secondo recenti studi
(3)
, circa la metà dell’intera attività
economica dell’industria italiana è svolta in imprese
appartenenti ad un gruppo; la quota si avvicina ai tre quarti per
le imprese con oltre 20 addetti.
Il gruppo, segnatamente il gruppo piramidale
(4)
– dove
molteplici imprese giuridiche disposte lungo catene di controllo
sono sottoposte alla direzione di un unico vertice – è dunque la
forma tipo con cui è organizzata in Italia l’attività economica,
almeno nel settore industriale; ma tale forma è diffusa, in parte,
anche nel settore terziario.
Quasi tutti i grandi complessi produttivi, quindi, operano
all’interno di strutture organizzate più vaste.
La «finalità canonica»
(5)
dell’adozione della forma “gruppo” è
quella di favorire la separazione tra proprietà e controllo.
Inoltre, esigenze di flessibilità strutturale e di selettività degli
investimenti nelle attività produttive hanno indotto le imprese
(3)
Ci si riferisce alla ricerca svolta presso la Banca d’Italia nel 1994, i cui risultati sono
consultabili in AA.VV., Assetti proprietari e mercato delle imprese. Proprietà, modelli di
controllo e riallocazione nelle imprese industriali italiane, I, Bologna, 1994.
(4)
R. HILFERDING, Das Finanzkapital, Frankfurt, 1910, trad. it. Il capitale finanziario,
Milano, 1961, p. 140, scriveva che il gruppo piramidale è una «tecnica ... per assicurare col
più piccolo capitale possibile il controllo sul più grande capitale altrui».
(5)
L’espressione è tratta da F. BARCA, La tipologia dei gruppi. Diffusione, funzioni e
opportunità di sviluppo dei gruppi italiani, in AA.VV., La disciplina dei gruppi di
imprese: il problema oggi, Milano, 1997, p. 15 e ss.
ad adottare soluzioni organizzative, forme giuridiche e modalità
operative idonee a consentire il frazionamento dei rischi ed una
maggiore mobilità nei diversi settori o nei rami dell’attività
economica mediante la divisione del complesso produttivo in
entità autonome collegate da un centro (società-madre o
holding) con funzioni di assistenza finanziaria e di indirizzo
tecnico-gestionale. In particolare, gli studiosi delle scienze
economiche hanno messo in luce come il ricorso a tale forma
organizzativa non soltanto offra il vantaggio della progressiva
riduzione del capitale di rischio, necessario per la gestione dei
mezzi finanziari occorrenti per le attività programmate, ma
assicuri anche un’elevata flessibilità strutturale, particolarmente
idonea a consentire l’adeguamento dell’impresa alle mutevoli
condizioni del mercato.
Assume particolare rilievo, per questi motivi , il fatto che il
nostro ordinamento non offra una definizione ed una
regolamentazione unitaria del fenomeno
(6)
. E’ indubbio, però,
che si sta imponendo l’esigenza di un intervento normativo sul
(6)
S. LA ROSA, I gruppi di società nel diritto tributario, in AA.VV., I gruppi di società.
Ricerche per uno studio critico, a cura di A. PAVONE LA ROSA, Bologna, 1982, p. 203 e
ss., precisa che «il fenomeno dei gruppi di società è ignoto al vigente codice».
tema e molteplici sono i riferimenti legislativi al «gruppo di
società» che, seppur limitati nel loro ambito di applicazione e
giustificati da necessità ed esigenze particolari o contingenti
(dovute alla diffusione di questa realtà e all’impatto con la
disciplina delle attività economiche), sottolineano la rilevanza di
tale fenomeno per il diritto. In particolare, oltre all’art. 2359 c.c.
e al d.lgs. n° 127/1991 di attuazione delle direttive CEE n°
78/660 e n° 83/349, hanno particolare importanza, tra le altre,
le leggi n° 216/1974, n° 95/1979, n° 67/1987, n° 287/1990, n°
10/1991, n° 20/1991 e n° 385/1993.
