Introduzione 
 
 
 
II 
un fenomeno radicato e diffuso, in Italia, invece, sono una realtà nuova in 
netta crescita ed espansione sia in termini di numero di fondi che di 
capitali gestiti. Tutto ciò, naturalmente, favorito, anche, dalle nuove 
normative in tema di società di gestione del risparmio, modalità di 
collocamento e dalle nuove tendenze in tema ambientale e sociale. 
Per poter parlare di fondi etici senza essere ripetitivi l’unica soluzione è 
introdurre una analisi innovativa che ci consenta di analizzare il fenomeno 
sotto un nuovo punto di vista. In particolare, gli argomenti che sono stati 
oggetto di discussione in passato sui fondi etici sono gli impatti, delle 
restrizioni a cui sono posti, su volatilità e rendimento. Avendo appurato 
che non esiste alcun tipo di penalizzazione per questi fondi né in termini di 
extrarendimento sul benchmark, né in termini di diversificazione ed 
efficienza, si è passati a valutare aspetti più complessi come la 
correlazione con indici di mercato, con variabili macroeconomiche 
piuttosto che con cicli di mercato e alcuni settori dell’economia. 
Successivamente, si è considerato il ruolo dei fondi socialmente 
responsabili rispetto agli altri fondi, che presentavano caratteristiche 
simili, ossia eventuali restrizioni nelle politiche di investimento. Ciò ha 
portato a considerare il fenomeno dei fondi islamici, sui quali sono stati 
svolti studi simili a quelli svolti sui fondi SR, sia in termini di impatto su 
volatilità e rendimento sia in termini di correlazioni con settori e mercati, 
per poi giungere a un confronto diretto fra le due tipologie.  
Da tali conclusioni è partita l’idea di effettuare sui fondi etici una analisi 
che è stata effettuata, recentemente, per confrontare il mercato dei fondi 
islamici e quello dei fondi socialmente responsabili, con il mercato in 
generale e fra di loro, attraverso l’utilizzo dei benchmark propri del 
settore, come il Dow Jones Islamic Market Index, il FTSE Islamic o il 
FTSE4GOOD. Si ipotizza la possibilità di ottenere risultati diversi non 
essendo i principi ispiratori delle due tipologie i medesimi.  
  Introduzione  
 III
In particolare, tale analisi è basata sullo strumento della cointegrazione, 
teorizzato dal premio Nobel per l’economia nel 2003, il Professor Clive 
Granger. La cointegrazione si basa, infatti, sull’indicizzazione che è il modo 
più efficiente e più economico di collegare la performance di un portafoglio 
a quella di uno o più mercati. Infatti, qualora si voglia replicare un indice o 
un mercato con un portafoglio più ristretto sarà necessario che l’indice e il 
portafoglio in oggetto condividano, almeno, la componente a bassa 
frequenza, che è un elemento rilevante nell’evolversi del prezzo delle 
azioni. La cointegrazione, quindi, consente di ottenere utili indicazioni sia 
con riferimento alla dimensione del portafoglio che relativamente alla 
scelta delle variabili costituenti il portafoglio stesso.  
L’analisi di seguito illustrata introduce, quindi, due generi di novità. La 
prima riguarda il mercato di riferimento che sarà quello italiano, mai stato 
indagato sotto questo punto di vista. Il secondo, riguarda l’introduzione di 
questa analisi direttamente sui fondi e non più considerando il confronto 
fra i benchmark di riferimento dei fondi e quelli del mercato nel suo 
complesso. Infatti, si vorrà dimostrare se fra le serie storiche dei prezzi 
dei fondi azionari selezionati e le serie storiche di alcune variabili di 
mercato esista o meno cointegrazione. Le variabili individuate, oltre ai 
fondi selezionati fra quelli collocabili in Italia e censiti da Assogestioni al 31 
dicembre 2007 come etici, sono alcune tipologie di tassi di interesse, 
rappresentative dei diversi mercati in cui investono tali fondi; in 
particolare, si considereranno L’Euribor, il Libor, e i corsi dei Tbill a 3 mesi, 
il tasso sui Federal Funds overnight e la curva dei tassi swap a 5 anni sul 
mercato Usa. Ciò che ci si aspetta è che, tendenzialmente, i corsi dei fondi 
non siano influenzati da queste variabili. Una possibile cointegrazione è 
attesa, invece, per quanto riguarda il mercato azionario Americano dato 
che è stata dimostrata in diversi studi la tendenza ad influenzarlo da parte 
del tasso Tbill a 3 mesi. L’obiettivo ultimo dell’analisi è dimostrare, quindi, 
Introduzione 
 
