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INTRODUZIONE
Nonostante siano presenti nel nostro ordinamento da diversi anni, è
soltanto di recente che i fondi pensione sono divenuti oggetto
quotidiano di conversazione: in particolare con le disposizioni in
materia pensionistica contenute nella cosiddetta “Riforma Maroni” e
nella legge finanziaria del 2007 che prevede il conferimento del tfr
maturando ai fondi pensione già dal 2007 e non dal 2008 come
prevede la riforma Maroni.
L’avvio dei fondi pensione in Italia è iniziata già da oltre un decennio.
Fino al 1992, infatti, gli italiani hanno vissuto una situazione che si
può definire invidiabile, protettiva un welfare che a tutto e che
consentiva ai cittadini di dormire sonni tranquilli, soprattutto il loro
futuro previdenziale. Poi, per cercare di riequilibrare i conti pubblici,
sono arrivate le prime riforme del sistema pensionistico e persino le
categorie che in passato si potevano considerare iperprotette hanno
dovuto iniziare a valutare attentamente la questione. È, infatti, molto
probabile che la pensione pubblica su cui potremo contare, una volta
entrate a regime le riforme, oscillerà tra il 25% (autonomi con scarsa
contribuzione) e il 63% (dipendenti con elevato incrocio tra età e
contribuzione) della retribuzione media. Per integrare la pensione
pubblica, che con il passare del tempo diventerà sempre più irrisoria, i
lavoratori dovranno aderire ai fondi pensione.
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In Italia, però, in questo momento solo 13 lavoratori su 100 hanno
pensato attivamente alla loro previdenza con accantonamenti
insufficienti.
I motivi dello scarso successo dei fondi pensione sono economi certo,
ma anche legati all’ignavia previdenziale della maggior parte dei
lavoratori, che a sua volta è dovuta alla generale inconsapevolezza nei
confronti della finanza personale.
La situazione ora sta cambiando. Vediamo allora come si è evoluto il
sistema pensionistico italiano, le caratteristiche dei fondi pensione, i
possibili rischi dei fondi pensione e le modalità per attenuare i rischi
dei fondi pensione.
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1. IL SISTEMA PUBBLICO E I TRE PILASTRI
DELLA PREVIDENZA.
Il pensionamento è una fase della vita più lunga, diversa e ricca di
opportunità di quanto non fosse fino a qualche tempo fa. Se ben
organizzata può essere utilizzata per viaggiare, studiare, dedicarsi ad
attività di volontariato, lavorare.
Ma visto che vivremo più a lungo, vi è la possibilità di trovarsi
“scoperti”: il Paese e il sistema di previdenza pubblico non riescono a
sostenere l’ invecchiamento progressivo della popolazione e la quota
percentuale di “pensione garantita” sarà assai ridotta rispetto alle
attese e alle speranze.
Quindi da qualche anno non si parla più solo ed esclusivamente di
pensione, ma dei cosiddetti tre pilastri della previdenza, dove:
il primo è rappresentato dalla previdenza pubblica ed obbligatoria,
destinata ad fornire una tutela di base;
il secondo è costituito dai fondi pensione, che hanno lo scopo di
garantire ai lavoratori una tutela completare collettiva che assicuri
un più elevato livello di copertura previdenziale;
il terzo è finalizzato alla tutela integrativa individuale,
rappresentata fondamentalmente dalle polizze vita e dai fondi
comuni.
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1.1 La previdenza complementare: definizione.
Al fine di delineare i confini dell’ argomento oggetto di indagine, i
fondi pensione e i loro rischi, occorre preliminarmente definire alcuni
concetti di carattere basilare. Procederemo, pertanto
nell’individuazione del significato da attribuire al termine previdenza,
per poi interessarci dei due aggettivi che lo qualificano, specificando i
termini di: previdenza complementare e previdenza integrativa.
