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“abbiamo imparato a volare come gli uccelli,
abbiamo imparato a nuotare come i pesci,
ma non abbiamo ancora imparato a vivere come fratelli.”
(M. L. King)
IL TEMA RELIGIOSO NELLA NARRATIVA ARABA DEL
NOVECENTO.
Nella regione del Vicino Oriente, ai bagliori dell’Ottocento, si sviluppò un
movimento definito nahḍah, ossia rinascita, risveglio, caratterizzato da
movimenti di rinascita sociale, politica e letteraria che cercavano di reagire
ad un periodo di decadenza, detto inḥiṭāṭ, che aveva condotto il mondo
arabo verso una stasi e un ritardo in campo culturale e civile rispetto
all’Occidente.
La narrativa moderna, ossia quella del Novecento, essendo figlia di questi
primi timidi segnali di rinnovamento, può essere intesa come uno specchio
che riflette le trasformazioni sociali e culturali della modernità nel mondo
arabo. Tali trasformazioni, germogliate da un lungo periodo di declino
politico e militare, nonché sociale e morale, sono state stimolate e ispirate
dal confronto con l’Occidente progredito: i contatti con la cultura
occidentale, intensificati con l’occupazione europea, risvegliano negli arabi
ideali di libertà e indipendenza.
Partendo da questi presupposti, le forme e i modelli di espressione letteraria,
sviluppati in Europa, divennero il modello da imitare e da cui trarre spunto
per la maggior parte dei paesi in via di sviluppo. All’inizio la reazione è
stata spesso di ammirazione per gli ideali di libertà e di uguaglianza
realizzati, in apparenza, nel Vecchio Continente; tuttavia il confronto con
2
queste nuove correnti totalmente diverse dalla tradizione araba, ha portato
ad una crisi di identità e alla nascita di una nuova autocoscienza. Con la
consapevolezza di un nuovo impulso, da sempre insito negli animi e nelle
menti, ma per certi periodi oscurato, gli scrittori del mondo islamico hanno
contribuito a sviluppare e ad alimentare tradizioni e valori, frutto ereditato
dal passato: a volte le tradizioni e i valori della cultura araba sono stati
riproposti così com’erano nel passato, altre volte, pur conservando una certa
fedeltà a quei valori, si è cercato di adattarli alla vita moderna.
Gradualmente e non senza qualche difficoltà, il romanzo è divenuto
espressione dei valori della nuova classe media modernizzatrice e
manifestazione del conflitto tra modernità e tradizione.
In questo conflitto tra tradizione e modernità, oltre ad essere analizzato tutto
ciò che implica una riflessione sulla società, sulle regole di convivenza, sul
diritto e sulla legislatura in generale, non manca un conflitto nel conflitto:
autori arabi cristiani e autori arabi musulmani si scontrano contro le
rispettive istituzioni religiose a colpi di prosa e di poesia, per denunciare
soprusi ed illegittimità, per elogiare e promuovere tradizioni, leggi, usi e
costumi.
Il libanese Ǧibrān Ḫalīl Ǧibrān (1883-1931) è uno degli scrittori arabi
cristiani più conosciuti al mondo. Con il suo racconto, Ivan il pazzo,
contenuto nella raccolta Le ninfe delle praterie (1907-1908), Ǧibrān apre
una rivolta contro l’ordine religioso e clericale: la trama è incentrata su un
pastore che vive situazioni idilliche, immerso in un mondo poetico evocato
in lui dalla lettura del Vangelo, che gli era stata vietata. Un giorno il pastore
porta il pascolo vicino al convento, poi lo perde di vista e, durante le
ricerche, lo ritrova nel recinto del convento imprigionato e ferito a
bastonate. Messo di fronte alla crudeltà del comportamento dei preti, che
addirittura arrivano a minacciarlo chiedendogli del denaro come riscatto per
il bestiame, Ivan inizia un monologo ispirato dalla lettura del Vangelo: Ivan
confronta lo spirito e le azioni di Gesù a quelli dei preti, il messaggio di
3
Gesù con il messaggio della Chiesa. Questo confronto procura ad Ivan
l’imprigionamento, dal quale verrà salvato grazie ad una dichiarazione di
infermità mentale.
