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INTRODUZIONE
Istituiti dal decreto legislativo n. 124/93, i Fondi Pensione nascono con lo
scopo di integrare la prestazione erogata dal sistema previdenziale
pubblico, con l’obiettivo di assicurare ai lavoratori il mantenimento, da
pensionati, dello stesso tenore di vita goduto durante la vita lavorativa.
I Fondi Pensione possono, dunque, essere definiti come uno strumento di
previdenza complementare, costituito dai versamenti effettuati da ciascun
aderente, che confluiscono in un unico grande patrimonio, gestito e
investito professionalmente allo scopo di costituire un risparmio e una
rendita previdenziale complementare a quella di base, assicurando agli
iscritti più elevati livelli di copertura previdenziale.
I lavoratori, quindi, per salvaguardare un adeguato tenore di vita,
nell’attuale prospettiva del sistema previdenziale italiano, devono
formare la propria posizione pensionistica attraverso la combinazione di
tre pilastri, integrando in maniera armonica il sistema previdenziale di
base con quello complementare di tipo collettivo e anche con forme a
carattere individuale.
Il percorso che porta alla costruzione della rendita pensionistica può
essere articolato in due fasi consecutive: una di accumulazione del
montante contributivo e una di erogazione della pensione, seguendo la
logica di un sistema a capitalizzazione, ossia il finanziamento delle
pensioni avviene grazie ai rendimenti finanziari dei contributi investiti.
Per questo, il Fondo Pensione può essere sia uno strumento previdenziale
sia uno finanziario, in quanto investe le proprie riserve sul mercato
mobiliare.
In questo modo, offre ai lavoratori la possibilità di realizzare la propria
integrazione pensionistica accedendo a strumenti finanziari e a modalità
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di ingegnerizzazione del proprio investimento coerenti con il tempo e con
il rischio.
L’istituzionalizzazione del risparmio previdenziale complementare non
solo può contribuire a difendere il lavoratore dal rischio di inadeguatezza
del futuro tasso di sostituzione della retribuzione (rapporto tra pensione e
reddito lavorativo), ma rappresenta anche un’opportunità per gli operatori
professionali, specializzati nell’attività di asset management, che
assisteranno inevitabilmente ad un incremento delle risorse gestite.
L’indagine compiuta provvede ad illustrare i principali elementi che
caratterizzano il Fondo Pensione; capirne il significato, il funzionamento
ed illustrare da dove scaturiscono le linee di investimento che vengono
perseguite dal Fondo.
In sostanza l’obiettivo è quello di fornire informazioni circa il mercato
italiano dei Fondi Pensione.
Nel primo capitolo si spiega come sono nati i Fondi Pensioni,
analizzando i tre pilastri del sistema previdenziale italiano, e le differenze
tra il sistema pubblico e privato, per poi descrivere l’evoluzione del
sistema pubblico, descrivendo le principali riforme che hanno interessato
il sistema pensionistico italiano e in particolare l’ultimo decreto
dell’esecutivo, il cosiddetto Decreto “Salva Italia”.
Nel secondo capitolo, si passa poi a capire cosa sono i Fondi Pensione,
chi sono i protagonisti, i destinatari, il funzionamento e le prestazioni
erogate da questo strumento previdenziale. In particolare, in base al
soggetto che istituisce il Fondo, si distinguono Fondi Pensione aperti e
chiusi. Ai Fondi chiusi possono aderire solo i lavoratori appartenenti ad
una data azienda o categoria. Ai Fondi aperti, possono accedervi tutti i
lavoratori e la gestione del Fondo risponde a scelte di investimento che
riguardano una pluralità di lavoratori. I primi sono istituti attraverso i
CCNL e prendono le forme di Fondi aziendali, di categoria, di comparto
e territoriali, mentre i Fondi aperti sono istituiti direttamente da
intermediari quali SGR, assicurazione, SIM e banche. A tali Fondi, si
aggiungono i Pip (Piani individuali pensionistici), offerti sempre da
6
operatori specializzati e in particolare da Assicurazioni, che hanno la
peculiarità di essere personalizzati su esigenze individuali, senza la
ripartizione del rischio che caratterizza le adesioni collettive, ma con
elevata sofisticazione finanziaria e corrispondenti maggior costi.
