5
bassi della gerarchia criminale. Una eccezione è rappresentata dal settore della
prostituzione nel quale le organizzazioni straniere hanno preso il sopravvento, spesso
con vere e proprie forme di monopolio: etnie albanese, russe e centro-nord africana
nella prostituzione “da strada” ed etnia cinese nella prostituzione organizzata sotto la
copertura delle sale di massaggio
3
.
L’immigrazione irregolare con i suoi effetti microcriminogeni è un problema
umano e sociale che esige strategie politiche di integrazione e di accoglienza, ma che
dal punto di vista criminale non riveste particolare interesse; i fatti di reato connessi al
fenomeno migratorio non sono altro, infatti, che le manifestazioni finali di un fenomeno
criminale, che in termini generali può essere definito come “traffico internazionale di
persone”. È proprio, quindi, il fenomeno della gestione dei flussi migratori a suscitare il
maggiore interesse: esso rappresenta oramai un importante mercato nero e, di
conseguenza, un nuovo settore di incidenza del crimine organizzato. Dal punto di vista
criminologico il fenomeno è stato descritto in vari modi, ma all’interprete e, soprattutto,
all’operatore del diritto occorre chiarezza nella tipizzazione delle condotte che vengono
in rilievo, nonché rispondenza tra nuove realtà criminali e norme, al fine di colpire tali
manifestazioni criminali nella loro completezza.
Una preliminare precisazione terminologica appare, quindi, necessaria.
L’espressione “traffico internazionale di persone” è utilizzata per indicare tutte
quelle attività delittuose organizzate che si fondano sul trasferimento di immigrati
clandestini da uno Stato all’altro; in tale ambito criminale sono, quindi, ricomprese due
distinte tipologie delittuose: il favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, più
genericamente detto traffico di esseri umani, e la tratta di persone
4
.
Il traffico di esseri umani (smuggling of migrants) indica l’assistenza fornita per
facilitare l’attraversamento delle frontiere in modo clandestino e l’ingresso illegale nel
territorio di un Paese; esso contiene necessariamente un elemento di trasnazionalità,
mentre ciò non costituisce un elemento essenziale della tratta di persone (trafficking in
human beings), caratterizzata, piuttosto, dalla finalità di sfruttamento della vittima,
indipendentemente dalle modalità, lecite o illecite, con cui sia giunta nella località in cui
viene sfruttata.
Si tratta evidentemente delle due facce della medaglia di un fenomeno criminale
che investe interessi diversi e spesso confliggenti, quali la sicurezza interna e la
3
SPEZIA P., FREZZA F., PACE N., Il traffico e lo sfruttamento di esseri umani, Milano, 2003, p. 2 ss.
4
TINEBRA G.- CENTONZE A., Il traffico internazionale di persone, Milano, 2004.
6
protezione di diritti fondamentali dell’uomo; si tratta di due tipologie delittuose che
seppur riconducibili all’unitario fenomeno del controllo dell’immigrazione clandestina
da parte di organizzazioni criminali trasnazionali, si rifanno ciascuna ad una
fenomenologia delinquenziale autonoma, caratterizzata da elementi qualificanti
peculiari.
La distinzione tra i due fenomeni criminali ha origine nella prassi applicativa
degli organi investigativi internazionali ed è individuabile sia a livello internazionale
che europeo, mentre sul piano nazionale trova propri riferimenti normativi specifici
nell’art. 12 T.U. immigrazione (L. 6 marzo 1998, n. 286, c.d. Turco-Napolitano, come
modificata dalla L. 30 luglio 2002 n.189, c.d. Bossi-Fini), che incrimina il
favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e nella nuova formulazione degli artt.
600, 601, 602 c.p., modificati dalla L. 11 agosto 2003, n. 228
5
, “Misure contro la tratta
di persone”, entrata in vigore il 7 settembre 2003.
