Ci troviamo, pertanto, ad affrontare una grande sfida: ridurre i contributi
obbligatori al sistema pensionistico, evitando di diminuire i benefici rispetto
ai livelli promessi dalla riforma Dini. Come fare?
Il Governo ha proposto di trasferire il contributo per il TFR dalle imprese
(dove produce rendimenti reali minimi: meno dell1% se l’inflazione supera
l’1,5%) a conti individuali in fondi pensione, il cui rendimento atteso è
maggiore. Di conseguenza, non si risolve il problema dei contributi selvaggi
che impoveriscono i lavoratori, ma si offre un aumento dei benefici
1
.
Lo strumento principale che può essere utilizzato per realizzare tale
aumento consiste nella graduale trasformazione dal sistema “a ripartizione”,
con il quale i contributi sono destinati esclusivamente a finanziare le
pensioni, e quindi i consumi, al metodo “a capitalizzazione”, con il quale i
contributi sono investiti in attività finanziarie cumulandosi a interesse
composto e la pensione è finanziata con il capitale cumulato.
Il passaggio da un sistema all’altro rappresenta una vera difficoltà, perché
per arrivare a regime occorre aver accumulato una massa critica di capitale,
partendo da zero. Una soluzione potrebbe essere l’apertura di un Nuovo
Fondo a contributi obbligatori, ma interamente a capitalizzazione che
funziona inizialmente in parallelo con l’INPS. Tale Fondo cresce con i
contributi e i rendimenti, e inizia a pagare pensioni a chi ne ha acquisito il
diritto con i contributi versati. Dato che i benefici sono stabiliti dalla
riforma Dini, tanto più paga il Nuovo Fondo tanto meno resta da pagare
per l’INPS, che può dunque ridurre i contributi riscossi. Entro una data
definita, il Fondo sarà in equilibrio e sostituirà l’INPS nel pagamento di una
certa parte delle pensioni, riducendo i contributi, entro limiti stabiliti per
statuto.
1
L’aumento dei benefici offerto dal Governo non è stimabile, dato che non sono forniti dati precisi
per una valutazione attendibile.
Un altro problema consiste nel decidere quali soggetti dovranno pagare il
contributo al Nuovo Fondo.
E’ evidente che non è possibile gravare ulteriormente i lavoratori, i quali
sono già soggetti ad elevati costi: essi non avrebbero vantaggio dalla
riduzione dei contributi, che avviene lentamente.
Di conseguenza, solo il TFR può essere un contributo al Nuovo Fondo.
E’ necessario però che il Fondo “prenda a prestito” solo il 5% dei
contributi (o due terzi del TFR), impegnandosi a restituirlo a fine rapporto
allo stesso tasso di rendimento reale offerto dalle imprese, per evitare che i
lavoratori perdano un importante beneficio: il diritto alla liquidazione.
In conclusione, si può osservare che la riforma proposta dal Governo non
riduce l’elevato livello dei contributi pensionistici che impoveriscono i
lavoratori italiani; ha il solo scopo di aumentare le pensioni, trasferendo il
TFR a conti privati del tipo a contributi definiti, che rendono la pensione
aleatoria, sono costosi da gestire e creano disuguaglianze artificiali.
Tali osservazioni dovrebbero indurre il prossimo Governo a riflettere,
prima di affrontare la riforma delle pensioni, possibilmente il più presto
possibile.
CAPITOLO I
LA RIFORMA DEL SISTEMA PREVIDENZIALE
1. Le sfide lanciate ai sistemi pensionistici
La riforma delle pensioni si pone come questione di straordinaria
attualità e di forte urgenza per due motivi: l’insopportabile squilibrio dei
conti
1
e l’ingiustizia sostanziale dal punto di vista dell’equità sociale. Non
solo in Italia, ma in gran parte dell’Europa continentale. Si va in
pensione troppo presto, si penalizzano le nuove generazioni che hanno
davanti un incerto futuro pensionistico e un cattivo presente senza
buoni ammortizzatori sociali
2
perché la spesa pubblica è in gran parte
previdenziale.
