III
INTRODUZIONE
La nostra responsabilità è storica. Poiché, quando la
storia dell’AIDS e la risposta globale saranno scritte,
il massimo contributo può ben essere considerato
il fatto che, al tempo della pestilenza, noi non siamo
fuggiti, né ci siamo nascosti, né ci siamo separati gli uni
dagli altri.
J. Mann
Superata la fase di allarme sociale sembra oggi essere lentamente calato il
sipario sul fenomeno AIDS, che dai primi anni Ottanta alla metà dei Novanta ha
assunto la valenza di un vero e proprio “flagello”. L’epidemia è, infatti, più
contenuta rispetto al passato, anche grazie alle campagne di prevenzione e
informazione. La qualità di vita delle persone coinvolte, inoltre, è migliorata
grazie alla scoperta di nuove terapie che hanno portato l’infezione da HIV ad
assumere caratteri di cronicità.
Ma se sul piano clinico le condizioni delle persone sieropositive sono migliorate,
non è così rispetto ad altri piani riguardanti le relazioni sociali, lo stigma cui sono
sottoposte, le possibilità di realizzazione personale.
Il virus dell’AIDS continua ad agire come “forza disgregante”, in grado di
distruggere vite, relazioni e di creare il vuoto intorno a chi ne è stato colpito.
La società prende le distanze dal problema avvolgendolo di un silenzio che
soffoca il dolore vissuto dalle persone. «Questo dolore grande e lacerante si
presenta oggi come un grido cui è stato tolto l’audio».
1
L’obbiettivo dell’elaborato è duplice: da un lato, esplorare le dimensioni e
le origini sociali e psicologiche di questo dolore, dall’altro analizzare il contesto
dell’auto-aiuto come luogo di riappropriazione della propria vita attraverso la
parola condivisa.
1
Rigliano P., L’AIDS e il suo dolore, EGA, Torino, 1994, p.10.
IV
L’elaborato si divide in tre parti: il primo capitolo è dedicato sia alla ricostruzione
del fenomeno AIDS/HIV in chiave storica, sia alla presentazione dei dati
epidemiologici più recenti, per terminare con un’ampia riflessione sull’impatto
sociale dell’infezione e sulle sue implicazioni psicologiche.
Il secondo capitolo, oltre ad analizzare le origini ed i meccanismi di
funzionamento del movimento dei gruppi di auto-aiuto in genere, traccia una
riflessione relativa ai gruppi di self-help specificatamente rivolti a persone in
AIDS/HIV.
Nel terzo capitolo, infine, i temi precedenti sono ricontestualizzati attraverso una
analisi quantitativa di efficacia dei gruppi di auto-aiuto per sieropositivi e malati
di AIDS attivati nel territorio torinese.
L’iter metodologico si è basato in primis sull’analisi e la ricerca di testi e
di documenti relativi all’oggetto della tesi per poi procedere con l’elaborazione e
la stesura di questionari anonimi rivolti alle persone partecipanti ai gruppi di auto-
aiuto.
Nell’ultima parte dell’elaborato sono presentati i dati più interessanti emersi
dall’analisi dei questionari, con lo scopo di valutare l’efficacia e le potenzialità
dell’auto-aiuto in questo settore, di evidenziarne punti di forza ed eventuali limiti.
1
CAP. 1 AIDS, INDIVIDUO E SOCIETA’
A cosa serve il giorno per chi nella sua
tenebra ha un sole così eccelso che
mai sembra scostarsi dal meridiano?
E. Dickinson
1.1 ORIGINE ED EVOLUZIONE DEL FENOMENO
La sigla AIDS sta per Sindrome da Immuno-Deficienza Acquisita
(Acquired Immuno-Deficiency Syndrome). La malattia, detta anche SIDA, è la
conseguenza dell’infezione provocata dal virus HIV (Human Immuno-deficiency
Virus)
1
e comporta un lento e graduale indebolimento delle difese immunitarie
dell'organismo.
Dal momento dell’infezione da HIV a quello della conclamazione della malattia
l’individuo può rimanere apparentemente in buona salute anche fino a dieci anni,
nonostante il virus sia comunque presente in fase latente e continui a riprodursi ad
ogni divisione cellulare, dal momento che si trova nel DNA delle cellule stesse,
che lo trasmettono alle cellule figlie e così via.
2
Tale virus, presente nello sperma, nelle secrezioni vaginali e nel sangue ha
la proprietà di infettare una particolare classe di linfociti, denominati T (helper),
che contribuiscono in maniera decisiva alla produzione degli anticorpi da parte del
sistema immunitario e senza il quale l'organismo diventa immunodeficiente.
