II
fallimentare, ma nella prassi hanno adottato parametri
del tutto nuovi (es. organizzazione aziendale), affinché si
potesse parlare di PMI anche dal punto di vista delle
agevolazioni. Tra l’altro la disciplina delle PMI è stata
oggetto di studio con riferimento alle s.r.l. che, sono state
considerate tanto dal legislatore che dalla dottrina, come
tipo preferibile per la piccola e media impresa,
soprattutto, ora, che con la recente riforma del diritto
societario, alle s.r.l. sarà reso possibile, emettere titoli di
debito come fonte di autofinanziamento, anziché
ricorrere a finanziamenti esterni. Oggi, il problema della
definizione è stato superato, grazie al cospicuo intervento
della Comunità europea che, avvertendo l’esigenza di
dover uniformare le legislazioni nazionali dei Paesi
membri ai principi comunitari, ha indicato
specificamente i parametri quantitativi per individuare e
definire la piccola e media impresa ai fini dei
finanziamenti emessi dalla medesima Comunità. Si tratta
di una normativa unitaria affinché possa essere garantita
maggiore unitarietà e coordinamento dell’azione
comunitaria all’interno dei Paesi membri.
Il terzo capitolo tratta degli interventi nazionali nel
Mezzogiorno, il primo dei quali è la creazione della
Cassa per il Mezzogiorno, ente preposto ad una mera
funzione esecutiva per la gestione di risorse finalizzate
alla realizzazione di interventi straordinari ed aggiuntivi
rispetto all’intervento ordinario del Governo italiano. La
Cassa, svolgerà il proprio compito fino alla metà degli
anni ottanta; differenti sono stati i giudizi sull’operato
della Cassa, la maggior parte dei quali negativi, basati
non solo su un’acclarata inefficienza e distorsiva
amministrazione delle risorse affidate all’istituto,
III
particolarmente nella seconda fase di vita dell’Ente.
L’intervento nel Mezzogiorno subirà una sostanziale
riforma, per la prima volta, con la l. n. 64/86. Essa
prevede un nuovo tipo di intervento, basato su una
programmazione cui vengono coinvolti, ai diversi livelli,
i diretti interessati, attraverso un ipotizzato
coordinamento tra governo centrale ed autorità locali,
con la previsione di “conservare e garantire” ad ognuno
il rispetto delle proprie funzioni. Tale forma d’intervento
sarà l’ultima a carattere straordinario, poiché nel’92 il
Parlamento approva la Legge 19 dicembre 1992, n.488,
di conversione del D.L. n.415/92, che abroga l’intervento
straordinario nel Mezzogiorno, ed imposta una nuova
politica per le “aree depresse”. Caratteristica della nuova
legge, infatti, è il collegamento alle regole dell’UE, tanto
che gli elementi di base della materia vengono definite
da norme e direttive comunitarie, recepite dal nostro
ordinamento. Si provvede, quindi, all’abrogazione di tutti
quegli enti che caratterizzavano l’intervento
straordinario, e al trasferimento delle loro competenze
alle amministrazioni ordinarie. Inoltre, l’intervento non
sarà più destinato alle aree del Mezzogiorno, ma, per la
prima volta, il territorio interessato agli incentivi è
delimitato dalle “aree depresse”, con le quali, proprio in
recepimento della normativa comunitaria, vengono
comprese, seppure con intensità di aiuti differenziati, sia
le zone del Mezzogiorno, ma anche quelle zone del
Centro-Nord d’Italia ricadenti nella summenzionata
definizione, ma che a detta di molti non avrebbero diritto
a godere dei finanziamenti previsti dalla 488/92.