Per previdenza si intende l’ accantonamento da parte di ogni
lavoratore di una quota del reddito conseguito nel corso della carriera
lavorativa, affinché lo stesso lavoratore possa provvedere al proprio
sostentamento nel momento in cui uscirà dal mondo del lavoro a
causa dell’ età avanzata (pensioni di vecchiaia), di una malattia
(pensioni di vecchiaia), di una malattia (pensioni di invalidità), ovvero
per aver lavorato un periodi di tempo sufficientemente lungo
(pensioni di invalidità)
1
.
A questa definizione di previdenza si aggiungono considerazioni di
ordine quantitativo in relazione all’ entità dei trattamenti pensionistici
che devono essere corrisposti. Quindi, ci si chiede se l’ ammontare di
questi ultimi debba essere tale da garantire un livello di mera
sopravvivenza oppure la conservazione per il lavoratore della stesso
tenore di vita conosciuto durante la vita lavorativa. In linea di
principio, sembra che ci sia accordo unanime sulla seconda delle due
soluzioni proposte e l’obbiettivo di garantire una vita dignitosa al
lavoratore che andrà in pensione può essere raggiunto con la garanzia
di un’assistenza minima da parte dello Stato e allo stesso con la
creazione di un trattamento previdenziale idoneo a conservare un
tenore, se non identico, almeno simile conquistato durante la vita
attiva.
1
Cfr. M.E. SALERNO, I fondi pensione “negoziali” Costituzione, Gestione e Vigilanza P. 2
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Lo Stato e le istituzioni pubbliche che operano al di fuori dell’ottica
del profitto provvedono, in linea di massima, ai bisogni fondamentali
(nutrirsi, avere un’ abitazione, cure fondamentali ecc.). In questo caso
abbaiamo il primo pilastro del sistema pensionistico. Oltre alle
necessità primarie, ne esistono altre che vengono avvertite con la
stessa intensità all’interno di categorie omogenee della popolazione ed
intensità diversa all’ interno di categorie omogenee della popolazione
complessivamente considerata. Di qui l’ esigenza di creare all’ interno
di queste fasce di individui forme di solidarietà che consentano di
premunirsi di fronte a queste eventualità. Questa finalità differenzia le
forme di previdenza complementare, tra le quali assumono una grande
rilevanza i fondi pensione
2
. Quindi, come si intuisce, l’ aggettivo
complementare implica che nell’ ambito della previdenza così
denominata rientrino tutti quegli strumenti che consentono di creare
un’ indennità che si aggiunge a quella corrisposta dal sistema
previdenziale pubblico; da cui l’ uso della locuzione previdenza
aggiuntiva come sinonimo di previdenza complementare. In altre
parole, il suo scopo consiste nel soddisfacimento di tutte quelle
necessità previdenziali che non possono essere appagate dallo Stato;
tuttavia, non si deve trattare di bisogni generici, ma questi si devono
caratterizzare per la loro rilevanza sociale. Qui abbiamo il cosiddetto
secondo pilastro del sistema pensionistico.
Assieme alle due categorie di bisogni appena individuate (bisogni
primari e collettivi), altri vengono invece avvertiti in modo autonomo
da singoli individui, ovvero da una pluralità di questi piuttosto ristretta
da non poter essere configurata come gruppo omogeneo. Esempi di
questi bisogni sono costituiti dalla necessità di garantire una qualche
forma di assistenza economica ai propri familiari nel di premorienza
del capofamiglia, oppure dalla volontà di lasciare un’ adeguata
eredità. All’ appagamento di tali esigenze individuali provvedono le
forme di previdenza integrativa ( terzo pilastro del sistema
pensionistico), quali la sottoscrizione di polizze assicurative sulla vita.
2
I fondi pensione verranno trattati in modo approfondito nel prossimo capitolo.
