Introduzione
2
Partendo dalla riforma italiana, che ha preso il via con il Seminario di
Catania, analizzeremo l’importanza della c.d. “Nuova Programmazione”, con la
quale si è arrivati alla decisione di concentrare, all’interno di un solo documento,
tutte le risorse messe a disposizione per le politiche strutturali a livello non solo
comunitario, ma anche nazionale e regionale.
Le aspettative a riguardo sono notevoli, dal momento che si è introdotto un
nuovo modo di gestire la “Questione meridionale”, dopo la fine degli interventi
statali finanziati per il tramite della Cassa del Mezzogiorno.
Ci soffermeremo inoltre sull’importanza che, per la RAS, riveste il
principio di insularità, soprattutto in vista delle programmazioni future, le quali
dovranno tenere conto dell’ingresso all’interno dell’Unione Europea dei nuovi
dieci Stati membri provenienti dall’area PECO, avvenuto il 1 maggio 2004.
Nell’elaborazione di questi due capitoli, ci siamo avvalsi soprattutto di
documenti ufficiali emanati dai competenti organi regionali, gran parte dei quali è
rinvenibile sulle pagine web della Regione, nella sezione dedicata all’Europa: c’è
da dire però che alcuni di quelli utilizzati non sono più disponibili a seguito della
sostanziale modifica subita dal sito nel maggio 2004.
Il resto della documentazione regionale, invece, è stata reperita preso i vari
uffici regionali, in particolar modo l’URP del CRP e l’Assessorato al Lavoro.
La ricerca relativa a questo capitolo ci ha portato a concludere che gli
effetti positivi dei Fondi strutturali per la Sardegna sono stati innumerevoli: ai
benefici riscontrabili in campo economico, si affiancano gli importanti effetti
riguardanti la struttura amministrativa italiana, in modo particolare la costituzione
di strutture di controllo e gestione prima sconosciute in determinati ambiti, che
hanno consentito, tra l’altro, una maggiore democratizzazione e pubblicità nelle
selezioni dei beneficiari.
Nell’ultimo capitolo abbiamo cercato di dimostrare in che modo si giunga
alla realizzazione della strategia, soffermandoci ad analizzare la misura del POR
relativa alle azioni per l’inserimento delle donne nel mondo del lavoro.
Le problematiche cui essa rimanda sono diverse, prima fra tutte quella
delle pari opportunità, cui abbiamo dedicato parte del capitolo.
Introduzione
3
L’analisi è stata poi indirizzata in modo particolare solo su due delle tante
azioni previste, e cioè sulla legge relativa alle azioni positive a favore
dell’imprenditoria femminile e su quella relativa ai prestiti d’onore.
Questa scelta è dovuta soprattutto al fatto che, da più parti, lo sviluppo
dell’imprenditoria femminile viene visto come il nuovo e importante elemento di
espansione e trasformazione della nostra economia, grazie alla duttilità e alla
capacità di rischio delle donne che decidono di lanciarsi in un’avventura del
genere.
Altro motivo di scelta è dovuto a un interesse personale per le possibilità
offerte alla donne che intendano aprire un’attività in proprio.
Capitolo 1
I FONDI STRUTTURALI
1.1 Il Titolo XVII del Trattato CE: Coesione economica e
sociale.
Sebbene l’Unione Europea sia una delle zone più ricche del mondo, al suo
interno esistono enormi disparità, soprattutto tra le zone centrali e quelle
periferiche.
Per ovviare a questi squilibri, le istituzioni provvedono a un trasferimento
di risorse dalle zone più ricche a quelle più povere della Comunità, attraverso
strumenti che hanno lo scopo di agire da contrappeso agli effetti del mercato
interno e che ricadono sotto il nome generale di politiche di coesione.