La “new economy”, con imprese più snelle, veloci ma fragili e di rapidi e
incerti cicli di vita, ha bisogno di ammortizzatori che rispondano
all’esigenza di fare fronte alla volatilità dei cicli produttivi e alla
precarietà strutturale di certi lavori e richiede dunque forti spese per una
vera e propria formazione continua che consenta di fare fronte alle
nuove esigenze di mobilità e di flessibilità. Meno pensioni, insomma e
1
Bosi, 2000, p. 186: Negli ultimi 15 anni le gestioni dei sistemi previdenziali pubblici hanno
manifestato disavanzi sempre più elevati e si è parlato di un nuovo enorme debito sommerso, il debito
previdenziale, costituito dalla differenza tra il valore attuale delle prestazioni previdenziali che lo stato
si è impegnato a pagare e il valore attuale dei contributi sociali che verranno versati, nell’ipotesi di
costanza delle aliquote.
2
Vedi glossario.
migliori nuove misure di “welfare”
3
per corretti bisogni di equità e per
mettere i sistemi paese in grado di reggere le sfide dei tempi che
cambiano.
La sfida maggiore e sicuramente più persistente che i sistemi
pensionistici hanno attualmente di fronte è l’invecchiamento della
popolazione.
La tendenza all’invecchiamento della popolazione, registrata nel corso
dell’ultimo secolo, deriva dall’aumento della vita media, legato ai
progressi della medicina e alle migliorate condizioni sociali e sanitarie e
da una flessione dei tassi di fertilità. Gli effetti cumulati di questi due
fenomeni sono riassunti in un grafico demografico noto con il nome di
“piramide delle età”.
La figura 1 spiega l’origine del nome poiché fino all’inizio del secolo,
suddividendo la popolazione per classi di età, il numero di maschi da un
3
Bosi, 2000, p. 167: con il termine welfare state si intende l’insieme di spese destinate alla
previdenza, alla sanità, agli ammortizzatori sociali, all’assistenza, all’istruzione e alla politica per la
casa. E’ questa la parte più ampia della spesa pubblica, destinata a soddisfare una serie molto ampia di
bisogni fondamentali dell’uomo: sostegno del reddito nella vecchiaia, tutela della salute, formazione
culturale e professionale; protezione in caso di disoccupazione, di infortunio sul lavoro; tutela della
maternità; diritto, in ogni caso, ad un minimo di risorse sufficiente per la sopravvivenza.
lato e di femmine dall’altro risultava decrescente in modo progressivo al
crescere dell’età, con la massima numerosità tra i giovanissimi,
numerosità intermedie per gli adulti e pochissime unità di anziani.
Un secolo dopo (fig. 2) le classi più numerose sono diventate quelle
adulte mentre le classi giovani si sono ridotte sia in termini assoluti sia in
termini relativi.
I vecchi, vale a dire, secondo le statistiche, i soggetti dai 65 anni in poi,
sono diventati una quota consistente della popolazione: erano il 6% a
inizio secolo, sono ora saliti al 18% e saranno, estrapolando le attuali
tendenze, circa il 23% del totale nel 2020 e il 33% nel 2050. La vita
media prevista, che per un neonato a inizio secolo era di 43 anni sia per i
maschi che per le femmine, oggi è di 74 anni per maschi e 81 per le
femmine ed è prevista a 78 e 85 anni rispettivamente tra vent’anni.
Questi fenomeni, positivi per il singolo cittadino, diventano problemi
per l’intera società e per il suo sistema previdenziale in particolare. Tra
50 anni, secondo gli attuali trend, la piramide risulterà quasi rovesciata
(fig. 3).
La tendenza all’invecchiamento della popolazione non è un fenomeno
transitorio, ma è un evento destinato a perdurare.
Il fenomeno che marcherà i prossimi decenni sarà il progressivo
pensionamento della generazione nata negli anni del “boom
demografico” del secondo dopoguerra (tra la fine degli anni Cinquanta e
la fine degli anni Sessanta). Questa evoluzione demografica produrrà, in
un primo tempo, un invecchiamento della forza lavoro, poi, nel 2010 in
avanti, un forte aumento del numero dei pensionati e, successivamente,
una crescente richiesta di cure mediche e di assistenza a lungo termine.