 
 
IV 
la possibilità di diversificazione attesa dall’inserimento di questi 
investimenti in un portafoglio e l’eventuale impatto sul rischio. 
Si procederà secondo questo schema. Nel primo capitolo, si troverà una 
breve introduzione dell’argomento attraverso una review della letteratura 
esistente e l’individuazione delle metodologie sulla base delle quali si 
svolgerà l’analisi. La letteratura è stata suddivisa in due parti, una relativa 
ai fondi socialmente responsabili e una ai fondi islamici da cui parte l’idea 
dell’analisi di cointegrazione. Ciascuna sezione è divisa per step 
riguardanti, prima, le analisi in termini di impatto sulla diversificazione del 
restringimento dell’universo investibile poi, si riassumono gli studi volti a 
dimostrare l’impatto su volatilità e rendimento e, infine, si introducono 
quelli volti a determinare la composizione ed eventuali relazioni con il 
mercato. La parte relativa ai fondi islamici è per lo più organizzata allo 
stesso modo, introduce, in aggiunta, soltanto la novità dell’analisi di 
cointegrazione. Il paragrafo sulla metodologia, invece, presenta gli 
strumenti teorici alla base dell’analisi di cointegrazione nella sua totalità, 
partendo dal concetto di non stazionarietà si arriva ai test da svolgere ed 
eventuali modellazioni fruibili.  
Nel secondo capitolo si è allargato lo sguardo, dando una visione 
d’insieme, sui fondi in generale per poter poi evidenziare nel dettaglio i 
fondi etici e la loro collocazione in questa panoramica generale. I fondi 
comuni sono stati definiti e classificati secondo diversi criteri, sono state 
date informazioni sulle gestioni patrimoniali e dettagli normativi e tributari 
dai quali non si può prescindere per una rappresentazione completa del 
fenomeno. Anche i fondi etici sono stati dapprima definiti e, poi, passando 
per l’evoluzione storica si è giunti a una descrizione delle istituzioni legate 
a questi strumenti, le principali classificazioni e strategie di selezione, dati 
di mercato e cenni ad altre tipologie di prodotti.  
Nel terzo capitolo si è affrontata l’analisi. Attraverso la presentazione dei 
dati e delle principali informazioni si è giunti nel cuore delle operazioni di 
  Introduzione  
 V
cointegrazione con l’aiuto del software econometrico Eviews con il quale si 
sono svolti i test preliminari e le analisi finali. Le considerazioni conclusive 
sono state raccolte dando particolare attenzione alle cause, evidenziando i 
limiti dell’analisi ed eventuali spunti per idee future di ricerca.  
Le conclusioni riassumono il lavoro effettuato e i risultati a cui si è giunti 
lanciando lo sprono per continuare su questa linea, migliorando 
ulteriormente le gestioni patrimoniali etiche dati i risultati ottenuti.
 
  
 1
CAPITOLO 1 
 
Analisi dei fondi socialmente responsabili e dei 
fondi islamici: casi, evidenze empiriche e test. 
 
1. Background & obiettivi 
Alla base dei prodotti finanziari e degli strumenti di investimento esiste il 
concetto di Risparmio. Nella teoria microeconomica del Ciclo Vitale il 
risparmio è la quantità di denaro appartenente al paniere delle dotazioni 
che non viene utilizzata per i consumi presenti ma che è destinata ai 
consumi futuri. A seconda delle preferenze individuali, è il tasso di 
interesse che fa variare la quantità destinata al risparmio. Con il passare 
del tempo e con l’avvicendarsi dei diversi sistemi economici ma, 
soprattutto, dopo il fallimento dell’economia a pianificazione centralizzata 
di stampo stalinista e con l’introduzione della sperimentazione del sistema 
di mercato concorrenziale, ci si è posti il quesito relativo a costi e benefici 
prodotti da un sistema siffatto. Da questo quesito si  è giunti alla teoria 
dell’Economia del Benessere, branca dell’economia che mira a stabilire 
quanto, situazioni economiche alternative fra loro, siano desiderabili per la 
collettività. Viene così definita una allocazione di beni e di input, raggiunta 
la quale non è più possibile aumentare il benessere di un individuo senza 
ridurre quello di un altro. In questo modello viene introdotto il concetto di 
equità e di benessere sociale. Con il passare del tempo tale teoria è 
stata integrata dalla specificazione delle funzioni obiettivo di diversi 
CAPITOLO 1 
 
