1
1. Introduzione
L’attuale sfavorevole congiuntura economica riporta d’attualità, fra le
varie tematiche del diritto del lavoro, quello dei licenziamenti
collettivi. Oggi, in Italia tale fenomeno ha raggiunto cifre da record,
infatti, dopo la crisi dell’anno passato, in Italia ogni giorno
mediamente 30 aziende al giorno inoltrano istanza di fallimento, con il
risultato di più di 10000 aziende chiuse in un anno; cifre, queste, che
fanno preoccupare l’intera collettività. Il collasso economico ha
portato, così, molte aziende a porre in essere dei licenziamenti di
massa, e/o a far rinunciare ai lavoratori gran parte dei loro diritti
ottenuti in decenni di battaglie (vedi F I A T).
I licenziamenti di massa diventano, così, nella maggior parte dei casi
un must per le aziende, a tal punto che oggi vengono definiti come
una: “scorciatoia ideale per recuperare l’equilibrio economico-
gestionale d’una impresa”
1
. Tale affermazione ci fa capire e notare la
particolare valenza che assume l’istituto del licenziamento collettivo,
dove si va oltre al rapporto individuale del lavoro, rispetto al quale
ben più emerge qui, in tutta la sua problematicità, il conflitto tra diritti
di rilievo costituzionale: da un lato la libertà di iniziativa economica
privata sancita dall’art. 41 Cost., meglio conosciuta come “potere
datoriale”, e quindi il sacrosanto diritto dell’imprenditore di gestire
l’azienda nella maniera da lui ritenuta più efficace e proficua;
dall’altro, il diritto al lavoro ed i risvolti sociali connessi all’esercizio
dell’impresa, principi, entrambi, tutelati dal nostro legislatore.
Il licenziamento collettivo non è altro che una proiezione della crisi di
un’impresa sul piano occupazionale in termini di riduzione del
1
G. NATULLO, “Il licenziamento collettivo: interessi, procedure, tutele”, Milano,
2009, p. 11.
2
personale, e quindi di perdita dei posti di lavoro, con effetti diretti sul
mercato del lavoro tanto locale che nazionale
2
.
Il seguito sociale causato dal licenziamento collettivo, coinvolge
interessi che vanno ben al di là dei singoli lavoratori interessati di tale
provvedimento, allargandosi alla dimensione collettiva aziendale ed
ultra aziendale e poi nazionale, problemi ben differenti rispetto ad un
licenziamento individuale.
Gli interessi coinvolti in tale procedura sono diversi e complessi,
quello del datore è di licenziare in massa per recuperare l’equilibrio
economico-gestionale dell’impresa, che si contrappone a quello dei
lavoratori e dei sindacati che fanno riferimento a questioni
economico-sociali, rivolti principalmente alla tutela e alla
salvaguardia del posto di lavoro. All’interno dell’azienda, l’esplosione
della vicenda che scaturisce dall’eccedenza di personale, produce
un’implosione degli interessi dei lavoratori dell’azienda, da un lato, e
dall’altro, una dialettica anche tra interessi interni all’azienda ed
interessi esterni ad essa; dunque, per quanto riguarda gli interessi
interni, vale a dire, dei lavoratori collocati nei luoghi del processo
produttivo, che sono oggetto immediato della ristrutturazione e quindi,
immediatamente esposti al rischio del licenziamento, contro quello
degli altri lavoratori, non coinvolti immediatamente nella procedura, i
quali, volta a volta, potranno avere interesse a che quei licenziamenti
si attuino perché sono valutati come l’unico strumento per un
risanamento dell’impresa che possa garantire loro l’occupazione,
oppure a che si utilizzi uno degli strumenti alternativi di risanamento
perché, altrimenti, in un futuro più o meno prossimo, il rischio del
licenziamento potrà investire anche loro.
Per quanto invece riguarda gli interessi esterni, si deve tener conto,
della rilevanza d’interessi, che addirittura possono riguardare l’intera
2
Ivi, p. 12.