Oggi, con la riforma del V titolo della Costituzione,
seguita al dlgs. n.123/98 che, detta disposizioni per la
IV
razionalizzazione degli interventi di sostegno pubblico
alle imprese, tutti i provvedimenti a carattere agevolativo
rientrano nelle competenze delle Regioni, la sola legge di
carattere nazionale rimane, appunto, la 488/92 che,
inoltre, ha ridisegnato i parametri di individuazione delle
PMI uniformandosi alla legislazione comunitaria. Il
presente lavoro continua con lo studio della legislazione
della politica comunitaria in materia di finanziamenti alle
PMI. Si apre con un esame del concetto di “coesione
economica e sociale”, e di ciò che esso rappresenta, in
modo da dare, in termini evolutivi della disciplina dei
fondi strutturali, una visione chiara e completa di quello
che è il quadro normativo-giuridico che giustifica il ruolo
delle politiche strutturali nella Comunità. All’interno di
tale contesto si parla dei Fondi strutturali e dei
finanziamenti che la Comunità devolve attraverso la loro
creazione, si parla della loro funzione, come strumento di
sviluppo, di integrazione e di coordinamento della
politica comunitaria con quella nazionale e locale. Ma,
una corretta ed efficace politica di sostegno allo sviluppo
economico attraverso l’erogazione d’incentivi, per
svilupparsi necessita di adeguati controlli sulle modalità
di allocazione dei benefici, ma anche sulle effettive
ricadute in termini fisici degli stessi. Anche per questo,
una parte dello studio è dedicata al controllo posto in
essere dagli organi comunitari, affinché vi possa essere
uno sviluppo vero ed ordinato tanto delle singole imprese
quanto dei Paesi membri.
Il lavoro si conclude, con uno sguardo all’imminente
futuro, la riforma del diritto societario che, una volta
approvata dal Parlamento, renderà più autonoma la
società a responsabilità limitata, sia dal punto di vista
V
statutario che dal punto di vista finanziario. In effetti, il
disegno di legge delega, prevede un complesso di norme
modellato sulle esigenze delle imprese a ristretta
compagine sociale, cercando di limitare il rinvio alle
norme di altri modelli societari, e riconoscendo libertà di
autorganizzazione. Ma, acquista particolare importanza
per le s.r.l., la disciplina legale che riconosce la facoltà
alle stesse di emettere e collocare titoli di debito, anche
cartolarizzati, tipici o atipici: è invece posto già
espressamente nel disegno di riforma il divieto di appello
diretto al pubblico risparmio, con esclusione di ogni
operazione di sollecitazione all’investimento nel capitale
di rischio.
1
Capitolo primo
Gli interventi a favore del
Mezzogiorno.
1.1 Introduzione.
Il problema del Mezzogiorno trae le sue ragioni da un
complesso di situazioni storico-politiche stratificatesi nei
secoli: esso ebbe tuttavia un’impostazione sistematica
soltanto nel periodo successivo all’unificazione dello
Stato e formò oggetto di attente analisi. La rivalutazione
del problema fatta successivamente alle due guerre
mondiali, lo ha posto nella luce sua propria, riportandolo
alle gravi deficienze di struttura dell’economia e della
società meridionale: raffrontato con quello del Centro-
Nord del Paese, il sistema economico del Mezzogiorno
apparve caratterizzato dalla scarsa incidenza, nella
formazione del reddito, delle attività industriali. Tale
situazione non poteva non riflettersi sulla fisionomia
delle comunità meridionali caratterizzate da una grande
disgregazione sociale, derivante dal contrasto tra una
borghesia terriera, sempre più tendente a distaccarsi dalla
terra, alla ricerca di altre occupazioni di sostegno, e dalla
grande massa di contadini, sprovvisti o inadeguatamente
provvisti di terra
1
: non fu possibile quindi realizzare la
coesione tra questi gruppi, anche per la mancanza di
1
Petino P., Annali del Mezzogiorno, a cura
dell’Università di Catania, vol.1, 1967 pag. 7 e
seguenti. Ciasca R., Il problema del Mezzogiorno come
fondamentale problema italiano vol.2 pag.1 e segg.
(Studi e testi della Cassa per il Mezzogiorno)
2
”corpi intermedi” che fungessero da coagulo delle due
componenti. Tutto ciò rese sempre più acuto il contrasto
con la struttura economica e sociale delle Regioni del
Centro-Nord che, mostravano una tendenza al continuo
sviluppo, attraverso l’industrializzazione, il migliora-
mento delle colture agricole, l’incremento dei traffici,
l’aumento del benessere e del tenore di vita.