Un’ulteriore distinzione dei Fondi è relativa al regime delle prestazioni: a
contribuzione definita e a prestazione definita.
Ampio spazio è, poi, dedicato al terzo capitolo in cui ci si sofferma sulla
scelta di una adatta strategia di investimento tenendo conto degli
elementi da valutare per identificare strategie di portafoglio ottimali tra
cui: il trade-off tra rischio e rendimento, la diversificazione, l’asset
allocation, il benchmark e gli obiettivi degli iscritti.
Si passa, poi, a descrivere la figura dei Fondi come investitori
istituzionali, destinando il patrimonio gestito a investimenti in pacchetti
azionari di imprese manifatturiere e finanziarie, notando come il mercato
guida gli intermediari a investire in strumenti capaci di valorizzarli.
Infine, si analizzano le scelte di portafoglio delle famiglie italiane.
Nel quarto capitolo, dopo aver individuato gli organi fondamentali e i
compiti della COVIP, si considera il ruolo principale della Commissione,
ossia l’attività di vigilanza sui Fondi Pensione, per poi concludere
ponendo l’attenzione sull’ approccio risk-based della stessa.
Nell’ultimo capitolo, il quinto, si procede con un’analisi empirica
dell’andamento dei Fondi Pensioni in Italia, attraverso dati numerici che
permettono una migliore comprensione della situazione italiana.
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Capitolo i
L’EVOLUZIONE DEL SIStEma
PENSIONISTICO ITALIANO E IL RUOLO
DELLA PREVIDENZA COMPLEMENTARE
1.1 PREMESSA
Fino al 1992 gli italiani hanno vissuto una situazione invidiabile protetti
da un Welfare State che provvedeva a garantire loro un futuro
previdenziale.
Il sistema previdenziale italiano era esclusivamente di carattere pubblico
e basato sul metodo della ripartizione, ma in seguito all'aumento della
spesa pensionistica furono necessarie una serie di riforme che portarono
alla realizzazione della previdenza complementare, basata sul metodo
della capitalizzazione. Inizialmente, fu sostenuto da un alto tasso di
crescita economica e demografica, nonché da un basso indice di
dipendenza, nei decenni successivi si verifica, però, una inversione di
tendenza e a ciò va ad aggiungersi la politica inefficiente di quegli anni
che portò all'introduzione dei prepensionamenti, dei contratti atipici,
senza dimenticare la piaga del lavoro nero.
Tutti questi fattori hanno portato ad una diminuzione dei contributi
versati, con conseguente aumento della spesa pensionistica ed
innalzamento del debito pubblico.
Furono necessarie una serie di riforme per cercare di riequilibrare i conti
pubblici.
Alla luce di tali riforme il sistema previdenziale viene suddiviso nei
cosiddetti tre pilastri:
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La previdenza pubblica e obbligatoria
1
;
La previdenza complementare collettiva
2
;
La previdenza complementare individuale
3
.
1.2 I TRE PILASTRI DEL SISTEMA PREVIDENZIALE
ITALIANO
Analizzando i tre pilastri del sistema previdenziale italiano notiamo che:
il primo pilastro è gestito dall’ I.N.P.S. e da altri enti con analoghe
finalità. Riguarda la previdenza pubblica e obbligatoria che è destinata a
fornire una tutela di base erogata in generale dallo Stato.
Il secondo pilastro, ovvero quello della previdenza complementare è nato
a seguito della necessità di rendere ancora più completa e differenziata
l'offerta di soluzioni previdenziali complementari. Esso ha indotto il
legislatore ad introdurre, anche in Italia, i Fondi Pensione che, nel
disegno complessivo del nuovo assetto previdenziale, costituiscono,
appunto, il secondo pilastro.