Ǧibrān assume in questo racconto un chiaro atteggiamento anticlericale e di
denuncia dei corrotti costumi degli uomini di chiesa, atteggiamento che fa di
lui un modello esemplare della rivendicazione dell’individualità.
A questa tendenza anticlericale di Ǧibrān fece da precursore un altro
scrittore libanese, Aḥmad Fāris al-Šidyāq (1805-1887), di fede maronita, fu
un uomo molto coraggioso che seppe sfidare il suo tempo e che assunse
molte posizioni provocatorie. Con il suo romanzo La gamba sopra la gamba
(1855), al-Šidyāq mette in scena un personaggio girovago, Al Faryāq
(pseudonimo creato dalla fusione tra il nome e il cognome dell’autore) che,
per il fine ultimo di sopravvivere, inganna e vive di imbrogli, trasferendosi
dal Libano in Egitto, fino a Malta, per poi giungere prima a Parigi e Londra
ed infine a Cambridge. Nel romanzo, al-Šidyāq analizza il rapporto fra i
sessi parlandone esplicitamente: in questo egli si rivela un’avanguardista,
perché con libertà e ricchezza di linguaggio, riesce a narrare l’intimità più
profonda tra i lati femminili e maschili del suo personaggio. Cerca di
analizzare il concetto di circoncisione sotto l’ottica ebraica, araba e
cristiana: da questo punto inizia una sorta di confronto tra Ovest ed Est, tra
il mondo europeo e quello arabo, condotto senza utilizzare luoghi comuni e
preconcetti, senza essenzialismi e minimizzazioni.
Nella prima metà del Novecento, in Egitto, si è assistito all’apparizione di
due brevi ma significativi racconti contro le superstizioni e le credenze
popolari, nei quali è ravvisabile un filo conduttore esattamente come nei
racconti di spirito anticlericale. Si tratta del racconto ‘Ammi Mitwallī (1925)
composto dallo scrittore egiziano Maḥmūd Bey Taymūr (1894-1973),
4
considerato il “padre del racconto arabo”.1 ‘Ammi Mitwallī è un racconto
della vita popolare egiziana: in esso, Taymūr “tende a schernire con garbo
antichi usi e tradizioni troppo aliene alla civiltà europea, della quale,
l’autore, sembra sostenitore, poiché amante del nuovo”,2 dunque contro le
superstizioni popolari adotta una visione laica. La trama del racconto è la
credenza nella venuta del Mahdī3 che, dopo secoli di disordini materiali e
morali, comparirà sulla terra per restaurare l’ordine, l’osservanza delle leggi
e la giustizia. Questa credenza è una specie di conforto per le società
musulmane, scoraggiate dalle ingiustizie dei dominanti. Il protagonista,
Mitwallī, è un venditore ambulante che vive in un mondo irreale, sempre
indeciso tra passato e futuro. Diventa una specie di santo per gli abitanti del
suo quartiere, in maggioranza contadini, quando condivide con essi un’idea
di futuro rigoglioso e florido, conseguenza della futura venuta del Mahdī.
Tutto l’affetto e il coinvolgimento della gente gli fa veramente credere di
essere il Mahdī e, quando sopraggiunge la sua morte, egli diviene agli occhi
della gente un santo, meritevole dell’erezione di un mausoleo e in grado di
guarire le malattie del corpo e dell’anima della gente.
L’autore guarda ironicamente a tutto ciò: l’ironia si nota anche nella
particolareggiata descrizione del personaggio Mitwallī, presentato come una
sorta di arzillo vecchietto, sicuro di sé e della saggezza derivata dai suoi
anni. L’elemento di realismo e di critica è la santità nell’Islam: la
beatificazione del santo, nella religione islamica, non è accertata e condotta
dalle autorità, bensì è proclamata dal basso, dal popolo, che molte volte
pecca di facili errori di giudizio e di superficialità.
Denunciare la piaga della società egiziana, della misera vita dei contadini e
1
Cf. Isabella Camera D’Afflitto, Letteratura Araba Contemporanea – Dalla Naḥdah ad
oggi, Carocci Editore, Roma, 2004, pag. 218
2
Cf. Alfonso Nallino, Ammi Mitwalli, in Oriente Moderno VII, 1927, pag. 391 e seguenti.