La ricerca di una nozione unitaria ed a valenza generale cui
riportare il gruppo ed i suoi effetti si mostra, nonostante ciò,
estremamente difficoltosa: questo perché, com’è stato
efficacemente scritto, i gruppi sono «figure a geometria
variabile»
(7)
, sia dal punto di vista della conformazione, sia da
quello della regolamentazione, che, in quanto tali, non sono
agevolmente riconducibili a schemi precostituiti.
Del gruppo, perciò, è possibile fornire soltanto una definizione
generale, volta ad evidenziare, anche sulla base della dottrina
(7)
FERRO LUZZI - MARCHETTI, Riflessioni sul gruppo creditizio, in Giur. Comm., 1994,
I, p. 419 e ss.
economico-aziendale, alcune delle caratteristiche che lo
contraddistinguono: si può affermare che il gruppo «si sostanzia
in collegamenti tra imprese, alcune delle quali operano in
maniera subordinata o coordinata rispetto ad altre che a quelle
partecipano in maniera diretta o indiretta, influenzando le
scelte imprenditoriali e talvolta compromettendo l’autonomia
decisionale e gestionale delle stesse società “partecipate”»
(8)
.
Ma, al di là di questa definizione generale, sono ancora
numerosi gli aspetti che dividono gli studiosi.
In primo luogo, è particolarmente acceso il dibattito intorno al
rapporto che intercorre tra “controllo” e “gruppo”. Da questo
punto di vista, si individuano due tesi contrapposte: da un lato,
quella di chi individua tra i due fenomeni un rapporto di
«strumentalità» o «gradualità necessaria», cosicché il controllo
– con una sorta di presunzione assoluta – non potrebbe che
avere, come logica conseguenza, il gruppo; dall’altro lato, la tesi
volta a tracciare i confini delle diverse forme di aggregazione
aziendale in maniera articolata, secondo una scala di
(8)
A. GIOVANNINI, I gruppi di società, in AA.VV., Imposta sul reddito delle persone
giuridiche. Imposta locale sui redditi, Collana Giurisprudenza sistematica di diritto
tributario diretta da F. TESAURO, Torino, 1996, p. 107 e ss.
combinazioni che individua gli aspetti distintivi del gruppo nella
«direzione unitaria» o in una «sovrastruttura organizzata» di
tipo decisionale
(9)
.
In secondo luogo, è parimenti discusso il tema del rapporto tra
le diverse forme di controllo e di collegamento, sia in
riferimento alla normativa nazionale che a quella comunitaria.
Ma il tema più discusso, almeno dal punto di vista della teoria
generale del diritto, è quello concernente la possibilità di
individuare nel gruppo un autonomo soggetto di diritto, ossia di
ravvisare in esso, pur nel silenzio del legislatore, un centro
unitario di imputazione di situazioni giuridiche, superando, in
tal modo, il velo della personalità giuridica delle singole
società
(10)
: il gruppo, infatti, è caratterizzato dalla
contrapposizione tra l’azione economica e l’imputazione
(9)
Per le due tesi si confrontino: FERRI, Concetto di controllo e di gruppo, in Disciplina
giuridica del gruppo di imprese, Atti del Convegno di Bellagio, 19-20 giugno 1981,
Milano, 1982, p. 71 e ss.; JAEGER, I «gruppi» tra diritto interno e prospettive
comunitarie, in Giur. Comm., 1980, I, p. 916 e ss.; CHIOMENTI, Osservazioni per una
costruzione giuridica del rapporto di gruppo tra imprese, in Riv. Dir. Comm., 1983, I, p.
257 e ss.; A. PAVONE LA ROSA, Le società controllate – I gruppi, in Trattato delle
società per azioni, diretto da G.E. COLOMBO e G.B. PORTALE, 2**, Torino, 1991, p. 600
e ss.