Il terzo pilastro, la previdenza integrativa e quindi l’universo delle
assicurazioni, è il frutto del risparmio aggiuntivo individuale, che si
realizza acquistando prodotti finanziario-assicurativi, polizze vita e quote
di Fondi comuni. Gli strumenti maggiormente utilizzati sono i P.I.P.
ovvero i piani individuali pensionistici.
Il sistema pensionistico italiano è quindi, da alcuni anni impostato su
questo sistema definito dei cosiddetti 3 pilastri.
1
detta anche Primo Pilastro.
2
detta anche Secondo Pilastro.
3
detta anche Terzo Pilastro.
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Con tale definizione si intende che la pensione degli italiani già oggi non
deriva più solamente dall’ I.N.P.S., o dagli altri istituti obbligatori, bensì
dalla sommatoria di tre tipi di prestazione distinte, il primo pilastro
rimane quello della previdenza obbligatoria, il secondo è quello della
previdenza complementare (i Fondi Pensione) e il terzo è quello della
previdenza integrativa.
Cosa significa tutto questo?
E’ molto semplice: siccome il sistema pubblico non è più in grado di
mantenere il livello di prestazioni che garantiva fino a pochi anni fa è
necessario compensare tale diminuzione di prestazioni con altri
strumenti.
Il termine complementare infatti già indica il significato del secondo
pilastro. Esso fa da complemento al primo: il Fondo Pensione deve
compensare la minor erogazione del primo pilastro.
Il terzo pilastro, la previdenza integrativa, infine, è necessario per coloro
che comunque hanno necessità di garantirsi un reddito da pensione più
elevato di quello derivante solo dai primi due pilastri.
Sia per quanto riguarda il secondo che il terzo pilastro stiamo parlando di
strumenti che vanno finanziati con versamenti ulteriori, regolati in vari
modi, a quelli già accantonati con il sistema obbligatorio.
1.3 LE MACRODIFFERENZE TRA IL SISTEMA PUBBLICO
ED IL SISTEMA COMPLEMENTARE O PRIVATO
Il sistema pensionistico di base, o pubblico, si distingue da quello
complementare innanzi tutto per le modalità di adesione allo stesso.
Per quanto riguarda il sistema pubblico, l’adesione è obbligatoria, mentre
per quanto riguarda la previdenza complementare, l’adesione è del tutto
10
su base volontaria, ciò vuol dire che il lavoratore è libero di poter aderire
o meno ad un Fondo Pensione.
Deve essere anche sottolineato il fatto che tale volontarietà nell’adesione,
persisterà anche con la regola del silenzio-assenso.
4
In merito alla volontarietà della previdenza integrativa va altresì
sottolineato come, in particolar modo, per le forme istituite su base
collettiva, una volta che manifesta la propria adesione, il lavoratore
debba necessariamente sottostare alle norme che vanno a regolare il
rapporto con il Fondo Pensione.
Di fatto il soggetto aderente ad un Fondo Pensione è tenuto al rispetto di
date regole e procedure fra cui: il versamento della contribuzione a
proprio carico, i limiti previsti dalla legge in merito ai riscatti, alle
anticipazioni e alla liquidazione del capitale.
Dunque é vero che esiste una sorta di volontarietà che contraddistingue la
previdenza complementare quanto meno in merito al momento
dell’adesione o meno ad un Fondo Pensione, ma è altrettanto vero che
tale volontarietà tenderà a sfumare una volta che si è deciso di aderire ad
un Fondo, infatti, il lavoratore non può modificare il contenuto del
rapporto che s’instaura fra lui ed il Fondo Pensione in quanto,
quest’ultimo, è in larga misura predeterminato dalla legge nonché dallo
Statuto del Fondo, d’altro canto il sottoscrittore ha l’obbligo di legge di
poter consultare il cosiddetto prospetto informativo che lo informerà in
merito a tutti i suoi dubbi e perplessità relativamente allo stesso Fondo
Pensione.