3
I musulmani, ad oggi, aspettano la comparsa sulla terra di un califfo, يﺪﮭﻤﻟا al-Mahdi, che
sia un reale rappresentante di Allah e possa condurli sulla Sua via; è un elemento
fondamentale dell'escatologia islamica, riproponendo in questo contesto l'idea messianica
tipica dell'Ebraismo.
5
della ipocrita indifferenza dei religiosi, è lo scopo di un altro scrittore. Si
tratta di Maḥmūd Ṭāhir Lāšīn (1894-1954), uno fra i maggiori romanzieri
realisti egiziani. Con il suo racconto La conversazione in campagna, Lāšīn
“concentra l’attenzione sul bivio davanti al quale si trova l’Egitto,
rappresentato dal conflitto tra i valori rurali e urbani, tra modernismo e
pensiero religioso tradizionale”.4 Lāšīn, dunque, traccia lo scontro tra
liberali e tradizionalisti, scontro che si sviluppa attraverso un confronto tra
villaggi. Protagonisti del racconto sono due giovani: uno è un giornalista,
l’altro è un proprietario terriero. Durante una gita in campagna, il giornalista
confida al proprietario terriero di provar pena per la situazione dei contadini:
il discorso procede con il proprietario che cerca, con parole sentite, di
trovare una giustificazione per la misera vita dei contadini, mentre il
giornalista, con parole fredde e quasi professionali, non riesce a trovarne. I
nostri due uomini incrociano sul loro cammino lo shaykh del villaggio e
intraprendono con lui il discorso lasciato a metà: per fare in modo che il
giornalista comprenda il senso delle sue parole, lo shaykh gli racconta una
storiella, il cui protagonista era un ciabattino che, per innalzare la sua
posizione sociale, accetta il ruolo di guardia del corpo per un funzionario. Il
funzionario però, essendo senza scrupoli e senza morale, corteggia la moglie
del povero ciabattino che cede alle lusinghe dell’uomo. Quando il contadino
li coglie sul fatto, li assassina fracassando loro il capo.
Il giornalista non riesce a cogliere il senso di questa storia: è lo shaykh che
gli fornisce e chiarisce la morale, ossia che bisogna accontentarsi della
propria posizione, rinunciando alla modernizzazione, altrimenti le
conseguenze sono molto negative. Nel finale, la lampada, che rischiarava
l’assemblea all’interno della moschea, viene spenta e portata via senza che
nessuno si opponga, lasciando gli astanti al buio; il giornalista, avendo
oramai assimilato la morale della storia del ciabattino, comprende e
4
Cf. Sabry Hafez, The Modern Arabic Short Story, in M. M. Badawi, Modern Arabic
Literarture, p. 286.
6
sottolinea il significato della scena: alla luce della lampada, simbolo della
ragione e della conoscenza, il popolo preferisce il buio delle tenebre, ossia
l’ignoranza e l’arretratezza.
Gli stessi elementi di denuncia si ritrovano nel romanzo Zaynab (1914),
composto dallo scrittore egiziano Muḥammad Ḥusayn Haykal (1888-1956),
che descrive la realtà della campagna egiziana oppressa da tradizioni rigide,
in un ambiente immerso in una natura complessa, ma fondamentalmente
benevola per l’uomo. La trama del racconto è incentrata sulle vicende di due
giovani ragazzi: Ḥāmid, giovane colto, figlio di un proprietario terriero,
innamorato di una ragazza di nome ‘Azīzah, sua cugina, alla quale non può
legarsi perché ciò è impedito da dure convenzioni sociali. La ragazza è
costretta dai genitori a sposare un uomo che lei non ama. A questo punto, il
giovane Ḥāmid inizia a cercare nei campi, di cui il padre è proprietario, ciò
che gli manca a causa della separazione da ‘Azīzah: qui egli incontra
Zaynab che, proprio grazie al suo lavoro nei campi, gode di grande libertà.