In verità la linea di differenziazione che separa la fattispecie della tratta di persone
da quella del favoreggiamento dell’immigrazione clandestina è nell’esperienza pratica
molto sottile e si fa sempre più complessa; se si assume, infatti, come punto di
riferimento la figura dell’immigrato clandestino nella sua veste penale di persona offesa
e quindi di vittima del traffico internazionale di persone, risulta difficile distinguere le
due figure delittuose, poiché i trafficanti, sempre più frequentemente, non si limitano a
garantire lo spostamento illegale delle persone da uno Stato ad un altro, ma fanno
proseguire il loro rapporto con la persona trasportata nel Paese di destinazione, con la
conseguenza che, privato dalla sua effettiva libertà di movimento, il trafficato finisce
per essere considerato alla stregua di una vera e propria “merce criminale” ed inoltre il
rafforzamento e la specializzazione delle organizzazioni criminali straniere sul
territorio, fanno sì che, anche nei casi in cui gli immigrati stranieri siano entrati
regolarmente e dispongano di un capitale iniziale proprio, anche consistente, non siano
immuni dal diventare l’oggetto di un traffico di persone.
Consapevole delle difficoltà insite nella riduzione in previsioni normative di una
realtà sempre più complessa, il presente lavoro vuole essere una breve rassegna
dell’evoluzione normativa nazionale ed internazionale in tema di traffico internazionale
di persone. Il primo capitolo è, quindi, dedicato all’analisi degli aspetti sociologici del
fenomeno, con particolare attenzione alle dinamiche di spostamento di questi flussi
5
Tale legge è stata pubblicata nella GAZZETTA UFFICIALE DEL 23 AGOSTO 2003, N. 195.
7
migratori. I seguenti capitoli sono, invece, dedicati alla distinzione di due species nel
genus “tratta o traffico” alla luce delle nuovissime fattispecie in materia di tratta di
persone recentemente introdotte nel codice dalla l. 228 del 2003; e al faticoso lavoro di
riempimento di tali disposizioni operato dalla giurisprudenza, nonché ai tentativi di
repressione del fenomeno messi in atto da parte degli operatori del diritto per mezzo
delle disposizioni codicistiche ed extracodicistiche utili alla repressione dei suoi aspetti
più rilevanti. Infine, sinteticamente, alla descrizione degli strumenti internazionali ed
europei in materia.
Infine l’ultimo capitolo è rivolto all’esame dei nuovi modelli di schiavitù connessi
all’ormai consolidata gestione dei flussi migratori da parte di vere e proprie holdings
criminali.
8
CAPITOLO I
L’immigrazione clandestina: le cause, lo sviluppo, le dimensioni e le
direttrici di un fenomeno
1.1 Le principali determinanti dell’immigrazione
In molti Paesi industrializzati si manifesta il problema di ratificare misure
legislative volte a ravvicinare l’ordinamento istituzionale del fenomeno migratorio con
la sua effettiva presenza sul territorio, e di riallineare le cifre ufficiali dell’immigrazione
con la realtà demografica. E’, infatti, noto come la globalizzazione in atto necessiti di
risorse umane provenienti da Paesi esterni e richieste da forze economiche e sociali per
soddisfare le domande provenienti dai segmenti più poveri dei mercati del lavoro locali:
di fatto, un conflitto tra politica e mercato che appare come uno dei principali motivi di
difficoltà nella regolazione dei processi migratori
6
. In altri termini mentre la politica
tende a chiudere i confini, il mercato del lavoro richiede braccia. Le misure di controllo
che i vari Paesi mettono in atto sono, dunque, sottoposte a queste pressioni, e molti
immigrati per evitare i vincoli alla mobilità imposti dai Paesi riceventi, cercano varie
alternative: dall’attivismo di reti di relazioni che li legano agli immigrati giunti prima di
loro, all’avvicinamento ad organizzazioni criminali che ne sfruttano la loro condizione
di debolezza.
Secondo l’Organizzazione Internazionale per il Lavoro (OIL), tra il 1970 e il
1990, gli Stati che si possono qualificare come “importanti paesi di immigrazione”
(major receivers) sono passati da 39 a 67, mentre quelli qualificabili come “importanti
paesi di emigrazione” (major senders) sono aumentati da 29 a 55. E’ poi
particolarmente interessante sottolineare la forte crescita del peso relativo di una terza
categoria di paesi: quelli che sono nel contempo importanti paesi di emigrazione e di
6
Nel considerare i fattori di spinta occorre anche valutare i costi psicologici di spostarsi in un altro Stato,
solo in parte attenuati dalla presenza di una rete di immigrati provenienti dallo stesso paese di origine. Sul
fronte dei fattori d’attrazione, usualmente viene sottolineato il ruolo della domanda di lavoro insoddisfatta
nei paesi di accoglienza. In particolare, a proposito degli immigrati clandestini va precisato che essi
lavorando nell’economia sommersa, contribuiscono alla sua espansione aggravando i problemi connessi
alla loro stessa esistenza.
