Introduzione
L’auto e il mutuo aiuto, un particolare tipo di approccio ai problemi che si presentano nel corso
della vita di una persona, non rappresenta affatto una novità (se escludiamo l'ambito sanitario e in
modo particolare quello psichiatrico), anzi, si può addirittura pensare al fenomeno come ad una
“novità antica come l’uomo”.
Infatti, sotto questo nome si possono annoverare le varie forme di aiuto più o meno organizzato che
gli esseri umani si sono scambiati nel corso dei secoli, le quali si sono tradotte mettendo in atto le
risorse, le capacità e le esperienze dei singoli al fine di risolvere una situazione di squilibrio o di
difficoltà.
La solidarietà verso un proprio simile in condizioni di bisogno, è un istinto sostanzialmente presente
in tutto il regno animale (sia pure con diversa espressività), specie nei gradi più elevati della scala
evolutiva.
Nelle società tribali ad esempio, un gruppo di persone si prende carico di procurare attraverso
caccia e pesca cibo per tutto il gruppo, mentre gli individui non adatti a questo compito si occupano
di altre mansioni.
Le partorienti (ancora oggi in certe culture), vengono aiutate e sostenute da donne che hanno vissuto
la stessa esperienza. Anche il lutto viene condiviso con manifestazioni esteriori anche da persone
non strettamente legate al defunto, manifestando in tal modo la propria vicinanza a chi viene
lasciato, e aiutandolo così a rielaborare l'evento, forse nella consapevolezza di condividere un
destino ineludibile per tutti.
La differenza tra l’auto aiuto e gli esempi appena menzionati, sta appunto nel fatto che sono gli
stessi soggetti interessati ad attivarsi.
Ma vi è anche un altro aspetto da considerare, vale a dire quello della visibilità sociale. Il cosiddetto
empowerment infatti, oltre ad implicare la scoperta delle risorse interiori personali , interessa anche
il campo delle proprie competenze sociali.
E’soprattutto in questi ultimi trent'anni che si è potuto assistere ad una grande diffusione di tale
approccio al disagio, un fenomeno che ha toccato le aree più disparate, portando alla nascita di
svariate associazioni che fanno del self help il loro strumento privilegiato. Esso è diventato così uno
stile di pensiero, una filosofia sintetizzabile nel passaggio dalla frase "la vita viene vissuta malgrado
i problemi " a quella "la vita viene vissuta attraverso i problemi".
Le persone coinvolte in un’esperienza di mutuo aiuto lo sono, il più delle volte, perché stanno
soffrendo di condizioni che hanno drammaticamente cambiato il loro mondo. Pensiamo a chi si
deve confrontare ogni giorno col problema di una dipendenza da sostanze, di un handicap fisico, di
uno stato psicotico acuto o cronico, di una malattia terminale che ha colpito una persona di famiglia
o un amico.
Questi sono solo alcuni esempi, ma si potrebbero menzionare mille altre situazioni di sofferenza, e
se io mi trovo in una di queste situazioni, a poco mi serve la diagnosi o il parere illuminato.
Piuttosto, ho bisogno di sapere che “esisto”, che ho attorno persone che mi vogliono bene e alle
quali anch’io posso dare testimonianza che anche loro esistono e che sono importanti per me.
I gruppi di auto e mutuo aiuto sono tutto questo: essi rappresentano la dimensione umana,
responsabile e solidale che ogni società può fornire ai suoi membri, perché nonostante lo stato di
disagio che stanno attraversando possano continuare a vivere sentendosi parte di essa, utili a se
stessi e agli altri.
La cultura praticata e promossa dai gruppi di auto e mutuo aiuto è quella della solidarietà, una
solidarietà che opera ovunque, sia nel nord che nel sud del mondo, sia nelle società capitaliste che
socialiste, in quelle ricche come in quelle povere e ciò per il semplice fatto che la solidarietà non
conosce frontiere.
Il mio personale interesse per questa realtà è nato dall’esperienza di volontariato che ho potuto fare
presso “l’Aquilone Centro Sardo di Solidarietà”, un ente che nello spirito del volontariato si occupa
di emarginazione e disagio sociale.
Nel corso degli anni questa esperienza ha assunto per me un significato sempre più importante,
arrivando a rivestire il ruolo di oggetto della mia tesi di laurea.
