5
argomentazione, anche quelle relative a problematiche di natura teolo-
gica, è sistematicamente sostenuta da dimostrazioni razionali, fondate,
a loro volta, sull’applicazione rigorosa delle norme delle arti liberali, e
che attribuisce al testo, a tutti gli effetti, le caratteristiche di un com-
plesso trattato teologico.
La redazione dei Libri Carolini va collocata storicamente nella
fase culminante dell’ascesa politica di Carlo che, dopo circa vent’anni
dalla sua incoronazione, era già riuscito a porre sotto il suo dominio i
territori dell’intera Europa continentale, dai Pirenei al Danubio, portan-
do a realizzazione, almeno in modo parziale, il progetto di ricreare
l’ideale dell’Impero Romano cristianizzato, attuato anche attraverso
l’unificazione delle popolazioni barbariche sottomesse. A completa-
mento e conferma di questa espansione territoriale il sovrano mise in
atto, insieme ad una decisa attività evangelizzatrice finalizzata
anch’essa a creare una coscienza unitaria attraverso l’adesione all’unica
fede, una più ampia “pedagogia intellettuale” dei popoli vinti, allo sco-
po di costruire progressivamente, tra i sudditi, una profonda unità in-
sieme spirituale, politica e religiosa, che sarebbe stata l’indizio princi-
pale dell’appartenenza alla grande civiltà carolingia.
6
Il progetto di Carlo, finalizzato alla realizzazione di questa piena
Unanimitas, si pone dunque come omnicomprensivo, investendo, oltre
agli ambiti politico-amministrativo e religioso, anche quello culturale,
come peraltro testimoniano i ripetuti interventi diretti del sovrano nella
riforma dell’istruzione, attraverso l’emanazione di interessanti capitola-
ri come l’Admonitio Generalis
1
(789), nella quale è raccomandata la cu-
ra per lo studio e l’organizzazione scolastica dell’attività intellettuale,
o, in particolare, l’Epistola De litteris colendis
2
(789), nella quale, oltre
a raccomandare lo studio delle lettere e l’uso corretto del latino
nell’insegnamento religioso, il sovrano prospetta vagamente anche
l’istituzione di scuole pubbliche. Nell’ambito della riforma intellettuale
del regno va collocata anche la presenza a corte, spesso per esplicito
invito del sovrano, dei maggiori intellettuali europei, chiamati per af-
fiancarlo nella guida del regno e per incrementare la sapienza sua e
quella dei suoi sudditi. Si concentrano così nell’Achademia del palazzo
reale “le risorse intellettuali disperse nell’Occidente romano-barbarico:
l’esperienza politica della declinante Spagna visigotica (Agobardo di
1
Admonitio Generalis, in MGH, Capitularia, 1, a c. di A. Boretius, Hannover, 1960,
pp. 52-62.
2
De litteris colendis, in ibid., pp. 78-79.
7
Lione), la perizia letteraria conservata dalla sopravvivenza di qualche
forma di scuola in Italia (Paolo Diacono e Claudio di Torino), la splen-
dida maturità della scuola insulare, che si era appropriata della tradizio-
ne latina nei secoli del declino politico”
3
. Nell’ambito della cosiddetta
Rinascita Carolingia emergono allora personalità eminenti come, primo
fra tutti, l’anglosassone Alcuino (735 ca. - 804), detto Albinus, il mag-
giore collaboratore del re e l’ispiratore delle sue più importanti iniziati-
ve in campo culturale, autore tra l’altro di opere (fra le quali varie sin-
tesi manualistiche dedicate alle arti liberali) destinate a divenire in bre-
ve tempo la principale fonte e il modello per gli autori della seconda
generazione carolingia
4
. Ma la sua presenza a corte in qualità di autore-
vole uomo di religione, oltre che di cultura, caratteristica peraltro co-
mune a tutti gli intellettuali della corte franca, chiamati a difendere e
chiarificare, con i loro scritti, la fede cristiana, dimostra ancora una vol-
3
M. Cristiani, Lo sguardo a Occidente, Religione e cultura in Europa nei secoli IX-
XI, Roma, 1996, [pp. 138], p. 14.