9
immigrazione; questi nel corso degli ultimi venti anni sono aumentati da 4 a 15
7
. Questi
mutamenti hanno causato e tutt’ora causano sul piano strutturale, una crescente
complessità della geografia globale delle migrazioni.
Le reti transnazionali segnalano che i paesi sviluppati manifestano una domanda
di lavoro dequalificato (proveniente dalle piccole imprese, dalle famiglie e
dall’economia informale) che è disponibile ad accogliere nuovi immigrati stranieri,
indipendentemente dal loro status giuridico.
L’effetto cumulativo di tutti questi elementi fa sì che i paesi meno sviluppati
esprimano una domanda potenziale di ingressi nei paesi sviluppati che, oltre ad essere di
dimensioni significative, è destinata a perdurare nel lungo periodo.
Per quanto riguarda l’Europa dell’Est, questa domanda potenziale risulta
ulteriormente incrementata dalla scomparsa, avvenuta circa quindici anni fa, dei vincoli
all’uscita che erano precedentemente un elemento endemico tra i paesi ad economia
pianificata.
Nei paesi sviluppati l’ultimo trentennio ha visto il progressivo consolidarsi di una
tendenza restrittiva nei confronti dell’ingresso di nuovi stranieri provenienti dall’estero.
Questa tendenza registra una particolare intensità negli Stati europei occidentali, i quali
hanno diminuito drasticamente, a partire dalla prima metà degli anni ’70, l’offerta di
ingressi legali per motivi di lavoro. Negli anni successivi hanno poi introdotto riforme
restrittive anche per il lavoro stagionale e hanno ridotto fortemente le pretese legittime
all’ingresso derivanti, ove esistenti, dalle cittadinanze coloniali. Infine, a partire dagli
inizi degli anni ’90, hanno promosso, pur con occasionali ambiguità, riforme restrittive
dei canali del ricongiungimento familiare e della richiesta di asilo. Nel complesso gli
Stati europei occidentali hanno elaborato sistematicamente una visione negativa dei
flussi migratori non garantiti, alla quale hanno rapidamente aderito anche i paesi
dell’Europa meridionale.
Alla fine degli anni Sessanta, Franco Ferracuti, in una relazione presentata alla
Quinta Conferenza europea dei direttori di Istituti di ricerca criminologica, sottoponeva
all’attenzione degli studiosi la necessità di elaborare statistiche attendibili e comparabili
tra i vari Stati europei per inquadrare il problema di un generale pregiudizio xenofobo
nei confronti degli stranieri. Ma superare le teorie criminologiche di carattere socio-
7
G. TAPINOS – D. DELAUNAY, Can one really talk of the globalization of migration flows?, in
Organization for Economic Cooperation and Development (OECD), “Globalization, migration and
development”, Parigi, 2000, p. 7.
10
psicologico di quegli anni
8
, o, meglio, verificarne la tenuta di fronte alle fasi dei
processi migratori successive agli anni in cui scriveva Ferracuti, non elimina il
problema delle legislazioni necessarie per frenare le opportunità offerte alle
organizzazioni criminali da questi processi
9
.
Ma prima di procedere in tal senso, occorre una breve disamina delle politiche
europee connesse ai processi migratori.
L’attuale sistema degli stati è assolutamente caratterizzato da uno squilibrio
strutturale tra domanda e offerta di ingressi, che costituisce la causa della nascita e dello
sviluppo dell’immigrazione irregolare e clandestina. Questa interdipendenza tra traffico
di persone e politiche regolative può essere vista con una certa nitidezza se si adotta una
prospettiva diacronica, centrata sui cambiamenti avvenuti nella struttura
dell’immigrazione irregolare verso l’Europa a partire dal 1973/75.
Nel periodo precedente il blocco del 1973/75
10
, le politiche migratorie operavano
prevalentemente attraverso controlli interni ai paesi d’arrivo, volti a regolare l’accesso
degli stranieri al mercato del lavoro e, in alcuni casi, al mercato delle abitazioni.
L’immigrazione irregolare era sovente una vera e propria back door policy, dove
la regolarizzazione ex post della propria posizione veniva routinariamente concessa
quando si disponeva di un datore di lavoro interessato all’assunzione in regola del
migrante (immigrazione dall’interno).
