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Capitolo Primo
I licenziamenti individuali
SOMMARIO: 1.1. Evoluzione della disciplina: dalla libertà di licenziamento al divieto di
licenziamenti immotivati – 1.2. Le cause giustificatrici del licenziamento – 1.2.1. La giusta causa
– 1.2.2. Il giustificato motivo soggettivo – 1.2.3. Il procedimento disciplinare – 1.2.4. Il giustificato
motivo oggettivo – 1.3. Le ipotesi di licenziamento nullo – 1.4. La forma e il procedimento del
licenziamento
1.1 – Evoluzione della disciplina: dalla libertà di licenziamento al
divieto di licenziamenti immotivati
Il licenziamento è una delle più rilevanti ipotesi di cessazione del rapporto
di lavoro e, viste le implicazioni socio-economiche che esso comporta, la sua
attuale disciplina è il risultato dell’intreccio di diversi interventi legislativi
limitativi. La notevole disparità che il rapporto di lavoro presentava nel passato
tra il datore (contraente forte) e il lavoratore, considerato contraente debole
nonché “cittadino socialmente sottoprotetto”
1
, fu tale che si rese necessaria
l’imposizione di rigorosi limiti al potere datoriale. Le esigenze di tutela del
lavoratore sono diventate nel tempo sempre più stringenti, proprio perché “la
subalternità contrattuale e socio-economica del lavoratore – che pur con aspetti
ed implicazioni differenti, permane anche ai nostri giorni – si proietta nello
sviluppo del rapporto di lavoro ove il prestatore è esposto a rischi di abusi che
solo una specifica normativa garantista può scongiurare”
2
. Diverse perciò sono
le fonti legislative che si sono succedute nel tempo in sovrapposizione alle norme
1
E. Ghera, Diritto del lavoro, Cacucci, 2011
2
C. D’agostino, A. Marano, M. Solombrino, La disciplina dei licenziamenti – Dopo la Riforma Fornero,
Edizioni Giuridiche Simone, 2012.
6
del codice civile: la legge 15 luglio 1966 n. 604, l’art. 18 dello Statuto dei lavoratori
(L. 20 maggio 1970, n. 300), la legge 11 maggio 1990 n. 108 e, infine, la recente
legge 28 giugno 2012 n. 92.
L’art. 2118
3
del codice civile del 1942 aveva innanzitutto fissato il principio
generale della libera recedibilità delle parti dal rapporto di lavoro, con la
conseguenza che datore e lavoratore potevano entrambi risolvere il vincolo
contrattuale con una mera dichiarazione di recesso senza necessità di forma
scritta né di motivazione. L’unico obbligo era il preavviso o, in caso di recesso
con effetto immediato, la corresponsione di un’indennità in sostituzione della
retribuzione che sarebbe spettata per il periodo di preavviso, salvo casi
eccezionali di licenziamento in tronco; secondo l’art. 2119
4
del codice civile in
quest’ultima circostanza, infatti, sussiste una giusta causa di licenziamento che
non consente la prosecuzione neppure provvisoria del rapporto di lavoro. Questa
breve analisi mostra come il codice civile trascriva “in termini normativi la
concezione liberista del rapporto di lavoro, dando pieno sostegno a quello che fu
indicato come potere di licenziamento ad nutum (per evocare l’idea che il datore
di lavoro era legittimato a sbarazzarsi di un dipendente con un semplice cenno
del capo)”
5
. Lavoratore e datore venivano posti in una condizione di
3
Si riporta per comodità la norma. Art. 2118 Cod. Civ. – Recesso dal contratto a tempo
indeterminato: Ciascuno dei contraenti può recedere dal contratto di lavoro a tempo
indeterminato, dando il preavviso nel termine e nei modi stabiliti (dalle norme corporative), dagli
usi o secondo equità (att. 98). In mancanza di preavviso, il recedente è tenuto verso l’altra parte a
un’indennità equivalente all’importo della retribuzione che sarebbe spettata per il periodo di
preavviso. La stessa indennità è dovuta dal datore di lavoro nel caso di cessazione del rapporto
per morte del prestatore di lavoro.
4
Si riporta per comodità la norma. Art. 2119 Cod. Civ. – Recesso per giusta causa: Ciascuno dei
contraenti può recedere dal contratto prima della scadenza del termine, se il contratto è a tempo
determinato, o senza preavviso, se il contratto è a tempo indeterminato, qualora si verifichi una
causa che non consenta la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto. Se il contratto è a tempo
indeterminato, al prestatore di lavoro che recede per giusta causa compete l’indennità indicata
nel secondo comma dell’articolo precedente. Non costituisce giusta causa di risoluzione del
contratto il fallimento dell’imprenditore o la liquidazione coatta amministrativa dell’azienda.