La giovane, però, non riesce a comprendere il colto Ḥāmid, e a lui preferisce
il capo dei braccianti, Ibrāhīm. Anche Zaynab, però, sarà costretta dai
genitori a sposare un uomo che non ama, ma che le può assicurare un futuro
migliore e più agiato. Zaynab, tuttavia, non gioisce a lungo della vita
coniugale, poiché muore, a causa di un attacco di tubercolosi, stringendo tra
le mani il fazzoletto dell’amato Ibrāhīm.
Il romanzo di Haykal esplicita dibattiti politico-ideologici dell’epoca a lui
contemporanea: egli esprime la posizione laica e liberale dei musulmani
che, in questo genere di narrativa, trovano un valido mezzo di denuncia
delle dure condizioni di vita e delle privazioni imposte ai contadini egiziani
agli inizi del Novecento. Haykal fu fra i partigiani del rinnovamento, che,
però, non doveva essere una mera imitazione dell’Occidente: egli riteneva
che la civiltà occidentale dovesse inserirsi nella cultura locale, non essere
imitata, e per questo, era convinto che quest’operazione dovesse avvenire
con la partecipazione e la collaborazione di tutti i cittadini liberi.
7
Se Haykal ha condotto una polemica religiosa con toni laici, alcuni autori
musulmani hanno perseguito una rilettura riformista dell’Islam. I Fratelli
Musulmani sono in qualche modo frutto di questo progetto riformista e della
sua evoluzione e trasformazione in partito politico. La loro proposta di
rinnovamento della società, in pieno conflitto con il progetto di
modernizzazione a cui aderivano buona parte degli intellettuali laici, è stata
il motivo conduttore della narrativa della seconda metà del secolo: riflessi
significativi di ciò si trovano nelle opere che, in questo lavoro, prenderemo
in esame. Si tratta di alcune opere di quattro autori, che descrivono la
situazione egiziana nel Novecento: i primi tre sono egiziani e sono: il
celebre scrittore Naǧīb Maḥfūẓ (1911–2006) e il suo romanzo La Via dello
Zucchero, scritto nel 1957, la cui traduzione italiana è stata pubblicata da
Pironti nel 1992; l’autore ῾Abd al-Ḥakīm Qāsim (1934-1990) e il suo
racconto Al-Mahdī, scritto in arabo nel 1978, la cui traduzione inglese è
stata pubblicata nel 1995 da Temple University Press; lo scrittore
contemporaneo ‘Alā al-Aswānī (1957) e il suo romanzo Palazzo Yacoubian,
pubblicato per la prima volta in arabo nel 2002, la cui traduzione italiana è
uscita da Feltrinelli nel 2007; l’ultimo, ma non meno importante autore,
anche egli nostro contemporaneo è il libanese Sélim Nassib (1946) e il suo
romanzo Ti ho amato per la tua voce, uscito nell’originale francese nel 1994
e tradotto dall’editore E/O per la prima volta nel 1997. Con le loro opere, gli
autori analizzano e narrano i vari aspetti della società egiziana: ne decantano
i pregi ma ne smascherano i soprusi e i problemi legati alla politica e alle
istituzioni, dal crescente desiderio di avanguardia tecnologica e di
modernizzazione allo stridente contrasto con la misera povertà e alla lotta
contro i tradizionalisti, tutto ciò attraverso la vita, le vicissitudini e i discorsi
dei protagonisti dei vari romanzi. Questi autori narrano gli avvenimenti
storici dell’Egitto del XX secolo, compresa la formazione dell’Associazione
dei Fratelli Musulmani, fornendo dei quadri della quotidianità egiziana che
contribuiscono a spiegare e chiarire i processi socio-politici e storici, le
8
aspettative e le motivazioni che, per decenni, hanno influenzato le
generazioni egiziane.
Esiste anche un filone della narrativa araba ispirata ai Fratelli Musulmani,
che rappresenta però un genere a sé stante: si tratta della nascita del
“romanzo islamico”, ossia una corrente che solleva una critica verso la
società contemporanea, e che cerca di educare le nuove generazioni di arabi,
che si erano allontanati dalla giusta via indicata dalla religione islamica e
che avevano bisogno di essere ammaestrate per poter trarre il meglio dalla
loro vita.5
Naǧīb al-Kilānī (1931) è considerato il primo romanziere islamico e,
dunque, il pioniere di questo genere letterario. Il suo romanzo ‘Omar appare
a Gerusalemme descrive il miracoloso ritorno dal mondo dei morti di ‘Omar
Ibn al-Khattāb, il secondo dei quattro califfi “ben guidati”,6 califfato durato
dal 634 al 644d.C.