L’irregolarità, e persino la clandestinità, era considerata una fase transitoria, una
sorta di peccato veniale, rispetto al quale gli stati intervenivano in termini repressivi
soltanto episodicamente, in risposta a condizioni molto particolari.
Tuttavia, in questa fase relativamente aperta, già vi era qualche traccia di
organizzazioni e figure professionali che fornivano servizi irregolari ai potenziali
immigrati. Si trattava sostanzialmente di piccoli operatori che svolgevano funzioni più o
meno estese d’intermediazione di manodopera, rimozione dei vincoli all’emigrazione e
disbrigo delle pratiche burocratiche. L’introduzione delle politiche di blocco, nella
prima metà degli anni ’70, modificò sensibilmente il quadro della regolazione dei flussi
migratori, producendo degli effetti simili in tutta Europa.
8
Le teorie del conflitto culturale (attrito tra diversi sistemi culturali), della mobilità (indebolimento dei
legami con le comunità di origine e rafforzamento dei legami tra sottogruppi), della criminalità come
controparte delle frustrazioni connesse al processo di migrazione, dell’anomia (conflitto tra diversi
sistemi normativi).
9
SAVONA E. U., DI NICOLA A., Migrazioni e criminalità. Trent’anni dopo, in “Rassegna italiana di
criminologia”, 1998, p.178-180.
10
Per quanto riguarda l’Italia questo è avvenuto nel 1982, con la decisione del Ministero del Lavoro di
interrompere il rilascio delle autorizzazioni al lavoro per i cittadini stranieri.
11
Da un lato, in presenza di politiche che vennero presentate come decisioni
permanenti o comunque di lungo periodo, vi fu una quota di migranti che preferì
permanere irregolarmente (o introdursi irregolarmente sul territorio dei paesi d’arrivo),
piuttosto che abbandonare il paese nella attesa di una possibilità di ingresso legale.
Dall’altro lato, l’adozione di queste politiche di blocco comportò la progressiva e
rapida chiusura dei canali disponibili per la regolarizzazione ex post delle situazioni
irregolari: l’accesso al soggiorno e al mercato del lavoro ufficiale vennero perciò resi
strettamente dipendenti dall’aver effettuato un ingresso legale.
Il risultato congiunto di questi due processi - interazione tra preferenze dei
migranti e strategie di contenimento degli stati - fu quello di produrre un primo nucleo
di immigrazione irregolare. Questo nucleo inizialmente fu quantitativamente limitato,
composto principalmente da overstayers piuttosto che da clandestini e caratterizzato da
una forte componente stagionale e ciclica.
Esso cominciò a crescere lentamente, tra la metà degli anni ’70 e la fine di quelli
’80, in conseguenza di quattro fattori:
a) lo sviluppo in tutti i paesi europei dell’economia informale, delle reti di subappalto
e delle imprese di servizi di piccole dimensioni, che resero il controllo centralizzato del
mercato del lavoro più difficoltoso;
b) la sedentarizzazione delle comunità straniere, per effetto sia delle dinamiche
demografiche che delle stesse politiche di blocco;
c) lo stesso perdurare delle politiche di blocco, che rese l’opzione dell’attesa in patria
sempre meno ragionevole per i potenziali migranti, incrementandone progressivamente
il numero disponibile all’opzione dell’ingresso irregolare;
d) la crescita stessa del segmento irregolare che possiede un carattere di
moltiplicatore, in quanto la sua sola esistenza segnala che l’ingresso e la permanenza
irregolare sono opzioni praticabili.
In questo periodo il ricorso a servizi professionali per l’ingresso o la permanenza
irregolare era ancora molto limitato. Il grosso della popolazione straniera irregolare era
composto da persone entrate regolarmente, generalmente per motivi turistici, e rimaste
successivamente nei diversi paesi in condizione irregolare.
12
Il vero e proprio trasporto clandestino era una realtà esigua ove operavano una
serie di attori che arrotondavano, con la fornitura di servizi di trasporto, il reddito
prodotto con altre attività (pesca, trasporto su gomma, piccolo contrabbando).