 
2 
soggetti appartenenti all’economia, ad esempio quelle dei policymakers
1
, 
sino a giungere alle più recenti visioni che portano a considerare un 
approccio di tipo bottom-up dell’economia del benessere. E’ a questo 
filone dell’economia che fanno capo finanza etica, consumo critico e 
commercio equo e solidale con l’assunto che il sistema globale riesca a 
produrre uno sviluppo che possa essere considerato equo e sostenibile 
solo grazie all’impulso dal basso dei cittadini-consumatori, ritenuto 
fondamentale. Su tale approccio, quindi, i consumatori e gli investitori 
dovrebbero inserire nelle loro funzioni obiettivo argomenti come la 
giustizia sociale, solidarietà e sobrietà. Da questo atteggiamento 
deriverebbero, poi, i comportamenti di imprese e istituzioni che devono 
necessariamente tenere conto delle loro preferenze per realizzare i propri 
obiettivi. Da questa concezione prenderebbero le mosse, tra le altre cose, 
la responsabilità sociale d’impresa e gli investimenti etici. Tale 
concetto si inserisce nel più recente dibattito sulla behavioral finance come 
fallimento della teoria di razionalità degli investitori e a smentita del 
principio della stessa behavioral finance che propone una visione 
dell’investitore legata alla ricerca della massimizzazione del valore del 
portafoglio in maniera non distorta e nel suo unico interesse personale 
(Cervellati, 2002). Cervellati, infatti, sostiene la tesi che non si possa 
raggiungere la massimizzazione del valore del portafoglio con i fondi etici 
o Socialmente Responsabili
2
 per i problemi di riduzione di diversificazione 
ad essi attribuiti. I fondi etici sono fondi che investono in aziende che 
perseguono oltre all’obiettivo di massimizzazione del loro valore di 
mercato anche quello di tutela del capitale ambientale, sociale ed umano. 
Nel corso degli anni i fondi etici si sono affermati sempre più nel panorama 
finanziario come strumenti di investimento alternativi ai fondi 
convenzionali sebbene abbiano generato sin dall’inizio, negli investitori e 
                                                 
1
 Alesina (1978) e Persson, Tabellini(1990), 
2
 Nel seguito indicati con SR. 
 1. Background & obiettivi  
 3
negli operatori finanziari, una serie di quesiti. In particolare, come lo 
stesso Cervellati sostiene, la restrizione operata sull’universo investibile 
metteva in discussione la completa diversificazione di tali fondi e il 
potenziale raggiungimento di extra rendimenti rispetto al benchmark di 
riferimento. Gli studi empirici che ci hanno portato, oggi, a considerare 
infondato questo timore e ad averci fornito diverse informazioni circa il 
comportamento di questi fondi, sono numerosi. Tali studi sono stati svolti 
in diversi periodi e utilizzando diversi strumenti statistici ed econometrici, 
per lo più svolti sul mercato USA e inglese nei quali tale tipologia di fondi è 
più diffusa, oppure in paesi europei, come la Germania, caratterizzati da 
considerevole sensibilità a queste forme di investimento e caratterizzati da 
una repentina crescita nei volumi investiti.  
Lo scopo ultimo che si vuole perseguire attraverso questo capitolo e 
l’intero lavoro di tesi è, dunque, svolgere un percorso logico per giungere 
a una analisi innovativa sui fondi etici italiani. In particolare, il primo 
quesito che ci si pone parlando di fondi etici, è relativo alla restrizione 
dell’universo investibile e all’impatto di ciò su volatilità e rendimento. Gli 
studi a cui si farà riferimento hanno già dato una consistente risposta a 
questo quesito confutando le tesi di un eventuale innalzamento della 
volatilità e un abbassamento dei livelli di rendimento. Il passo successivo 
che, allora, si compierà in questo tipo di analisi è capire se il loro 
inserimento in un portafoglio ha effetto diversificativo o meno, attraverso 
una analisi di cointegrazione tra le serie storiche dei fondi in esame e le 
serie storiche di alcune variabili rappresentative del mercato. L’idea di 
analisi viene da alcuni studi effettuati sui fondi islamici e che potrebbero 
essere riproposti sui fondi etici restituendo risultati interessanti e non 
necessariamente identici essendo stati, i fondi islamici, considerati non 
sostitutivi dei fondi socialmente responsabili, come si vedrà in seguito.   
CAPITOLO 1 
 
