interventi, rendendole sempre più partecipi ai processi decisionali, secondo il
principio di sussidiarietà.
Essa, quindi, da un lato, ha instaurato un processo di responsabilizzazione e di
verifica dei risultati e, dall’altro, ha fornito alle regioni l’opportunità di essere
protagoniste o per lo meno co-protagoniste del processo di decision-making
della policy.
Questo approccio si rivela utile per spiegare gli effetti dell’europeizzazione
sulla politica di sviluppo regionale nazionale, ma trascura il ruolo, come
vedremo fondamentale, giocato dai fattori nazionali e locali sui processi di
governance e sugli effetti prodotti sui rapporti tra il livello centrale e
subnazionale. Questo aspetto giustifica, nella ricerca, l’utilizzo di un approccio
bottom-up, più idoneo, in quanto ci permette di capire il ruolo degli attori
nazionali e delle dinamiche interne nell’influenzare la politica di sviluppo
regionale e i processi di modernizzazione amministrativa.
Ma questo approccio si rivela soprattutto utile per rispondere al quesito
principale della ricerca, ovvero quali sono stati quei fattori, in primis
istituzionali, che hanno favorito l’impatto positivo dei Fondi Strutturali e che si
sono rivelati determinanti per la modernizzazione amministrativa regionale.
Come è noto l’efficienza istituzionale è un fattore fondamentale per lo sviluppo
economico, in grado di influenzare profondamente l’impatto degli interventi
comunitari. Infatti, nelle Regioni del Mezzogiorno italiano, l’avvento dei Fondi
europei ha avuto un diverso impatto, anche se rientrano tutte nell’ex obiettivo 1
e quindi con condizioni socio-economiche simili.
Lo studio di questi fattori sarà affrontato attraverso l’analisi della performance
della Regione Basilicata, che costituisce l’oggetto centrale di questo lavoro.
Perchè la Basilicata? Questa regione è un singolare esempio di buona gestione
dei fondi strutturali nel contesto del Meridione d’Italia. La sua amministrazione
si è dimostrata all’altezza della sfida che le è stata lanciata dalle istituzioni
6
europee ed è stata la regione del Mezzogiorno che ha assimilato più facilmente
la logica dei fondi strutturali e gli orientamenti di policy promossi dai
regolamenti comunitari
1
. Le caratteristiche della classe politica e dell’élite
dirigenziale si sono rivelati fattori determinanti per lo sviluppo economico e la
modernizzazione amministrativa. Nel corso degli ultimi due cicli di
programmazione, infatti, la Commissione europea ha conferito, alla Basilicata,
riconoscimenti per la performance, consistenti in risorse aggiuntive a titolo di
assegnazione della riserva di efficacia e di efficienza. Va qui ricordato che
grazie agli ottimi risultati realizzati, soprattutto nella programmazione 2000-06,
la Basilicata è nella fase di phasing-out
2
dall’obiettivo “Convergenza” per il
periodo 2007-13.
La scelta dell’area lucana nasce da queste considerazioni e dalla curiosità di
capire come questa piccola regione rurale, con evidenti problemi strutturali, sia
diventata “un caso”
3
o addirittura “un modello” per le altre regioni meridionali
obiettivo 1.
La ricerca sarà condotta attraverso l’analisi dei Rapporti di esecuzione finale e
dei Programmi Operativi Regionali 1994-99 e 2000-06, soprattutto alla luce di
quest’ultimo, ma senza tralasciare le prospettive e gli sviluppi del periodo di
programmazione in corso, 2007-13, particolarmente delicato per l’ingresso nell’
Unione Europea degli stati dell’est dai livelli di reddito decisamente inferiori
alla media comunitaria.
Lo studio si concentrerà, da un lato, sulla performance complessiva della
Basilicata nella gestione dei Fondi Strutturali, andando ad osservare come la
regione abbia provveduto all’organizzazione del proprio impianto istituzionale
1
Profeti S., La sfida europea delle regioni italiane. Quattro strategie a confronto, in Rivista Italiana di Politiche
Pubbliche, n. 1, pp 39-69.
2
Regime a carattere transitorio dovuto all’effetto statistico provocato dall’ingresso nell’Unione Europea dei
paesi PECO.
3
Leonardi R., Putnam R.D., Nanetti R.Y., Il caso Basilicata, Mulino, Bologna, 1987, pp 23-33.