Nella mia di funzione di facilitatrice di un gruppo di supporto per i familiari degli utenti con
problematiche correlate alla dipendenza da sostanze, che l’Aquilone prendeva in carico, ho avuto
modo di osservare a quali e a quanti cambiamenti questi ultimi potessero andare incontro.
E’ proprio da tale osservazione che partono le ipotesi che hanno mosso il lavoro di questa tesi,
ipotesi con le quali, mi sono chiesta in modo particolare quali fossero i benefici principali derivanti
dall’esperienza dell’auto e mutuo aiuto, e quindi una valutazione circa la sua utilità ed efficacia.
Lo scopo essenziale di questo scritto pertanto, vuole essere quello di approfondire una realtà così
arricchente e piena di potenzialità che ha accompagnato otto anni della mia vita.
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CAPITOLO PRIMO
IL GRUPPO: INTRODUZIONE ALL’ARGOMENTO
1.1. Etimologia e definizione del termine gruppo nelle diverse prospettive
Il termine gruppo fa parte del nostro linguaggio e della vita quotidiana, infatti fin dalla
nascita cominciamo a far parte di questa realtà attraverso il gruppo costituito dalla
famiglia. Successivamente, le esperienze di gruppo che si fanno sono molteplici: le
classi scolastiche, il gruppo dei coetanei, degli amici, la squadra sportiva, i colleghi di
lavoro non sono altro che alcuni dei tantissimi esempi che ci rimandano ad un‟idea
comune di gruppo inteso come numero ristretto di persone che interagiscono tra loro.
Nonostante il termine sia di utilizzo comune, esso è relativamente recente in quanto
compare solo nel XVIII secolo: infatti in antichità non esisteva un vocabolo che
indicasse il gruppo così come lo intendiamo odiernamente.
Per quanto riguarda l‟etimologia del termine, il significato primario dell‟italiano groppo
era nodo. I linguisti lo avvicinano all‟antico provenzale grop e suppongono che esso
derivi dal germanico occidentale kruppa (matassa arrotolata). Sembra d‟altro canto, che
groupe e croupe abbiano come identica origine l‟idea del tondo. L‟etimologia ci offre
così due linee di forza che ritroviamo durante tutta la riflessione dei gruppi, il nodo e il
tondo (Anzieu, Martin, 1968).
Quindi è da “nodo” e da “tondo” che ha origine il significato di gruppo, accezione che
nell‟Ottocento il termine assumerà progressivamente anche in altre lingue europee.
“Il riferimento al nodo, infatti, rappresenta la dimensione della coesione tra i membri di
un insieme, una coesione non certo lineare, che è il risultato stesso di un fitto intreccio,
una matassa appunto” (Lo Iacono, 2007, p. 97).
Dare una definizione precisa ed esauriente di gruppo è un‟impresa tutt‟altro che
semplice, anche perché delimitare i confini del concetto in questione ci pone di fronte a
due tipi di problemi.
Anzitutto, nel linguaggio comune, il termine gruppo presenta un‟ambivalenza di fondo
in quanto è visto come una risorsa (la saggezza popolare suggerisce che “l‟unione fa la
forza”) e al tempo stesso come una minaccia capace di suscitare ansie e timori a livello
individuale e sociale.
Fa parte di ciascun individuo, il desiderio di essere accettati dal gruppo, di trovare in
esso appoggio e conferme circa il proprio valore, eppure, nonostante tali sentimenti
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siano naturali, lo stare in gruppo porta la persona a provare la paura di essere tradita,
rifiutata e allontanata da esso.
Tale ambivalenza la si riscontra anche a livello sociale: infatti, per quanto la vita
quotidiana ci fornisca svariati esempi sugli aspetti positivi del gruppo (quali ad esempio
le varie forme di cooperazione e di reciproco sostegno che si possono manifestare al suo
interno), spesso quest‟ultimo assume una connotazione negativa (basta pensare agli
episodi di cronaca purtroppo quotidiani, dove il gruppo diventa “branco” che porta
avanti comportamenti violenti e criminali).
Sicuramente questa “doppia facciata” del gruppo è favorita dalla presenza di un
diffusissimo pregiudizio: sono infatti in molti a ritenere che il singolo individuo una
volta inserito in un gruppo, tenda a deresponsabilizzarsi, diventando così più facilmente
incline, rispetto a quando si trova da solo, al comportamento violento (in pratica quando
l‟azione è portata avanti dal gruppo anziché dal singolo, è come se la responsabilità
delle conseguenze che ne derivano vengano suddivise tra tutti i membri del gruppo,
facendo diminuire il peso che altrimenti graverebbe in misura maggiore su ciascun
individuo).