(10)
L’esperienza degli ordinamenti di common law ha dimostrato, infatti, la possibilità di
una ricostruzione della soggettività del gruppo, seppure ai soli fini civilistici, come una
realtà ulteriore rispetto al fenomeno economico ed alla singola soggettività giuridica delle
società: VERRUCOLI, Il superamento della personalità giuridica delle società di capitali
nella common law e nella civil law, Milano, 1962, p. 39 e ss. V. anche: SCHIANO DI
PEPE, Il gruppo di imprese, Milano, 1990, p. 126 e ss.; SETTE, Dal gruppo di imprese
all’impresa di gruppo, in Riv. Dir. Civ., 1988, I, p. 267 e ss.
giuridica della stessa a ciascuna delle società, formalmente
autonome, ma legate da rapporti sia di controllo che di
collegamento ed agenti sotto un’unica direzione, quella gestita
da una società od altro ente oppure da un vertice individuale.
Collegato a quest’ultimo aspetto è il dibattito sulla possibilità di
individuare nella società controllante e nei suoi amministratori
centri di responsabilità che permettano di superare o,
quantomeno, di ridimensionare la personalità giuridica delle
società controllate ed i rapporti interorganici che ad esse fanno
riferimento
(11)
.
Anche il diritto tributario, come quello civile, non fornisce una
definizione di “gruppo di società”, né permette di considerarlo
come centro unitario di imputazione dell’obbligazione
d’imposta: esso, mediante la tecnica del rinvio alle norme
civilistiche oppure dettando una disciplina ad hoc, fa
riferimento ai fenomeni del “controllo”, del “collegamento” e
della “direzione unitaria” allo scopo di disciplinare specifici
profili riguardanti la determinazione del reddito di impresa (ad
es., artt. 76, 5° comma e 96, 1° comma, T.U.I.R.) o l’ammontare
(11)
GAMBINO, Responsabilità amministrativa nei gruppi societari, in Giur. Comm.,
1993, I, p. 841 e ss.
del debito o del credito periodico relativo all’I.V.A. (art. 73,
d.p.r. n° 633/1972) o la cessione di crediti (art. 43-ter, d.p.r. n°
602/1973). È per questi motivi che la dottrina tributaria si è
raramente occupata dell’argomento, anche se l’integrazione dei
mercati e la diffusione di forme di aggregazione e di
cooperazione anche a livello internazionale hanno recentemente
spinto vari autori ad interessarsi del fenomeno, al fine di ideare
soluzioni tese ad armonizzare la realtà economica – in continua
evoluzione – con quella giuridica e ad eliminare le discrasie
esistenti tra di esse
(12)
.
Poiché la normativa tributaria dipende, per alcuni aspetti
(13)
, da
quella civile, è necessario muovere dall’analisi di quest’ultima,
in particolare operando un attento esame delle nozioni di
“controllo”, “collegamento” e “direzione unitaria”, dal momento
che, come si è accennato, numerose norme tributarie fanno
rinvio a tali nozioni.
(12)
Uno dei più importanti contributi in tal senso è, sicuramente, quello di S. LA ROSA, I
gruppi di società nel diritto tributario, cit., p. 203 e ss.
(13)
Primo fra tutti, l’individuazione dei “soggetti” destinatari delle norme da essa poste.
2. Nozioni di “controllo”, “collegamento” e “direzione
unitaria”.
a) Il controllo. Lo strumento principale per la
costituzione di un gruppo di società è l’acquisto di
partecipazioni sociali. Infatti, mediante la partecipazione di
controllo una società è in grado di coordinare o, comunque, di
influenzare – in modo più o meno incisivo – l’attività delle
società partecipate.
Come si è detto, nel codice civile e nella legislazione speciale
non è data alcuna definizione del gruppo di società. Per contro,
l’art. 2359 c.c., nel testo modificato dal d.lgs. n° 127/1991,
consente di individuare una nozione di “controllo societario”,
nozione utilizzata, seppur con vari adattamenti e significative
modifiche, da numerose discipline di settore.
L’art. 2359 prevede due diverse forme di controllo: quello
interno (o azionario) e quello esterno (o contrattuale). Il
controllo interno, a sua volta, può essere diretto (o di diritto)
oppure indiretto (o di fatto).