7
nel recepire e adeguarsi alla normativa comunitaria e quali dinamiche politico-
istituzionali abbiano favorito l’implementazione degli interventi e dall’altro sui
risultati raggiunti dal punto di vista della modernizzazione amministrativa. Per
quest’ultimo aspetto sarà affrontato in modo particolare il fondamentale
contributo fornito dal Dipartimento per le politiche di sviluppo e coesione
(DPS) ai processi di avanzamento istituzionale messi in atto dalla Regione, per
dimostrare la grande capacità e prontezza dell’amministrazione lucana di
adeguarsi al processo di riforma della Pubblica Amministrazione. Anche in
questo caso la Basilicata si è distinta rispetto alle altre Regioni del
Mezzogiorno, riuscendo a soddisfare tutti gli indicatori legati alla
modernizzazione amministrativa, che, da un lato hanno migliorato la qualità
della programmazione e favorito l’impatto dei Fondi Strutturali e dall’altro
hanno permesso alla Regione di ricevere ulteriori risorse a titolo di premialità.
Questi aspetti dimostrano, ancora una volta, la grande importanza che rivestono
i fattori domestici e le dinamiche interne per l’innovazione amministrativa
regionale, aspetto che valorizza l’approccio utilizzato nella ricerca.
A titolo introduttivo e in estrema sintesi, si può affermare che la crisi
istituzionale ed economica italiana dei primi anni ’90 e il conseguente declino
del vecchio sistema di rappresentanza avviarono un processo di riforme che, da
un lato, hanno rinnovato la logica amministrativa e dall’altro hanno
incrementato l’autonomia e l’azione dei governi regionali nelle arene
decisionali ( leggi Bassanini e l.cost. n. 1del 1999).
Come vedremo nella ricerca, i processi di comunitarizzazione dei procedimenti
amministrativi hanno senza dubbio favorito l’innovazione istituzionale, ma
sono le dinamiche interne e gli attori nazionali e regionali a rivestire un ruolo
determinante.
L’utilizzazione dei fondi strutturali ha creato le condizioni per ampliare i
margini di manovra della regione, contribuendo ulteriormente all’innovazione
8
della logica amministrativa e alla visibilità istituzionale dell’ente, che è
divenuto il punto di riferimento per la concertazione con le parti sociali e con le
associazioni di categoria.
Il processo di integrazione in corso, infatti, a differenza dei primi venti anni di
vita della Comunità Europea, ha sempre più una dimensione sia verticale che
orizzontale, nel senso che mobilita e coinvolge, a tutti i livelli di governo, le
forze economiche e sociali
4
. E’ questa la logica delle istituzioni europee,
Commissione in primis, dopo l’abbandono verso la metà degli anni ’80 del
vecchio modello settoriale di policy (neofunzionalista), e l’avvento del nuovo
approccio territoriale di programmazione integrata, impostato sul “multi–level
governance, in piena sintonia con i principi di partnership e sussidiarietà che
governano la politica comunitaria di coesione.
Questi aspetti saranno affrontati in profondità nel corso del presente lavoro, che
si articola in quattro capitoli.
Il primo capitolo analizzerà, in generale, l’evoluzione storica e normativa della
politica di coesione, partendo dalle dichiarazioni di intenti nei Trattati di Roma
del ’57 e proseguendo poi con l’Atto Unico europeo, dove la finalità di
armonizzazione sociale ed economica viene inserita formalmente nell’area di
policy comunitaria, per poi giungere al Trattato dell’Unione Europea, dove la
politica di coesione diventa obiettivo comunitario a tutti gli effetti. Il capitolo
affronterà in particolare lo studio degli strumenti finanziari della politica di
coesione, i Fondi Strutturali, ripercorrendo le fasi dalla loro istituzione alle
relative riforme susseguitesi nel corso degli anni ’80 e ’90, verranno analizzati i
principi guida e gli obiettivi, con particolare attenzione ai fondi strutturali nel
Mezzogiorno.
4
Leonardi R., Coesione, convergenza e integrazione nell’Unione Europea, Mulino, Bologna, 1995, pp 31-60
9
Nel secondo capitolo si cercherà di inquadrare il nuovo ruolo delle regioni nel
contesto dell’europeizzazione e quindi, comme accennato, da un lato sarà
osservato il contributo comunitario alla definizione della politica regionale
nazionale, e dall’altro il ruolo degli attori nazionali e delle dinamiche interne.