Si tratta di un obiettivo che è stato perseguito già a partire dagli anni ’70 e
che non si può ancora dire concluso, ma che ha via via ricoperto un’importanza
sempre maggiore, anche a causa dell’ingresso
1
, all’interno della Comunità stessa,
di Paesi i cui livelli di sviluppo sono di gran lunga inferiori a quelli dei Paesi
fondatori.
Per la politica di coesione economica e sociale, il processo di allargamento
contiene implicazioni tali da incidere profondamente sull’assetto metodologico,
finanziario e operativo che attualmente sta alla base della sua impostazione
2
.
Il principale strumento attraverso cui tale redistribuzione viene effettuata
sono i Fondi strutturali.
La strada che ha portato alle politiche strutturali come oggi le conosciamo,
è stata lunga e l’ingresso dei nuovi Stati membri e le prospettive di un
allargamento sempre più a Est, fanno sì che tale percorso non si possa dire ancora
concluso, ma sia anzi in continua evoluzione.
1
L’ultimo allargamento, avvenuto il 1 maggio 2004, ha aperto le porte dell’Europa a ben 10 Paesi
c.d. ex-PECO che sono: Estonia, Lettonia, Lituania, Polonia, Repubblica Ceca, Repubblica
Slovacca, Slovenia, Ungheria, Malta e Cipro.
2
G. Mele, Allargamento dell’UE e riforma della politica regionale e di coesione, in Rivista
Economica del Mezzogiorno, n. 4/2002, pag. 877
Capitolo 1: I Fondi strutturali
5
1.1.1 Dal Trattato di Roma alla prima riforma dei Fondi strutturali.
Nel Preambolo del Trattato di Roma del 1957, istitutivo della Comunità
Economica Europea, si legge che gli Stati Membri sono “ansiosi di rafforzare la
coesione delle loro economie e di assicurare il loro sviluppo armonioso attraverso
la riduzione delle differenze esistenti tra le varie regioni e dell’arretratezza di
quelle meno favorite”.
Nel testo del trattato però, non vi è alcun riferimento esplicito alle
questioni dello sviluppo regionale e alle relative politiche.
Possiamo affermare che, per quanto riguarda la prima fase
dell’integrazione europea, lo sforzo fosse indirizzato a realizzare soprattutto la
libera circolazione delle merci e dei lavoratori.
L’idea dominante era che la liberalizzazione del mercato avrebbe generato
di per sé conseguenze positive su tutte le economie dei Paesi firmatari:
conseguenze che avrebbero provocato un effetto “a cascata” (c.d. teoria
economica del trickle down
3
) anche sulle economie delle aree più deboli
4
.
Per questo motivo, il Trattato di Roma fa sì che siano gli stessi Stati a farsi
carico delle problematiche di tali aree, attraverso forme di incentivazione
finanziaria agli investimenti delle imprese, nelle regioni di cui si vuole favorire lo
sviluppo.
Vengono però messi a disposizione degli Stati alcuni strumenti di
coordinamento e di sostegno quali la BEI
5
, il Fondo Sociale Europeo (FSE) e il
Fondo Europeo Agricolo di Orientamento e Garanzia (FEAOG).
La BEI in particolare nei suoi primi venti anni di vita svolge un ruolo
fondamentale, tanto che, nel periodo compreso tra il 1958 e il 1987, il 75% dei
prestiti e delle garanzie concesse sono utilizzate per finanziare progetti di sviluppo
nelle aree depresse.
6
3
Teoria economica secondo la quale la crescita economica riduce la povertà, “quella cioè che
goccia a goccia, dovrebbe prima o poi far arrivare i vantaggi della crescita anche ai poveri”. J.E.
Stiglitz, La globalizzazione e i suoi oppositori, Torino, Einuadi Tascabili, Nuova edizione, 2003,
pag.77.
4
R. Leonardi, Coesione, convergenza e integrazione nell’Unione europea, Bologna, Il Mulino,
1998, p.18.
5
Banca Europea degli Investimenti. Per il ruolo della BEI si veda a pag. 43.