Nello specifico, sulla superficie del virus sono presenti dei recettori che
aderiscono ad analoghi recettori dei linfociti T-helper CD4: entrando nel
citoplasma e nel nucleo delle cellule immunitarie il virus si replica producendo dei
1
L’HIV è un virus con genoma ad RNA appartenente alla famiglia dei Retrovirus, genere
Lentivirus. Il virus si garantisce, in altre parole, la sopravvivenza inserendo una copia del DNA del
proprio genoma nei cromosomi ospiti. Attualmente se ne conoscono due tipi: HIV-1, diffuso in
tutto il mondo (quello che abitualmente conosciamo) e HIV-2, presente solo in alcuni Paesi
africani e meno virulento del tipo 1.
2
Crawford D., Il nemico invisibile, Raffaello Cortina, Milano, 2002.
2
virioni figli che fuoriescono ad infettare altre cellule.
3
Questi linfociti
diminuiscono progressivamente con l'avanzare della malattia, tanto che il loro
dosaggio nel sangue è un parametro fondamentale, poiché indica lo stadio in cui
essa si trova.
4
Si verifica così una situazione di immunodeficienza - definita acquisita per
distinguerla da altre patologie simili, nelle quali l’immunodeficienza è congenita -
a causa della quale un individuo può essere infettato da microrganismi che
determinano l’insorgenza di infezioni opportunistiche (ad esempio candidosi
bronchiale, tracheale, polmonare, esofagea, polmonite da Pneumocystis carinii
5
ecc.) o neoplasie (sarcoma di Kaposi
6
, carcinoma invasivo della cervice dell’utero
ecc.). Di conseguenza, in alcuni casi, la causa dei decessi è da ricercare non tanto
nel virus HIV, ma nell’attacco all’organismo da parte di virus, funghi e batteri.
7
La teoria che ha trovato maggiori consensi circa l'origine dell'HIV è quella
sostenuta dal gruppo di ricerca coordinato da B. Hahn dell’Università
dell’Alabama, a Birmingham, negli Stati Uniti. In base a tale teoria il virus
dell’HIV-1 sarebbe derivato da mutazioni genetiche di un virus che colpisce
alcune specie di scimpanzé africani (Pan troglodytes troglodytes), il SIV
(Scimmian Immunodeficiency Virus).
In particolare, sembra esserci unanimità tra i vari studiosi nel riconoscere che lo
sviluppo dell’infezione sia avvenuto in Africa centrale a partire dagli anni Trenta,
per poi assumere i caratteri di epidemia negli anni Sessanta.
L'infezione da HIV sarebbe pertanto una zoonosi, cioè una infezione trasmessa
all'uomo da altre specie animali: l’uomo si sarebbe infettato probabilmente con la
3
Grosso C., “HIV-AIDS: la sfida continua”, in Campana L. (a cura di), AIDS. La sfida continua,
ed. “Il ponte Vecchio”, Cesena, 2004.
4
Se il carico virale aumenta e il conteggio dei CD4 diminuisce, è venuto il momento di cambiare
la terapia scegliendo una diversa combinazione di farmaci.
5
Microrganismo unicellulare simile ai funghi che causa la polmonite in un organismo ospite
immunocompromesso.
6
Tumore delle cellule che rivestono internamente i vasi sanguigni (cellule endoteliali) e che si
manifesta con chiazze rosse sulla pelle.
7
Crawford D. , op cit.
3
cacciagione oppure tramite riti tribali che comportavano il contatto con il sangue
di questi animali.
8
Nello specifico, il gruppo di David Ho (direttore del Aaron Diamond AIDS
Research Center di New York) ha scoperto tracce del genoma dell'HIV in un
campione di sangue appartenente ad un uomo vissuto a Kinshasa (Congo) e
deceduto nel 1959.
9
L'HIV sarebbe quindi verosimilmente esistito per lungo tempo in piccole
comunità tribali dell'Africa, a livello endemico.
10
Dopo le iniziali mutazioni genetiche del virus HIV, a causa dei massicci fenomeni
di concentrazione urbana, soprattutto durante il colonialismo, esso si sarebbe
rapidamente diffuso nei paesi centraficani. L’urbanizzazione avrebbe portato, poi,
a grandi spostamenti di persone e all'acquisizione di costumi più liberi, con il
conseguente aumento degli scambi sessuali, dovuti anche alla prostituzione.
11
Creatasi in questo modo una base di individui infetti, tra le variabili che in seguito
risultarono significative nel processo di espansione virale si possono annoverare le
campagne di vaccinazione di massa, condotte utilizzando siringhe non sempre
sterili, e l’impiego di emotrasfusioni nei casi di malaria.
Nei paesi occidentali la successiva espansione dell’infezione è stata favorita
dall’abbattimento delle barriere geopolitiche e dall’infittirsi delle comunicazioni
terrestri ed aeree tra i diversi paesi. In seguito, alcuni fattori essenziali, tra cui i
comportamenti sessuali non protetti, le trasfusioni di sangue e l’uso promiscuo di
aghi e siringhe da parte di individui tossicodipendenti, hanno dato luogo
all’esplosione epidemica.