3
collettività dei lavoratori subordinati, infatti, è facile comprendere
come le vicende legate ai licenziamenti collettivi, e prima ancora alle
eccedenze di personale, possano avere ripercussioni, più o meno
indirette, sulla complessiva situazione socio-economica ed
occupazionale del territorio su cui insiste la realtà aziendale
interessata; e che quanto più questa realtà aziendale, e la relativa
vicenda organizzativo-gestionale, sono importanti, tanto più acute
saranno le ripercussioni sul territorio che coinvolgerà i cc. dd.
outsiders, cioè quella variegata collettività composta da inoccupati,
disoccupati, iscritti nelle liste di mobilità, lavoratori socialmente utili,
che pesano, talora come un macigno, sul tessuto occupazionale e
sociale locale; è evidente infatti che, per essi, non sarà indifferente
come la vicenda aziendale si chiuderà: dal momento che da questa
riduzione del personale potrà aumentare ulteriormente la concorrenza
sul mercato del lavoro. Tali ripercussioni esterne comportano il
coinvolgimento di un interesse che, a quel punto, da “collettivo” tende
a trasformarsi in “generale” e, di conseguenza di dominio“pubblico”
3
.
Il licenziamento collettivo non esiste in rerum natura o, come detto,
ontologicamente, ma ha comunque bisogno di un supporto lato sensu
normativo che identifichi in particolare i presupposti essenziali che lo
giustifichino
4
.
Oggi la materia dei licenziamenti collettivi è regolata dalla l. n.
223/1991 e s. m. i.; legge emanata in attuazione della direttiva
comunitaria 75/129, modificata dalla successiva direttiva comunitaria
92/56, recepita a sua volta dal d. lgs. 151/1997. Queste direttive sono
state poi abrogate dalla direttiva n. 59 del 1998 concernente il
riavvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di
licenziamenti collettivi, recepiti in Italia con il d. lgs. 110/2004, che
3
Ivi, pp. 11 ss. – 13.
4
F. CARINCI, “Il rapporto di lavoro subordinato: garanzie del reddito, estinzione
e tutela dei diritti”, Torino, 2007, p. 470.
4
estende gli obblighi d’informazione e consultazione previsti dalla
legge in commento anche nei confronti dei datori di lavoro non
imprenditori; previsione questa aggiunta a seguito di una sentenza di
condanna pronunciata dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea
nei confronti dell’Italia.
2. Profili generali ed evoluzione delle fonti di disciplina
Solo nel 1991 è stata introdotta in Italia un’analitica regolamentazione
legale in materia di licenziamento collettivo, infatti, complice la
complessità del fenomeno e la consapevolezza della difficoltà di
apprestare un’idonea tutela a tutti gli interessi coinvolti in un
licenziamento collettivo ha, per lungo tempo, indotto il nostro
legislatore ad un voluto astensionismo in materia
5
. L’unico
riferimento concreto in materia fino al 91’ in Italia erano gli accordi
interconfederali risalenti all’immediato secondo dopoguerra.
Questa forte "centralizzazione", trova le sue ragioni soprattutto nella
disastrosa situazione economica postbellica nel decennio
immediatamente successivo alla caduta del regime corporativo
caratterizzato da una persistente disoccupazione di massa e di un
sistema produttivo che cresceva molto lentamente
6
.
Il primo di tali accordi stipulato il 7/8/1947 riguardava esclusivamente
i licenziamenti effettuati nel settore industriale; l’accordo, siglato tra
rappresentanti della Confederazione dell’industria e quelli della CGIL,
poneva per la prima volta una separazione normativa tra
licenziamento per riduzione di personale e licenziamento individuale.
In tale disciplina un ruolo decisivo era riconosciuto alla Commissione
5
F. CARINCI – R. DE LUCA TAMAJO – P. TOSI –T. TREU, Il rapporto di lavoro
subordinato, Torino, 2005, p. 342.
6
E.GHERA, “Diritto del lavoro”, Bari, 2006, p.710.