Così che si era venuta determinando e sempre più
consolidando quella struttura dualistica dell’economia
del Paese, caratterizzata dall’esistenza di due aree con
caratteristiche, ritmi di produzione e redditi del tutto
diversi; con ovvi riflessi di ordine civile, economico,
sociale e culturale
2
.
Il rilevante divario economico esistente tra Nord e Sud
apparve dunque come uno dei più gravi problemi del
nuovo Stato unitario; la storia della legislazione, riferita
al Mezzogiorno, s’identifica con i tentativi posti in essere
con specifici provvedimenti legislativi diretti a
rimuovere le condizioni di arretratezza dell’area
meridionale. Tale legislazione è stata sempre informata
alla logica della “ specialità” o, secondo una più diffusa
ed evocativa espressione, della “straordinarietà”
dell’intervento previsto a favore dei territori del
Meridione e delle Isole. Essa, inoltre, è anche sempre
stata sostanzialmente condizionata dai contingenti
orientamenti impressi alle politiche economiche sociali
generali. Questi caratteri sono già riscontrabili nei primi,
disarticolati provvedimenti adottati subito dopo l’unità
d’Italia ed assumono piena evidenza nel secondo
2
Saraceno P.,La mancata unificazione economica italiana
a cento anni dall’unificazione politica, vol.6, 1961,
pag.692 e segg.
3
dopoguerra.
3
È proprio in questo periodo, fin dalla fase
della ricostruzione postbellica, che viene ad affermarsi
esplicitamente l’esigenza di ricorrere a politiche speciali
e di istituire specifici organismi al fine di risolvere i
problemi posti dal dualismo socio-econimico tra il Nord
e il Sud del paese manifestatosi ed accentuatosi a seguito
del processo di unificazione nazionale.
All’indomani della seconda guerra mondiale, il problema
del sottosviluppo meridionale apparve come problema di
urgenza immediata. Le condizioni precarie
dell’agricoltura meridionale, caratterizzata da una
pressione demografica eccessiva rispetto alla povertà
delle risorse, l’aggravarsi della situazione, in seguito
all’interruzione dei flussi migratori a causa della guerra,
la carenza di attività produttive moderne capaci di
assorbire gli esuberi della popolazione disoccupata,
rappresentavano non solo un caso patologico sotto il
profilo economico-sociale, ma anche una situazione
tendenzialmente esplosiva, che rischiava di mettere a
repentaglio l’ordine pubblico. Fin dall’immediato
dopoguerra, erano cominciati i primi grandi scioperi di
braccianti e le prime occupazioni di terre da parte dei
contadini
4
. Se da un lato qualche forma di intervento si
imponeva, se non altro per la tutela dell’ordine costituito,
la natura specifica degli interventi non era di facile
individuazione. La possibilità di sviluppare nel
3
Villari R. Il Sud nella storia d’Italia.Antologia
della Questione meridionale, Bari, 1975. Del Monte, A.,
Giannola, A., Il Mezzogiorno nell’economia italiana,
Bologna, 1978.
4
Eckaus R.S., L’esistenza di differenze economiche tra
Nord e Sud d’Italia al tempo dell’unificazione, in
“Moneta e Credito”, 1960 pagg. 75.