 
4 
L’obiettivo è, quindi, giungere a determinare come i fondi etici possano 
essere considerati assimilabili a qualsiasi fondo sul mercato 
evidenziandone il miglior rapporto rischio/rendimento ed esplicitandone le 
caratteristiche di diversificazione colmando il gap informativo attuale sul 
mercato italiano.  
 
2. Review della letteratura 
Gli studi effettuati hanno portato a diverse conclusioni che, in generale, 
possono essere raggruppate in tre macroclassi: 
- la prima, riguardante l’efficienza di tali portafoglio e, quindi, studi volti 
a dimostrare la capacità di diversificazione posta in capo a questi 
fondi; 
- la seconda, riguardante il rendimento e la volatilità, intesi come 
extrarendimento realizzato rispetto al benchmark al netto delle 
commissioni di gestione e il rischio assunto dall’investitore; 
- la terza, riguardante la composizione di questi fondi ed eventuali 
relazioni con i cicli di mercato piuttosto che con alcuni settori 
dell’economia. 
 
Con riferimento al primo livello di analisi, in Regalli, Soana, Tagliavini 
(2005), in particolare, si fa riferimento alla teoria di Markowitz per la 
costruzione della frontiera efficiente composta da tutte le combinazioni di 
portafoglio in grado di restituire per ogni livello di rischio il massimo 
rendimento. Tale teoria è fondata sulla esplicitazione delle correlazioni e 
delle covarianze fra titoli. Una riduzione del numero di titoli nel portafoglio 
potrebbe causare una riduzione della diversificazione che incrementerebbe 
così il rischio e pertanto il rendimento relativo. Una valutazione della 
 2. Review della letteratura  
 5
rinuncia in termini di rendimento sopportata da un investitore etico può 
essere analizzata confrontando le frontiere rischio/rendimento ottenibili sia 
con i titoli di un portafoglio etico, sia con i titoli del portafoglio globale. 
Considerando che il contributo di un titolo alla varianza è misurato dalla 
somma ponderata delle covarianze del titolo con gli altri titoli sul mercato, 
all’aumentare del numero di titoli nel portafoglio il contributo di ciascuna 
singola varianza diminuisce. Si può quindi, tendenzialmente, affermare 
che il sacrificio etico
3
 possa determinare una frontiera efficiente più ripida 
identificando un maggior costo destinato a decrescere, fino a diventare 
irrisorio, con un numero di titoli sufficientemente ampio. Come dimostrato 
anche da Brearley e Myers (Eiris, 1999) già con una piccola 
diversificazione si può garantire una sostanziale riduzione della varianza; 
la riduzione del rischio sistematico è notevole a partire già dall’intervallo 
20/30 titoli e, quindi, si può arrivare tranquillamente a concludere che gli 
effetti di un restringimento dell’universo investibile sulla volatilità sono 
considerati irrilevanti, o sicuramente non peggiorativi, e il sacrificio etico 
tenderà a zero. I fondi restano comunque esposti al rischio di mercato, 
misurato dal beta di portafoglio. Tale analisi confermata anche dagli studi 
riportati da WestLB Panmure (2002) sul mercato USA che compara i 
rendimenti medi e la deviazione standard di diversi stili di investimento 
usando come benchmark il Down Jones Sustainability Index
4
 evidenziando 
come non ci siano relazioni sistematiche di un minore trade off 
rischio/rendimento a seguito all’utilizzo di filtri Social Corporate 
Responsability nella selezione dei titoli. Confrontando l’indice DJS con gli 
indici di diversi stili di gestione come il Large Cap Index o il Growth Index 
e lo Stoxx50, inoltre, in due casi i  rendimenti medi sono più alti con un 
rischio minore. Tale analisi giunge a concludere, dunque, che il fattore 
                                                 
3
 Per sacrificio etico si intende la differenza fra la varianza di un portafoglio non vincolato e la 
varianza di un portafoglio esclusivamente etico. E’ tanto più marcato quanto maggiori sono le 
possibilità di diversificare.  
4
 Nel seguito indicato con la sigla DJSI. 
CAPITOLO 1 
 