4
Tra le altre personalità che operarono alla corte di Carlo è bene ricordare anche: Wi-
zo (detto Candidus), Dungalo di Saint-Denis (+ 817), che fu fra i primi conoscitori di
Macrobio, il tedesco Leidrado, committente di una delle più antiche raccolte di testi
dialettici in latino, e il franco Angilberto (+ 814), impegnato principalmente in campo
politico.
8
ta, e in modo evidente, la dimensione teologica che il sovrano attribui-
sce anche a questo rinnovamento culturale.
Il grande progetto carolingio di riforma è infatti originato e ali-
mentato da un forte impulso religioso che trova il suo fondamento, oltre
che nella volontà politica di fare della fede uno strumento di coesione
civile, soprattutto nel ruolo quasi provvidenziale che è attribuito al re. Il
sovrano franco, infatti, non è più solo il capo militare al quale i sudditi
sono legati da un indissolubile rapporto di fedeltà (come secondo la
tradizione germanica), ma è soprattutto colui al quale Dio ha affidato il
difficile compito di guidare la Christianitas, ossia l’intero mondo cri-
stiano, e di difendere la Chiesa dai pericoli (interni ed esterni) che ne
minacciano l’unità. Nella sua persona viene così ad incarnarsi
quell’ideale di origine platonica del re-filosofo, nel quale si assommano
la forza dell’eruditio e la sapienza
5
dei philosophi, che già gli attribui-
sce una insostituibile e necessaria funzione di guida.
È facilmente immaginabile, dunque, quale sia stata la valenza po-
litica attribuita dalla corte carolingia all’autonoma convocazione, da
5
Al riguardo, la Cristiani (cfr. M. Cristiani, Lo sguardo a Occidente, Religione e
cultura in Europa nei secoli IX-XI cit. [alla nota 3, p. 8], p. 30) precisa che in età caro-
lingia il termine sapientia indica l’espressione al più alto grado delle virtù cristiane.
9
parte degli imperatori d’Oriente, di un Concilio, senza neppure infor-
mare il re Carlo o almeno sollecitare la partecipazione di esponenti del-
la Chiesa franca, al fine di decretare, con la conclusione della fase ico-
noclasta, anche il riavvicinamento al Papa e ottenerne sostegno politico.
La decisione dei Bizantini rappresentava, infatti, non solo una rivendi-
cazione della propria autorità imperiale ma, soprattutto, un evidente di-
sconoscimento del ruolo assunto in Occidente dal re Carlo, il cui inter-
vento diretto diventava per questo una necessità, giustificato peraltro
anche dalla sua funzione di defensor ecclesiae e di apostolo del Cristia-
nesimo presso le popolazioni conquistate.
L’invio a corte (presumibilmente per volontà del Papa) di una
imprecisa traduzione latina degli Atti del II Concilio di Nicea diede
dunque modo ai franchi di rispondere duramente a quello che doveva
essere stato accolto come un vero affronto. Per volontà del sovrano il
testo ricevuto fu analizzato con grande attenzione dai teologi carolingi
e fatto oggetto, verso l’inizio del 790, di una serrata e violenta requisi-
toria, inviata poi al Papa con il titolo di Capitolare adversus Synodum,
e successivamente modificata ed ampliata tra il 792 e il 794 nell’Opus
Caroli contra synodum. Nella lunga dissertazione, in cui grande rile-
vanza è data proprio all’evidenziazione dei gravi errori teologici com-
10
messi dai bizantini, con lo scopo evidente di sottolinearne l’inferiorità e
delegittimarne le pretese, i franchi espongono anche, fondandola su ba-
si filosofiche platonico-agostiniane, la loro posizione riguardo alla que-
stione delle icone, rifiutando l’attribuzione ad esse del culto
dell’adorazione, come sancito dal Concilio Niceno, e preferendo la po-
sizione mediana del “nec adorare nec frangi”, accogliendo il tema patri-
stico della via media, comune già nelle opere di Alcuino.