6
G. Viesti, F. Prota, le Politiche regionali dell’Unione Europea, Bologna, Il Mulino, 2004,
pag.17.
Capitolo 1: I Fondi strutturali
6
Ma con la crisi economica internazionale degli anni ’70 e con l’ingresso
nella Comunità di nuovi Stati membri nel 1973
7
, incomincia a farsi viva
l’esigenza di un approfondimento di tale tematica.
Nel Vertice di Parigi del 1972 va diffondendosi l’idea che il persistere
delle disparità tra le varie regioni, possa mettere a rischio la possibilità di forme di
integrazione più stretta.
Nel 1975 viene istituito il Fondo Europeo per lo Sviluppo Regionale
(FESR), ma la vera svolta si ha dieci anni più tardi quando vengono adottati i
Programmi integrati mediterranei (PIM)
8
.
Si tratta di azioni pluriennali concentrate nel Mezzogiorno e in alcune aree
del centro-nord dell’Italia, nella Grecia e in alcune aree della Francia, che
dapprima vennero applicate sottoforma di progetti pilota e poi, visto il loro
successo, ottennero una programmazione più specifica.
Le azioni intraprese interessavano la pesca, l’agricoltura, il turismo,
l’artigianato e le attività delle piccole e medie imprese
9
.
Con i PIM si apre all’orizzonte un modo nuovo di approcciarsi allo
sviluppo delle regioni svantaggiate, in quanto la nuova programmazione mira alla
realizzazione di uno sviluppo a medio termine e non più a quella di singoli
progetti.
Inoltre si assiste a uno stretto coordinamento tra i diversi sistemi di
finanziamento comunitari.
Ma il vero riconoscimento giuridico delle politiche regionali si ha con
l’Atto Unico Europeo sottoscritto nel 1986 ed entrato in vigore il 1° luglio 1987, il
quale introduce un Titolo V al Trattato di Roma, intestato “Coesione economica e
sociale”.
Negli anni ’80, si decise di intraprendere un nuovo passo verso
l’integrazione, il Mercato Unico, che nei piani della Commissione avrebbe dovuto
essere realizzato entro il 31 dicembre 1992.
7
Entrano a far parte della CEE il Regno Unito, l’Irlanda e la Danimarca.
8
Istituiti con Reg. (CEE) 2088/1985 del Consiglio del 23 luglio 1985, Gazzetta ufficiale n. L 197
del 27.07.1985; non più in vigore.
9
G. Gallizioli, I Fondi strutturali delle Comunità europee, Padova, CEDAM, 1992, pag. 36.
Capitolo 1: I Fondi strutturali
7
La sua creazione aveva non solo l’obiettivo di rimuovere gli ostacoli alla
libera circolazione di merci, capitali e persone, ma anche quello di creare le
condizioni per mettere in grado le aree geografiche e i loro soggetti di competere
con uguali opportunità.
Affinché le regioni svantaggiate potessero raggiungere adeguati livelli di
sviluppo, si sarebbero dovuti seguire alcuni orientamenti racchiusi nel Libro
Bianco
10
che fu presentato al Consiglio europeo di Milano il 28-29 giugno 1985.
In questo importantissimo documento la Commissione affermava che, per
poter realizzare effettivamente un mercato unico europeo, fosse necessario abolire
non solo le barriere tariffarie (dunque i dazi), ma anche le barriere fisiche,
tecniche e fiscali.
La rimozione di tali ostacoli presupponeva una maggiore competitività da
parte degli Stati membri e quindi un costante investimento, che rischiava però di
essere indirizzato verso quelle aree che già potenzialmente e strutturalmente erano
in grado di competere con le regioni più avanzate della Comunità, e cioè verso
quelle aree che offrivano un maggiore vantaggio economico.
Ma in questo modo, il pericolo era quello di aumentare, ancor di più, le
disparità esistenti fra le varie regioni.
