Introduzione
II
un fenomeno radicato e diffuso, in Italia, invece, sono una realtà nuova in
netta crescita ed espansione sia in termini di numero di fondi che di
capitali gestiti. Tutto ciò, naturalmente, favorito, anche, dalle nuove
normative in tema di società di gestione del risparmio, modalità di
collocamento e dalle nuove tendenze in tema ambientale e sociale.
Per poter parlare di fondi etici senza essere ripetitivi l’unica soluzione è
introdurre una analisi innovativa che ci consenta di analizzare il fenomeno
sotto un nuovo punto di vista. In particolare, gli argomenti che sono stati
oggetto di discussione in passato sui fondi etici sono gli impatti, delle
restrizioni a cui sono posti, su volatilità e rendimento. Avendo appurato
che non esiste alcun tipo di penalizzazione per questi fondi né in termini di
extrarendimento sul benchmark, né in termini di diversificazione ed
efficienza, si è passati a valutare aspetti più complessi come la
correlazione con indici di mercato, con variabili macroeconomiche
piuttosto che con cicli di mercato e alcuni settori dell’economia.
Successivamente, si è considerato il ruolo dei fondi socialmente
responsabili rispetto agli altri fondi, che presentavano caratteristiche
simili, ossia eventuali restrizioni nelle politiche di investimento. Ciò ha
portato a considerare il fenomeno dei fondi islamici, sui quali sono stati
svolti studi simili a quelli svolti sui fondi SR, sia in termini di impatto su
volatilità e rendimento sia in termini di correlazioni con settori e mercati,
per poi giungere a un confronto diretto fra le due tipologie.
Da tali conclusioni è partita l’idea di effettuare sui fondi etici una analisi
che è stata effettuata, recentemente, per confrontare il mercato dei fondi
islamici e quello dei fondi socialmente responsabili, con il mercato in
generale e fra di loro, attraverso l’utilizzo dei benchmark propri del
settore, come il Dow Jones Islamic Market Index, il FTSE Islamic o il
FTSE4GOOD. Si ipotizza la possibilità di ottenere risultati diversi non
essendo i principi ispiratori delle due tipologie i medesimi.
Introduzione
III
In particolare, tale analisi è basata sullo strumento della cointegrazione,
teorizzato dal premio Nobel per l’economia nel 2003, il Professor Clive
Granger. La cointegrazione si basa, infatti, sull’indicizzazione che è il modo
più efficiente e più economico di collegare la performance di un portafoglio
a quella di uno o più mercati. Infatti, qualora si voglia replicare un indice o
un mercato con un portafoglio più ristretto sarà necessario che l’indice e il
portafoglio in oggetto condividano, almeno, la componente a bassa
frequenza, che è un elemento rilevante nell’evolversi del prezzo delle
azioni. La cointegrazione, quindi, consente di ottenere utili indicazioni sia
con riferimento alla dimensione del portafoglio che relativamente alla
scelta delle variabili costituenti il portafoglio stesso.
L’analisi di seguito illustrata introduce, quindi, due generi di novità. La
prima riguarda il mercato di riferimento che sarà quello italiano, mai stato
indagato sotto questo punto di vista. Il secondo, riguarda l’introduzione di
questa analisi direttamente sui fondi e non più considerando il confronto
fra i benchmark di riferimento dei fondi e quelli del mercato nel suo
complesso. Infatti, si vorrà dimostrare se fra le serie storiche dei prezzi
dei fondi azionari selezionati e le serie storiche di alcune variabili di
mercato esista o meno cointegrazione. Le variabili individuate, oltre ai
fondi selezionati fra quelli collocabili in Italia e censiti da Assogestioni al 31
dicembre 2007 come etici, sono alcune tipologie di tassi di interesse,
rappresentative dei diversi mercati in cui investono tali fondi; in
particolare, si considereranno L’Euribor, il Libor, e i corsi dei Tbill a 3 mesi,
il tasso sui Federal Funds overnight e la curva dei tassi swap a 5 anni sul
mercato Usa. Ciò che ci si aspetta è che, tendenzialmente, i corsi dei fondi
non siano influenzati da queste variabili. Una possibile cointegrazione è
attesa, invece, per quanto riguarda il mercato azionario Americano dato
che è stata dimostrata in diversi studi la tendenza ad influenzarlo da parte
del tasso Tbill a 3 mesi. L’obiettivo ultimo dell’analisi è dimostrare, quindi,
Introduzione
IV
la possibilità di diversificazione attesa dall’inserimento di questi
investimenti in un portafoglio e l’eventuale impatto sul rischio.