L’indice di dipendenza degli anziani
4
aumenterà notevolmente nei
prossimi 30-40 anni.
Secondo le proiezioni demografiche a lungo termine di Eurostat, il
numero delle persone in età lavorativa per ciascun pensionato si
dimezzerà entro il 2050, passando da 3,5 a 1,8 a livello europeo (cfr.
tabella 1). L’effetto del “boom demografico” inizierà a scemare intorno
al 2030 e dovrebbero annullarsi non prima della metà del secolo.
4
Bosi, 2000, p. 191: L’indice di dipendenza è il rapporto pensionati/occupati che indica quanti
pensionati sono a carico di ciascun lavoratore: Nt/Nt+1 = 1/(1+n).
L’espansione del numero delle persone anziane sarà tale che il progresso
del loro indice di dipendenza demografica non potrà essere rallentato da
un improvviso aumento della fertilità o da un livello realistico
d’immigrazione. Un incremento dei tassi di fertilità produce i primi
effetti sul mercato del lavoro soltanto 20 anni dopo. Mentre, se
l’immigrazione può contribuire ad aumentare il tasso di occupazione, il
suo impatto positivo dipende dalla misura in cui gli immigrati possono
essere adeguatamente inseriti nel mercato del lavoro.
Tabella 1: proiezioni di base degli indici di dipendenza degli anziani negli
Stati membri dell'UE (ultra-65enni rispetto alla popolazione di età compresa
tra 20 e 64 anni)
% 2000 2010 2020 2030 2040 2050
B 29,5 31,1 38 48,8 53,5 52
DK 25,5 29,6 35,7 42 47 43,7
D 28 34,1 38,6 50,3 57 56,1
EL 30,2 33,6 38 44,4 54,7 61,6
E 28,7 30,7 35,2 44,7 59,8 68,7
F 28,5 29,5 38,1 46,4 52,1 53,2
IRL 20,3 20,5 26,2 32,1 38,4 46,6
I 30,7 35,5 42,1 52,9 67,8 69,7
L 24,8 27,6 33 42,5 47,2 43,5
NL 23,1 26,2 34,7 44,2 50,1 46,9
A 26,3 30,1 34,5 47 57 57,7
P 26,7 28,5 32,2 37,2 46,3 50,9
FIN 25,9 29,7 41,4 49,5 49,7 50,6
S 30,9 33,8 39,8 45,4 48,9 48,5
UK 27,8 28,5 33,9 43,1 49,1 48,5
UE-15 28,3 31,4 37,3 46,8 55 55,9
Fonte: COMMISSIONE DELLE COMUNITA' EUROPEE
Comunicazione n. 622 del 11.10.2000
Tuttavia, la sostenibilità
5
dei sistemi pensionistici non dipende tanto
dall’indice di dipendenza demografica degli anziani, quanto da quello di
dipendenza economica. Risulta pertanto più opportuno mettere a
5
Per sostenibilità dei sistemi pensionistici, si intende la loro capacità di conseguire obiettivi sociali su
base continuativa, senza tralasciare altri traguardi politici, come il risanamento delle finanze pubbliche
e l’equità tra le generazioni.
confronto il numero totale degli occupati con quello di coloro che non
lavorano. Attualmente, nell’Unione europea l’indice di dipendenza
economica (persone di età superiore a 20 anni inattive rapportate al
numero complessivo dei lavoratori) è pari al 0,86%. Ciò significa che il
numero delle persone inattive in età lavorativa è pressoché uguale a
quello delle persone attive. L’aumento dell’indice di dipendenza degli
anziani potrebbe influire negativamente sull’indice di dipendenza
economica; tuttavia, riducendo il numero delle persone inattive tra la
popolazione in età lavorativa sarà possibile alleviare l’onere finanziario
che con l’invecchiamento della popolazione graverà sugli occupati.
Si pone pertanto il problema cruciale di stabilire fino a che punto sia
possibile contrastare l’impatto dell’invecchiamento della popolazione sui
tassi di dipendenza economica aumentando i tassi globali di
occupazione.