5
M. Roccella, Manuale del diritto del lavoro, G. Giappichelli Editore, 2010
7
“uguaglianza formale, non tenendo conto della posizione di svantaggio del
primo nei confronti del secondo”
6
.
A metà degli anni ’60 con gli accordi interconfederali ha iniziato a
materializzarsi la logica del licenziamento vincolato, seppur in riferimento al
settore dell’industria e nell’ambito della disciplina collettiva. In forza di tali
accordi, “il potere di recesso del datore di lavoro era sottoposto, oltre che a vincoli
formali (comunicazione scritta), al limite sostanziale del giustificato motivo o
della giusta causa; nel caso di licenziamento ingiustificato, il datore era obbligato
alla riassunzione o, in mancanza, al pagamento di una penale a titolo di
risarcimento del danno (c.d. tutela obbligatoria)”
7
.
Tali principi venivano recepiti successivamente con la legge 15 luglio 1966 n.
604, la quale affermava che il licenziamento del lavoratore non poteva avvenire
se non per giusta causa o per giustificato motivo, con estensione a tutti i settori.
La novità rispetto agli accordi interconfederali consisteva nella “trasformazione
del potere di licenziamento da atto di autonomia privata totalmente insindacabile
a negozio giuridico”
8
, sottoposto a una forma ben determinata e supportato da
ragioni giustificatrici. La legge n. 604 rappresentava indubbiamente un passo in
avanti anche se ancora molto limitato era l’apparato sanzionatorio. Il
licenziamento seppur illegittimo continuava a produrre i suoi effetti, in quanto
permaneva la cessazione del rapporto di lavoro e veniva concessa al datore una
facoltà di scelta: egli poteva decidere di riassumere il lavoratore o assodare la fine
del rapporto corrispondendogli una somma di danaro a titolo di risarcimento del
danno.
6
C. D’Agostino, A. Marano, M. Solombrino, La disciplina dei licenziamenti – Dopo la Riforma Fornero,
Edizioni Giuridiche Simone, 2012.
7
E. Ghera, Diritto del lavoro, Cacucci, 2011
8
Ibidem
8
La stabilità del posto di lavoro poteva considerarsi assoluta con la legge n.
300 del 20 maggio 1970 (Statuto dei Lavoratori). L’art. 18
9
rappresentava un salto
di qualità non indifferente andando a colpire “in maniera radicale il
licenziamento privo di giusta causa o giustificato motivo: l’atto riconosciuto
illegittimo dal giudice è privato di ogni effetto giuridico e il datore di lavoro è
condannato, senza possibilità di opzioni alternative, alla reintegrazione del
lavoratore nel posto di lavoro”
10
, oltre che al risarcimento del danno (c.d. tutela
reale). Il campo di applicazione però era limitato; coesistevano infatti tre regimi
diversi, a seconda del numero di dipendenti e della natura dell’attività svolta:
tutela reale per le imprese agricole con più di cinque occupati o imprese
9
Si riporta per comodità la norma. Art. 18, Legge n. 300 del 20 maggio 1970 : “Ferma restando
l'esperibilità delle procedure previste dall'articolo 7 della legge 15 luglio 1966, n. 604, il
giudice, con la sentenza con cui dichiara inefficace il licenziamento ai sensi dell'articolo 2 della
legge predetta o annulla il licenziamento intimato senza giusta causa o giustificato motivo
ovvero ne dichiara la nullità a norma della legge stessa, ordina al datore di lavoro di reintegrare
il lavoratore nel posto di lavoro.
Il lavoratore ha diritto al risarcimento del danno subito per il licenziamento di cui sia stata
accertata la inefficacia o l'invalidità a norma del comma precedente. In ogni caso, la misura
del risarcimento non potrà essere inferiore a cinque mensilità di retribuzione, determinata
secondo i criteri di cui all'articolo 2121 del codice civile. Il datore di lavoro che non ottempera
alla sentenza di cui al comma precedente è tenuto inoltre a corrispondere al lavoratore le
retribuzioni dovutegli in virtù del rapporto di lavoro dalla data della sentenza stessa fino a quella
della reintegrazione. Se il lavoratore entro trenta giorni dal ricevimento dell'invito del datore di
lavoro non abbia ripreso servizio, il rapporto si intende risolto.
La sentenza pronunciata nel giudizio di cui al primo comma è provvisoriamente esecutiva.