5
interna, chiamata a decidere sull’opportunità del provvedimento di
licenziamento, e ad un collegio arbitrale il cui intervento, finalizzato
all’esperimento di un tentativo di conciliazione, era eventuale in
quanto subordinato alla mancata prestazione del consenso da parte
della Commissione all’adozione dell’atto di recesso, in particolare il
procedimento conciliativo rappresentava un momento essenziale della
disciplina del licenziamento per riduzione del personale, tanto da
doversi esperire a due livelli diversi: in prima istanza tra Commissione
interna e direzione dell’impresa, in questo caso la Commissione aveva
tre settimane di tempo per trovare un accordo con l’azienda,
altrimenti, mentre in ipotesi di mancato accordo, la trattativa era
demandata all’esame delle organizzazioni sindacali territoriali in
particolare tra Associazioni Provinciali degli industriali e Camera
Provinciale del Lavoro, ciò costituiva una seconda istanza.
L’accordo cessava, però, di avere efficacia il 31/12/1948 per disdetta
dell’organizzazione datoriale; la lacuna normativa creatasi ha portato
all'emanazione della legge n. 264 del 1949, nella quale si riconosceva
ai lavoratori licenziati per riduzione del personale il diritto di
precedenza nelle assunzioni effettuate dalla stessa azienda entro un
anno dalla cessazione del rapporto di lavoro; poi con accordo del 21
aprile 1950, poi recepito nel d.P.R. 14 luglio 1960, n. 1019, si
assisteva ad una prima delimitazione al potere del datore di lavoro di
licenziare: l’imprenditore era obbligato a consultare le OO. SS.
(organizzazioni sindacali) interessate e di porre in essere un tentativo
di conciliazione, in caso di mancato accordo fra le parti. Tuttavia, era
forte l’influenza dell’art. 41 Cost. che permetteva, e permette, di
ricondurre il potere di organizzazione dell’impresa alla libera
iniziativa economica, ivi riconosciuta e tutelata; in tal modo
l’imprenditore era considerato esonerato dall’obbligo di
giustificazione della propria scelta, e dunque non era obbligato ad
6
esporre alla controparte, nell’ambito di una consultazione sindacale, i
motivi determinanti il licenziamento per riduzione del personale
7
. La
Corte Costituzionale rileva la meritevolezza di tutela del diritto del
datore di lavoro di procedere ai licenziamenti collettivi, tanto da
considerarlo prevalente all’interesse dei singoli dipendenti alla
conservazione del posto di lavoro
8
. L’altro elemento di novità consiste
nell’aver individuato nella riduzione o trasformazione d’attività o di
lavoro il carattere costitutivo della fattispecie di riduzione del numero
del personale, anche se mancava un’espressa definizione positiva di
licenziamento collettivo
9
.
Ecco allora che l’Accordo del 5 maggio 1965, ultimo in materia e
sostanzialmente riproduttivo dei contenuti dell’accordo precedente,
detta una definizione di licenziamento collettivo funzionale all’assetto
normativo dell’epoca ma, proprio per tale caratteristica, finalizzata a
costituire una “via di fuga” dalla disciplina del licenziamento
individuale. L’accordo identificava il licenziamento per riduzione del
personale sulla base del criterio meramente qualitativo della riduzione
o trasformazione d’attività o di lavoro; un requisito causale, dunque,
seppur accompagnato da un criterio numerico aperto
10
.
Il requisito di cui all’art. 1 dell’Accordo del 1965 aveva dato luogo ad
un dibattito che, partendo dal dato testuale della disgiuntiva “o”
(“riduzione o trasformazione”), era giunto a ritenere non
indispensabile un ridimensionamento materiale della struttura
aziendale o una riduzione della produzione, reputando sufficiente una
effettiva e definitiva riduzione di lavoro. Volontà del legislatore era
quella di tracciare una linea di demarcazione tra licenziamento
individuale e licenziamento per riduzione del personale, individuando
7
Ibidem
8
Corte Cost., 8.2.1966, n.8 in GU,1966, n. 38.