Si procederà secondo questo schema. Nel primo capitolo, si troverà una
breve introduzione dell’argomento attraverso una review della letteratura
esistente e l’individuazione delle metodologie sulla base delle quali si
svolgerà l’analisi. La letteratura è stata suddivisa in due parti, una relativa
ai fondi socialmente responsabili e una ai fondi islamici da cui parte l’idea
dell’analisi di cointegrazione. Ciascuna sezione è divisa per step
riguardanti, prima, le analisi in termini di impatto sulla diversificazione del
restringimento dell’universo investibile poi, si riassumono gli studi volti a
dimostrare l’impatto su volatilità e rendimento e, infine, si introducono
quelli volti a determinare la composizione ed eventuali relazioni con il
mercato. La parte relativa ai fondi islamici è per lo più organizzata allo
stesso modo, introduce, in aggiunta, soltanto la novità dell’analisi di
cointegrazione. Il paragrafo sulla metodologia, invece, presenta gli
strumenti teorici alla base dell’analisi di cointegrazione nella sua totalità,
partendo dal concetto di non stazionarietà si arriva ai test da svolgere ed
eventuali modellazioni fruibili.
Nel secondo capitolo si è allargato lo sguardo, dando una visione
d’insieme, sui fondi in generale per poter poi evidenziare nel dettaglio i
fondi etici e la loro collocazione in questa panoramica generale. I fondi
comuni sono stati definiti e classificati secondo diversi criteri, sono state
date informazioni sulle gestioni patrimoniali e dettagli normativi e tributari
dai quali non si può prescindere per una rappresentazione completa del
fenomeno. Anche i fondi etici sono stati dapprima definiti e, poi, passando
per l’evoluzione storica si è giunti a una descrizione delle istituzioni legate
a questi strumenti, le principali classificazioni e strategie di selezione, dati
di mercato e cenni ad altre tipologie di prodotti.
Nel terzo capitolo si è affrontata l’analisi. Attraverso la presentazione dei
dati e delle principali informazioni si è giunti nel cuore delle operazioni di
Introduzione
V
cointegrazione con l’aiuto del software econometrico Eviews con il quale si
sono svolti i test preliminari e le analisi finali. Le considerazioni conclusive
sono state raccolte dando particolare attenzione alle cause, evidenziando i
limiti dell’analisi ed eventuali spunti per idee future di ricerca.
Le conclusioni riassumono il lavoro effettuato e i risultati a cui si è giunti
lanciando lo sprono per continuare su questa linea, migliorando
ulteriormente le gestioni patrimoniali etiche dati i risultati ottenuti.
1
CAPITOLO 1
Analisi dei fondi socialmente responsabili e dei
fondi islamici: casi, evidenze empiriche e test.