Questa “risurrezione” avviene in un contesto storico e politico decisamente
più complesso e difficile di quello vissuto direttamente dal califfo molti
secoli prima. L’atteggiamento scontroso e negativo del califfo, che si infuria
perché non riesce a comprendere il significato di America (fu scoperta nel
1492 pertanto non poteva essere conosciuta del califfo) e non riesce a
diagnosticare il male da cui è affetta Gerusalemme: non è uno dei mali cui
era abituato il califfo, la malattia che ha colpito Gerusalemme non uccide
uomini o animali, essa uccide la Storia e i buoni costumi. La malattia
sottintesa è qui l’occupazione di Gerusalemme del popolo israeliano, che ha
mandato in rovina l’epoca aurea del califfo, portando odio, perfidia e
distruzione. Per ‘Omar la colpa di tutto ciò è da addebitare agli stessi
musulmani che hanno permesso una simile vergogna e che hanno smesso di
5
Elisa Bruno, Naǧīb al-Kilānī e il romanzo islamico, Tesi triennale, Facoltà di Lingue,
Università degli Studi di Lecce, Corso di Laurea in Comunicazione Linguistica
Interculturale, Anno Accademico 2004-2005.
6
Furono definiti “ben guidati” i quattro califfi che assunsero il potere negli anni successivi
alla morte del profeta Maometto: Abu Bakr, ‘Omar Ibn al-Khattāb, ‘Uthmān e ‘Alī.
9
combattere per distruggere il male in nome di Dio. I musulmani, secondo
‘Omar, hanno smesso di leggere il Corano e di credere profondamente nel
messaggio divino. Al-Kilānī qui assume il punto di vista del musulmano
medio, quasi rassegnato a far parte della generazione del dolore e della
rovina, ma, attraverso il personaggio di ‘Omar, l’autore fornisce ai giovani
una valida soluzione per liberare la nazione dal disonore, costringendo il
nemico ad arrendersi. È proprio questo il messaggio che vuole divulgare: un
eroe come ‘Omar, con la sua stessa presenza vigorosa e ribelle, potrebbe
risvegliare l’orgoglio assopito e spronare gli animi dei musulmani,
incitandoli a compiere azioni gloriose come quelle dei loro antenati. Al-
Kilānī cerca di attirare l’attenzione su dei validi modelli da emulare e da cui
trarre ispirazione: egli trova la soluzione alla crisi in cui versa la società
nell’Islam e, più precisamente, in una possibile rivoluzione islamica.
I romanzi, dunque, sono divenuti vere e proprie “armi”, a cui ricorsero gli
autori per sostenere i propri ideali, siano essi riformisti o conservatori, di
denuncia o di propaganda e per tentare di inculcarli negli animi degli
egiziani.
Dopo questa breve, ma si spera, chiara ed esaustiva premessa sul tema
religioso nella letteratura araba del Novecento, per procedere con il lavoro
mi sembra doveroso fornire innanzitutto cenni storici relativi
all’Associazione dei Fratelli Musulmani e cenni biografici dei suoi fondatori
e rappresentanti, per poi analizzare le fonti letterarie e le opinioni dei vari
autori, riguardo all’Associazione.