Il secondo problema cui si può andare incontro nel tentativo di definire il gruppo, è
rappresentato dall‟eccessiva genericità che si accompagna al termine. Il gruppo infatti,
include al suo interno svariati fenomeni e insiemi sociali caratterizzati da dimensioni e
strutture molto diverse tra loro: ad esempio può essere denominato gruppo sia una
compagnia di amici che si ritrova al mare così come l‟insieme degli abitanti di un
quartiere urbano oppure tutti coloro che esercitano la stessa professione.
Si tratta ovviamente di situazioni molto dissimili tra loro, accomunate solo dalla
“pluralità degli individui che le compongono – anche se di dimensioni notevolmente
variabili – e, forse, da una sorta di comune sentire e di implicito senso di solidarietà
dalle tonalità e dall‟intensità estremamente variegate” (Venini, 1998, p. 16).
Per riuscire ad orientarci con le più svariate situazioni sociali che il gruppo può offrire,
risulta molto utile discriminare tra due diverse tipologie di gruppo e più precisamente
tra i grandi gruppi (riconducibili ad una scala macrosociale) e i piccoli gruppi
(riconducibili ad una scala microsociale).
Le differenze sostanziali esistenti tra la prima e la seconda categoria di gruppo,
riguardano la grandezza (che coinvolge un maggior numero di individui nei grandi
gruppi) e l‟interazione tra i partecipanti (la quale diventa diretta nei piccoli gruppi).
Sono esempi di grandi gruppi le nazioni, le classi sociali, i partiti politici, le imprese, le
corporazioni professionali, i sindacati, l‟esercito ecc.
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Da tutti questi esempi risulta abbastanza chiaro quanto possano essere estesi (in termini
numerici di componenti che ne fanno parte) i grandi gruppi e quanto risulti difficoltoso
(se non addirittura impossibile) per i loro membri entrare in relazione influenzandosi
reciprocamente.
I piccoli gruppi invece, denominati anche come gruppi faccia a faccia, sono
caratterizzati da un numero molto limitato di membri i quali si conoscono, si
percepiscono reciprocamente, hanno l‟opportunità di entrare in contatto diretto tra loro,
si trovano in una situazione di interdipendenza, si riuniscono con una notevole
frequenza e per lunghi periodi di tempo. La famiglia, il gruppo di amici, le classi
scolastiche, costituiscono tutti esempi di gruppi faccia a faccia.
Oltre a questi due problemi appena esposti (e cioè l‟ambivalenza e la genericità che si
accompagna al termine), c‟è anche da considerare un altro aspetto che rende ancora più
difficoltoso il compito di individuare una definizione completa ed univoca di gruppo: il
fatto che la letteratura esistente intorno all‟argomento in questione sia molto vasta.
Soprattutto, i vari autori che si sono occupati del gruppo, hanno proposto molteplici
definizioni mostrando una generale propensione a porre l‟accento su criteri e aspetti
diversi. Di conseguenza, si ritiene opportuno identificare il concetto di gruppo dal punto
di vista delle molteplici prospettive che si sono impegnate ad analizzarlo nelle sue
diverse componenti (Lo Iacono, 2007).
1.1.1. L‟approccio individuale
Secondo la prospettiva “individuale”, il gruppo viene visto in funzione dei bisogni e
delle necessità dei suoi membri, nel senso che, singoli individui formerebbero un
gruppo con l‟obbiettivo di soddisfare i propri desideri e interessi personali. Seguendo
questa chiave di lettura, il gruppo si costituirebbe nel momento in cui, due o più
individui con bisogni ed obbiettivi comuni, realizzano che questi ultimi possono essere
raggiunti più facilmente cooperando piuttosto che agendo singolarmente.
L‟oggetto di studio non è dunque il gruppo in se, ma piuttosto l‟individuo inserito nel
gruppo. In tale prospettiva trovano posto le seguenti definizioni di gruppo che citiamo a
titolo esemplificativo: “ogni gruppo esiste come mezzo per soddisfare certi propositi e
certi desideri e interessi, per fornire ai suoi membri beni e valori” (Sanderson, 1940);
“un gruppo esiste nella misura in cui, gli individui che lo compongono, perseguono
programmaticamente mete interdipendenti” (Deutsch, 1949); o ancora il gruppo viene
definito come un “aggregato di organismi in cui l‟esistenza di tutti è utilizzata per la
soddisfazione dei bisogni di ognuno” (Cattell, 1951).