Il controllo interno diretto si ha nelle ipotesi in cui una società
«dispone della maggioranza di voti esercitabili nell’assemblea
ordinaria» di un’altra società (art. 2359, 1° comma, n° 1).
Questa sorta di presunzione assoluta dell’esistenza di una
situazione di controllo societario è fondata sul presupposto
secondo cui la disponibilità della maggioranza dei voti consente
all’azionista di nominare o l’amministratore unico o l’intero
consiglio di amministrazione, nonché l’organo di controllo della
società: senza dubbio, l’esercizio di questo potere di nomina
pone la società controllante in condizione di orientare l’attività
della controllata verso linee di programmazione economica e
finanziaria da essa prestabilite.
Il controllo interno indiretto si ha nelle ipotesi in cui una società
«dispone di voti sufficienti per esercitare un’influenza
dominante nell’assemblea ordinaria» di un’altra società (art.
2359, 1° comma, n° 2). Infatti, quando il capitale sociale risulta
frammentato in numerose partecipazioni e quando si riscontra
un costante e diffuso assenteismo degli azionisti, una società
può controllarne un’altra anche senza disporre della
maggioranza dei voti. L’influenza dominante – che può essere
identificata, in prima approssimazione, con il potere di indirizzo
dell’attività della controllata – finisce, anche qui, per coincidere
con la possibilità di nominare gli amministratori: una società,
azionista minoritaria di un’altra, ne eserciterà, dunque, il
controllo quando sarà stabilmente in grado di determinare la
nomina dell’organo gestorio.
A norma del 2° comma dell’art. 2359, sia nel caso di controllo
diretto, sia in quello indiretto, per il computo dei voti si deve
tenere conto anche di quelli «spettanti a società controllate, a
società fiduciarie e a persona interposta; non si computano i
voti spettanti per conto terzi». Le fattispecie contemplate da
questo comma sono caratterizzate dalla circostanza che la
società controllante non instaura direttamente il rapporto di
controllo, bensì indirettamente, cioè mediante altra società o
persona. Occorre tenere conto, infatti, che è particolarmente
frequente, nel sistema dei gruppi, il controllo indiretto per il
tramite di società controllate (c.d. catena di società o “controllo
a cascata”): la società A controlla la società B, la quale, a sua
volta controlla la società C, e così via. In tal modo, la società A è,
attraverso la controllata B, controllante indiretta di C. Inoltre,
sempre il 2° comma dell’art. 2359 estende il controllo azionario
indiretto anche a fattispecie che non si presentano sotto la
forma del controllo a cascata: tale norma, infatti, imputa alla
società controllante le partecipazioni, ancorché non di controllo,
detenute dalle società controllate in altra società
(14)
.
L’espressione «per interposta persona» non identifica uno
specifico rapporto giuridico e viene generalmente interpretata
in senso lato, includendovi anche qualsiasi ipotesi in cui le
azioni, pur essendo intestate a terzi, siano state acquistate dalla
società o per conto della stessa, se il terzo ha l’obbligo di
trasferirle a quest’ultima quando ne venga fatta richiesta.
L’interposizione, ad es., può attuarsi mediante un contratto di
commissione, di deposito irregolare, di riporto o con rapporti
fiduciari, di cui l’intestazione a società fiduciarie rappresenta
una sottospecie. Al contrario, come si è visto, la norma prevede
che non si computino i voti spettanti per conto terzi: nel caso
che interposta sia la società, infatti, non si tiene conto dei voti
che ad essa spettano per conto terzi, proprio in quanto ciò che
rileva è la disponibilità effettiva dei diritti di voto.
