 1980, n.5861 ivi 1980, 2455; in dottrina cfr. ALLEVA
L’ambito di applicazione della tutela in La disciplina dei licenziamenti dopo le
leggi 108/90 e 223/91 a cura di CARINCI, 1991, pag.24; GRAMICCIA
Dimensioni dell’impresa e personale normalmente occupato in MGL, 1975, 503;
VACCARO Sul criterio per il calcolo dei dipendenti dell’azienda in MGL, 1973,
167
22
MAZZIOTTI I licenziamenti dopo la legge 11 maggio 1990, n.108,
1991,pag.21
4. Il residuo ambito di libera recedibilità
Nonostante sia praticamente stata eliminata qualsiasi soglia
dimensionale minima per l’applicabilità della tutela obbligatoria, il
recesso c.d. ad nutum non è scomparso, residuando un ristretto ambito
in cui vale ancora la regola della libera recedibilità.
L’art.4 l.108/90, intitolato “Area di non applicazione” elenca dunque i
casi in cui la normativa in materia di riassunzione e di reintegrazione
del lavoratore, deve considerarsi non operante.
La prima ipotesi riguarda il rapporto di lavoro domestico che il
legislatore definisce come quello disciplinato dalla l.2 aprile 158,
n.339. Tale preciso riferimento ha però creato delle incertezze
interpretative dovute al fatto che tale legge non concerne qualsiasi
rapporto di collaborazione familiare, bensì solo quelli in cui il
dipendente presti l’opera continuativa e prevalente di almeno quattro
ore giornaliere presso lo stesso datore di lavoro. In realtà
l’incongruenza, probabilmente dovuta ad una svista, può risolversi
intendendo il riferimento operato alla l.339/1958 come indicativo non
di una particolare categoria di lavoratori domestici, bensì di ogni tipo
di lavoratore domestico indipendentemente dal fatto che presti o meno
la propria opera per un periodo superiore alle quattro ore giornaliere.
23
La legge conferma inoltre l’esclusione dalle tutele contro il
licenziamento nei confronti dei lavoratori ultrasessantenni che abbiano
già maturato i requisiti per la corresponsione della pensione, sempre
che non abbiano optato per la prosecuzione del rapporto di lavoro ai
sensi del d.l. 791/1982 (convertito in l.26 febbraio 1982, n.54). La
nuova regolamentazione costituisce un adeguamento alla evoluzione
che la vecchia disposizione, contenuta nell’art.11 l.604/66, aveva
subito per effetto dei ripetuti interventi del legislatore
24
e della Corte
Costituzionale
25
: il mero rinvio ai requisiti per il diritto alla pensione
23
cfr. in proposito DE LUCA Area di applicazione delle tutele e giustificazione
del licenziamento in FI, 1990, V, 352; BENTIVOGLIO I licenziamenti
individuali, 1991, pag.67
24
l.903/77, art.4 e l.54/82, art.6
25
C.Cost. 14 luglio 1971, n.174 in FI; 1971, I, 2465; C.Cost 18 giugno 1986,
n.176 in FI, 1986 , I, 2959 che ha dichiarato l’incostituzionalità delle
disposizioniche prevedono per la lavoratrice l’attribuzione dellapensione, e di
aveva infatti determinato una differenziazione rispetto al
licenziamento tra uomini e donne in forza delle diverse età
pensionabili.
Dato poi che la disposizione contenuta nell’art.10 l.604/66 non è stata
espressamente né implicitamente abrogato dalla l.108/90, il
licenziamento ad nutum può considerarsi ancora la forma di recesso
tipica nei confronti dei prestatori di lavoro appartenenti alla categoria
dei dirigenti. La natura fiduciaria che caratterizza il rapporto di lavoro
dirigenziale costituisce una solida ragione per giustificare l’esclusione
di tale categoria di prestatori di lavoro dalla tutela contro i
licenziamenti. Lo stesso vale per i lavoratori in prova fino a sei mesi
dall’inizio della stessa.
Per concludere è importante evidenziare come il descritto residuo
ambito di applicabilità del recesso ad nutum ha comunque subito un
ulteriore ridimensionamento ad opera della disposizione contenuta
nell’art.3 della nuova legge 108/90 che espressamente dispone la
nullità e dunque l’applicabilità della tutela reale ai casi di
licenziamento discriminatorio, “quale che sia il numero dei dipendenti
occupati dal datore di lavoro di lavoro”.
conseguenza la possibilità di essere licenziati ad nutm, al compimento del
cinquantacinquesimo anno di età anziché al sessantesimo come per l’uomo;
C.Cost.27 aprile 1988, n.498 in FI, 1988, I, 1769 che ha ritenuto illegittimo l’art.4
l.903/77 nella parte in cui subordina il diritto della lavoratrice a continuare il
rapporto di lavoro fino agli stessi limiti di età previsti per l’uomo, all’esercizio di
un’opzione in tal senso da comunicarsi obbligatorianente al datore di lavoro di
lavoro.
Tabella riassuntiva sull’ambito di applicazione
(tratta da CERRITELLI-PICCININI I licenziamenti individuali, 1991, pag.158)
Tipologia del datore di lavoro
o dell’unità produttiva
Tutela legge 108/90
Datori di lavoro che occupano
fino a 15 dipendenti (o fino a 5
se imprese agricole)
Tutela risarcitoria: da 2,5 a 6 mensilità
Datori di lavoro con più di 15
dip. e fino a 60 dip. i quali nelle
unità produttive o negli ambiti
comunali non superano i 16
addetti (o 6 se imprese agricole)
Tutela risarcitoria:
_______________
Anzianità
Fino a 10 anni
Da 10 a 20 anni
Oltre 20 anni
__________
Misura
Da 2,5 a 6
mensilità
Da 2,5 a 10
mensilità
Da 2,5 a 14
mensilità
Unità produttive con più di 15
dipendenti (o più di 5
dipendenti se imprese agricole)
Tutela reale
Datori di lavoro con più di 15
dipendenti ( o più di 5
dipendenti se imprese agricole)
a prescindere dal numero dei
dipendenti nelle singole unità
produttive
Tutela reale
Datori di lavoro con più di 60
dipendenti in ambito nazionale
a prescindere dal numero di
dipendenti nelle singole unità
produttive
Tutela reale