10
L’ASSOCIAZIONE DEI FRATELLI MUSULMANI
L’associazione dei Fratelli Musulmani (in arabo: ﻦﯿﻤﻠﺴﻤﻟا ناﻮﺧﻻا ﺔﯿﻌﻤﺟ
Jam῾iyyat al-Ikhwān al-muslimīn, Società dei fratelli musulmani; spesso
solo نﻮﻤﻠﺴﻤﻟا ناﻮﺧﻹا, Ikhwān al-Muslimūn, Fratelli musulmani) è stata
fondata nel 1928 a Isma’iliyya da Ḥasan al-Bannā. Il contesto socio-politico
in cui nacque fu fortemente caratterizzato dal richiamo all’Islam come
cultura globale, ossia come un sistema nel quale l’aspetto religioso ingloba
quello politico e soprattutto l’apparato sociale. La modernizzazione ispirata
e, per certi versi voluta, dalle dottrine economiche e politiche di origine
occidentale, e il suo risultato fallimentare nell’Egitto di inizi Novecento,
produsse e fece crescere la necessità di perseguire il rinnovamento della
società attraverso il ritorno ai valori dell’Islam, ritenuti una valida soluzione
alternativa che, in quanto basata sulla rivelazione divina, potesse generare e
garantire una società vincente. Il contrasto tra modernizzazione e Islam ha le
sue basi nelle esperienze, sia positive sia negative, che il mondo arabo ha
vissuto sulla propria pelle a partire dal XIX secolo e che hanno avuto il
proprio culmine durante la costituzione dei vari stati nazionali.
Nel diciannovesimo secolo la cultura europea si diffonde a macchia d’olio
nel mondo arabo, e ciò avviene attraverso la presenza, talora dissimulata,
dei governi coloniali e mandatari europei, in primis quello britannico,7 che,
aggiunta al senso di totale delusione e insofferenza verso la dinastia di
Muḥammad Alī,8 creò un generale sentimento di crisi delle coscienze,
sfociato nella nascita di nuovi partiti e movimenti politici di carattere
7
Il governo britannico aveva un interesse particolare per l’Egitto, anche per la presenza del
Canale di Suez, ottima via di comunicazione strategica per i rapporti commerciali con
l'India (già sotto la sua dominazione coloniale). Dall'Egitto le truppe inglesi sarebbero state
in grado di controllare l'accesso all'Africa, all'Asia e al Medio Oriente.
8
Muḥammad Alī (1769-1848) era un albanese di Macedonia che arrivò in Egitto insieme
alle truppe ottomane inviate contro i Francesi. Dopo aver ottenuto consensi tra il popolo
(1805), mise fuori gioco i suoi rivali e si impose al governo ottomano come governatore.
Nel 1841 ottenne che alla sua famiglia fosse riconosciuto il diritto a governare in Egitto
sotto la sovranità ottomana con il titolo di khedive.
11
nazionalista, ma ispirati da dottrine laiche e socialiste. Queste nuove
correnti svolsero un ruolo importante nella costituzione dei nuovi stati
nazionali, e spinsero a cercare il rinnovamento dei propri paesi, nella
convinzione che il sottosviluppo delle società arabe fosse dovuto alle
arretrate politiche, economiche e culturali, in vigore. Da ciò derivava
l’urgente necessità di modernizzare le istituzioni: l’unico modo per
soddisfare tale necessità era ispirarsi ai modelli societari e istituzionali
occidentali. Questo esperimento di rinnovamento di stampo occidentale
provocò forti contrasti all’interno delle società arabe, fomentati dalla rigida
opposizione dell’ortodossia islamica, che rimproverava ai modernizzatori di
allontanare il popolo dalla pratica dell’Islam: gli ortodossi vedevano
nell’adozione delle prassi istituzionali, quindi politiche, sociali e giuridiche
di derivazione occidentale, un reale e pericoloso abbandono dell’Islam, che
invece era considerato la vera fonte delle risposte alle reali esigenze della
società e degli stati. Per queste ragioni si innescarono i primi tentativi di
rivolta anticoloniale e, di conseguenza, di rivolta contro il khedive
(spalleggiato dagli Occidentali) da parte di ‘Urābī Pāshā (1881). Queste
rivolte consentirono al nazionalismo di trovare una prima espressione
politica, e furono seguite dalle mobilitazioni di Mustafa Kamīl, Muḥammad
Farid e Sa‘d Zaghlūl9 contro gli inglesi: tali insurrezioni di massa, avvenute
dal 1919, portarono alla nascita dei primi partiti politici nazionalisti.