In conclusione, il 2° comma dell’art. 2359 equipara, ai fini
(14)
Si consideri, ad es., il caso in cui la società A controlla le società B, C, D ed E, le quali
detengano ciascuna una percentuale pari al 15% dei voti della società F: sebbene nessuna
delle società intermedie controlli F, A è considerata controllante di F.
dell’accertamento del controllo indiretto, le partecipazioni
dirette a quelle indirette e stabilisce che, in ogni caso, le une si
sommano alle altre: controllante può essere, quindi, sia la
società che ha frazionato tutte le partecipazioni e non risulta
essere titolare neppure di un’azione o quota, sia la società che è
titolare di una partecipazione di per sé priva di influenza, ma
determinante per disporre della maggioranza assoluta o relativa
insieme alle partecipazioni indirette
(15)
.
Il controllo esterno, invece, si ha tutte le volte in cui una società
è «sotto l’influenza dominante di un’altra società in virtù di
particolari vincoli contrattuali con essa» (art. 2359, 1° comma,
n° 3). Secondo la migliore dottrina
(16)
, si deve trattare di
rapporti giuridici «la cui costituzione ed il perdurare dei quali
rappresentino condizioni di esistenza e di sopravvivenza della
capacità d’impresa di una delle società contraenti». Si indicano,
tra gli altri, contratti di finanziamento, di agenzia, di licenza di
brevetto, di commissione, di somministrazione in esclusiva, di
franchising e di know-how; si esclude, invece, che possano
(15)
SBISÀ, Società ed imprese controllate nel D.lgs. 9 aprile 1991, n. 127, in Riv. Soc.,
1992, p. 906 e ss.
(16)
A. PIRAS - A. CERRAI, Gruppi di società, in AA.VV., Diritto Commerciale, Bologna,
1999, p. 495 e ss.
essere ricompresi in tale ambito contratti non sinallagmatici ma
organizzativi, in particolare il c.d. contratto di dominio –
espressamente previsto nella disciplina tedesca dei gruppi di
imprese – in virtù del quale una società rende soggetto il
proprio organo di gestione al potere di istruzioni, anche
pregiudizievoli, provenienti dagli organi direttivi di altra
società
(17)
.
Tuttavia, occorre avvertire che, generalmente, non è il tipo di
contratto che ha in sé carattere “esistenziale”: è il concreto
atteggiarsi del suo contenuto che lo rende “vitale” per una delle
società.
Sotto un altro punto di vista, inoltre, vi è da sottolineare che,
mentre la “transitività” del controllo interno è senza limiti,
quella del controllo indiretto è limitata al primo anello della
catena: infatti, l’applicazione dell’art. 2359, 2° comma è limitata
espressamente alle fattispecie di controllo previste dai numeri 1
e 2 del 1° comma.
Dall’analisi delle tre diverse ipotesi di società controllate emerge
(17)
Secondo A. PIRAS - A. CERRAI, Gruppi di società, cit., p. 502, un contratto di
dominio, nel nostro ordinamento, sarebbe sicuramente nullo, «in quanto gli
amministratori di una società non possono rimettere le scelte gestionali alle decisioni
degli amministratori di altra società».
che l’essenza della nozione di controllo sembra essere
l’influenza che una società (controllante) esercita su un’altra
società (controllata). Nell’ipotesi del controllo interno diretto la
possibilità di esercitare l’influenza dominante è in re ipsa, dato
che la controllante possiede una partecipazione di maggioranza
nel capitale della controllata. Le ipotesi del controllo interno
indiretto e del controllo esterno si verificano proprio nei casi in
cui esista in capo ad una società il potere di esercitare
l’influenza dominante su un’altra: il possesso di una
partecipazione al capitale o l’esistenza di rapporti contrattuali
non hanno alcuna rilevanza in sé, ma solo nel caso in cui da tali
situazioni derivi, come effetto diretto o come conseguenza, la
possibilità di influenzare la società legata dai suddetti rapporti.
Pertanto, la nozione di controllo è individuabile nel concetto di
influenza dominante
(18)
e tale opinione è confermata anche
dall’interpretazione dell’ipotesi di controllo indiretto.
(18)
I. SANGIORGIO, La rilevanza fiscale del controllo societario, in Riv. Dir. Trib., 1993,
I, p. 1329 e ss.