4
Il meccanismo del “silenzio-assenso”, ossia l’adesione “tacita” a un Fondo Pensione nel caso in
cui non venga manifestata alcuna decisione circa la destinazione dei flussi maturandi di Tfr. Tale
meccanismo ha costituito uno strumento importante per incrementare le adesioni alla previdenza
complementare. Nell’ipotesi in cui il lavoratore non esprima alcuna preferenza, tutto il suo TFR
“futuro” dovrà essere trasferito in modo automatico al Fondo Pensione previsto dal contratto
collettivo o individuato con accordo aziendale, o da ultimo a FondInps, disciplinato dal secondo
decreto interministeriale attuativo del comma 765 dell’articolo 1 della Finanziaria (Decreto
30/01/2007 - G.U. n. 26 del 1° febbraio 2007). Se manca un’intesa aziendale, o se esistono più
Fondi, il TFR andrà a quello a cui ha aderito il maggior numero di lavoratori dell’azienda.
FondInps (anche detto Fondo residuale) non va quindi confuso con il Fondo statale gestito
dall’Inps che invece gestirà il TFR quando la scelta espressa è quella di non optare per una delle
forme di previdenza complementare. Trenta giorni prima della scadenza dei 6 mesi utili per
effettuare la scelta, il datore di lavoro deve comunicare al lavoratore che ancora non abbia
presentato alcuna dichiarazione le necessarie informazioni sulla forma pensionistica collettiva alla
quale sarà trasferito il TFR futuro.
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La seconda differenza tra la previdenza complementare e quella
obbligatoria (pubblica) fa riferimento al diverso meccanismo finanziario
stante al di sotto delle due.
Per quanto riguarda la previdenza pubblica, essa si fonda su di un
meccanismo a ripartizione, cioè a dire che le pensioni vengono
finanziate dai contributi prelevati dalla parte della popolazione cosiddetta
attiva, ovvero da coloro che lavorano.
La pensione risentirà fortemente dell’andamento di alcuni parametri
strutturali, ovvero il tasso di crescita della popolazione, ed il tasso di
crescita della produttività, quest’ultimo utilizzato per il calcolo dei salari,
in quanto si ipotizza che i salari crescano al medesimo tasso di crescita
della produttività del lavoro.
Le ipotesi alla base di questo modello sono che:
Tutti gli individui di una data collettività lavorino e che dunque
percepiscano un salario pari a “w
0
”, che questo salario percepito cresca
ad un tasso pari ad “u” e che questo tasso di crescita sia costante nel
tempo;
Il tasso di crescita della popolazione, cioè “n”, si ipotizza sia costante,
infine, per comodità;
La somma fra “u” ed “n” sia pari a “g”, cioè il tasso di crescita del
prodotto interno lordo.
Conseguentemente per poter calcolare la pensione di un generico
individuo, con un sistema a ripartizione, basta semplicemente
capitalizzare il prodotto del salario per l’aliquota contributiva (i
contributi versati dallo stesso lavoratore) ad un tasso pari proprio a “g”(
p
r
= sw
0
(1+g)
5
).
5
In base a questa formula (1+g) = Qt/Qt-1 = Ut∙Nt/Ut-1∙Nt-1= (1+u)∙(1+n),dove:
Qt è il prodotto interno lordo al tempo t, il quale è pari al prodotto interno lordo pro-capite
moltiplicato per il totale della popolazione al tempo t ovvero Nt;
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Un indice che ci permette di esprimere delle valutazioni in merito al
necessario equilibrio che deve essere presente fra lavoratori ed i
pensionati, è l’indice di dipendenza.
6
Difatti al numeratore di questo indice troviamo la popolazione attiva,
mentre al denominatore troviamo la popolazione inattiva, cioè i
pensionati.