4
Mezzogiorno un settore industriale che gradualmente
assorbisse l’eccesso di manodopera contadina, era
considerata con grande scetticismo, per motivi diversi,
ma sempre tali da far apparire fuori di luogo una politica
di industrializzazione accelerata delle regioni
meridionali. Negli anni della ricostruzione, l’industria
delle regioni settentrionali doveva affrontare problemi
non lievi di recupero e di riconversione. Le prospettive di
ripresa erano allora assai incerte; sembrava allora che se
la struttura produttiva del paese avesse superato i
problemi della ricostruzione, si sarebbe al più raggiunta
una situazione simile a quella prebellica quando
l’industria italiana presentava una struttura debole,
sostenuta da robuste protezioni, e caratterizzata da un
tasso di crescita molto ridotto. In questo clima, e con
queste prospettive, quando anche la possibilità di
ricostituire il sistema industriale delle regioni meridionali
era oggetto di discussioni, l’idea di estendere il processo
di industrializzazione anche alle regioni meridionali
appariva del tutto fuori di luogo
5
. Questa prospettiva
negativa per lo sviluppo del Mezzogiorno era destinata a
consolidarsi negli anni successivi nel corso del miracolo
economico. L’Italia era fin d’allora impegnata in una
progressiva integrazione economica con gli altri paesi
europei, e pareva che tutti gli sforzi dovessero essere
concentrati nell’acquisire un grado di efficienza e di
competitività sempre più elevato, al fine di consentire
l’affermazione dell’industria italiana sui mercati
internazionali. Pareva allora chiaro che questa lotta per la
5
Graziani A., Il problema del Mezzogiorno, in
“L’economia italiana, 1945-1970”, Il Mulino, Bologna,
1972, pagg.53.
5
conquista dei mercati esteri dovesse essere combattuta in
primo luogo dall’industria delle regioni settentrionali,
che, per tradizioni ormai rispettabili e per i successi già
riportati, dava affidamento di riuscire vittoriosa;
sembrava, viceversa, altrettanto sicuro che se si fosse
tentato uno sviluppo industriale nel Mezzogiorno, la
nuova industria del Sud non avrebbe retto alla
concorrenza dei mercati esteri. Una volta scartata
l’ipotesi di attuare nel Mezzogiorno una politica
d’industrializzazione vera e propria, non restava altra
soluzione che quella di intervenire con una politica di
opere pubbliche destinata a consolidare le infrastrutture
civili, a rafforzare il settore agricolo, a favorire lo
sviluppo del turismo, ed eventualmente a predisporre il
terreno per quegli insediamenti industriali che si fossero
spontaneamente sviluppati
6
. Su queste basi, fu possibile
coalizzare un accordo politico. Interventi basati sulle
opere pubbliche riscuotevano, infatti, il consenso delle
regioni settentrionali, in quanto accrescevano la capacità
di acquisto del Mezzogiorno senza svilupparne la
capacità di produzione, almeno in via immediata; e
riscuotevano l’approvazione delle regioni meridionali, in
quanto ne risollevavano il reddito, davano un impulso
all’industria locale delle costruzioni, fornivano qualche
occasione di lavoro per la manodopera non qualificata, e
in definitiva consolidavano il potere delle
amministrazioni locali attraverso le quali il flusso di
spesa pubblica era destinato a passare. Ma si tratterà solo
di provvedimenti straordinari, in gran parte determinati
da necessità contingenti, per rimediare alle più
6
Graziani, Il problema del Mezzogiorno, in “L’economia
italiana, 1945-1970”, cit., pag.68.
6
elementari insufficienze amministrative, tecniche,
finanziarie, civili ed organizzative. Soltanto nel 1950 il
problema fu visto con carattere di organicità e fu
elaborata la legge che impegnava lo Stato italiano ad
affrontare sul terreno dell’economia la “questione
meridionale”, con un primo tentativo di evasione dallo
schema tradizionale dell’intervento rivolto in modo
frammentario alle più palesi insufficienze locali nel
campo delle opere pubbliche. Questa volta si
affrontavano le necessità del Mezzogiorno come un tutto,
come una vasta Regione tutta bisognosa di essere
reinserita nel circuito economico del Paese
7
. Si può
affermare che in tale periodo si prese piena coscienza del
carattere “dualistico” dell’economia italiana, per cui un
terzo del Paese ristagnava in forme di economia arretrata,
mentre le Regioni più vicine ai centri, continuavano a
progredire. Il primo “grande intervento” è da registrare,
quindi, solo nel 1950 con il disegno di legge 17-3-1950
(n.1170) preso dal Governo presieduto dall’On. De
Gasperi, nella cui relazione si affermava: “L’esigenza di
creare le condizioni necessarie perché l’annosa questione
meridionale trovi modo di avviarsi verso una soluzione
definitiva, suscettibile di ulteriori naturali sviluppi,
comporta un’impostazione di insieme che deve derivare
da un impegno globale pluriennale dello Stato, capace di
consentire più ampio respiro nella programmazione delle
opere e nel coordinamento dei singoli progetti. Pertanto
il presente disegno di legge prevede che siano eseguite
opere per un importo complessivo di 1000 miliardi. Solo
7
Eckaus, L’esistenza di differenze economiche tra Nord
e Sud d’Italia al tempo dell’unificazione, cit.,
pag.82.