Per comprendere la portata del contributo comunitario, in termini qualitativi,
saranno rivisitate le caratteristiche dell’Intervento Straordinario durante le fasi
della sua implementazione. Successivamente verrà inquadrato il contesto socio-
economico della Regione, per comprendere la sua struttura economica e, quindi,
le potenzialità di sviluppo e le lacune storiche dell’economia regionale. Un
breve cenno sarà dedicato, in quest’ambito, anche alle caratteristiche sociali, o
meglio alla presenza o meno della criminalità organizzata sul territorio lucano.
Il capitolo affronterà inoltre, in modo particolare, le caratteristiche del sistema
politico lucano e i rapporti con l’élite amministrativa, che come vedremo
presentano delle specificità di rilievo. La grande stabilità politica e la
collaborazione fra le varie forze politiche si sono rivelati fattori essenziali per
un’efficiente ed efficace implementazione degli interventi, che hanno dato
continuità all’azione di governo. Quest’ultima è stata supportata da una
dirigenza amministrativa assai capace e determinata e soprattutto in sintonia coi
principi e valori della classe politica. Questi aspetti saranno affrontati in
profondità e con particolare attenzione nel corso del capitolo, in quanto saranno
questi fattori e rivelarsi fondamentali per l’impatto dei Fondi Strutturali e che
hanno permesso alla Basilicata di distinguersi rispetto alle altre regioni del
Mezzogiorno. Come ho già sottolineato l’efficienza istituzionale è una
prerogativa fondamentale per la messa in opera dei programmi comunitari: la
programmazione, il controllo di gestione e la valutazione dei risultati dipendono
direttamente dalle capacità dell’élite politico–amministrativa.
Il terzo capitolo affronterà, invece l’oggetto centrale di questo lavoro, cioè
l’impatto istituzionale dei Fondi Strutturali in Basilicata. Attraverso l’esame dei
10
Programmi Operativi 1994-99 e 2000-06, verrà analizzata in generale la
gestione dei fondi europei, sia in riferimento alla performance finanziaria che
all’attuazione fisica dei programmi. In particolare, invece, sarà osservata la
performance amministrativa della Regione, cioè quella legata ai risultati di
avanzamento istituzionale, che costituisce l’aspetto centrale di questa tesi,
ovvero l’importanza del ruolo dei fattori istituzionali locali
nell’implementazione dei Fondi Strutturali.
Infine, nel quarto capitolo, saranno esposte le linee programmatiche per il ciclo
di programmazione in corso, particolarmente delicato per la Basilicata in quanto
si trova ad affrontare la fase di transizione verso l’obiettivo “Competitività”.
Ciò comporta per la Regione importanti sfide per il futuro: l’amministrazione
lucana, svantaggiata dal calo delle risorse destinate per effetto della fase
phasing-out, oltre a confermare i risultati ottenuti, deve accrescere la
produttività dei vari settori economici, soprattutto quello agricolo e turistico e
deve investire di più sull’innovazione tecnologica e sullo sviluppo delle risorse
umane per migliorare la competitività e uscire definitivamente dal gruppo di
regioni europee considerate “in ritardo di sviluppo”.
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CAPITOLO I
LA POLITICA DI COESIONE ECONOMICA E
SOCIALE DELL’UNIONE EUROPEA
1. L’evoluzione storica della politica di coesione e dei Fondi
Strutturali: l’approccio settoriale nella definizione della policy
La politica di coesione economica e sociale viene inserita formalmente nel
Trattato di Maastricht nel 1992 e diventa uno degli obiettivi fondamentali
dell'U.E.
Il processo che ha portato alla definizione della politica di coesione come
obiettivo prioritario dell’U.E. non è affatto scontato, ma è piuttosto il frutto di
continue evoluzioni di intenti, contenuti e procedure.
L’analisi cronologica dell’evoluzione storica della policy in questione non si
può scindere da quella dei Fondi strutturali, i principali strumenti finanziari
utilizzati per questo scopo.
Elementi di politica di coesione europea li possiamo già ritrovare nel preambolo
del Trattato di Roma del 1957 che afferma esplicitamente la volontà di ridurre
“le disparità fra le diverse regioni e il ritardo di quelle meno favorite”.
L’obiettivo è stato riaffermato anche nel Trattato stesso all’art. 2 che cita
testualmente l’impegno a promuovere “uno sviluppo armonioso delle attività
economiche”.