Un ulteriore salto di qualità avvenne a cavallo tra gli anni ’80 e gli anni ’90,
quando i governi europei occidentali iniziarono, sotto la spinta dei cambiamenti alle
frontiere orientali, una ristrutturazione radicale dei propri sistemi di controllo. Tale
ristrutturazione è ancora oggi in corso ed è centrata soprattutto sul rafforzamento dei
controlli esterni.
Lo spostamento radicale dai controlli interni a quelli di frontiera sta avvenendo
attraverso un complesso di strumenti, ovvero non solo con il più accentuato controllo
delle frontiere, ma anche con l’introduzione di sanzioni ai vettori di potenziali immigrati
irregolari; con la penalizzazione dei paesi di transito che non intervengono a sufficienza
nel contrasto dei passaggi; con l’introduzione dell’obbligo di visto verso i paesi “a
rischio migratorio”; con l’esternalizzazione dei controlli sul territorio di stati terzi; con
l’incremento delle sanzioni per i favoreggiatori dell’ingresso irregolare
11
.
Con la ristrutturazione dei sistemi di controllo, riuscire ad entrare nel paese
d’arrivo è divenuto molto più difficile che permanervi; ecco perché non è sorprendente
che, dalla prima metà degli anni ’90, si stia verificando la crescita e la specializzazione
delle organizzazioni operanti nel traffico di persone, al punto di poter parlare di
“industria del traffico”.
Quest’ultima, come vedremo, a similitudine di tutte le industrie, conosce processi
di specializzazione, diversificazione e segmentazione; capitalizza sulle competenze già
presenti nei territori d’intervento; persegue strategie “imprenditoriali” che interagiscono
secondo una struttura a doppia contingenza con le politiche di regolazione e di contrasto
introdotte dagli Stati
12
.
Riassumendo le cause che influenzano l’immigrazione, alla luce
dell’atteggiamento di progressiva chiusura delle frontiere che molti paesi “di
immigrazione” stanno attuando, e di speculare crescita del fenomeno di emigrazione
irregolare, la spiegazione della tendenza è riconducibile a cinque fattori.
11
SCIORTINO G., L’ambizione della frontiera. Le politiche di controllo migratorio in Europa, Angeli,
Milano 2000.
12
QUIROZ VITALE M., Alla ricerca di uno status. Prostitute, devianti e vittime straniere tra socializzazione
e istituzioni italiane, in CARITAS AMBROSIANA, Comprate e vendute. Una ricerca su tratta e sfruttamento
di donne straniere nel mercato della prostituzione, Angeli, Milano, 2002.
13
a) La convenienza economica: gli immigrati irregolari sono comunque una risorsa
per il sistema socio-economico e, secondo alcuni studiosi
13
, proprio la loro mancanza di
diritti li rende assai flessibili, e quindi appetibili per il sistema economico: lavoro ridotto
a pura merce, nuda forza di produzione da usare, sprovvista di quel pacchetto di diritti
sociali e di tutele che è incorporato nella condizione di lavoro dipendente.
b) L’attivismo delle reti migratorie: l’arrivo e l’insediamento degli immigrati
irregolari sono favoriti dall’azione di “teste di ponte” rappresentate dai congiunti già
insediati e dal loro inserimento in una rete più o meno fitta e coesa di relazioni con altri
connazionali
14
. Spesso vengono distinti i fattori di “spinta” dai paesi di origine da quelli
di “attrazione” dei paesi riceventi l’immigrazione. Fra i primi vi sono sia fattori
economici, quali i redditi relativi attesi, sia politico sociali. Tra i fattori non economici
va menzionata, per il peso che ha avuto in quest’ultimo decennio, la ricerca di asilo
politico dalle persecuzioni e dalle catastrofi umanitarie.
c) Il liberalismo incorporato nelle istituzioni politiche e amministrative dei paesi a
democrazia consolidata
15
, che impedisce di attuare provvedimenti drastici di espulsione
di massa, controllo armato delle frontiere, criminalizzazione degli immigrati irregolari.
d) I costi economici di politiche repressive più efficienti e la difficoltà pratica di
attuare procedimenti di espulsione nei confronti di immigrai provenienti ad Paesi con
i quali non sono stati firmati accordi per la riammissione degli espulsi, con il
conseguente paradosso che vengono fermati ed espulsi solo quegli immigrati i cui Paesi
di provenienza sono disposti a cooperare in materia di controllo delle migrazioni.
e) Una sorta di produzione istituzionale dell’illegalità che nasce nel momento in
cui, impedendo ad un lavoratore immigrato il ricongiungimento familiare in base a
parametri definiti per via amministrativa dal Paese ricevente e applicati con una
discrezionalità solo restrittiva, si incentiva indirettamente il fenomeno dei
ricongiungimenti non autorizzati.