 
6 
sostenibilità è un fattore guida del rendimento completamente 
indipendente che può esercitare una influenza positiva sul valore detenuto 
dagli shareholders oltre le mere componenti del valore, della crescita e 
della dimensione; tutto ciò, quindi, a smentita di tutti i preconcetti circa le 
peggiori performance causate dalla selezione etica. Rimane però 
evidenziato il problema relativo alla standard deviation sul rischio attivo 
che sull’universo selezionato secondo criteri socially responsible permane 
a livelli troppo alti per le gestioni passive se si considera come benchmark 
l’intero universo investibile. 
 
Sul secondo aspetto di indagine, invece, viene naturale considerare 
come punti di partenza il CAPM, modello al quale si fa riferimento per 
sostenere che i fondi etici, teoricamente, non implicano rendimenti 
inferiori ai fondi tradizionali. Esso si fonda sull’assunto che esista un unico 
mercato di riferimento. Nella realtà, però, c’è uno scostamento non 
indifferente dal modello teorico, a partire dalla presenza di più mercati fra 
loro non correlati. Ciò implica che parte del rischio sistematico può essere 
eliminato
5
. Inoltre, diversi sono gli studi che hanno confrontato i 
rendimenti di titoli e fondi etici e non, con il mercato attraverso il calcolo 
di diversi indici di performance semplici e aggiustati per il rischio
6
. In 
particolare, nel 1986, Grossman e Sharpe comparavano i titoli quotati nel 
                                                 
5
 Si faccia riferimento all’analisi di E. Capital Partners riproposta in Perrini (2002) nella quale è 
dimostrato che lo screening etico non è così restrittivo da limitare la possibilità di diversificazione 
settoriale o geografica che garantisce il contenimento dei rischi. Non esistono pertanto né settori né 
aree geografiche completamente esclusi dall’investimento socialmente responsabile. I settori più 
penalizzati risultano essere i servizi pubblici per la presenza di imprese che utilizzano energia 
nucleare e settori anticiclici e per la presenza, inoltre, di numerose aziende che producono bevande 
alcoliche e tabacco. Dal punto di vista geografico, invece, il Paese in cui si investe meno sono gli 
Stati Uniti dove numerose multinazionali presenti investono in settori non etici.  
6
 Le misure di puro rendimento esprimono l’apprezzamento conosciuto, in un dato periodo passato, 
da un fondo e possono essere calcolate seguendo due approcci: il time weighted e il money 
weighted. Le misure di rendimento aggiustate per il rischio, invece, tengono conto, a seconda 
dell’indicatore considerato, del solo rischio sistematico, del downside risk o del rischio totale. (Resti, 
2006:1).  
 2. Review della letteratura  
 7
New York Stock Exchange
7
 con il South Africa-Free Universe
8
 avendo 
osservato come il SAF, sensibilmente più piccolo del NYSE in termini di 
titoli quotati, avesse performato meglio nel periodo 1959 – 1983. Tutto ciò 
veniva attribuito alla grande presenza di titoli di imprese a bassa 
capitalizzazione di mercato che sebbene consentissero all’indice, nel 
periodo considerato, di performare meglio del NYSE, in ogni caso 
caratterizzavano il SAF per la scarsa liquidità. Successivamente è negli 
studi di Luther, Matatko, Corner (1992) che attraverso un’analisi condotta 
esclusivamente su fondi britannici e attraverso il calcolo dell’alpha di 
Jensen
9
 e dell’indice di Sharpe
10
 come misure di rendimento aggiustate 
per il rischio e la standard deviation come misura di rischio totale. Gli 
autori giungono a confermare la tendenza ad investire in titoli di imprese a 
bassa capitalizzazione e che tendono a distribuire bassi dividendi oltre che 
ad evidenziare una debole tendenza a sovraperformare un indice generale 
di mercato. Nel 1994 Luther e Matatko, confermano la small cap bias e 
confrontando i fondi etici non più con un generico indice di mercato ma 
con un indice rappresentativo del comparto small cap evidenziano un 
sostanziale incremento nelle performance relative. Lo studio di Mallin, 
                                                 