1. Background & obiettivi
Alla base dei prodotti finanziari e degli strumenti di investimento esiste il
concetto di Risparmio. Nella teoria microeconomica del Ciclo Vitale il
risparmio è la quantità di denaro appartenente al paniere delle dotazioni
che non viene utilizzata per i consumi presenti ma che è destinata ai
consumi futuri. A seconda delle preferenze individuali, è il tasso di
interesse che fa variare la quantità destinata al risparmio. Con il passare
del tempo e con l’avvicendarsi dei diversi sistemi economici ma,
soprattutto, dopo il fallimento dell’economia a pianificazione centralizzata
di stampo stalinista e con l’introduzione della sperimentazione del sistema
di mercato concorrenziale, ci si è posti il quesito relativo a costi e benefici
prodotti da un sistema siffatto. Da questo quesito si è giunti alla teoria
dell’Economia del Benessere, branca dell’economia che mira a stabilire
quanto, situazioni economiche alternative fra loro, siano desiderabili per la
collettività. Viene così definita una allocazione di beni e di input, raggiunta
la quale non è più possibile aumentare il benessere di un individuo senza
ridurre quello di un altro. In questo modello viene introdotto il concetto di
equità e di benessere sociale. Con il passare del tempo tale teoria è
stata integrata dalla specificazione delle funzioni obiettivo di diversi
CAPITOLO 1
2
soggetti appartenenti all’economia, ad esempio quelle dei policymakers
1
,
sino a giungere alle più recenti visioni che portano a considerare un
approccio di tipo bottom-up dell’economia del benessere. E’ a questo
filone dell’economia che fanno capo finanza etica, consumo critico e
commercio equo e solidale con l’assunto che il sistema globale riesca a
produrre uno sviluppo che possa essere considerato equo e sostenibile
solo grazie all’impulso dal basso dei cittadini-consumatori, ritenuto
fondamentale. Su tale approccio, quindi, i consumatori e gli investitori
dovrebbero inserire nelle loro funzioni obiettivo argomenti come la
giustizia sociale, solidarietà e sobrietà. Da questo atteggiamento
deriverebbero, poi, i comportamenti di imprese e istituzioni che devono
necessariamente tenere conto delle loro preferenze per realizzare i propri
obiettivi. Da questa concezione prenderebbero le mosse, tra le altre cose,
la responsabilità sociale d’impresa e gli investimenti etici. Tale
concetto si inserisce nel più recente dibattito sulla behavioral finance come
fallimento della teoria di razionalità degli investitori e a smentita del
principio della stessa behavioral finance che propone una visione
dell’investitore legata alla ricerca della massimizzazione del valore del
portafoglio in maniera non distorta e nel suo unico interesse personale
(Cervellati, 2002). Cervellati, infatti, sostiene la tesi che non si possa
raggiungere la massimizzazione del valore del portafoglio con i fondi etici
o Socialmente Responsabili
2
per i problemi di riduzione di diversificazione
ad essi attribuiti. I fondi etici sono fondi che investono in aziende che
perseguono oltre all’obiettivo di massimizzazione del loro valore di
mercato anche quello di tutela del capitale ambientale, sociale ed umano.
Nel corso degli anni i fondi etici si sono affermati sempre più nel panorama
finanziario come strumenti di investimento alternativi ai fondi
convenzionali sebbene abbiano generato sin dall’inizio, negli investitori e
1
Alesina (1978) e Persson, Tabellini(1990),
2
Nel seguito indicati con SR.
1. Background & obiettivi
3
negli operatori finanziari, una serie di quesiti. In particolare, come lo
stesso Cervellati sostiene, la restrizione operata sull’universo investibile
metteva in discussione la completa diversificazione di tali fondi e il
potenziale raggiungimento di extra rendimenti rispetto al benchmark di
riferimento. Gli studi empirici che ci hanno portato, oggi, a considerare
infondato questo timore e ad averci fornito diverse informazioni circa il
comportamento di questi fondi, sono numerosi. Tali studi sono stati svolti
in diversi periodi e utilizzando diversi strumenti statistici ed econometrici,
per lo più svolti sul mercato USA e inglese nei quali tale tipologia di fondi è
più diffusa, oppure in paesi europei, come la Germania, caratterizzati da
considerevole sensibilità a queste forme di investimento e caratterizzati da
una repentina crescita nei volumi investiti.
Lo scopo ultimo che si vuole perseguire attraverso questo capitolo e
l’intero lavoro di tesi è, dunque, svolgere un percorso logico per giungere
a una analisi innovativa sui fondi etici italiani. In particolare, il primo
quesito che ci si pone parlando di fondi etici, è relativo alla restrizione
dell’universo investibile e all’impatto di ciò su volatilità e rendimento. Gli
studi a cui si farà riferimento hanno già dato una consistente risposta a
questo quesito confutando le tesi di un eventuale innalzamento della
volatilità e un abbassamento dei livelli di rendimento. Il passo successivo
che, allora, si compierà in questo tipo di analisi è capire se il loro
inserimento in un portafoglio ha effetto diversificativo o meno, attraverso
una analisi di cointegrazione tra le serie storiche dei fondi in esame e le
serie storiche di alcune variabili rappresentative del mercato. L’idea di
analisi viene da alcuni studi effettuati sui fondi islamici e che potrebbero
essere riproposti sui fondi etici restituendo risultati interessanti e non
necessariamente identici essendo stati, i fondi islamici, considerati non
sostitutivi dei fondi socialmente responsabili, come si vedrà in seguito.