Questa forbice tra frontiere sempre più chiuse e pressioni a favore dei nuovi
ingressi, favorisce il complesso fenomeno dell’immigrazione irregolare, con i suoi
attori, processi, intermediari e perfino “agenzie specializzate”: Di conseguenza, il
tentativo di distinguere il semplice aggiramento dei vincoli all’ingresso (smuggling) dal
13
HARRIS N., I nuovi intoccabili. Perché abbiamo bisogno degli immigrati, Il Saggiatore, Milano, 2000;
CARCHEDI F. – MOTTURA G. – PUGLIESE E. , Il lavoro servile e le nuove schiavitù, Angeli, Milano, 2003.
14
AMBROSINI M., La fatica di integrarsi. Immigrati e lavoro in Italia, Il Mulino, Bologna, 2001
15
RUGGIE J.G., International Regimes, Transactions, and Change: Embedded Liberalism in the Postwar
Economic Order, in “International Organization”, n. 36, 1982, pp. 379-415.
14
più grave fenomeno della tratta di esseri umani (trafficking), appare vano poiché i due
fenomeni, nel concreto, appaiono intrecciati. Chi intende entrare in un Paese che non
prevede la possibilità di ingresso legale si rivolge ad intermediari, procacciatori di
documenti e trasportatori, che in maniere legali e illegali procurano il servizio richiesto.
A loro volta, i trafficanti di esseri umani a scopo di sfruttamento (per la prostituzione, la
mendicità e il lavoro coatto), possono ricorrere a servizi impiegati anche dai migranti
irregolari “autonomi”. In queste reti cadono anche persone che hanno progetti
individuali di migrazione per lavoro e che possono, per varie ragioni, essere intercettate
e irretite da organizzazioni criminali
16
.
1.2 Dimensione europea e italiana dell’immigrazione clandestina
L’espressione “migrazione clandestina” è intrinsecamente ambigua dato che,
generalmente, la clandestinità della migrazione sussiste solo per l’ordinamento giuridico
del paese di destinazione.
Secondo la terminologia dominante, “clandestino” è il migrante che ha
attraversato illegalmente le frontiere dello Stato di soggiorno, mentre “irregolare” è
colui che, entrato legalmente, si è trattenuto in maniera non autorizzata (overstayer).
L’immigrazione clandestina è un fenomeno variegato sia sotto il profilo delle
persone interessate che delle modalità di ingresso e soggiorno illegale. Innanzitutto, vi
sono coloro che entrano illegalmente nel territorio di uno Stato varcandone
clandestinamente la frontiera o esibendo documenti falsi o falsificati. Non di rado
questa modalità di ingresso illegale viene utilizzata da persone che agiscono in modo
individuale ed indipendente. Sempre più spesso, tuttavia, tali ingressi sono organizzati
da intermediari che forniscono trasporto, alloggio temporaneo, documenti di viaggio,
informazioni, sorveglianza ed altri servizi di supporto, che hanno inizio nel paese di
origine, continuano nei paesi di transito e terminano in quello di destinazione.
Esiste inoltre un’ampia categoria di persone che soggiornano irregolarmente in
uno Stato in cui sono entrate con un visto o un permesso di soggiorno validi, ma vi sono
rimaste oltre il periodo autorizzato. Altri ancora hanno semplicemente varcato la
16
ABBATECOLA E., Le reti insidiose. Organizzazione e percorsi della tratta tra coercizione e produzione
del “consenso”, in CARITAS AMBROSIANA, Comprate e vendute. Una ricerca su tratta e sfruttamento di
donne straniere nel mercato della prostituzione, op. cit., pp. 69-133.
15
frontiera con un documento di viaggio valido in quanto esonerati dall’obbligo del visto
di breve durata. Il loro soggiorno, legale in partenza, diventa tuttavia illegale nel
momento in cui la persona interessata esercita un’attività dipendente o autonoma, non
autorizzata dall’esenzione del visto o dal visto ottenuto.
