I
Introduzione
Lo scopo del presente elaborato è quello di fornire un quadro
generale del funzionamento dei sistemi di finanziamento alle
confessioni religiose presenti in tutto il territorio europeo.
L’interesse verso l’argomento è di più stretta attualità
considerando che, con l’allargamento dell’Unione Europea e grazie
alla volontà delle sue istituzioni, si assiste ad una convivenza sempre
più stretta tra diverse culture, costumi e quindi religioni, le cui
caratteristiche possono essere a volte molto dissimili tra loro.
In particolare, l’appartenenza ad uno specifico credo religioso
rappresenta uno dei modi in cui si esprime l’unicità dell’essere umano
ed è per questo motivo che in quasi tutte le Costituzioni dei Paesi
membri dell’Unione, preoccupate di assicurare il libero godimento di
diritti civili, è presente un riferimento alla protezione e alla
promozione della libertà di esprimere l’adesione alla propria fede.
Il tema del finanziamento alle religioni, infatti, si lega
strettamente ai rapporti che gli Stati nel tempo hanno intrattenuto con
le religioni presenti sul proprio territorio: per questo motivo nel primo
capitolo, si evidenzieranno proprio le caratteristiche di tali rapporti,
perché se è vero che esiste un substrato comune di principi, è vero
anche che ciascun Paese Europeo ha alle sue spalle una storia ed
un’evoluzione specifica che inevitabilmente, implica differenze
nell’interpretazione e nell’applicazione di tali concetti.
A questo proposito quindi, si tracceranno brevemente le
caratteristiche dei diversi modelli di relazione tra Stato e Chiese,
partendo dall’unionismo, nelle sue ulteriori distinzioni del
II
cesaropapismo, della teocrazia e del giurisdizionalismo; ci si occuperà
poi del modello separatista e del modello concordatario.
I rapporti Stato-Chiese però, possono essere studiati anche in
base al grado di sottomissione dell’uno rispetto all’altro, per cui si
analizzeranno brevemente anche i sistemi di subordinazione, di
separazione e di coordinazione.
Sarà evidente che ciascun Paese può essere ricondotto ad uno di
tali sistemi, anche se di base tutti aderiscono al principio del pieno
riconoscimento dell’autodeterminazione in materia religiosa, che
stabilisce a sua volta l’illiceità di una qualsiasi diminuzione della
libertà in questa materia, anche in considerazione del rispetto di quei
diritti fondamentali qualificanti l’assetto democratico di una Nazione,
di cui le modalità di manifestazione della religiosità sono espressione.
Se quindi, il compito di uno Stato sociale è quello di
promuovere le libertà individuali e di essere promotore degli ambiti in
cui tali libertà si possono esplicare, garantire e sostenere ,il diritto alla
libertà religiosa significa anche predisporre quanto è necessario per il
sostentamento finanziario degli enti di culto.
Prima però di affrontare specificamente in che modo gli Stati
finanziano le Chiese, ci si soffermerà sulle motivazioni storiche che
hanno determinato tale necessità: si parlerà della legislazione eversiva
del patrimonio ecclesiastico emanata intorno all’Ottocento e delle sue
conseguenze e si esamineranno i metodi di sostentamento del clero,
come l’assegno di congrua.
La trattazione non potrebbe essere considerata esaustiva se non
si considerasse, in particolare nel nostro ordinamento, i principi
costituzionali chiamati a sostenere le motivazioni del finanziamento
statale alle religioni.
III
Anche se non esiste alcuna norma costituzionale specifica a cui
si può collegare direttamente il fondamento del finanziamento alle
Confessioni Religiose, una volta stabilito che il nostro si qualifica
come Stato Sociale, viene evidenziato come uno dei suoi scopi
principali, come stabilito proprio dalla Costituzione Repubblicana, sia
quello della promozione della persona umana, non potendosi
mantenere quindi, indifferente dinanzi alla religione.
Per questo motivo allora, gli articoli che interessano la nostra
trattazione saranno quelli relativi al pieno sviluppo della persona
umana (art. 3, 2° comma, Cost.), al progresso spirituale della società
(art. 4, 2° comma, Cost.) alla tutela della libertà religiosa (art. 19
Cost.), alla distinzione degli ordini (art. 7 Cost.), all’autonomia
confessionale (art. 8 Cost.) ed ovviamente, quelli di più stretto
interesse finanziario (artt. 20-23-53 Cost.).
Proprio perché la nostra Costituzione stabilisce che il sistema di
finanziamento alle Confessioni Religiose non deve creare un rapporto
privilegiato con alcuna di esse, nel tempo sono stati stipulati diversi
accordi e intese, con le quali le Confessioni Religiose riconosciute
hanno potuto usufruire dei sistemi di sostentamento finanziario
presenti nella nostra legislazione: al termine del primo capitolo si
elencheranno inoltre le religioni che hanno sottoscritto tali intese con
lo Stato Italiano e le Leggi che le regolano.
Il secondo capitolo sarà dedicato interamente alle tipologie di
finanziamento con particolare riguardo alla religione cattolica, per due
ordini di motivi: prima di tutto, perché attualmente la più diffusa sul
nostro territorio, in secondo luogo, perché più strettamente legata alle
vicende storiche della nostra Nazione.