12
Accanto alle posizioni “ufficiali” sull’origine della malattia, vi sono quelle
dei cosiddetti “dissidenti”, il cui più noto esponente è P. Duesberg, professore di
8
Hahn H., Shaw G.M., De Cock K.M., Sharp P.M., “AIDS as a zoonosis: scientific and public
health implications”, in Science, 2, 2000.
9
www.paginemediche.it
10
Per endemia si intende una malattia propria di un paese o di un popolo la quale, per cause
particolari, contesti atmosferici, tradizioni alimentari, forme comportamentali ha presenza costante
o frequente in quella realtà.
11
Starace F. (et al.), HIV : aspetti psicologici e psichiatrici dell’infezione, Nadir, Roma, 2005.
12
www.paginemediche.it
4
biologia molecolare e delle cellule all’università di Berkeley, California.
Secondo Duesberg e altri studiosi che hanno appoggiato la sua tesi, non vi
sarebbero prove sufficienti che dimostrano l’esistenza di un nesso causale tra Hiv
e AIDS. In particolare, Duesberg e D. Rasnick sostengono che il consumo di
droghe ricreative per un lungo periodo o la somministrazione di alcuni farmaci
che bloccano la crescita cellulare, come l’AZT, famoso chemioterapico usato in
passato per la cura delle neoplasie, sono in grado di indurre un indebolimento del
sistema immunitario tale da favorire l’insorgenza di malattie «definite AIDS in
America e in Europa».
13
Altri studiosi parlano, infine, di malattia derivante da manipolazioni
genetiche
14
o di malattia inventata in laboratorio per rispondere a determinati
programmi di governo a favore, ad esempio, delle case farmaceutiche.
15
Queste teorie hanno subito critiche da più fronti, sia perché sono
applicabili unicamente al contesto occidentale, sia perché non spiegano la
drammatica e vastissima diffusione dell’epidemia di AIDS in Africa, che ha
raggiunto le dimensioni di una vera e propria ecatombe.
16
Anche se l’AIDS ha, dunque, secondo le teorie più avvalorate, origini
remote, il primo caso sottoposto all’attenzione della comunità scientifica appare
nel 1980, quando l'Università della California segnala la vicenda di due
omosessuali colpiti da una strana forma d’immunodeficienza con basso numero di
linfociti T (i globuli bianchi bersaglio del virus), cellule del sistema immunitario
che, come abbiamo visto, l'HIV usa per replicarsi e infettare l'organismo.
Nel 1981 la rivista del CDC di Atlanta (Center for Disease Control) scrive
che «cinque giovani maschi, tutti omosessuali dichiarati, erano stati curati per
13
Cersosimo G., Un’epidemia contemporanea, Liguori ed., Napoli, 2004, p.49.
14
Agnoletto V., La società dell’AIDS, Baldini &Castaldi, Milano, 2000.
15
Cersosimo G., op. cit.
16
Cersosimo G., op. cit.
5
polmonite da Pneumocystis Carinii, confermata da biopsia, in tre diversi ospedali
di Los Angeles, in California».
17
Dopo qualche mese emergono ventisei casi di sarcoma di Kaposi, sempre
riguardanti omosessuali maschi. Successive ricerche portano a prendere
consapevolezza, anche per l’emergere di nuovi casi in aree geografiche del mondo
molto distanti tra loro, del fatto che queste due malattie - supportate da gravi
deficit immunitari e prevalenti in chi aveva avuto trasfusioni di sangue o
comportamenti sessuali a rischio - segnalano la presenza di un agente infettivo
trasmissibile.
18
Nel luglio 1982, dato l'incremento del numero di questi casi, le autorità
sanitarie americane coniano il termine di AIDS (Acquired ImmunoDeficiency
Syndrome) per questa nuova patologia.
Nel maggio 1983 F. Barré-Sinoussi, una ricercatrice del gruppo di Luc
Montagnier dell'Istituto Pasteur di Parigi segnala l'identificazione di un Retrovirus
(che chiamarono LAV, Lymphoadenopathy Associated Virus) che ha colpito le
ghiandole linfatiche
19
di un omosessuale e che può essere il responsabile
dell'AIDS.
20
Questa scoperta è confermata nello stesso anno da Robert C. Gallo del National
Cancer Institute di Bethesda, il quale a sua volta è in grado di isolare lo stesso
virus dal sangue di alcuni malati di AIDS. Questo virus viene inizialmente
denominato HTLV-III (Human T-Lymphocytotropic Virus tipo 3), data la sua
somiglianza con l'HTLV-I, un Retrovirus responsabile di alcune forme di
leucemia.
17
AA.VV., “Pneunocystis pneumonia – Los Angeles”, in The Morbidity and Mortality Weekly
Report, 30, n.21, 1981, cit. in Crawford D., Il nemico invisibile, Raffaello Cortina, Milano, 2002,
p.63.
18
Crawford D., op. cit.
19
Il centro di produzione dell’HIV si trova nelle ghiandole linfatiche, dove si riuniscono anche i
linfociti T CD4.
20
Crawford D., op. cit.