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Oltre a quanto detto, queste si caratterizzano per il fatto di essere
completamente svincolate dal sistema pensionistico di base, potendo
prescindere da tutte quelle condizioni indispensabili per l’ottenimento
di un reddito pensionistico da parte del sistema pubblico, come lo
svolgimento di un’attività lavorativa da parte di un soggetto. Si tratta,
pertanto, di una vera e propria forma d’investimento da cui scaturisce
un rendimento ( prestazione) che può affiancarsi a qualsiasi tipo di
reddito, non necessariamente di natura pensionistica
3
.
Possiamo concludere affermando che la previdenza complementare è
destinata al soddisfacimento di bisogni che si manifesteranno nel
lungo periodo e che la previdenza integrativa si occupa dei bisogni
che hanno un tempo di manifestazione di breve-medio termine.
1.2 Le macrodifferenze tra sistema pubblico e
previdenza complementare.
Ai fini di una ottima comprensione, riveste particolare importanza
specificare meglio quali siano le differenze caratterizzanti la
previdenza pubblica e quella complementare. Va evidenziato in primo
luogo come il sistema pensionistico “di base” si distingua per quel
che concerne le modalità di adesione per la propria natura
obbligatoria, mentre la previdenza assume natura volontaria: il
lavoratore è libero di aderire o meno ad un fondo pensione, e tale
libertà persiste anche in considerazione della prossima introduzione
dell’ istituto del silenzio – assenso. Volendo spiegare tale profilo di
differenziazione, la previdenza pubblica viene descritta come un
“diritto comunque” differenziandosi dai fondi pensione che assumono
invece i lineamenti di un “diritto responsabile”: si percepirà cioè un
trattamento pensionistico integrativo se durante la propria vita
lavorativa si sarà “costruito” e “modellato” un percorso di risparmio
previdenziale.
3
Cfr. M.E. SALERNO, I fondi pensione “negoziali” Costituzione, Gestione e Vigilanza p. 5
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Tornando sulla volontarietà della previdenza integrativa va comunque
sottolineato come, in particolar modo per quel che riguarda le forme
istituite su base collettiva, una volta dichiarata la propria adesione il
lavoratore debba necessariamente sottostare alle norme che regolano
il rapporto con il fondo pensione. E’ pertanto tenuto al versamento
della contribuzione a proprio carico ed è soggetto ai limiti previsti
dalla legge in merito ai riscatti, alle anticipazioni, alla liquidazione del
capitale. La volontarietà è quindi limitata al momento dell’adesione,
ma il lavoratore non può cambiare il contenuto del rapporto che viene
predeterminato prevalentemente dalla legge nonché dallo statuto o
dal regolamento del fondo.
Proseguendo nel descrivere i distinguo va ancora rimarcato il
differente meccanismo finanziario su cui si basano: la previdenza
pubblica si fonda sulla ripartizione, vale a dire che il pagamento dei
trattamenti di quiescenza è finanziato dai contributi versati dai
lavoratori in attività. Riveste allora di fondamentale importanza,
soprattutto in chiave prospettica, l’equilibrio tendenziale dell’ indice
di dipendenza, ovvero il rapporto tra pensionati e lavoratori attivi. La
motivazione logica che sottende alla ripartizione è la solidarietà
intergenerazionale, che trova radici nello stesso dettato costituzionale,
ponendosi di fatto in essere un vero e proprio trasferimento di risorse
finanziarie tra generazioni di coorti (classi demografiche) diverse. La
previdenza integrativa si basa invece finanziariamente sulla
capitalizzazione: i contributi versati vengono accantonati in una
posizione individuale e investiti sui mercati mobiliari sulla base delle
indicazioni fornite dall’ aderente; durante la vita lavorativa del
soggetto si realizzerà allora il “combinato disposto” dei nuovi
contributi versati e dei rendimenti finanziari conseguiti. Raggiunta
l’età pensionabile (di anzianità o di vecchiaia), si avrà a disposizione
un montante finanziario sulla base dei coefficienti attuariali mediante
tecniche assicurative. Anche con la capitalizzazione si realizza
dunque un trasferimento di risorse finanziarie, non più tra generazioni
differenti quanto piuttosto nel tempo a beneficio dello stesso
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aderente
4
. La logica diventa allora di natura più propriamente
individuale.