7
attraverso un impegno preciso e determinato nel suo
ammontare può darsi vita ad un efficiente e coordinato
programma d’opere, evitando una frammentaria
programmazione, inadeguata a risolvere così gravi
problemi e una discontinuità di realizzazione”.
8
Nella
stessa relazione, dopo essersi posto in rilievo che per
l’effettiva disponibilità di così ingente somma sarebbe
occorso tanto tempo da rendere l’esecuzione del
programma discontinua, irrazionale e dispendiosa, si
rilevava la necessità di predisporre un meccanismo in
grado di integrare le disponibilità di bilancio attingendo
al mercato del risparmio; in effetti, proprio con tale
disegno che verrà istituita la Cassa per il Mezzogiorno,
quale ente di diritto pubblico, che, pur nella sua
autonomia si struttura e di funzione, opererà “con
riguardo alla sostanziale disciplina legislativa nei vari
settori nei quali essa svolgerà i suoi programmi.”
9
. Altri
provvedimenti che risalgono a tale periodo hanno per
oggetto l’introduzione del credito agevolato (legge 11-4-
1953, n.298). Nel 1957, nel tentativo di concentrare gli
sforzi nelle zone più promettenti, si autorizzò la
costituzione di Consorzi locali per la creazione do aree e
di nuclei di industrializzazione (legge 30-7-1957, n.634).
Vaste innovazioni all’intera legislazione vennero
apportate nel 1965 (legge 26-6-1965, n.717). La massa di
disposizioni accumulatesi nel corso di un quindicennio
venne, infine, raccolta e coordinata in un Testo Unico
delle leggi sul Mezzogiorno, approvato con decreto del
8
“Provvedimenti per il Mezzogiorno”, in “Nuovissimo
Digesto”, pag. 653-654.
9
“Provvedimenti per il Mezzogiorno”, in “Nuovissimo
Digesto”, pag. 655.
8
30-6-1965, n. 1523
10
. Si potrebbe affermare che gli
interventi nel Mezzogiorno si orientarono lungo due
direttrici: da un lato, la politica delle infrastrutture
provvedeva a creare le premesse per l’attività industriale,
dall’altro l’insieme delle agevolazioni cercava di
stimolare l’iniziativa privata, locale o esterna. Si trattava
quindi di misure indirette, destinate ad entrare in
funzione quando si fosse trovato un imprenditore dotato
di capacità ed iniziative sufficienti per avviare una nuova
attività produttiva, o per trasferirsi dal Nord al Sud. Tutte
le misure prese per arricchire la politica di
industrializzazione ebbero sempre in comune questo
carattere di misure indirette volte a facilitare
l’investimento, a renderlo più agevole e meno rischioso,
ma sempre basate sull’idea che l’attività industriale
dovesse essere in prevalenza esercitata dall’iniziativa
privata, e che lo Stato dovesse limitarsi a premiare gli
imprenditori meritevoli, evitando, di sostituirsi ad essi
11
.
All’inizio, la politica industriale per il Mezzogiorno fu
ispirata, a quanto si faceva nel settore agricolo,
all’obiettivo della piena occupazione. Gli incentivi
finanziari vennero riservati alle imprese di minore
dimensione con l’intento specifico di facilitare la
formazione di una rete di imprese piccole e medie, che
contribuissero ad accrescere l’occupazione industriale. In
linea di principio, tutte le iniziative maggiori, quelle che
superassero i sei miliardi di investimento iniziale,
dovevano essere escluse da ogni sussidio finanziario.