9
E.GHERA, “Diritto del lavoro”, cit. p. 710
10
F.CARINCI, “Il rapporto di lavoro subordinato”, cit., p. 470.
7
i caratteri costitutivi di quest’ultimo. A fronte di tale definizione
normativa, infatti, la giurisprudenza ha dato un efficace contributo
all’individuazione della fattispecie, ravvisandola alla presenza di: una
pluralità di licenziamenti scaturita da una riduzione o trasformazione
di attività o di lavoro, determinato dalla insindacabile scelta
economica datoriale di sopprimere un certo tipo e numero di posti di
lavoro osservando le procedure sindacali previste per legge.
L’esito finale della procedura era in ogni modo rappresentato
dall’individuazione concreta dei lavoratori da licenziare, determinata
dall’applicazione di criteri di scelta tipici del licenziamento collettivo.
Il vero elemento di novità consisteva, infatti, nell’obbligo
dell’imprenditore di tener conto di una serie di criteri oggettivi in
concorso fra loro
11
: esigenze tecnico-produttive, anzianità e carichi di
famiglia.
La disposizione, in un primo momento, era stata interpretata nel senso
che tali criteri dovevano essere osservati rispettando l’ordine di
priorità rigorosamente stabilito, assegnando quindi, a priori, una
prevalenza al criterio economico su quelli c.d. sociali. Tuttavia in
giurisprudenza si era consolidato un diverso orientamento, divenuto
maggioritario, che esonerava il datore dal rispetto di tale rigida
sequenza, all’interno quindi di una valutazione globale e complessiva
dei criteri di scelta, orientamento confermato in diverse sentenze del
giudice di ultima istanza, purché fosse data la prova in concreto
dell’esistenza di fattori obiettivi giustificativi della scelta di tale
criterio, oltre che dell’assenza di intenti elusivi o ragioni
discriminatorie. La scelta datoriale, veniva sottoposta al sindacato
giudiziale di giustificazione della preminenza assegnata al criterio
economico.
11
Art. 2, ultimo comma, Accordo 1965.
8
La nozione di licenziamento collettivo offerta dagli accordi
interconfederali si potrebbe dunque definire quali-quantitativa,
caratterizzata dalla previsione di una significativa procedura di
consultazione sindacale, scaturente da motivi diversi da quelli che
riguardavano la persona del lavoratore, differenziandosi, così,
nettamente dalla nozione di licenziamento individuale in quanto lì il
motivo concerne la persona del lavoratore licenziato ed un
inadempimento degli obblighi contrattuali a lui imputabile, quindi un
criterio soggettivo
12
.
In virtù di tale netta distinzione ed in mancanza di un’apposita
normativa in materia, si era posto sin da subito il problema della
carenza di tutela dei lavoratori licenziati per riduzione del personale.
Infatti, dopo aver individuato nel momento procedurale un elemento
costituente la disciplina del licenziamento collettivo, la normativa
vigente nulla diceva in merito alle conseguenze di un eventuale esito
negativo della procedura conciliativa. Interrogativo aggravato
dall’efficacia limitata dell’accordo del 1965 ai soli stabilimenti
industriali che normalmente occupavano più di dieci lavoratori, la cui
disciplina, per di più, si limitava a garantire un mero confronto tra
impresa e organismi locali dei sindacati stipulanti, prima che si
procedesse ai licenziamenti, lasciando a dottrina e giurisprudenza il
compito di tracciare una tutela sostanziale dei lavoratori. La questione
dell’esito negativo della procedura conciliativa era, allora, risolta
attraverso due diversi orientamenti. Un primo orientamento sosteneva
la possibilità di conversione del provvedimento di licenziamento per
riduzione del personale in individuale, ciò comportando, da un lato,
l’impugnabilità del provvedimento stesso, dall’altro lato, la possibilità
per l’imprenditore di veder comunque realizzato il proprio interesse
che aveva originariamente determinato la scelta di procedere al
12
F.CARINCI, “Il rapporto di lavoro subordinato”, cit., p. 471.