IV
Si tenterà così di effettuare proprio una ricognizione storica dei
modelli di sostentamento del clero cattolico: si tratterà pure il sistema
beneficiale-congruale, evidenziandone le caratteristiche e lo sviluppo
nel corso del tempo, cercando le disfunzioni ed evidenziando il suo
superamento.
In realtà nei secoli si sono avvicendate diverse leggi che hanno
cercato una soluzione al problema del sostentamento della Chiesa: a
partire dal Regio Decreto del 7 luglio 1866 n. 3036 che fondò il
cosiddetto “Fondo per il culto”; la successiva legge sulle Guarentigie
del 1871 confermò il sistema di sostentamento del clero già in vigore;
fino ad arrivare al Regio Decreto Legge 2 Febbraio 1922, n. 164,
contenente provvedimenti economici a favore di varie categorie del
clero e ai Patti Lateranensi del 1929.
La vera svolta però, si è avuta in tempi molto più recenti con la
Legge n. 222 del 1985 di revisione proprio del Concordato
Lateranense, alla cui elaborazione hanno partecipato sia esponenti del
mondo ecclesiastico sia personalità provenienti dal mondo civile:
dall’elaborazione e sintesi delle diverse esigenze si ottenne infatti, che
la configurazione dei rapporti italo-vaticani sarebbe stata quella basata
sulla concezione di un Paese democratico che riconosce i valori etico-
sociali e per questo protegge la cultura pastorale che su tali valori è
fondata.
Le innovazioni della Legge n. 222/1985 allora, riguardano la
possibilità per gli enti religiosi di poter accedere a forme di
finanziamento diretto e indiretto.
In particolare allora, verrà tracciato il sistema dell’otto per
mille, le offerte deducibili, altre forme di finanziamento come ad
V
esempio, i buoni scuola e le agevolazioni tributarie tra cui l’esenzione
ICI (oggi IMU).
In particolare, il sistema dell’otto per mille prevede che lo Stato
versi in favore della Conferenza Episcopale Italiana (CEI) ogni anno,
una quota pari all’otto per mille delle entrate tributarie dell’Imposta
sui Redditi delle Persone Fisiche (IRPEF) e che la quota può essere
ripartita tra la Chiesa e lo Stato in base alle scelte che i cittadini
indicano in fase di dichiarazione di redditi: la legge inoltre, indica
quali debbano essere le destinazioni degli importi ottenuti attraverso
tale sistema.
Una volta delineato il funzionamento del modello di
finanziamento appena citato però, ci si soffermerà anche sull’acceso
dibattito che ha investito il mondo dottrinale sui reali effetti della
riforma della 222 del 1985.
In particolare, si riporteranno le tesi sia dei sostenitori della
legge n. 222/1985, secondo i quali il diritto alla libertà religiosa in
forma sia individuale che associata rientra certamente nei diritti
fondamentali dei cittadini e per realizzare tali libertà la Repubblica ha
il dovere di rimuovere quegli ostacoli, economici e sociali, che
possano in qualche modo limitare il loro esercizio(art 3 comma 2 della
Cost.); sia dei commentatori più critici secondo cui la legge in
questione detta una disciplina di favore per la religione cattolica ed
inoltre con il sistema delle “scelte non espresse”, sembrerebbe
contraddire il principio di volontarietà che dovrebbe essere uno dei
criteri ispiratori della riforma, perché il cittadino in realtà, non avrebbe
la reale libertà di destinare o meno la quota del proprio imponibile, ma
avrebbe solo la possibilità si scegliere a “chi” destinare tale parte.
VI
Il secondo capitolo poi, continuerà con l’esposizione dei
finanziamenti indiretti, le offerte deducibili grazie alle quali i
contribuenti possono dedurre dal proprio reddito complessivo quelle
quote destinate all’Istituto centrale per il sostentamento del clero della
Chiesa cattolica italiana, per un valore massimo che oggi è pari a
1.032.91 euro; un sistema in espansione, che è stato ampliato in modo
da poter essere utilizzato anche per il finanziamento di altre religioni.
Si effettuerà inoltre, una disamina anche di altre forme di
finanziamento che vanno dai buoni scuola, già citati, alla destinazione
del 5 per mille: a queste tipologie di erogazioni accedono anche
diverse altre religioni che, proprio in virtù della legge n. 222/1985,
hanno rivisto le intese con lo Stato già sottoscritte in passato,in modo
da poter rientrare nei beneficiari di tali interventi(nel riparto
proporzionale alle scelte fatte delle scelte non fatte).
Un discorso a parte poi, merita l’argomento delle agevolazioni
tributarie, rappresentate essenzialmente dall’esenzione dal pagamento
dell’imposta sugli immobili per gli edifici appartenenti alle chiese, la
cosiddetta ICI oggi IMU.
Una volta esaminato il funzionamento e i requisiti necessari
affinché si possa godere dell’esenzione, verranno inoltre proposti gli
spunti critici della Dottrina maggioritaria e minoritaria,che questa
misura ha suscitato in Italia; verranno riportate pure alcune sentenze
della Corte di Cassazione in merito; citate le leggi che avrebbero
dovuto chiarire la questione e che invece sono sembrate renderla più
confusa (nello specifico la legge 2 dicembre 2005 n. 248 e il decreto
legge 4 luglio 2006 n. 223); si considereranno inoltre, i rilievi
effettuati dalla Commissione Europea con la procedura di infrazione
aperta nei confronti del nostro Paese, chiusasi solo nel 2010.