Questo criterio venne gradualmente abbandonato, infatti,
10
Annesi M., Le leggi sul Mezzogiorno, Roma, 1969.
11
Saraceno P., Il periodo della ricostruzione (1945-
1950), in “L’economia italiana, 1945-1970” Il Mulino,
Bologna, 1972, pag. 99.
9
attraverso un processo di lenta evoluzione, lo spazio
lasciato alle imprese maggiori divenne sempre più
ampio. Fu così che, per ottenere alcuni investimenti
industriali su vasta scala, fu necessario accordare alle
imprese maggiori gli stessi incentivi concessi alle minori.
La prassi iniziò con la concessione di sussidi finanziari in
via eccezionale e in deroga alle norme vigenti, proseguì
con l’instaurazione della contrattazione programmatica, e
sboccò con il pieno riconoscimento legislativo, attuato
nell’ottobre del 1971.
12
Gli investimenti di grandi
dimensioni che vennero realizzati in questo quadro sono
diversi: si assiste alla nascita dell’Italsider di Taranto, cui
più tardi si aggiunge l’impianto Alfa-Sud di Somigliano
d’Arco; il settore privato contribuì con la raffineria
Sincat di Siracusa, con l’impianto petrolchimico di
Montecatini di Brindisi, e con numerose altre iniziative
minori.La struttura industriale che questo insieme di
interventi andava creando nel Mezzogiorno sarà causa
della creazione di due tipi di imprese: o grandi imprese
nazionali, che disponevano già dei propri canali
commerciali e della propria rete di pubblicità, o imprese
di piccole dimensioni, prive di un’adeguata
organizzazione di vendita, confinate entro il mercato
locale, e anche nell’ambito di questo, esposte
pericolosamente alla concorrenza di imprese esterne più
agguerrite. Non poche di queste imprese sembrano
dipendere per la loro sopravvivenza dalla
somministrazione di aiuti e sussidi di vario genere, il che
le lega inevitabilmente ai gruppi politici locali che di
12
Amatori F., “Le grandi imprese private: famiglie e
coalizioni”, in Storia del capitalismo italiano,
Donzelli Editore, Roma, 1997, pag. 118.
10
ogni forma di incentivi diventano gli amministratori
esclusivi. Quindi, da quanto precede, si evince in modo
chiaro come lo studio dei provvedimenti per il
Mezzogiorno, a causa dell’impatto prodotto sugli assetti
economico-sociali, ripropone tutte le problematiche
teoriche e giuridiche poste dai rapporti tra Stato e
mercato e dalle politiche di sviluppo regionale nel
complessivo ambito dell’attività finanziaria pubblica.
Esso solleva numerosi ed importanti interrogativi sui più
opportuni ed efficaci strumenti tecnici e giuridici, nonché
sulla più idonea ed efficiente struttura burocratico-
amministrativa per conseguire una maggiore e
territorialmente equilibrata crescita. Si tratta di problemi
che, in dipendenza delle soluzioni raggiunte,
condizionano l’individuazione dei criteri delle norme
finanziarie, nonché la scelta tra procedure ordinarie e
straordinarie, incidendo pure sull’interpretazione dei
principi ed istituti costituzionali
13
. Quindi uno studio
della normativa è necessario non solo per valutare
l’efficacia degli strumenti prescelti, ma soprattutto per
poter meglio definire l’effettiva natura giuridica
dell’intervento nel Mezzogiorno. In particolare, appare
utile stabilire l’essenzialità o la strumentalità del suo
carattere straordinario, con importanti conseguenze
teoriche e pratiche. Infatti, dal riconoscimento o dalla
negazione di questa caratteristica dipendono una
maggiore o minore rigidità “esegetica” e la possibilità di
sviluppare indirizzi diversi nell’applicazione normativa.
Sono di immediato riscontro la diversità di vincoli ed il
13
Mortati M., Costituzione (Dottrine generali e
Costituzione della Repubblica italiana), in Enc. dir.
XI, Milano, 1962.