Proprio la scelta della posizione mediana è stata considerata da
Luitpold Wallach, insieme alle numerose corrispondenze testuali e di
idee, un’importante prova a favore dell’ipotesi della paternità alcuinia-
na dell’opera. Questa ipotesi è stata rifiutata però da Ann Freeman, ini-
zialmente decisa ad attribuire il capitolare al visigoto Teodulfo, curato-
re di una revisione del testo biblico dalla quale i Libri Carolini ripren-
dono molte delle citazioni scritturali, ma successivamente costretta, in
un articolo del 1988
6
, a riconoscere la possibilità che questo scritto sia
stato invece realizzato con la collaborazione dei maggiori teologi della
corte di Carlo Magno. Questa ipotesi è presentata come la più probabile
6
A. Freeman, Additions and Corrections to the Libri Carolini: Links with Alcuin
and the Adoptionist Controversy, in Scire Litteras. Forschungen zum mittelalterlichen
Geistesleben, a c. di S. Kramer-M. Bernhard, Munchen, Verlag der Bayer. Akad. Der
Wissensch., 1988, pp. 159-169.
11
anche da Giulio d’Onofrio che, nella sua Storia della Teologia nel Me-
dioevo, ha considerato i Libri Carolini come il risultato di un lavoro di
équipe svolto, con molta probabilità, sotto la direzione di un personag-
gio dominante, senza dunque escludere a priori la partecipazione, nella
stesura, di Alcuino, la cui autorità e influenza a corte sono innegabili, o
di Teodulfo
7
.
Dopo essere stato a lungo trascurato (neppure il coevo Concilio di
Francoforte, che pure si dichiara contro l’adorazione delle immagini
sacre, ne riprende le conclusioni
8
), e addirittura messo all’Indice fino
all’inizio del ‘900, il testo è stato parzialmente riscoperto negli ultimi
decenni e ripubblicato recentemente a cura della Freeman, per i
M.G.H., con il titolo di Opus Caroli Regis contra synodum
9
, edizione
alla quale questo studio fa costantemente riferimento, citandola nelle
note con la sigla OC. La pubblicazione del nuovo testo critico
dell’opera ha aperto nuove problematiche testuali che, insieme alla
7
Cfr. G. d’Onofrio, La teologia carolingia, in Storia della Teologia nel Medioevo, a
c. di G. d’Onofrio, I, I Princípi, Casale Monferrato, 1996, [pp. 107-196], p. 134.
8
Cfr. Capitularis 28, Synodus Francofurtensis in MGH, Capitularia, 1 cit. (alla nota
1, p. 7), [pp. 73-78], in part. pp. 73, l. 31 – p. 74, l. 2.
9
Opus Caroli Regis contra Synodum (Libri Carolini), in MGH, Leges, 4, Concilia, 2,
Suppl., 1, a c. di A. Freeman, Hannover, Hahnsche Buchhandlung, 1998, pp. 666.
12
complessità dei contenuti e alla sistematicità con la quale è applicata la
particolare metodologia filosofica, rendono oggi necessario rivolgere
all’opera un’attenzione maggiore poiché contiene una testimonianza
importantissima del livello speculativo raggiunto dai filosofi della pri-
ma generazione carolingia. E questa ricerca vuole proprio evidenziare
l’importanza e la portata filosofica dei Libri Carolini, per dimostrare la
necessità di una riscoperta e l’attribuzione ad essi di un posto più rile-
vante nei testi e nello studio della Storia della Filosofia.
13
I – I LIBRI CAROLINI NEL LORO TEMPO.
I – La questione delle immagini.
La Tradizione cristiana ha dovuto confrontarsi, sin dalle sue
origini e dal suo primitivo distacco dalla religiosità ebraica, con il
rischio di eccessi o irregolarità nella pratica cultuale delle immagini,
spesso utilizzate quale strumento di propaganda imperiale e fatte
oggetto di un inammissibile culto idolatrico (in particolare per quanto
riguardava le statue). A partire dal II-III secolo l’autonomia cristiana
pervenne progressivamente all’accettazione di un utilizzo di natura
pedagogico-illustrativa delle immagini sacre, sempre in contesti
narrativi
1
, come “potenti mezzi visivi” utili a mettere alla portata di
tutti, in una società composta prevalentemente di illetterati, gli episodi
1
Solo dal VII secolo si può parlare delle immagini come di rappresentazioni di
personaggi a sé stanti. Cfr. R.M. Mackowski, La controversia iconoclasta ed il
Concilio Niceno II, in “Vivarium Scyllacense”, IV/2 (1993), [pp. 141-153], in part., p.
141.