È per questo motivo che, al punto 12 dell’Introduzione al Libro Bianco, la
Commissione auspica il pieno utilizzo delle risorse disponibili per il tramite dei
fondi strutturali e il rafforzamento di tale strumento
11
.
Non potendo più provvedere al trasferimento delle risorse a livello
nazionale, è stato dunque necessario consolidare gli strumenti comunitari esistenti
e crearne di nuovi.
La “politica di coesione” passa dunque dalle mani degli Stati a quella delle
istituzioni comunitarie e, in primo luogo della Commissione, che ne è la
principale promotrice ed esecutrice.
10
Il completamento del mercato interno: Libro Bianco preparato dalla Commissione per il
Consiglio europeo, Bruxelles, COM (85) 310.
11
L. Levi, U. Morelli, L’unificazione europea. Cinquant’anni di storia, Torino, CELID, 1994,
ristampa ottobre 2000, pag.277.
Capitolo 1: I Fondi strutturali
8
Se si guarda alla struttura della Commissione
12
, ci si rende conto che non
c’è una Direzione Generale che si occupi della politica di coesione, questo perché
tale politica interessa diverse materie di competenza dell’Unione.
Il raggiungimento della coesione economica e sociale passa infatti
attraverso più ambiti, dalla politica regionale a quella di occupazione, a quella
agricola e così via: si tratta dunque di una politica che potrebbe essere definita
trasversale rispetto a tutte le altre perseguite dalla Comunità.
Le riforme necessarie al raggiungimento degli obiettivi prefissi furono
presentate dalla Commissione, ancora prima che l’AUE entrasse in vigore, in
quello che è noto con il nome di “Pacchetto Delors I ”
13
e riguardavano
soprattutto:
- il rafforzamento delle politiche regionali;
- la riforma della Politica Agricola Comune (PAC);
- la riforma del bilancio comunitario.
Di particolare importanza è la riforma del sistema di bilancio, in quanto
l’aumento delle risorse a disposizione della Comunità, si rendeva necessario
affinché questa potesse mettere in atto le proprie politiche.
Tale riforma si basava su due punti fondamentali:
- un aumento delle risorse proprie
14
attraverso l’istituzione di una quarta
risorsa basata sul PNL di ciascuno Stato;
- la fissazione di un nuovo massimale delle risorse rispetto al PNL
comunitario.
12
A tal proposito si veda più avanti il paragrafo dedicato alla Commissione.
13
Portare l’Atto Unico al successo: una nuova frontiera per l’Europa, Comunicazione della
Commissione al Consiglio, COM (87) 100. Presentazione al Parlamento europeo da parte del
presidente Jacques Delors, Strasburgo, 18 febbraio 1987.
14
Le risorse proprie sono mezzi di finanziamento propri e indipendenti dagli Stati membri e si
definiscono come entrate di natura fiscale definitivamente assegnate alla Comunità per finanziare
il suo bilancio, che le spettano di diritto senza che occorra un'ulteriore decisione delle autorità
nazionali. Le altre risorse proprie della Comunità erano: i dazi doganali, i prelievi agricoli, le
entrate provenenti dall’IVA.
Capitolo 1: I Fondi strutturali
9
Ciò consentì alla Commissione di raddoppiare gli stanziamenti a favore dei
Fondi strutturali e di procedere a una prima periodizzazione (sulla base
dell’esperienza dei PIM) della programmazione relativa al loro utilizzo, che è
quella che ricade negli anni 1989-1993.
La riforma del 1988 è stata di fondamentale importanza, in quanto si è
razionalizzata la struttura e l’organizzazione dei fondi sulla base di quattro
principi:
- concentrazione: basata su un uso collettivo dei fondi nei settori di
maggiore necessità e ruotante attorno a cinque obiettivi prioritari;
- programmazione: basata soprattutto su programmi a medio termine per lo
sviluppo regionale anziché su progetti “su misura”;
- corresponsabilità: preparazione, deliberazione e applicazione di
programmi e progetti a responsabilità condivisa tra Commissione, governi
nazionali e organismi regionali e locali;
- addizionalità: programmi e progetti a finanziamento congiunto da parte
della Commissione e degli organi nazionali preposti.