Il disorientamento culturale e il rancore verso la dominazione britannica
segnarono il clima carico di fermento intellettuale e religioso nel quale si
formò Ḥasan al-Bannā: l’intento del fondatore dell’Associazione dei Fratelli
Musulmani, il cui appellativo fu Guida Suprema, al-murshid al-‘āmm, era
riscattare la dignità dei lavoratori arabi egiziani del Canale di Suez, a lungo
9
Sa‘d Zaghlūl ﻮﻠﻏز ﺪﻌﺳل (Ibyānah 1857, Il Cairo 1927) fu il fondatore del grande partito
nazionalista Wafd e ricoprì importanti incarichi governativi. Nelle sue Memorie sosteneva:
«Il popolo ha sempre considerato il governo come un uccello guarda il cacciatore […] Noi
dobbiamo sostituire questo atteggiamento con la fiducia nel governo e persuadere il popolo
che quest’ultimo è parte integrante della Nazione». Cf. Kepel Gilles, Il profeta e il faraone,
trad. di Fabio Galimberti, Editori Laterza, Bari, 2006, pag. 210.
12
sottomessa al volere dei colonizzatori britannici, e seguire l’etica dei doveri
religiosi e la concezione civica proposta dall’Islam; tutto ciò sarebbe stato
ottenuto con l’educazione delle persone agli insegnamenti islamici della
solidarietà e dell’altruismo nella vita quotidiana. La costituzione del
movimento dei Fratelli Musulmani è un segno del mutamento dell’Islam nel
secolo scorso, poiché la pretesa di restaurare l’ordine politico e sociale
islamico di fronte alle difficili sfide della modernità occidentale si è
tramutata in una nuova forma organizzativa, indipendente dalle istituzioni
ufficiali e idonea a diramarsi tra i vari strati sociali. Su queste fondamenta si
regge l’organizzazione strutturale del movimento, conforme alla necessità di
penetrare nei diversi strati sociali, per permettere una diffusione dei valori
islamici contro le tendenze modernizzanti adottate dalla società. Durante la
quinta conferenza generale dell’Associazione, tenutasi al Cairo nel 1939, è
fissata la loro dottrina fondamentale, che asserisce:
L’Islam è un sistema perfetto, fondato solo su se stesso;
L’Islam si basa sul Corano e sulla Sunna10 ;
L’Islam è valido in ogni tempo e in ogni luogo.
Il motto dell'organizzazione è: "Allah è il nostro obiettivo. Il Profeta è il
nostro capo. Il Corano è la nostra legge. Il jihād è la nostra via. Morire
nella via di Allāh è la nostra suprema speranza";11 gli stessi Fratelli
Musulmani, infatti, si definiscono come “un’organizzazione che è più di un
partito politico e più di un’associazione riformista e caritatevole: siamo
un’organizzazione spirituale, i cui punti qualificanti sono la da´wa
(annuncio dell’Islam, missione), un metodo che aderisce alla Sunna; inoltre
siamo un’associazione sportiva e politica, un’organizzazione culturale e
educativa, un’impresa politica e siamo detentori e proponenti di un preciso
10
Letteralmente: uso, costume, consuetudine. Si tratta di brevi tradizioni singole, che
illustrano l’abituale modo di agire del Profeta (sunna, in arabo ﺔﻨﺳ) e dei suoi compagni in
forma di brevi detti o episodi (ḥadīth, in arabo ﺚﯾﺪﺣ). Cf. Halm Heinz, L’Islam, tr. Ugo
Marelli, Edizioni Laterza, Roma-Bari, 2003, pag. 43.
11Cf. in www.wikipedia.org/wiki/Fratelli_musulmani.