Tuttavia la necessità di riformare i regimi pensionistici non deriva
soltanto dall’evoluzione degli equilibri demografici. Esiste un’interazione
critica tra sostenibilità finanziaria delle pensioni, crescita economica e
occupazione, che non va trascurata.
In occasione della riunione tenutasi il 23 e 24 marzo 2000 a Lisbona, il
Consiglio europeo ha affermato: “Le riforme necessarie per rendere i sistemi
pensionistici sostenibili risultano politicamente difficili da portare avanti. Serve un
consenso quanto più ampio possibile. Le riforme devono essere globali e non limitarsi
soltanto all’aspetto delle pensioni. Determinante è prevedere una valida strategia per
la crescita economica. Per poter mantenere la sostenibilità delle pensioni in presenza
di un rapido invecchiamento della popolazione occorre un equilibrio tra contributi e
diritti, nonché tra popolazione attiva e in pensione. Si tratta di un’importante sfida
politica”.
Politiche macroeconomiche valide e riforme strutturali orientate alla
crescita, capaci di creare un ambiente favorevole all’economia e alle
imprese, sono indispensabili per la futura sostenibilità dei sistemi
pensionistici.
La crescita economica costituisce un fattore determinante per le finanze
pubbliche. Sebbene numerosi regimi pensionistici pubblici dispongano
di fonti di reddito specifiche sotto forma di versamenti contributivi, i
finanziamenti pubblici ai vari sistemi di protezione sociale
rappresentano in genere quasi il 10 percento del PIL in tutta l’Unione
europea. Il collegamento esistente tra bilanci pubblici e sistemi di
finanziamento specifici dei regimi pensionistici fa sì che una crescita
incontrollata della spesa per pensioni sia in grado di destabilizzare le
finanze pubbliche. Viceversa, la capacità dei governi di sostenere i
regimi pensionistici dipende da altri fattori che concorrono a
determinare lo stato di salute delle finanze pubbliche.
Sul fronte delle entrate, è essenziale che i governi abbiano la capacità di
prelevare regolarmente imposte e contributi. Va inoltre presa in
considerazione una riduzione della pressione fiscale, in particolare sul
lavoro, per incentivare la crescita e l’occupazione.
Sul fronte della spesa, determinante sarà l’evoluzione delle altre voci dei
bilanci pubblici. Una delle voci di spesa attualmente più diffuse sono gli
interessi sul debito pubblico, che vanno ridotti in vista dei costi derivanti
dall’invecchiamento della popolazione (maggiori spese per le pensioni
pubbliche, maggiori spese per la sanità e una maggiore dipendenza degli
anziani sui giovani).
Anche il ricorso ai sistemi pensionistici privati o professionali a
capitalizzazione può risultare utile per alleviare il carico sulle finanze
pubbliche. In tal modo, l’andamento delle attività finanziarie tende ad
acquisire una maggiore rilevanza per il tenore di vita delle persone
anziane. Con una moltitudine di persone che vorrà risparmiare per la
pensione, l’evoluzione demografica inciderà anche sulla dinamica dei
mercati finanziari, determinando un incremento della domanda di
attività finanziarie.
In molti paesi il processo di riforma è già ben avviato. Si sta ricercando
un equilibrio tra l’obiettivo di fornire un reddito sufficiente e sicuro agli
anziani e quello di rendere i sistemi pensionistici sostenibili. Le misure
introdotte tendono tutte o a limitare i trasferimenti necessari in futuro
oppure ad aumentare le risorse disponibili. Da un lato, provvedono ad
aumentare l’età pensionabile ufficiale o il numero degli anni di
contribuzione necessari per avere diritto alla pensione massima, a
ridurre l’importo delle pensioni in proporzione ai redditi
precedentemente percepiti, o a correlarle maggiormente ai contributi
versati, dall’altro, a creare fondi speciali per finanziare i futuri
trasferimenti o ad incoraggiare lo sviluppo dei regimi pensionistici
privati a capitalizzazione.
Queste riforme andrebbero spesso inserite in una strategia più globale,
comprendente la riforma della protezione sociale, la promozione
dell’occupazione e le politiche macroeconomiche.