Nell'ipotesi di licenziamento dei lavoratori di cui all'articolo 22, su istanza congiunta del
lavoratore e del sindacato cui questi aderisce o conferisca mandato, il giudice, in ogni stato e
grado del giudizio di merito, può disporre con ordinanza, quando ritenga irrilevanti o
insufficienti gli elementi di prova forniti dal datore di lavoro, la reintegrazione del lavoratore nel
posto di lavoro.
L'ordinanza di cui al comma precedente può essere impugnata con reclamo immediato al giudice
medesimo che l'ha pronunciata. Si applicano le disposizioni dell'articolo 178, terzo, quarto,
quinto e sesto comma del codice di procedura civile.
L'ordinanza può essere revocata con la sentenza che decide la causa.
Nell'ipotesi di licenziamento dei lavoratori di cui all'articolo 22, il datore di lavoro che non
ottempera alla sentenza di cui al primo comma ovvero all'ordinanza di cui al quarto comma, non
impugnata o confermata dal giudice che l'ha pronunciata, è tenuto anche, per ogni giorno di
ritardo, al pagamento a favore del Fondo adeguamento pensioni di una somma pari all'importo
della retribuzione dovuta al lavoratore.”
10
M. Roccella, Manuale del diritto del lavoro, G. Giappichelli Editore, 2010
9
industriali con più di 15 dipendenti in ciascuna sede o sul territorio comunale;
tutela obbligatoria per le imprese industriali con un numero di dipendenti
maggiore di trentacinque, in relazione a unità produttive che sul territorio
comunale non superavano i quindici addetti; libera recedibilità per le imprese
con meno di trentasei dipendenti in unità produttive con meno di sedici occupati
sul territorio comunale. Rimaneva così senza protezione una fascia notevole di
lavoratori, cioè il personale delle piccole imprese.
La necessità di estendere a tutti i soggetti una tutela contro il licenziamento
illegittimo indipendentemente dalle dimensioni dell’impresa è stata sollecitata
dalla Corte Costituzionale
11
e ha portato all’emanazione della Legge 11 maggio
1990, n. 108, la quale ha ridisegnato la disciplina dei licenziamenti individuali. Il
campo di tutela dell’art. 18
12
è stato così ampliato estendendo la tutela della Legge
11
Corte Cost. 14.01.1986, n. 2
12
Si riporta per comodità la norma. Art. 1, Legge 11 maggio 1990, n. 108: I primi due commi
dell'articolo 18 della legge 20 maggio 1970, n. 300, sono sostituiti dai seguenti: “Ferme restando
l'esperibilità delle procedure previste dall'articolo 7 della legge 15 luglio 1966, n. 604, il giudice
con la sentenza con cui dichiara inefficace il licenziamento ai sensi dell'articolo 2 della predetta
legge o annulla il licenziamento intimato senza giusta causa o giustificato motivo, ovvero ne
dichiara la nullità a norma della legge stessa, ordina al datore di lavoro, imprenditore e non
imprenditore, che in ciascuna sede, stabilimento, filiale, ufficio o reparto autonomo nel quale ha
avuto luogo il licenziamento occupa alle sue dipendenze più di quindici prestatori di lavoro o
più di cinque se trattasi di imprenditore agricolo, di reintegrare il lavoratore nel posto di lavoro.
Tali disposizioni si applicano altresì ai datori di lavoro, imprenditori e non imprenditori,
che nell'ambito dello stesso comune occupano più di quindici dipendenti ed alle imprese
agricole che nel medesimo ambito territoriale occupano più di cinque dipendenti, anche se
ciascuna unità produttiva, singolarmente considerata, non raggiunge tali limiti, e in ogni
caso al datore di lavoro, imprenditore e non imprenditore, che occupa alle sue dipendenze
più di sessanta prestatori di lavoro.
Ai fini del computo del numero dei prestatori di lavoro di cui primo comma si tiene conto anche
dei lavoratori assunti con contratto di formazione e lavoro, dei lavoratori assunti con contratto a
tempo indeterminato parziale, per la quota di orario effettivamente svolto, tenendo conto, a tale
proposito, che il computo delle unità lavorative fa riferimento all'orario previsto dalla
contrattazione collettiva del settore. Non si computano il coniuge ed i parenti del datore di lavoro
entro il secondo grado in linea diretta e in linea collaterale. Il computo dei limiti occupazionali di
cui al secondo comma non incide su norme o istituti che prevedono agevolazioni finanziarie o
creditizie.