14
salienti della storia della salvezza
2
. Questa funzione educativa fu presto
riconosciuta dall’intero mondo cristiano: in Oriente, ad esempio,
Gregorio Nisseno (IV secolo) definì le immagini come “scrittura
silenziosa”
3
; e, in Occidente, un’autorità indiscutibile in materia
d’immagini
4
come Gregorio Magno (540-604) riconobbe la loro
funzione di istruzione (aedificatio, instructio, addicere) per gli
illetterati, in quanto “in ipsa legunt qui litteras nesciunt”
5
.
Ma dietro l’apparente unità dottrinale del mondo cristiano,
almeno in materia di immagini, si celavano un’intolleranza e una
sfiducia reciproche tra autori latini e greci, acuite dall’ignoranza
reciproca della lingua e della tradizione culturale dominanti nell’altra
metà dell’impero romano, amministrativamente e linguisticamente
2
Manifestazioni di questo atteggiamento sono le raffigurazioni delle catacombe. Cfr.
S.J. Voicu, Teologia e iconoclasmo a Bisanzio, in Storia della Teologia del
Medioevo cit. (alla nota 7, p. 12), [pp. 305-336], in part. p. 306.
3
Cfr. Gregorio Nisseno, Oratio laudatoria martyris Theodori, in P.G. 46, [coll.
735B-748], in part., col. 757 D.
4
Cfr. J.-C. Schmitt, L’Occident, Nicée II et les images du VIIIe au XIIIe siècle, in
Nicée II, 787-1987, Paris, 1987, [pp. 271-301], in part., p. 276.
5
Gregorio Magno, Registri, XI, 10, Gregorius I papa Serenum, episcopum
Massiliensem, de imaginem eversione, a se iam dudum vituperata, reprehendit
hortaturque, ut consternationem inde ortam compescat et malorum hominum
societate abstineat, in M.G.H., Epistolarum, II, Berlin, 1957, [pp. 269-272], in part.,
p. 270, ll. 15-16.
15
diviso fin dai tempi di Diocleziano (inizio IV secolo). L’azione
iconoclasta degli Imperatori Orientali portò ad esasperazione formale
tale diversità tra le due sfere della cristianità antica, determinando una
vera e propria frattura tra due mondi opposti: una Cristianità
Occidentale, iconofila, il cui potere era fondato, per una radicata
presunzione religiosa e politica ad un tempo, nella diretta discendenza
dall’autorità apostolica
6
; e un Impero Bizantino, iconoclasta (o
iconomaco), che si considera politicamente l’erede diretto di quello
Romano e la cui Chiesa, già autonoma da Roma
7
, è totalmente soggetta
all’autorità del Basileus. Al di là delle problematiche teologiche sulle
quali quest’azione sembrerebbe, in qualche modo, poggiarsi
(l’Imperatore Leone III Isaurico, iniziatore del movimento iconoclasta,
dichiarò infatti di voler realizzare una riforma religiosa, per
6
Cfr. M. Cristiani, Dall’unanimitas all’universitas. Da Alcuino a Giovanni
Eriugena. Lineamenti ideologici e terminologia politica della cultura del secolo IX,
Roma, 1978, [pp. 212], in part., p. 18.
7
Il Patriarca di Costantinopoli assume sin dal VI secolo, contro la volontà di Papa
Gregorio Magno, il titolo di patriarca ecumenico, ponendosi in una posizione di parità
rispetto al Vescovo di Roma, considerato semplicemente uno dei cinque Patriarchi.
16
“purificare” la Chiesa, liberandola dagli idoli
8
), essa va letta anche in
un’altra chiave, prettamente politica. La tesi della Ahrweiler, che ha
considerato l’Iconoclastia come un “mezzo di controllo imperiale sulle
province”
9
, può essere confermata da una analisi dell’arte sviluppatasi
in Oriente nell’ambito del moto iconoclasta, che, secondo il Ladner,
non fece altro che sostituire le immagini della civitas Dei con quelle del
più antico culto imperiale, sostituendo le immagini sacre con
“programmi decorativi alternativi in cui – tra le altre cose – si
sottolineavano gli episodi delle vittorie imperiali oppure si accentuava
(…) il simbolo costantiniano della vittoria cristiana riservato
all’imperatore, cioè la croce”
10
.