15
Con l’AUE e con la riforma del 1988, gli Stati Membri riconoscono che, la
coesione economica e sociale all’interno della Comunità, è una parte essenziale
del completamento del Mercato Unico giacché il perdurare o l’aggravarsi delle
disparità può metterne a repentaglio la realizzazione.
Ma cosa ha portato la Comunità europea a intraprendere questo
cambiamento di rotta?
Secondo Leonardi
16
, a guidare la riforma dei Fondi strutturali è stato il
desiderio di realizzare il progetto iniziale dei padri fondatori, quello cioè di una
integrazione che andasse al di là della creazione di un’area di libero scambio.
Si è passati, dunque, da un obiettivo di integrazione puramente economica,
a un obiettivo di più ampie vedute che è quello di creare una struttura sociale
europea che sostenga la struttura economica.
Questo ritorno a una concezione di integrazione politica, vede nella
coesione una tappa obbligatoria per la sua realizzazione.
15
N. Nugent, Governo e Politiche dell’Unione Europea, Bologna, Il Mulino, 2001, pag. 371.
16
R. Leonardi, Coesione, convergenza e integrazione…, opera citata, pag. 29
Capitolo 1: I Fondi strutturali
10
La definizione di coesione che si è data l’Unione Europea si basa sulla
eguaglianza e sull’equità, ed è in questo contesto che si colloca la ridistribuzione
delle risorse dalle regioni più ricche a quelle più svantaggiate, come può essere
rilevato anche dal testo dell’art. 2 del Trattato il quale afferma che :
“La Comunità ha il compito di promuovere nell'insieme della
Comunità, mediante
17
l'instaurazione di un mercato comune e di
un'unione economica e monetaria […] uno sviluppo armonioso,
equilibrato e sostenibile delle attività economiche, un elevato
livello di occupazione e di protezione sociale, la parità tra uomini e
donne, una crescita sostenibile e non inflazionistica, un alto grado
di competitività e di convergenza dei risultati economici, un elevato
livello di protezione dell'ambiente ed il miglioramento della qualità
di quest'ultimo, il miglioramento del tenore e della qualità della
vita, la coesione economica e sociale e la solidarietà tra Stati
membri”.
Dunque il mercato comune e l’unione economica e monetaria non sono
altro che i mezzi, e non i fini, per raggiungere tali obiettivi
18
.
Secondo un’altra teoria
19
invece, la riforma dei Fondi non è altro che la
consacrazione ufficiale della politica regionale, della linea d’azione intrapresa
dalla Comunità già negli anni ’70, ma che trova, nell’AUE prima e nel Trattato di
Maastricht dopo, una esplicita base giuridica, una riorganizzazione e un
rafforzamento.
La riforma del 1988, dunque, non avrebbe avuto altro scopo se non quello
di razionalizzare quanto già accadeva a livello di politiche regionali.
17
Corsivo nostro.
18
V. Guizzi, Manuale di diritto e politica dell’Unione Europea, Napoli, Editoriale Scientifica,
2000, pag. 771.
19
R. Sapienza, La politica di coesione economica e sociale, Bologna, Il Mulino, 2000
Capitolo 1: I Fondi strutturali
11
Infatti, fino ad allora, la creazione degli strumenti necessari all’attuazione
di tale politica, era stata possibile grazie all’art. 235
20
(ora art. 308, CE) del
Trattato, il quale veniva combinato con la teoria dei poteri impliciti
21
.
Il fine ultimo dell’integrazione europea sarebbe quello di realizzare una
sempre più stretta integrazione economica tra gli Stati membri, ma affinché ciò
possa accadere è necessario che non sussistano enormi divari fra le diverse regioni
che compongono la Comunità stessa.