13
modello sociale”.12 Da tutto ciò deriva la struttura organizzativa “a
grappolo” dell’associazione: il cardine di questo grappolo era il capo, la
Guida Suprema, nella figura del fondatore, cui fanno riferimento i vari
capi dei comitati diffusi a livello locale. Tutti gli egiziani, di qualsiasi
estrazione sociale, erano ben accetti all’interno dell’organizzazione,
infatti vi era la presenza del comitato dei contadini, quello dei
lavoratori e quello degli studenti, uno per la missione e per i rapporti
con il mondo islamico e, infine, vi era il comitato per la traduzione e la
stampa. Anche le donne avevano una propria organizzazione, chiamata
“Sorelle Musulmane”: questa prima divisione femminile dei Fratelli
Musulmani fu fondata nel 1932. Da allora, le donne attiviste sono state
in prima linea nella lotta sociale e politica del movimento dei Fratelli
Musulmani in Egitto e, quando, nel 1956, la Fratellanza, dichiarata
illegale e sciolta da Nasser, ha bisogno del loro aiuto, la sorella Zaynab
al-Ghazali organizza una missione caritatevole per rinfrancare i Fratelli
scarcerati dopo essere stati seviziati e torturati. Grazie ai suoi contatti
con i simpatizzanti dell’Associazione, Zaynab riesce a gettare le basi
per una segreta ricostituzione dei Fratelli.
Questa strutturazione permette all’associazione di entrare in rapporto
con la popolazione e di acquisirne il consenso: tutto ciò si adatta al
pensiero di al-Bannā, il cui proposito era di costruire una nuova
generazione di credenti per poter liberare lo stato dalle empie influenze
straniere e di costruire uno stato islamico: per farlo, bisognava formare
un musulmano impregnato dei valori dell’Islam, la cui istruzione fosse
rinforzata dalle scienze moderne.
Dalla conformazione dei comitati si evince, pertanto, che il fine ultimo
dei Fratelli Musulmani non era la gestione del potere, bensì
l’avanzamento di una società intrisa dei valori islamici, che avrebbe
12
Cf. AA.VV., Dossier Mondo Islamico, I Fratelli Musulmani e il Dibattito sull’Islam
Politico, Edizioni della Fondazione Giovanni Agnelli, Torino, 1996, pag 2.
14
potuto generare uno stato islamico, pensato come “governo della
šarī῾a”13: i Fratelli Musulmani creano, dunque, un partito di massa ben
organizzato, uno Stato islamico dentro lo Stato. Il loro punto di forza
risiede nella capacità di farsi benvolere dalla popolazione, grazie
all’assunzione di funzioni sociali che allora erano trascurate dallo Stato
ma che per il popolo erano di vitale importanza. Con questi presupposti,
l'organizzazione cresce velocemente fino a diventare un soggetto
politico dal largo seguito, che sposa, appunto, la causa delle classi in
difficoltà e gioca un ruolo preminente nel movimento nazionalista
egiziano.
i. Ḥasan al-Bannā e Sayyid Quṭb, ovvero il condottiero e
l’ideologo.
Ḥasan al-Bannā ﺎﻨﺒﻟا ﻦﺴﺣ (Maḥmudiyya,1906–Il Cairo,1949) era un
maestro elementare e, nel 1928, fondò l’Associazione dei Fratelli
Musulmani, in quel quadro di avvenimenti che portarono al risveglio
culturale e religioso che, come detto prima, cercava di reagire
all’occidentalizzazione della società araba.
Nel 1924, come molte altre famiglie immigrate verso la città, anche la
sua famiglia trovò al Cairo un clima culturale scarsamente aderente ai
dettami della Legge Islamica e una situazione sociale nella quale
l’artigianato era progressivamente schiacciato dalla nascente
industrializzazione. La vita nella capitale offrì a Ḥasan la possibilità di
13La šarī῾a (in arabo ﺔﻌﯾﺮﺷ) letteralmente significa “via diritta”. Comprende i cinque
obblighi fondamentali del musulmano, che sono le componenti basilari della Legge
Islamica. Cf. Halm, L’ Islam, pag. 90.
A questo proposito, ricordiamo gli atti cultuali dell’Islam, chiamati arkān al-islām.
“Muhammad ha affermato: ‘L’Islam è basato su cinque fondamenti: la šahāda ةدﺎﮭﺸﻟا
(professione di fede), la salāt ةﻼﺼﻟا (preghiera), la zakāt ةﺎﻛﺰﻟا (elemosina rituale), il hağğ
ﺞﺤﻟا (pellegrinaggio alla Mecca) e il saum مﻮﺼﻟا (il digiuno nel mese di Ramadan)’.” Cf.
Alessandro Bausani, L’Islam, Garzanti, Milano, 2005, pag.43.