Viene da se che il rapporto ottimale tra la popolazione attiva e quella
inattiva dovrebbe essere pari ad uno, ma purtroppo non è sempre così, ciò
significa che ogni lavoratore ha un numero crescente (almeno questa è la
tendenza degli ultimi anni in Italia) di pensionati a proprio carico, nel
senso che i contributi prelevati da ogni lavoratore devono andare a
finanziare più di una sola pensione.
Il motivo dell’introduzione di un sistema che richiede un forte equilibrio
di natura macroeconomica e soprattutto delle continue e periodiche
rivisitazioni onde evitare squilibri dell’intero sistema pensionistico, sta in
una solidarietà intergenerazionale.
Per quanto riguarda la previdenza complementare, e quindi i Fondi
Pensione, il meccanismo finanziario sottostante è basato su di un sistema
a capitalizzazione, nel senso che le quote versate al Fondo Pensione (i
contributi) vengono accantonate per poi essere investite sulla base delle
indicazioni fornite dall’aderente al Fondo.
Qt-1 è il prodotto interno lordo al tempo t-1, il quale a sua volta è pari al prodotto interno
lordo pro-capite al tempo t-1 moltiplicato per il totale della popolazione al tempo t-1, ovvero
Nt-1;
“I = N/Nt+1”: dove N è la parte della popolazione in pensione, mentre Nt+1 è la parte della
popolazione che lavora e che dunque finanzia le pensioni.
6
L’indice di dipendenza è il rapporto tra la popolazione non autonoma a causa dell’età e la
popolazione attiva.
L’indice di dipendenza viene considerato un indicatore di rilevanza economica e sociale. Il
numeratore è composto dalla popolazione che, a causa dell’età, si ritiene essere non autonoma -
cioè dipendente - e il denominatore dalla fascia di popolazione che, essendo in attività, dovrebbe
provvedere al suo sostentamento.
E’ un indicatore che risente della struttura economica della popolazione: ad esempio, in società
con una importante componente agricola i soggetti molto giovani o anziani non possono essere
considerati economicamente o socialmente dipendenti dagli adulti; al contrario, nelle strutture più
avanzate, una parte degli individui considerati nell’indice al denominatore sono in realtà
dipendenti in quanto studenti o disoccupati.
L’indicatore nei paesi in via di sviluppo assume valori maggiori rispetto alle popolazioni più
avanzate economicamente; ciò è in gran parte dovuto alla maggiore presenza di individui giovani
a causa della loro più elevata fecondità.
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Raggiunta l’età pensionabile, si avrà a disposizione un montante
finanziario che verrà convertito in una rendita sulla base dei coefficienti
attuariali (attraverso tecniche assicurative).
Anche con la capitalizzazione, dunque, si realizza una sorta di
trasferimento di risorse finanziarie, non più tra due diverse classi
generazionali, ma quanto, piuttosto, nel tempo e a beneficio della
medesima persona.
Infine, ultima differenza fra i due sistemi fa riferimento alle agevolazioni
fiscali di cui gode la previdenza integrativa e sintetizzabili nella
deducibilità fiscale dei contributi, nella tassazione ridotta dei rendimenti
finanziari prodotti e nell’esenzione, a scadenza, delle prestazioni
riconducibili a contributi per cui, in fase di versamento, non si sia
usufruito del beneficio fiscale.
Nella tabella 1.1 si analizzano le principali macrodifferenza tra i due tipi
di sistema.
Tabella 1.1: Sintesi macrodifferenze fra sistema pubblico e privato
PREVIDENZA
PUBBLICA
PREVIDENZA
COMPLEMENTARE
Adesione Obbligatoria Facoltativa
Sistema adottato per il
calcolo del beneficio
pensionistico
Prima del 1995: a
ripartizione semplice
Dopo il 1995:
contributivo a
ripartizione
A capitalizzazione