La finalità politica, invece, è quella della creazione di una società europea
più giusta e portatrice di opportunità, per tutti i suoi cittadini.
A nostro parere, i nuovi passi compiuti verso l’integrazione e le nuove
riforme dei Fondi, intervenute successivamente, fanno ritenere più credibile l’idea
del ritorno al disegno politico e di una volontà delle istituzioni a far sì che tutte le
regioni dell’Europa possano giungere a un eguale livello di sviluppo.
Il concetto di coesione economica , come ricorda Monti
22
, riportando nel
suo testo una citazione del Parere sulla Coesione economica e sociale del
Comitato Economico e Sociale
23
, implica l’idea del riequilibrio come
riavvicinamento dei redditi disponibili, delle strutture economiche e sociali, dei
sistemi di welfare e delle politiche industriali.
20
“Quando un'azione della Comunità risulti necessaria per raggiungere, nel funzionamento del
mercato comune, uno degli scopi della Comunità, senza che il presente trattato abbia previsto i
poteri d'azione a tal uopo richiesti, il Consiglio, deliberando all'unanimità su proposta della
Commissione e dopo aver consultato il Parlamento europeo, prende le disposizioni del caso.”
21
Teoria elaborata per la prima volta dalla Corte Suprema degli Stati Uniti e delineata in “versione
comunitaria” dalle varie sentenze della Corte di Giustizia, secondo la quale se nel diritto
comunitario viene attribuita una competenza a una delle istituzioni della Comunità, ciò comporta
anche il potere di adottare le misure indispensabili per assicurare un esercizio efficace e
appropriato di tale competenza.
22
L. Monti, I Fondi strutturali per la coesione europea, Roma, Edizioni SEAM, 1996, pag.16.
23
Comitato Economico e Sociale, parere su “Coesione Economica e Sociale”, in GUCE
C/21/4/1992.
Capitolo 1: I Fondi strutturali
12
1.1.2 Dall’Atto Unico alla riforma del 1993.
Pochi anni dopo la firma dell’Atto Unico, fu intrapreso un nuovo
importantissimo passo verso l’integrazione: la creazione dell’Unione Economica e
Monetaria (UEM).
Infatti, si capì immediatamente che non sarebbe stato possibile arrivare
alla piena realizzazione del mercato unico senza avere anche un’unica moneta.
La prima tappa verso l’integrazione monetaria fu la firma di un nuovo
trattato, il Trattato di Maastricht, noto anche come Trattato sull’Unione Europea
24
,
in quanto instaura appunto una unione tra i Paesi membri, costituita da tre pilastri:
il primo raggruppa le tre Comunità già esistenti (CEE, che diventa CE, CECA ed
EURATOM), il secondo instaura una politica estera e di sicurezza comune (la
c.d. PESC) e il terzo riguarda l’avvicinamento delle legislazioni in materia di
giustizia e affari interni (il c.d. GAI).
Ma l’innovazione più importante resta di sicuro la creazione dell’UEM,
che avrebbe portato all’adozione della moneta unica entro il 1999.
Questo nuovo avanzamento dell’integrazione, ripresentò il problema delle
aree più arretrate della Comunità, poiché l’applicazione dei c.d. criteri di
Maastricht
25
, stabiliti dall’art. 109J (ora art. 121, CE) del Trattato CE e dal
Protocollo n. 21
26
allegato al Trattato stesso, il cui rispetto era necessario per
l’ingresso nell’UEM, richiedevano un maggiore controllo della spesa pubblica e la
perdita del tasso di cambio come strumento di aggiustamento del disavanzo.
Rappresentavano quindi un importante limite al trasferimento delle risorse
da parte dei governi alle aree più svantaggiate
27
.
È in questo contesto che ha preso vita la seconda riforma dei Fondi.
24
Il Trattato sull’Unione Europea fu firmato a Maastricht il 7 febbraio 1992.