Infine, in numerosi casi, persone provviste di un valido permesso di soggiorno e
di lavoro si trattengono semplicemente più a lungo del periodo autorizzato o violano in
altro modo le norme sul soggiorno degli stranieri.
Visto il carattere non documentato dell’immigrazione illegale, è difficilissimo
ottenere una valutazione esatta della dimensione del fenomeno e non è, di conseguenza,
nemmeno possibile avere un quadro preciso della misura in cui sono presenti,
nell’Unione Europea e in particolar modo in Italia, le diverse categorie di persone in
soggiorno irregolare. Nondimeno è evidente che qualsiasi azione deve essere rivolta in
modo adeguato a ciascuna di esse.
Una stima può essere derivata soltanto da dati oggettivi che sono collegabili al
fenomeno quali, ad esempio, il numero delle domande d’ingresso rifiutate, di fermi di
migranti clandestini effettuati alla frontiera o nel territorio del paese, di domande di
protezione internazionale respinte, di richieste di regolarizzazione del soggiorno in base
alla legislazione nazionale, di provvedimenti eseguiti di accompagnamento alla
frontiera e di rimpatri forzati.
Secondo stime prodotte da Europol ben 500.000 immigrati illegali farebbero
ingresso nel territorio della UE ogni anno
17
; il dato è talmente significativo da far sì che
l’ultimo decennio del XX secolo sia stato definito, dal punto di vista della storia delle
migrazioni verso l’Europa, come “il decennio delle immigrazioni irregolari”
18
.
Tuttavia, dalla definizione e dalle stime citate scaturisce un’immagine parziale,
che può generare percezioni distorte in quanto, da un lato, bisogna tenere presente che,
in un contesto in cui i pattern migratori circolari sono sempre più diffusi, numerosi
ingressi clandestini sono seguiti da “uscite” non registrate; dall’altro, occorre ricordare
17
COMMISSIONE EUROPEA, Comunicazione al Consiglio e al Parlamento Europeo su una politica comunitaria in
materia di immigrazione, COM(2000) 757 def., Bruxelles, 22.11.2000, p. 12.
18
EUROSTAT, Patterns and Trends in International Migration in Western Europe, studio a cura di J.
SALT, J. CLARK, S. SCHIMDT, Office fo Official Publications of the European Communietes,
Lussemburgo, 2000, p. 8;
16
che, anche nelle fasi di maggior chiusura, l’Europa occidentale nel suo complesso ha
continuato ad essere un importante bacino di immigrazione regolare a vario titolo
19
.
L’ingresso di flussi di immigrati clandestini è un problema che coinvolge in modo
pressante l’Italia che, da tradizionale paese di emigrazione, è divenuta nei decenni scorsi
paese di immigrazione. A ciò occorre aggiungere che i suoi 8.000 chilometri di coste e
la vicinanza alle zone critiche del Mediterraneo ne fanno un canale di accesso
all’Europa particolarmente vulnerabile.
Anche la stima quantitativa degli irregolari in Italia risulta imprecisa e resa ancor
più lacunosa dai continui e vicendevoli interscambi tra la componente degli immigrati
regolari e quella degli irregolari. Infatti i primi diventano irregolari alla scadenza del
permesso di soggiorno, mentre una buona parte degli irregolari viene “regolarizzata” di
volta in volta, grazie ai periodici provvedimenti approvati dal Parlamento italiano (nel
1987, 1990, 1996, 1998 e, in modo indiretto e parziale, nel 2002 con la legge “Bossi-
Fini”).
In ogni modo, dalla regolarizzazione avvenuta nel 1998 si stima che gli irregolari
in Italia sono 250.000, circa 1 immigrato su 7
20
.
19
Asilo e protezione temporanea, ricongiungimenti familiari, immigrazione stagionale, regolarizzazioni,
ingresso a scopo lavorativo su chiamata nominativa, immigrazione studentesca, canali privilegiati per
discendenti di emigranti o per determinati gruppi etnici, quali Aussiedler tedeschi, Greci del Ponto, ecc.
Queste diverse modalità di ammissione si sono combinate diversamente in ciascuno stato membro.
JORDAN B.- STRATH B. – TRIANDAFYLLIDOU A., Contextualising Policy Implementation in Europe, in
“Journal of ethnic and migration studies, n. 2, 2003, pp. 195-224.
20
CARITAS ITALIANA – MIGRANTS, Dossier immigrazione 2003, anterem, Roma 2003.