CAPITOLO 1
4
L’obiettivo è, quindi, giungere a determinare come i fondi etici possano
essere considerati assimilabili a qualsiasi fondo sul mercato
evidenziandone il miglior rapporto rischio/rendimento ed esplicitandone le
caratteristiche di diversificazione colmando il gap informativo attuale sul
mercato italiano.
2. Review della letteratura
Gli studi effettuati hanno portato a diverse conclusioni che, in generale,
possono essere raggruppate in tre macroclassi:
- la prima, riguardante l’efficienza di tali portafoglio e, quindi, studi volti
a dimostrare la capacità di diversificazione posta in capo a questi
fondi;
- la seconda, riguardante il rendimento e la volatilità, intesi come
extrarendimento realizzato rispetto al benchmark al netto delle
commissioni di gestione e il rischio assunto dall’investitore;
- la terza, riguardante la composizione di questi fondi ed eventuali
relazioni con i cicli di mercato piuttosto che con alcuni settori
dell’economia.
Con riferimento al primo livello di analisi, in Regalli, Soana, Tagliavini
(2005), in particolare, si fa riferimento alla teoria di Markowitz per la
costruzione della frontiera efficiente composta da tutte le combinazioni di
portafoglio in grado di restituire per ogni livello di rischio il massimo
rendimento. Tale teoria è fondata sulla esplicitazione delle correlazioni e
delle covarianze fra titoli. Una riduzione del numero di titoli nel portafoglio
potrebbe causare una riduzione della diversificazione che incrementerebbe
così il rischio e pertanto il rendimento relativo. Una valutazione della
2. Review della letteratura
5
rinuncia in termini di rendimento sopportata da un investitore etico può
essere analizzata confrontando le frontiere rischio/rendimento ottenibili sia
con i titoli di un portafoglio etico, sia con i titoli del portafoglio globale.
Considerando che il contributo di un titolo alla varianza è misurato dalla
somma ponderata delle covarianze del titolo con gli altri titoli sul mercato,
all’aumentare del numero di titoli nel portafoglio il contributo di ciascuna
singola varianza diminuisce. Si può quindi, tendenzialmente, affermare
che il sacrificio etico
3
possa determinare una frontiera efficiente più ripida
identificando un maggior costo destinato a decrescere, fino a diventare
irrisorio, con un numero di titoli sufficientemente ampio. Come dimostrato
anche da Brearley e Myers (Eiris, 1999) già con una piccola
diversificazione si può garantire una sostanziale riduzione della varianza;
la riduzione del rischio sistematico è notevole a partire già dall’intervallo
20/30 titoli e, quindi, si può arrivare tranquillamente a concludere che gli
effetti di un restringimento dell’universo investibile sulla volatilità sono
considerati irrilevanti, o sicuramente non peggiorativi, e il sacrificio etico
tenderà a zero. I fondi restano comunque esposti al rischio di mercato,
misurato dal beta di portafoglio. Tale analisi confermata anche dagli studi
riportati da WestLB Panmure (2002) sul mercato USA che compara i
rendimenti medi e la deviazione standard di diversi stili di investimento
usando come benchmark il Down Jones Sustainability Index
4
evidenziando
come non ci siano relazioni sistematiche di un minore trade off
rischio/rendimento a seguito all’utilizzo di filtri Social Corporate
Responsability nella selezione dei titoli. Confrontando l’indice DJS con gli
indici di diversi stili di gestione come il Large Cap Index o il Growth Index
e lo Stoxx50, inoltre, in due casi i rendimenti medi sono più alti con un
rischio minore. Tale analisi giunge a concludere, dunque, che il fattore
3
Per sacrificio etico si intende la differenza fra la varianza di un portafoglio non vincolato e la
varianza di un portafoglio esclusivamente etico. E’ tanto più marcato quanto maggiori sono le
possibilità di diversificare.