25
Inflazione non superiore all’1,5 % della media dei tre Stati con i risultati migliori; disavanzo del
bilancio pubblico inferiore al 3 % del PIL nazionale; debito pubblico non superiore al 60% del PIL
nazionale; tassi di interesse a lungo termine non superiori al 2% rispetto a quelli con i migliori
risultati; rispetto dei limiti di fluttuazione dello SME per almeno due anni.
26
Protocollo n. 21, sui criteri di convergenza di cui all’art. 121 (109 J) del Trattato che istituisce la
Comunità europea, 1992.
27
G. Gallizioli, I Fondi strutturali…,opera citata, pag. 241.
Capitolo 1: I Fondi strutturali
13
La validità del sistema di coesione non veniva assolutamente messa in
discussione, ma era necessario apportare una serie di miglioramenti, soprattutto di
carattere burocratico: le procedure per accedere alle risorse comunitarie
risultavano essere troppo laboriose e occorreva quindi semplificarle.
Inoltre era necessario migliorare il sistema di controllo finanziario e della
trasparenza
28
.
Se l’Atto Unico ha segnato un passo importante per aver introdotto il
capitolo sulla coesione economica e sociale, il Trattato sull’Unione Europea
(TUE) ha fatto di tale politica, una delle tre priorità dell’UE.
Le altre due, come si legge dall’art. B
29
, TUE, sono l’ultimazione del
Mercato Unico e la realizzazione dell’UEM.
Se si confronta tale articolo con l’art. 2 dell’AUE, ci si rende subito conto
dell’importantissimo passo in avanti fatto dal Trattato di Maastricht.
Prima, la coesione economica e sociale sembra essere uno dei tanti
obiettivi da perseguire, ora invece, diventa una politica vera e propria, sembra
essere essa stessa uno strumento necessario al raggiungimento degli obiettivi cui
l’Unione aspira
30
.
Il Trattato di Maastricht ha introdotto delle novità importanti come
l’istituzione del Comitato delle Regioni e del Fondo di Coesione, e una nuova
riforma di bilancio che ha aumentato le risorse a disposizione della politica
regionale.
Nel periodo 1994-1999, che è quello della programmazione che segue la
seconda riforma, sono state messe a disposizione dei fondi, risorse pari a 141
miliardi di ecu, cioè quasi un terzo del bilancio totale e oltre il doppio delle risorse
messe a disposizione per il periodo precedente
31
.
28
A. Bruzzo, A. Venza, Le politiche strutturali e di coesione economica e sociale dell’Unione
Europea: un’analisi introduttiva con particolare riferimento all’Italia, Padova, CEDAM, 1998,
pag. 139.
29
Ora art. 2, TUE.
30
L’art. B, TUE, recita: “L’Unione si prefigge i seguenti obiettivi: -promuovere un progresso
economico e sociale e un elevato livello di occupazione e pervenire a uno sviluppo equilibrato e
sostenibile, soprattutto mediante la creazione di uno spazio unico senza frontiere, il rafforzamento
della coesione economica e sociale e l’instaurazione di un’unione economica e monetaria che
comporti a termine una moneta unica, in conformità delle disposizioni del presente trattato; […]”.
31
L. Monti, I Fondi strutturali…,opera citata, pag. 42
Capitolo 1: I Fondi strutturali
14
Gli obiettivi cui i fondi erano destinati passano, dai cinque precedenti a
sette, in quanto viene aggiunto un sesto obiettivo (l’obiettivo 5 si componeva di
una lettera a e di una lettera b).
Inoltre si amplia notevolmente la sfera di azione comunitaria, attraverso
l’attivazione di politiche quali la sanità pubblica, la protezione dei consumatori, le
reti transeuropee, le industrie, la cooperazione allo sviluppo con i Paesi terzi.
Nel 1993, vennero adottati dal Consiglio i nuovi regolamenti, atti a
disciplinare il funzionamento dei Fondi strutturali.