9
licenziamento per riduzione del personale. Un secondo orientamento
faceva riferimento alla tutela apprestata in alcune norme dell’accordo
del 1965
13
, basandosi sulla convinzione che un esito negativo fosse
comunque un’eventualità strutturale alla norma sindacale, e non il
frutto di una sua violazione, ciò spiega che il tentativo di
conciliazione, seppure coerente con la struttura dell’accordo
interconfederale, poteva condurre ad un esito negativo e quindi alla
realizzazione dei licenziamenti.
La disciplina interconfederale consta di norme sostanziali e
strumentali: i licenziamenti per riduzione del personale devono essere
motivati come tali (art. 5); i provvedimenti esecutivi del progetto di
riduzione del personale si intendono sospesi per tutta la durata degli
incontri in sede sindacale ovvero finché ha senso l’aspettativa delle
parti di giungere ad un accordo (art. 2, comma 2); in caso di nuove
assunzioni entro un anno nelle mansioni e nelle specialità proprie dei
lavoratori già licenziati, questi ultimi hanno diritto di essere riassunti
con criteri obiettivi diversi rispetto a quelli in base ai quali furono
eseguiti i licenziamenti (art. 5); non sono poi configurabili come
licenziamenti collettivi, benché possano essere di massa, né le
estinzioni di rapporti di lavoro per scadenza del termine, né
l'estinzione derivante da fine lavoro nelle costruzioni edili e nelle
industrie stagionali e saltuarie; ben diverso il caso di inosservanza
delle norme sindacali, durante lo svolgimento della trattativa. Per una
parte della dottrina, il licenziamento per riduzione del personale,
intimato senza l’osservanza della suddetta procedura, era da
considerarsi inefficace e quindi inidoneo a determinare l’estinzione
del rapporto di lavoro: ci si muoveva nella direzione di una ferma
distinzione, anche per quel che riguarda la disciplina applicabile alle
due fattispecie.
13
G. GHEZZI, U. ROMAGNOLI, “Il rapporto del lavoro”, Bologna, 1995, p. 360.
10
Tuttavia, c’era anche chi, su posizioni più caute, non parlava di
conversione bensì di un licenziamento per riduzione del personale da
considerarsi individuale plurimo; soluzione interessante non solo
perché permetteva l’impugnazione del provvedimento secondo le
norme interconfederali garantendo così un’estensione della disciplina
pattizia dei licenziamenti individuali a tutte le ipotesi in cui il mancato
accordo fra le parti producesse un vuoto di tutela dei lavoratori; ma
anche perché cominciava a delineare una qualificazione di
licenziamento collettivo fondata sulla concreta applicazione di una
disciplina autonoma.
Tuttavia, tale linea divisoria, così netta dal punto di vista normativo-
concettuale, si rivelava poi molto labile quanto si trattava di applicare
la disciplina. La posizione di voluto astensionismo che, in materia, il
legislatore aveva tenuto di fronte alla complessità del fenomeno e alla
difficoltà, di apprestare un’idonea tutela a tutti gli interessi coinvolti,
non poteva più essere conservata, così, giusto un anno dopo l’entrata
in vigore dell’ultimo accordo, si arrivò all’emanazione della l. n.
604/1966. Un intervento chiarificatore in quanto pone, in maniera
netta, il principio della necessaria giustificazione causale dei
licenziamenti individuali, una sorta di cristallizzazione formale della
motivazione a favore del lavoratore, per garantirgli una chiara
conoscenza del thema decidendum ai fini dell’eventuale giudizio
d’impugnazione.
In tale intervento legislativo però il licenziamento per riduzione del
personale risulta essere un corpo estraneo, per il quale l’unica
“norma” di riferimento restava l’ultimo accordo interconfederale;
infatti, l’art. 11, comma 2 legge n. 604 (come modificato dall’art. 2,
comma 2, L. 108/1990), stabiliva che “la materia del licenziamento
collettivo per riduzione del personale è esclusa dalle disposizioni della
presente legge”. Si tratta di un vero vuoto di regolamentazione