Gli attuali sistemi pensionistici tendono ad incoraggiare un’uscita
prematura dal mercato del lavoro; ciò è preoccupante perché significa
che una minore quota della popolazione complessiva lavora e produce
risorse utilizzabili per pagare le pensioni e altre forme di trasferimento
presenti nell’economia. Inoltre, ciò amplia l’impatto del cambiamento
demografico. Se la popolazione, oltre a invecchiare, va in pensione
prima, allora il tasso di dipendenza (rapporto tra numero di pensionati e
numero di occupati) aumenterà per entrambi i motivi.
Questo fenomeno emerge chiaramente dall’analisi dei dati
sull’occupazione e di quelli sull’età di pensionamento effettiva. In Italia,
in Germania e anche in Olanda il tasso di occupazione maschile crolla
tra i 50 e i 60 anni.
6
Per invertire questa tendenza all’uscita prematura dal mercato del lavoro
occorre fornire maggiori opportunità di lavoro per le persone più
anziane, ridurre i disincentivi al proseguimento dell’attività
professionale, come la possibilità di prepensionamento e altre strutture
fiscali ed assistenziali, concentrando invece l’attenzione sul
mantenimento dell’idoneità al lavoro.
I sistemi pensionistici andranno rivisti per sostenere il prolungamento
della carriera professionale. A tale proposito, l’età pensionabile
obbligatoria risulta sempre più inadeguata, poiché non considera il
generale aumento della vita media e del miglioramento delle condizioni
sanitarie.
Inoltre, in un contesto di mercato globale, è necessario promuovere un
sistema di pensionamento flessibile che tenga conto delle esigenze di
una forza di lavoro più mobile e diversificata per evitare di penalizzare la
mobilità geografica e lavorativa.
Mobilitare tutto il potenziale economico e sociale della società
costituisce il principale impegno politico di fronte all’invecchiamento
della popolazione. Una politica che combini l’incremento della
produttività determinato dall’evoluzione tecnologica, nuovi e migliori
6
Fornero, 1999, p. 200: il sistema pensionistico e il mercato del lavoro non sono indipendenti l’uno
dall’altro: gli squilibri del primo possono seriamente aggravare le difficoltà del secondo. Le
interazioni corrono almeno su due binari: da un lato, le risorse necessarie per far fronte ai disavanzi
significano minori disponibilità sia per gli investimenti pubblici, dai quali ci si dovrebbe aspettare
nuova occupazione, sia per sorreggere iniziative di flessibilità nel mercato del lavoro. Dall’altro canto,
in una situazione di elevata disoccupazione strutturale, il sostegno alla nuova occupazione non potrà
non prevedere sconti sugli oneri sociali: i minori introiti che ne deriveranno al sistema previdenziale
ne renderanno perciò ancora più acuto lo squilibrio finanziario.
posti di lavoro ed una maggiore coesione sociale fornisce il contesto
indispensabile per tale mobilitazione.
Di fronte a tali sfide tutti i maggiori paesi industrializzati hanno cercato
nuove soluzioni, orientate soprattutto verso forme pensionistiche
integrative o complementari a capitalizzazione sia individuali (su base
volontaria) sia collettive (su base contrattuale). Ne è derivata una linea di
tendenza comune ispirata a una nuova idea di sistema pensionistico,
costruito su tre pilastri: un primo pilastro pubblico; un secondo pilastro
a carattere collettivo e aziendale (i fondi pensione); un terzo pilastro a
carattere individuale e volontaristico.
In questa direzione si sono orientati tutti i principali sistemi economici
occidentali, Italia compresa, anche se ognuno di essi con caratteristiche
particolari derivanti dalle proprie specificità nazionali.
2. Riformare i sistemi pensionistici pubblici: l’introduzione di un
sistema previdenziale a tre pilastri
I sistemi pensionistici di tutti i paesi avanzati a economia di mercato,
nonostante differenze culturali e politiche, storiche e istituzionali, sono
caratterizzati dalla presenza di due componenti: una pubblica e l’altra
privata.
In alcune nazioni esiste un giusto equilibrio nella combinazione tra
pensioni pubbliche e pensioni private mentre in altri Stati la
componente privata ha un compito soltanto residuale, quando non
addirittura inesistente.