4
Nel seguito indicato con la sigla DJSI.
CAPITOLO 1
6
sostenibilità è un fattore guida del rendimento completamente
indipendente che può esercitare una influenza positiva sul valore detenuto
dagli shareholders oltre le mere componenti del valore, della crescita e
della dimensione; tutto ciò, quindi, a smentita di tutti i preconcetti circa le
peggiori performance causate dalla selezione etica. Rimane però
evidenziato il problema relativo alla standard deviation sul rischio attivo
che sull’universo selezionato secondo criteri socially responsible permane
a livelli troppo alti per le gestioni passive se si considera come benchmark
l’intero universo investibile.
Sul secondo aspetto di indagine, invece, viene naturale considerare
come punti di partenza il CAPM, modello al quale si fa riferimento per
sostenere che i fondi etici, teoricamente, non implicano rendimenti
inferiori ai fondi tradizionali. Esso si fonda sull’assunto che esista un unico
mercato di riferimento. Nella realtà, però, c’è uno scostamento non
indifferente dal modello teorico, a partire dalla presenza di più mercati fra
loro non correlati. Ciò implica che parte del rischio sistematico può essere
eliminato
5
. Inoltre, diversi sono gli studi che hanno confrontato i
rendimenti di titoli e fondi etici e non, con il mercato attraverso il calcolo
di diversi indici di performance semplici e aggiustati per il rischio
6
. In
particolare, nel 1986, Grossman e Sharpe comparavano i titoli quotati nel
5
Si faccia riferimento all’analisi di E. Capital Partners riproposta in Perrini (2002) nella quale è
dimostrato che lo screening etico non è così restrittivo da limitare la possibilità di diversificazione
settoriale o geografica che garantisce il contenimento dei rischi. Non esistono pertanto né settori né
aree geografiche completamente esclusi dall’investimento socialmente responsabile. I settori più
penalizzati risultano essere i servizi pubblici per la presenza di imprese che utilizzano energia
nucleare e settori anticiclici e per la presenza, inoltre, di numerose aziende che producono bevande
alcoliche e tabacco. Dal punto di vista geografico, invece, il Paese in cui si investe meno sono gli
Stati Uniti dove numerose multinazionali presenti investono in settori non etici.
6
Le misure di puro rendimento esprimono l’apprezzamento conosciuto, in un dato periodo passato,
da un fondo e possono essere calcolate seguendo due approcci: il time weighted e il money
weighted. Le misure di rendimento aggiustate per il rischio, invece, tengono conto, a seconda
dell’indicatore considerato, del solo rischio sistematico, del downside risk o del rischio totale. (Resti,
2006:1).
2. Review della letteratura
7
New York Stock Exchange
7
con il South Africa-Free Universe
8
avendo
osservato come il SAF, sensibilmente più piccolo del NYSE in termini di
titoli quotati, avesse performato meglio nel periodo 1959 – 1983. Tutto ciò
veniva attribuito alla grande presenza di titoli di imprese a bassa
capitalizzazione di mercato che sebbene consentissero all’indice, nel
periodo considerato, di performare meglio del NYSE, in ogni caso
caratterizzavano il SAF per la scarsa liquidità. Successivamente è negli
studi di Luther, Matatko, Corner (1992) che attraverso un’analisi condotta
esclusivamente su fondi britannici e attraverso il calcolo dell’alpha di
Jensen
9
e dell’indice di Sharpe
10
come misure di rendimento aggiustate
per il rischio e la standard deviation come misura di rischio totale. Gli
autori giungono a confermare la tendenza ad investire in titoli di imprese a
bassa capitalizzazione e che tendono a distribuire bassi dividendi oltre che
ad evidenziare una debole tendenza a sovraperformare un indice generale
di mercato. Nel 1994 Luther e Matatko, confermano la small cap bias e
confrontando i fondi etici non più con un generico indice di mercato ma
con un indice rappresentativo del comparto small cap evidenziano un
sostanziale incremento nelle performance relative. Lo studio di Mallin,
7
Di seguito indicato con l’acronimo NYSE.