Questo, in realtà, vale più in linea teorica che pratica, ma ha
comunque un profondo senso tecnico. Sotto il versante
macroeconomico, infatti, la previdenza complementare ottiene
rendimento e dunque “benzina finanziaria” dai mercati azionari e
dunque, in ultima analisi, dalla capacità dei giovani indiani e cinesi di
oggi di realizzare benefici che si tradurranno in incrementi del valore
delle azioni e quindi dei mercati.
Va ancora sottolineato come, assolvendo a una vera e propria
funzione sociale – rappresentata dall’ obiettivo macroeconomico di
mantenere “inalterato” il livello futuro dei consumi – la previdenza
integrativa goda di specifiche agevolazioni fiscali sintetizzabili nella
deducibilità fiscale dei contributi, nella tassazione ridotta dei
rendimenti finanziari prodotti e nell’ esenzione a scadenza delle
prestazioni riconducibili a contributi per cui in fase di versamento non
si sia usufruito del beneficio fiscale.
Ma prima di concentrarci sul secondo pilastro e su suoi rischi – per
approfondire l’importante ruolo di supporto al sistema pensionistico
dei fondi pensione con l’entrata in vigore già da quest’ anno della
riforma Maroni anziché dal 2008 e la loro importanza sia a livello
sociale ( in quanto mirano a ricucire e ridurre lo strappo tra vecchie e
nuove generazioni) che finanziario (come investitori istituzionali) –
vediamo com’è evoluto il sistema previdenziale pubblico e che cosa
ci si può attendere da esso.
4
Cfr. M. LIERA “CAPIRE I MERCATI FINANZIARI- I FONDI PENSIONE - L’INTEGRAZIONE
TRA PREVIDENZA PUBBLICA E COMPLEMENTARE. LE STRATEGIE PER COSTRUIRSI UN
FUTURO SERENO – FONDI APERTI CHIUSI E FIP PP. 12 E 13.
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1.3 L’ evoluzione del sistema pubblico.
Il sistema pensionistico italiano è stato caratterizzato durante l’ultimo
decennio da un lungo e travagliato percorso di ridisegno che sembra
ben lungi dall’ essere compiuto. Al di là dei profili economici e
politici interni, va anche sottolineata l’attenzione, sempre più marcata,
manifestata anche in ambito comunitario sugli aspetti previdenziali.
Ma procediamo sintetizzando innanzitutto i principali accadimenti di
questo lungo percorso di ridisegno di cui è stato oggetto il sistema
pensionistico italiano.
1898: viene approvata la legge istitutiva di una Cassa di previdenza
per l’invalidità e vecchiaia degli operai, una forma di previdenza
libera e volontaria a favore di lavoratori manuali, integrata da un
contributo di incoraggiamento dello Stato e dal contributo libero degli
imprenditori.
1919: diventa obbligatoria l’assicurazione per l’invalidità e la
vecchiaia, introducendo così per 12 milioni di lavoratori una tutela da
tutti gli eventi che potessero intaccare il reddito individuale e
familiare. Il contributo è ripartito tra lavoratore, datore di lavoro e
Stato. La previdenza nasce in forma di capitalizzazione: ogni
lavoratore costruisce il proprio futuro.
1933-35: nasce l’INPS, Istituto nazionale della previdenza sociale,
che sostituisce la Cassa nazionale di previdenza.
1939: viene istituita la pensione di reversibilità a favore di vedove e
orfani dell’ assicurato. Si abbassa l’età pensionabile a 60 anni per gli
uomini e a 55 per le donne (un privilegio, quest’ ultimo, che
“remunera” la funzione di cura per la famiglia).
1943: l’inflazione bellica riduce considerevolmente gli
accantonamenti previdenziali e rende necessario un forte aumento dei
contributi. Entra in crisi la pensione a capitalizzazione nominale.