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1.1.2. L‟approccio sociologico
Il punto di vista “sociologico” invece, ha fatto del collettivo il proprio oggetto d‟analisi,
e pertanto ripone la sua attenzione su tutti gli aspetti e i processi sociali che lo
riguardano. Qui il gruppo è visto come una pluralità di persone che interagiscono tra
loro, hanno ruoli reciproci, scopi comuni e regole condivise da tutti. È tipico di tale
prospettiva analizzare la dimensione gruppale attraverso tutta una serie di esperimenti,
esperimenti aventi appunto lo scopo di mettere in luce i vari fenomeni sociali che si
manifestano in gruppo (a tal proposito sono da considerare esperimenti chiave quelli
condotti sul conformismo da Asch, il celebre esperimento delle scosse di Milgram volto
ad indagare il fenomeno dell‟ autorità, l‟esperimento della prigione di Stantford
interessato ai ruoli sociali).
Esempi di definizioni che rientrano nell‟approccio sociologico allo studio dei gruppi
sono quella di Olmsted (1959) secondo il quale il gruppo si può definire come una
pluralità di individui che sono in contatto reciproco, tengono conto gli uni degli altri e
hanno coscienza di avere in comune qualcosa di importante. Sempre in quest‟ambito
rientra la concezione di Newcomb (1951), il quale sostiene che l‟aspetto distintivo dei
gruppi sta nel fatto che i membri condividono delle norme riguardo a qualcosa.
La gamma delle norme condivise può essere maggiore o minore, ma essa deve almeno
includere ciò che è distintivo e di comune interesse. Devono essere comprese,
necessariamente, le norme concernenti i ruoli dei membri del gruppo, ruoli che sono
collegati, essendo definiti in termini di reciprocità. Questi aspetti distintivi di un gruppo
presuppongono rapporti non transitori di interazione e di comunicazione.
1.1.3. Il gruppo come totalità: i contributi di Lewin e Bion allo studio dei gruppi
Un altro approccio che si è dedicato ai gruppi, ha operato “l‟integrazione tra la
prospettiva individuale e quella sociologica”, che attraverso la concezione lewiniana e
bioniana di gruppo, arriva a concepire quest‟ultimo come un‟unità globale.
Lewin, psicologo tedesco che basò la sua attività di ricerca sui principi della Teoria
della Gestalt, viene spesso considerato come il padre della moderna psicologia dei
gruppi. L‟autore è noto soprattutto per l‟elaborazione della “teoria del campo” nonché
per aver utilizzato per primo l‟espressione “dinamica di gruppo”.
La nozione di campo di Lewin, è riferibile a diversi contesti o dimensioni sociali e viene
inteso come sistema unitario, una totalità di enti ed eventi in rapporto di
interdipendenza, che si danno entro uno spazio tempo definibili. Tuttavia, a livello
dell‟individuo, il campo si delimita come spazio cognitivo interno (persona) ed esterno
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(ambiente psicologico che la persona si rappresenta attraverso la percezione e la
coscienza, ed entro il quale essa si muove). A livello del gruppo invece, il concetto si
struttura come campo di influenza nell‟interazione tra più persone e nel quale si danno
comportamenti interattivi (Lewin, 1951). Dunque la teoria del campo vuole descrivere
la realtà psichica (e di conseguenza il comportamento) come sistema dinamico
comprensivo di persona e ambiente. Il concetto di campo, ripreso dalle scienze fisiche,
si riferisce a un sistema globale di forze in movimento, le cui leggi non dipendono dagli
elementi presenti nel campo stesso ma dalle loro relazioni. La psicologia, secondo
Lewin, deve concepire il “campo psicologico o spazio vitale”, comprendente persona e
ambiente come un solo campo, in quanto l‟individuo viene modificato dall‟ambiente e
viceversa. Di questo spazio vitale fanno parte tutti gli eventi suscettibili di influire su
una determinata persona, siano essi passati, presenti o futuri.
Con la teoria del campo, Lewin arriva a definire il gruppo come qualcosa di più della
somma dei suoi membri: esso ha una struttura propria, fini peculiari e relazioni
particolari con altri gruppi. Ciò che ne costituisce l‟essenza non è la somiglianza o la
dissomiglianza riscontrabile tra i suoi membri, bensì la loro interdipendenza e pertanto,
esso viene interpretato come una totalità dinamica. Ciò significa che il cambiamento di
una sua parte o frazione qualsiasi, interessa lo stato di tutte le altre. Infatti, nel campo
sociale e in quello fisico, le proprietà strutturali di una totalità dinamica sono diverse
dalle proprietà strutturali delle sottoparti.