8
Cfr. C. Schönborn, I presupposti teologici della controversia sulle immagini, in
Culto delle immagini e crisi iconoclasta, Atti del Convegno di studi, Catania 16-17
maggio 1984, Catania, 1986, [pp. 55-68], in part., p. 57.
9
Cfr. G. Arnaldi, La questione dei Libri Carolini, in Culto cristiano, politica
imperiale carolingia, Atti del Convegno del Centro di Studi sulla Spiritualità
Medievale, 9-12 ottobre 1977, Todi, 1979, p. 75.
10
Cfr. A. Carile, L’iconoclasmo fra Bisanzio e l’Italia, in Culto delle immagini e
crisi iconoclasta cit. (alla nota 8), [pp. 13-54], in part., pp. 38-39.
17
L’azione iconoclasta ebbe inizio per volontà dell’Imperatore
Leone III Isaurico (714-741) quando, nel gennaio 730, in una solenne
Assemblea (Silention) da lui convocata, promulgò un editto contro il
culto delle immagini, considerato in contrasto con la Tradizione e le
Scritture. La Chiesa di Roma rifiutò questa condanna e, anzi, confermò
la sua posizione iconofila in un Sinodo convocato da Papa Gregorio III
(731-741) alla fine del 731. Queste risposte motivarono la dura
reazione del Basileus che, prima, applicò imposte sui beni del
Patrimonio di S. Pietro e, poi, acquisì sotto la sua giurisdizione le
province dell’Illirico Orientale (Epiro, Macedonia, Tessaglia, Acacia,
Dacia, Mesia, Dardania e Creta), la Calabria e la Sicilia
11
. I rapporti tra
Roma e Bisanzio, d’ora in poi, avrebbero risentito a lungo della
“questione politico-territoriale” che, ad esempio, rimarrà sottesa (e in
modo evidente) alla partecipazione alle sessioni e all’approvazione
degli Atti del II Concilio di Nicea, da parte della Chiesa di Roma.
Inoltre l’atto di forza dell’Imperatore evidenziava anche il nuovo ruolo
e l’attuale ridotto peso politico di Roma, suscitando, da una parte,
11
Cfr. A. Melloni., L’Opus Caroli Regis contra Synodum o Libri Carolini, in
“Studi Medievali” 29 (1988), [pp. 873-886], in part., p. 882.
18
“nostalgie di simbiosi con i bizantini” e, dall’altra, “sentimenti di
rivalsa” resi pensabili dall’efficace azione antilongobarda dei Franchi
12
.
L’ascesa sul trono imperiale di Costantino V Copronimo (741-
775) portò ad un inasprimento della persecuzione iconoclasta, alla
quale si tentò di dare una giustificazione teologica nel Concilio di Ieria,
voluto dall’imperatore appositamente per confermare la condanna del
culto delle icone. Il Concilio, che ebbe inizio nel febbraio 754, si auto-
proclamò ecumenico nonostante l’assenza di legati papali e di tutti i
patriarchi
13
ed equiparò le icone agli idoli pagani, scagliando l’anatema
su chiunque avesse osato “costruire, venerare o mettere in Chiesa o in
case private o altrove o nascondere le icone”
14
.
12
Per Arnaldi (cfr. G. Arnaldi, La questione dei Libri Carolini cit. (alla nota 9, p.
17), p. 69) “le ripercussioni italiane della politica iconoclastica degli imperatori
isaurici avevano avuto una parte decisiva nell’indurre il papato a guardare ai Franchi
(…) come ad un’ancora di salvezza contro la perfida gens Langobardorum, in
sostituzione degli eresiarchi – perché iconoclasti - Bizantini”.
13
Oltre al Papa, non vi parteciparono infatti i Patriarchi di Alessandria, Antiochia e
Gerusalemme; inoltre, la sede Patriarcale di Costantinopoli era vacante per la morte
del Patriarca Anastasio, e per questo il Concilio fu detto “aképhalon” dagli iconofili.
14
Cfr. S. Varnalidis, La difesa delle icone al Concilio Niceno II, in La legittimità
del culto delle icone, Oriente e Occidente riaffermano insieme la fede cristiana, a c.
di G. Distante, Atti del III Convegno Storico interecclesiale, 11-13 maggio 1987,
Bari, 1988, [pp. 105-128], in part., p. 123.