Il giudice con la sentenza di cui al primo comma condanna il datore di lavoro al risarcimento del
danno subito dal lavoratore per il licenziamento di cui sia stata accertata l'inefficacia o
l'invalidità stabilendo un'indennità commisurata alla retribuzione globale di fatto dal giorno
10
604/1966 anche alle imprese di piccola dimensione, cioè fino a quindici
dipendenti. L’applicazione della libera recedibilità, così, da regola è diventata
eccezione, in quanto riservata a particolari categorie che non richiedono nessuna
motivazione a giustificazione del recesso del datore di lavoro, ossia i lavoratori
domestici
13
, sportivi professionali
14
, lavoratori in prova
15
, lavoratori anziani
16
e
dirigenti
17
.
Una riformulazione consistente dell’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori è
avvenuta, infine, con la recente riforma del mercato del lavoro; la Legge del 28
giugno 2012, n. 92 è intervenuta frantumando e riarticolando la tutela reale, la
quale ora prevede nuovi livelli di sanzioni in caso di licenziamento illegittimo.
A questo punto, prima di procedere alla disamina delle novità introdotte dal
nuovo testo dell’art. 18, è opportuno svolgere una trattazione circa i tratti
essenziali della disciplina del licenziamento individuale.
del licenziamento sino a quello dell'effettiva reintegrazione e al versamento dei contributi
assistenziali e previdenziali dal momento del licenziamento al momento dell'effettiva
reintegrazione; in ogni caso la misura del risarcimento non potrà essere inferiore a cinque
mensilità di retribuzione globale di fatto.
Fermo restando il diritto al risarcimento del danno cosi come previsto al quarto comma, al
prestatore di lavoro è data la facoltà di chiedere al datore di lavoro in sostituzione della
reintegrazione nel posto di lavoro, un'indennità pari a quindici mensilità di retribuzione globale
di fatto. Qualora il lavoratore entro trenta giorni dal ricevimento dell'invito del datore di lavoro
non abbia ripreso servizio, né abbia richiesto entro trenta giorni dalla comunicazione del
deposito della sentenza il pagamento dell'indennità di cui al presente comma, il rapporto di
lavoro si intende risolto allo spirare dei termini predetti".
13
Art. 4, co. 1°, Legge 11 maggio 1990, n. 108.
14
Art. 4, co. 8°, Legge 23 marzo 1981, n. 91.
15
Art. 10, legge 15 luglio 1966 n. 604.
16
In particolare si parla di coloro che hanno maturato il diritto alla pensione di vecchiaia e hanno
compiuto 65 anni d’età.
17
La legge dichiara che la disciplina limitativa dei licenziamenti è applicabile solamente agli
operai, impiegati e quadri intermedi. Cfr. art. 10, Legge 15 luglio 1966 n. 604 e art. 2, co. 3°, Legge
13 maggio 1985, n. 190.
11
1.2 - Le cause giustificatrici del licenziamento
Il primo fondamentale limite imposto al potere di licenziamento è l’esistenza
di una giustificazione, salvo i casi brevemente accennati in precedenza in cui
opera il recesso ad nutum. Affinché, dunque, il licenziamento sia legittimo deve
necessariamente sussistere una giusta causa o un giustificato motivo, che a sua
volta può essere soggettivo od oggettivo, ciascuno con conseguenze di tutela
diverse.
1.2.1 – La giusta causa
La risoluzione del rapporto di lavoro per giusta causa è disciplinata dall’art.
2119 cod.civ.
18
che legittima il licenziamento in tronco, cioè senza preavviso,
qualora si ravvisi un comportamento del contraente talmente grave da
precludere la prosecuzione del rapporto di lavoro. Tale nozione va considerata
come concetto normativo indeterminato poiché essa rende complessa una
definizione limpida e chiara non contenendo una rassegna di fatti, ma delineando
“un criterio di valutazione e di selezione dei comportamenti che rinvia all’opera
di concretizzazione del giudice”
19
. Questo carattere generico ed elastico della
giusta causa implica l’esigenza di darle un contenuto, ossia identificare le
18
Si riporta per comodità la norma. Art. 2119 Cod. Civ. – Recesso per giusta causa: Ciascuno dei
contraenti può recedere dal contratto prima della scadenza del termine, se il contratto è a tempo
determinato, o senza preavviso, se il contratto è a tempo indeterminato, qualora si verifichi una
causa che non consenta la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto. Se il contratto è a tempo
indeterminato, al prestatore di lavoro che recede per giusta causa compete l’indennità indicata
nel secondo comma dell’articolo precedente. Non costituisce giusta causa di risoluzione del
contratto il fallimento dell’imprenditore o la liquidazione coatta amministrativa dell’azienda.
19
P. Tullini, Questione interpretative in tema di giusta causa, in Diritto Processuale Civile, Cedam,
1988.