Se ne istituì anche uno nuovo dedicato alla pesca: lo Strumento finanziario
di orientamento per la pesca (SFOP).
Venne rafforzato ulteriormente anche il principio di corresponsabilità (c.d.
partnership), che doveva permeare tutta la procedura di erogazione delle risorse,
dalla programmazione alla valutazione ex-post.
È importante sottolineare come la creazione di nuovi Fondi, e comunque le
nuove modifiche, siano intervenute sempre in occasione di nuovi allargamenti e di
nuovi passi verso l’integrazione
32
.
Così la prima riforma è da ricondursi alla volontà degli Stati europei di
realizzare il Mercato Unico, la seconda è legata alla creazione dell’Unione
Economica e Monetaria, e la terza alla prospettiva di allargamento dell’UE ai
Paesi dell’Europa orientale.
1.1.3 La riforma del 1999.
Mentre l’Unione Europea procedeva a grandi passi lungo il suo cammino
di integrazione economica e sociale, all’esterno dei suoi confini, accadevano fatti
che facevano presagire che di lì a poco si sarebbe dovuta affrontare una nuova
importantissima sfida.
La dissoluzione dell’URSS nel 1991, portò con se non solo la fine del
sistema bipolare e del conflitto est-ovest, ma anche l’apertura dei mercati dei
Paesi satelliti del blocco sovietico che, probabilmente, guardavano all’Europa
come unica soluzione ai problemi derivanti da questi importanti mutamenti.
32
G. Viesti, F. Prota, Le politiche regionali…,opera citata, pag. 31.
Capitolo 1: I Fondi strutturali
15
A seguito della riunificazione della Germania, numerosi Paesi dell’Europa
centro-orientale (c.d. Paesi PECO) iniziarono a dialogare con la Comunità e a
ricevere dei sostegni economici che favorissero il passaggio dall’economia
pianificata a quella di libero mercato.
Il 16 dicembre furono firmati degli accordi di associazione
33
con la
Polonia, l’Ungheria e la Cecoslovacchia, i quali, pur avendo un carattere
economico e commerciale, si inquadrano in una visione più ampia di contributo
della Comunità a favore del processo di riforma politica e sociale. Era il primo
passo verso l’allargamento dell’Unione Europea ad Est
34
.
Il Vertice di Madrid del 1995, richiese alla Commissione di approfondire
gli aspetti relativi alle prospettive di allargamento: in particolar modo quelli
riguardanti le politiche della Comunità.
Era chiaro che, in vista di un ampliamento dei confini, si sarebbe dovuto
procedere a una nuova revisione delle politiche comunitarie in materia di coesione
economica e sociale, vista anche la condizione economica nella quale vertevano i
Paesi che, potenzialmente, avrebbero potuto candidarsi all’ingresso nell’Unione.
Nel luglio del 1997 , la Commissione guidata da Jacques Santer, presentò
un documento di 1300 pagine dal titolo Agenda 2000: per un’Unione più grande e
più forte contenente:
- un’analisi dettagliata dei dieci paesi PECO che avevano presentato
domanda di adesione;
- un’analisi dei modi in cui riformare e rafforzare le politiche dell’Unione
Europea, in modo da far fronte all’allargamento e porre in essere una
crescita sostenibile;
- proposte sui modi in cui finanziare l’allargamento.
33
Tali accordi, previsti dall’art. 310, CE prevedono “diritti e obblighi specifici, azioni comuni e
procedure particolari”, possono essere stipulati con uno Stato terzo, con un’unione di Stati o con
un’organizzazione internazionale. Nel caso dei Paesi PECO, tali accordi tengono conto della
possibilità dell’altra parte firmataria di poter entrare un giorno a far parte della Comunità, quindi
precedono un eventuale accordo di adesione.
34
I primi Paesi PECO che presentarono domanda di adesione il 31 marzo 1998, furono
l’Ungheria, la Polonia, la Repubblica Ceca, l’Estonia e Cipro.