Nonostante i riferimenti specifici, queste rimanevano mere dichiarazioni di
intenti in quanto non c’era ancora una visione ben definita della policy né,
12
tantomeno, la previsione di una serie coordinata di strumenti e procedure per
realizzarla.
Le ragioni di queste lacune possono essere ricercate essenzialmente sotto due
aspetti.
Da un punto di vista politico non c’era la reale intenzione di mettere in atto un
assetto organico di misure e procedure per attuare una politica di sviluppo
regionale. Non era quindi una priorità della Comunità, esulava dalle sue
competenze. L’assunto di fondo
della Comunità Europea durante tutti gli anni ’60 e ‘70 era che la ricchezza
generalizzata prodotta dall’unione doganale e dalla liberalizzazione degli
scambi commerciali si sarebbe riversata anche nelle aree con ritardi di sviluppo.
Il mercato unico avrebbe funzionato da catalizzatore per l’allocazione di nuovi
investimenti produttivi nelle zone colpite da una forte disoccupazione, come il
Mezzogiorno italiano. Si sarebbe verificato cioè, un effetto a “cascata” con un
impatto di sviluppo positivo per tutte le zone arretrate.
Da un punto di vista giuridico i motivi di marginalità della politica di coesione
risiedono nell’architettura istituzionale delineata dal trattato di Roma,
strutturato su due soli livelli, nazionale e comunitario, con l’esclusione delle
strutture politico-amministrative sub-nazionali (regioni, province e comuni). La
dimensione territoriale era totalmente assente nella formulazione e attuazione
della policy, in quanto non si concepiva ancora l’integrazione europea a tutti i
livelli della società civile. L’esclusione degli attori politici locali e dell’intero
bagaglio informativo costituiva un grosso deficit e un grande ostacolo per
l’intero processo di policy-making: gli interventi erano concepiti per le aree
sub-nazionali ma senza lasciare loro margini d’azione o di dialogo.
La politica di coesione intrapresa in questi anni e fino alla metà degli anni ’70
era caratterizzata da una visione limitata delle situazioni sulle quali intervenire,
perchè non venivano individuate ed evidenziate le diverse potenzialità
13
territoriali in modo da implementare programmi coordinati e integrati. Essa era
contraddistinta da interventi limitati e settoriali, adottati con procedure
decisionali che davano troppo peso ai governi nazionali e privi di un approccio
territoriale di riferimento.
Avvenimenti politici di forte impatto, inoltre, hanno incentivato questa
tendenza, come il rifiuto di De Gaulle
5
a partecipare alle sedute del Consiglio,
che comportò non solo una battuta d’arresto all’integrazione europea, ma anche
la ripresa di un approccio decisionale marcatamente nazionalista.
Va ricordato che, nonostante la policy sia ancora allo stato embrionale a causa
dei suoi limiti politici e attuativi, il Trattato C.E.E. prevedeva un’importante
deroga alle rigide norme sulla concorrenza che ammettevano la concessione di
aiuti di stato indiretti per lo sviluppo regionale. La portata della deroga era
molto rilevante visto l’impostazione liberista prevalente negli anni ‘60 e ‘70 che
attribuiva priorità assoluta al completamento del mercato unico europeo e al
rispetto delle regole sulla concorrenza.
La politica di sviluppo aveva un ruolo secondario rispetto alla politica
economica, anzi, per alcuni versi, veniva presentata come una sorta di
compenso per gli stati più poveri, affinché questi approvassero il passaggio
dalla prima fase dell’integrazione, cioè l’unione doganale, alla seconda fase,
ovvero il mercato unico.
In questo scenario caratterizzato da incompletezza e da limiti di varia natura la
politica di coesione faticava a decollare, con la conseguente accentuazione delle
disparità regionali, che unite agli embarghi petroliferi e alla recessione degli
5
A partire dal luglio 1965 il presidente francese De Gaulle si rifiutò di partecipare alle sedute del Consiglio dei
Ministri per opporsi ad alcune proposte avanzate dalla Commissione che prevedevano il voto a maggioranza per
alcune decisioni del Consiglio e che riguardavano tra l’altro il finanziamento della politica agricola comune.
Questo episodio è conosciuto come “crisi della sedia vuota” ,che si risolse con il compromesso di Lussemburgo
(gennaio 1966) secondo cui “le decisioni che toccano interessi fondamentali per gli stati devono essere prese
all’unanimità”.
14