8
Di seguito indicato con l’acronimo SAF.
9
L'alpha di Jensen è una delle misure di performance aggiustata per il rischio; è il rendimento
incrementale di un portafoglio, o di un fondo comune di investimento, rispetto al rendimento che
tale portafoglio avrebbe dovuto produrre sulla base del suo livello di rischio sistematico misurato
dal beta. Si basa sulla teoria del CAPM in cui beta rappresenta un indicatore del rischio di mercato
di una attività finanziaria.
RR
pm
∆ Ε
dove Rp rappresenta il rendimento al netto del rendimento free-risk realizzato dal portafoglio
gestito, R
m
rappresenta il rendimento al netto del rendimento free-risk realizzato dal mercato o dal
benchmark, β rappresenta la rischiosità sistematica del portafoglio.
10
L’indice di Sharpe considera il rendimento medio ottenuto in un certo periodo dal gestore ma lo
corregge sottraendo da esso il rendimento offerto, nel medesimo periodo, da una attività priva di
rischio, evidenziando, dunque, il solo extrarendimento e dividendo il tutto per la volatilità dei
rendimenti del gestore. Avremo, dunque:
rr
z
p
fp
S
pp
ς ς
Geometricamente l’indice di Sharpe rappresenta l’inclinazione della capital market line, retta
presente nel CAPM, passante per il punto che ha come coordinate il rendimento medio e la volatilità
del gestore. (Resti, 2006:1)
CAPITOLO 1
8
Saadouni e Briston (1995) ripropone la stessa tipologia di analisi basata
sugli indicatori di Treynor
11
, Sharpe e Jensen mettendo a confronto prima
ciascun fondo etico con ciascun fondo non etico e, successivamente,
entrambe le tipologie di fondo separatamente con il mercato attraverso un
matched sample approach. Il campione analizzato è quello dell’intero
universo di fondi etici presenti nel mercato UK nel periodo 1986-1993. I
quesiti a cui questo studio si riproponeva di rispondere erano la capacità
dei fondi etici di sovraperformare rispetto ai fondi convenzionali e rispetto
al mercato. Si evidenzia come in una prima fase di analisi basata sulla
media degli excess return i fondi etici abbiano performance peggiori sia
dei fondi non etici che del mercato ma vi è una debole evidenza che i fondi
non etici performino meglio del mercato.
11
L’indice di Treynor è presentato in Resti (2006) come una variante dell’indice di Sharpe, infatti,
presenta al denominatore non tutta la volatilità del gestore ma soltanto la componente non
diversificabile, cioè il suo beta. Tale indice è particolarmente indicato per quegli investitori che
diversificano il rischio idiosincratico acquistando un numero elevato di investimenti diversi.
rr
z
p
fp
T
pp
Ε Ε
Perché si possa calcolare questo indice è necessario stimare il β dei singoli fondi ossia la loro
sensibilità alle variazioni dell’extrarendimento offerto dall’indice di mercato. Il β dell’indice di
mercato è per definizione pari al 100%, mentre, il β del fondo può essere ottenuto stimando i
coefficienti della seguente regressione:
zz
ppp
b
∆ Ε
dove z
p
è appunto l’extrarendimento del fondo rispetto al tasso risk-free e z
b
sono gli
extrarendimenti rispetto al tasso risk-free dell’indice di mercato.
Geometricamente l’indice di Treynor rappresenta l’inclinazione della SML associata al fondo, la
retta, cioè, che ha per intercetta il tasso risk free e passa per il punto corrispondente ai valori di
beta e rendimento del gestore nel CAPM. La relazione con l’indice di Sharpe esiste anche con
l’indice di Treynor ma non è esatta come nel caso dell’indice di Modigliani & Modigliani. Perché sia
possibile evidenziare questa relazione è necessario considerare validi sia il CAPM sia la completa
diversificazione del rischio individuale dei singoli titoli da parte del gestore, in modo che si possa
considerare la volatilità del termine di errore pari a 0 e considerare la volatilità del fondo espressa
semplicemente come segue:
pp
b
ς Ε ς
avremo dunque:
zz
T
pp
S
pmm
ς Ε ς ς