Per quanto riguarda invece l‟espressione dinamica di gruppo, essa comparve per la
prima volta nel 1945 in un articolo di Lewin dedicato ai rapporti fra teoria e prassi in
psicologia sociale. “Dinamica di gruppo – si legge nell‟articolo- è lo studio delle
condizioni della vita di gruppo e delle forze che possono provocare dei cambiamenti od
opporre resistenza ai cambiamenti. Il termine dinamica si riferisce a queste forze”
(Lewin, 1945, cit. in Viciani Bennici, 1988, p. 70). Dunque con tale termine, l‟autore
intendeva riferirsi all‟insieme delle relazioni e a tutti quei movimenti emozionali che
avendo luogo in gruppo ne influenzano lo sviluppo e la condotta.
Per quanto l‟impostazione di Bion, psicoanalista di formazione kleiniana, non possa
essere paragonabile a quella di Lewin, al pari di quest‟ultimo l‟autore inglese offre una
lettura del gruppo come globalità interdipendente, capace di sviluppare un pensiero e
delle emozioni proprie.
Saranno proprio gli aspetti relativi alla mentalità di gruppo e alle componenti emotive
ad essere approfonditi da Bion, il quale ritiene che ogni gruppo, per quanto casuale, si
riunisca per fare qualcosa. Nell‟esplicitare le attività di gruppo, le persone cooperano
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ognuna secondo le proprie capacità. Tale cooperazione è volontaria e si basa su un certo
grado di abilità intellettuale del singolo. Nella sua definizione di gruppo, Bion include
l‟espressione “cultura di gruppo” utilizzandola in modo molto estensivo. Essa infatti
implica la struttura che il gruppo raggiunge nei vari momenti, le attività che svolge e
l‟organizzazione che adotta. L‟attività del gruppo di lavoro è ostacolata, deviata e
talvolta favorita da certe attività mentali che hanno in comune l‟attributo di forti
tendenze emotive. Queste attività, a prima vista caotiche, acquistano una certa
strutturazione se si ammette che esse derivano da alcuni assunti di base comuni a tutto il
gruppo (Bion, 1961).
Sostanzialmente, Bion intende che nella vita di ogni gruppo si possono evidenziare due
livelli di funzionamento costanti e contradditori: uno teso al raggiungimento degli
obbiettivi prefissati, che porta a sviluppare una coesione tra i membri e che viene
denominato come “gruppo di lavoro”, l‟altro, caratterizzato invece dalle fantasie
inconsce condivise dai membri che impediscono di orientarsi verso lo scopo, viene
identificato come “assunto di base”.
Da questo punto di vista, Bion identifica tre assunti di base, e dunque, tre motivazioni
inconsce tese ad eludere il compito reale, nei confronti del quale il gruppo di lavoro
tende.
Il primo assunto di base preso in esame, che l‟autore identifica con il termine
“dipendenza”, corrisponde all‟idea che il gruppo debba dipendere da un capo al quale
rivolgersi per riceverne protezione e nutrimento, inteso sia in senso materiale che
spirituale.
Un altro assunto di base, viene denominato “accoppiamento”, il quale comporta la
tendenza dei membri a riunirsi allo scopo di incrementare la propria gratificazione. È
come se tutti si aspettassero un messia capace di trasformare il gruppo e la cui attesa
determinerebbe fra i membri una fusione emotiva.
L‟ultimo atteggiamento preso in considerazione da Bion, è quello detto di “attacco-
fuga”, in base al quale il gruppo sente di dover lottare contro un nemico esterno.
Tuttavia, può anche capitare che venga percepito come nemico il leader del gruppo,
oppure, anche quei membri che vengono etichettati come devianti o traditori.
Secondo Bion, queste dinamiche si presentano in tutti i gruppi, anche se possono
caratterizzare un gruppo più di un altro, e anche se, uno specifico assunto di base può
caratterizzare un dato momento della storia del gruppo. Lo scontro di queste forze prese
in esame (e cioè tra gruppo di lavoro e assunti di base), raggiunge un compromesso
attraverso quella che Bion denomina come cultura di gruppo (Viciani Bennici, 1988).