7
 Di seguito indicato con l’acronimo NYSE. 
8
 Di seguito indicato con l’acronimo SAF. 
9
 L'alpha di Jensen è una delle misure di performance aggiustata per il rischio; è il rendimento 
incrementale di un portafoglio, o di un fondo comune di investimento, rispetto al rendimento che 
tale portafoglio avrebbe dovuto produrre sulla base del suo livello di rischio sistematico misurato 
dal beta. Si basa sulla teoria del CAPM in cui beta rappresenta un indicatore del rischio di mercato 
di una attività finanziaria. 
RR
pm
 ∆ Ε      
dove Rp rappresenta il rendimento al netto del rendimento free-risk realizzato dal portafoglio 
gestito, R
m 
rappresenta il rendimento al netto del rendimento free-risk realizzato dal mercato o dal 
benchmark, β rappresenta la rischiosità sistematica del portafoglio. 
10
 L’indice di Sharpe considera il rendimento medio ottenuto in un certo periodo dal gestore ma lo 
corregge sottraendo da esso il rendimento offerto, nel medesimo periodo, da una attività priva di 
rischio, evidenziando, dunque, il solo extrarendimento e dividendo il tutto per la volatilità dei 
rendimenti del gestore. Avremo, dunque: 
rr
z
p
fp
S
pp
 ς  ς
  
    
Geometricamente l’indice di Sharpe rappresenta l’inclinazione della capital market line, retta 
presente nel CAPM, passante per il punto che ha come coordinate il rendimento medio e la volatilità 
del gestore. (Resti, 2006:1)  
CAPITOLO 1 
 
 
8 
Saadouni e Briston (1995) ripropone la stessa tipologia di analisi basata 
sugli indicatori di Treynor
11
, Sharpe e Jensen mettendo a confronto prima 
ciascun fondo etico con ciascun fondo non etico e, successivamente, 
entrambe le tipologie di fondo separatamente con il mercato attraverso un 
matched sample approach. Il campione analizzato è quello dell’intero 
universo di fondi etici presenti nel mercato UK nel periodo 1986-1993. I 
quesiti a cui questo studio si riproponeva di rispondere erano la capacità 
dei fondi etici di sovraperformare rispetto ai fondi convenzionali e rispetto 
al mercato. Si evidenzia come in una prima fase di analisi basata sulla 
media degli excess return i fondi etici abbiano performance peggiori sia 
dei fondi non etici che del mercato ma vi è una debole evidenza che i fondi 
non etici performino meglio del mercato.
 
  
                                                 
11 
L’indice di Treynor è presentato in Resti (2006) come una variante dell’indice di Sharpe, infatti, 
presenta al denominatore non tutta la volatilità del gestore ma soltanto la componente non 
diversificabile, cioè il suo beta. Tale indice è particolarmente indicato per quegli investitori che 
diversificano il rischio idiosincratico acquistando un numero elevato di investimenti diversi.  
rr
z
p
fp
T
pp
 Ε  Ε
  
    
Perché si possa calcolare questo indice è necessario stimare il β dei singoli fondi ossia la loro 
sensibilità alle variazioni dell’extrarendimento offerto dall’indice di mercato. Il β dell’indice di 
mercato è per definizione pari al 100%, mentre, il β del fondo può essere ottenuto stimando i 
coefficienti della seguente regressione:  
zz
ppp
b
 ∆ Ε   
dove z
p
 è appunto l’extrarendimento del fondo rispetto al tasso risk-free e z
b
 sono gli 
extrarendimenti rispetto al tasso risk-free dell’indice di mercato.  
Geometricamente l’indice di Treynor rappresenta l’inclinazione della SML associata al fondo, la 
retta, cioè, che ha per intercetta il tasso risk free e passa per il punto corrispondente ai valori di 
beta e rendimento del gestore nel CAPM. La relazione con l’indice di Sharpe esiste anche con 
l’indice di Treynor ma non è esatta come nel caso dell’indice di Modigliani & Modigliani. Perché sia 
possibile evidenziare questa relazione è necessario considerare validi sia il CAPM sia la completa 
diversificazione del rischio individuale dei singoli titoli da parte del gestore, in modo che si possa 
considerare la volatilità del termine di errore pari a 0 e considerare la volatilità del fondo espressa 
semplicemente come segue:
 
pp
b
 ς  Ε ς  
avremo dunque: 
zz
T
pp
S
pmm
 ς  Ε ς  ς