Il metodo di finanziamento dei sistemi pensionistici pubblici è alla base
della “crisi pensionistica”. Le pensioni pagate nel corso di ogni anno
possono essere finanziate attraverso i fondi accumulati dai lavoratori
durante gli anni precedenti (questo metodo di finanziamento è chiamato
“a capitalizzazione”
7
) o direttamente attraverso i contributi versati dai
lavoratori in quello stesso anno (metodo “a ripartizione”
8
).
7
Fornero, 1999, p. 26: il sistema privato funziona a capitalizzazione e riconosce diritti pensionistici
sulla base dei contributi versati e degli interessi che su di essi sono maturati; l’equilibrio finanziario è
così automaticamente garantito, mentre l’importo delle pensioni dipende dagli accantonamenti e dai
rendimenti delle riserve. Il sistema è dunque interpretabile come meccanismo assicurativo “interno”
alle generazioni, con perequazione longitudinale tra versamenti e prestazioni.
8
Imperatori, 1999, p. 1: il sistema “a ripartizione” è in sé perfettamente coerente con il principio di
solidarietà sociale. La solidarietà consiste nel fatto che le pensioni pagate in un determinato esercizio
vengono erogate utilizzando i contributi versati dai lavoratori attivi i quali, a loro volta, quando
avranno maturato il medesimo diritto alla pensione potranno contare sui contributi versati dai futuri
lavoratori, in una catena continua tra generazioni successive. Non si realizza, quindi, alcuna
capitalizzazione del risparmio previdenziale, ma un semplice meccanismo di trasferimento del reddito.
Tale sistema presuppone, pertanto, che si mantenga un certo rapporto numerico tra coloro che pagano
i contributi e coloro che ricevono le pensioni.
Fornero, 1999, p. 25: il sistema pubblico funziona con il meccanismo della ripartizione, la quale
realizza, in equilibrio, una uguaglianza di periodo tra flussi in entrata (contributi dei lavoratori) e
flussi in uscita (le pensioni corrisposte alle generazioni inattive), Lo schema pensionistico a
ripartizione può essere interpretato come un meccanismo di pura redistribuzione tra le generazioni,
ossia come un contratto che, coinvolgendo coorti non ancora nate, richiede una gestione pubblica,
nonché una garanzia di continuità del sistema.
Nelle nazioni europee è stato prevalentemente adottato il sistema a
ripartizione a partire dal secondo dopoguerra. Tale sistema ha
funzionato perfettamente fino a quando i paesi che li avevano adottati
hanno registrato un significativo sviluppo demografico ed economico.
Ora, la continua diminuzione del tasso di natalità e il parallelo aumento
della vita media, manifestatisi a partire dagli anni Settanta ma considerati
ormai tendenze di lungo periodo per tutti i paesi industrializzati, hanno
provocato e continuano a determinare una progressiva diminuzione del
rapporto lavoratori/pensionati, incidendo profondamente su quella
relazione numerica tra contribuenti e percettori di pensioni che è alla
base dei sistemi a ripartizione. L’invecchiamento della popolazione è la
causa principale della crisi dei sistemi a ripartizione.
I problemi provocati da questa evoluzione demografica e sociale
(l’aumento dell’età scolare; la crescita del tasso di disoccupazione; il
diffondersi dei casi di prepensionamento ecc.) sono direttamente
riscontrabili nei crescenti deficit dei sistemi pensionistici pubblici dei
paesi industrializzati e nel peso sempre maggiore della spesa pubblica
per pensioni rispetto al Pil: due indici che riflettono la difficoltà di
mantenere in piedi i sistemi a ripartizione senza provocare un continuo
aumento dei contributi. In queste condizioni è evidente che l’attuale
generazione di lavoratori sta finanziando le pensioni delle generazioni
precedenti ben sapendo che non potrà più contare, se non in misura
ridotta, su un’eguale solidarietà da parte delle generazioni future.
La stessa Ocse già in un rapporto del 1987 sottolineò come era “lecito
dubitare che i sistemi pensionistici non basati sui principi della capitalizzazione
avrebbero potuto fornire prestazioni adeguate ai propri assicurati”.
9
9
Si veda Ocse (1987).