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pensato di introdurre l’argomento è stato quello di seguire i filoni
del pensiero spazio-economico ed economico-regionale.
La tesi che si sta presentando si articola in due parti principali :
la prima riguarda i contenuti di carattere più propriamente teorici,
mentre la seconda concerne gli aspetti del caso applicativo.
Il primo capitolo è dedicato a una serie di nozioni introduttive di
carattere generale, in quanto con esso si vogliono fornire gli
strumenti necessari per comprendere il contenuto dei capitoli
successivi, cercando di collocare l’Economia Regionale nel più ampio
contesto delle discipline economiche, nonché di fornire la definizione
di quei concetti e di quei termini che in seguito saranno più
frequentemente utilizzati, fino a giungere ad introdurre le economie di
agglomerazione le quali vanno senza dubbio collocate in una
posizione propedeutica rispetto all’illustrazione non solo dei modelli
di sviluppo regionale, ma anche delle teorie di localizzazione. Inoltre
qui sono illustrati proprio i principali modelli teorici sulla
localizzazione delle attività produttive, che rappresentano uno dei
fondamentali antecedenti teorici sui quali si è sviluppata la scienza
economica regionale.
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Il secondo capitolo si concentra sulla crescita regionale del
Mezzogiorno e della Puglia, procedendo, come una sorta di lente
d’ingrandimento, dagli elementi che orientano i diversi usi del
territorio nello spazio regionale, nonché dagli elementi che
determinano i vantaggi della centralità, per passare poi allo studio
della formazione della città. Nell’ambito di questo capitolo costituisce
base necessaria per lo studio del caso applicativo la presentazione del
territorio del Sud-Est barese e la città di Mola in esso inserita.
Nel terzo capitolo si guarda ai fattori che stanno alla base del
processo di sviluppo economico, il percorso che di solito esso segue
e l’esito finale a cui presumibilmente porta, con le diverse
componenti territoriali in cui si articola un determinato sistema socio-
economico. Giunti a questo punto dell’analisi teorica si arriva al caso
applicativo della città di Mola di Bari con la sua ricca progettualità.
Questa è la parte centrale della presente tesi.
Nell’ambito di questo capitolo, infatti, si mettono a confronto le
azioni intraprese sul territorio in esame al fine di fornire al lettore
un quadro più ampio su Mola di Bari ed i comuni che la
circondano.
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Partendo dalla cronaca d’attualità, si mettono a fuoco le
interrelazioni tra Mola e i Comuni del Sud-Est barese.
Si pone, infine, l’attenzione sugli obiettivi di politica macro-
economica e come vengono affrontati dai policy makers, cioè gli
attori principali delle politiche regionali.
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I° C A P I T O L O
CRESCITA REGIONALE E SVILUPPO LOCALE
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1.1 Teorie di Economia Regionale in breve
L’economia regionale e’ quella branca dell’economia che introduce
nello studio del funzionamento del mercato la variabile ‘spazio’. Con la
pubblicazione nel 1956 negli Stati Uniti del volume “Localizzazione
e spazio economico” di Walter Isard nasce formalmente questa
disciplina che trova in Italia diffusione con il testo tradotto di
Richardson negli anni Settanta.
Essa, pur essendo stata alla base di intuizioni teoriche di Von
Thünen ed altri autori meno conosciuti, in periodi molto lontani nel
tempo, diviene economia del territorio quando si considera lo spazio come
risorsa economica e fattore produttivo autonomo che genera competitività
del sistema produttivo locale. Secondo W. Isard il ritardo nel considerare
lo spazio nelle teorie economiche e’ dovuto a tre fattori:
a) alle analisi temporali della scuola neoclassica;
b) agli strumenti analitici, che non riuscivano a gestire
contemporaneamente spazio e tempo;
c) allo spazio, che esclude le ipotesi di rendimenti costanti e concorrenza
perfetta.
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In effetti, la scienza economica regionale è stata impegnata a
lungo nello studio della “dinamica temporale” dei problemi
economici, come dimostra il successo che ha ottenuto in economia
politica l’analisi marginalista (di Marshall). In seguito, però, gli
economisti si sono resi conto che i problemi economici hanno altresì
una dimensione spaziale e, pertanto, si è incominciato a studiare
anche la “dinamica spaziale” dell’attività economica. “Lo spazio
economico è stato definito come l’insieme delle relazioni, funzionali
e gerarchiche, tendenti a determinare la divisione del lavoro tra le
diverse unità territoriali che compongono lo spazio geografico. Le
relazioni di tipo funzionale sono quelle fra soggetti che agiscono sulla
base di criteri tendenzialmente razionali, per raggiungere obiettivi
definiti in condizioni variabili in termini di certezza e di trasparenza
d’informazione. Le relazioni di tipo gerarchico, invece, implicano la
dominazione di un soggetto economico rispetto ad un altro all’interno
delle convenzionali ipotesi che caratterizzano il mercato in condizioni
di concorrenza. L’obiettivo dell’economia regionale è quello di
interpretare l’intreccio tra questi rapporti. Tradizionalmente, scuole di
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pensiero differenti si sono occupate a fondo solo di una o dell’altra
delle due dimensioni indicate”
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.
Le due grandi teorie su cui si basa l’economia regionale sono la “teoria
della localizzazione” e “la teoria della crescita”. La prima, legata ai
rapporti funzionali, si basa su un approccio microeconomico-statico e
spiega la distribuzione delle attività nello spazio fisico-metrico, cioè in
termini di distanza fisica e costi di trasporto. L’impostazione classica
del pensiero economico, in effetti, ha introdotto lo spazio nell’analisi
dell’equilibrio complessivo dell’impresa come distanza fisica e, di
conseguenza, come costo che l’imprenditore deve sostenere se vuole
fruire del vantaggio di utilizzare le materie prime e le risorse naturali
(che sono territorialmente disperse) e, nello stesso tempo, limitare gli
effetti negativi dei rendimenti decrescenti derivanti dalla
concentrazione degli impianti in unico punto nello spazio.
La seconda teoria si può considerare macroeconomica-dinamica ed
utilizza lo spazio uniforme-astratto per la crescita regionale, mentre per lo
sviluppo locale lo spazio diversificato-relazionale. Lo spazio uniforme-
astratto ha condizioni di domanda ( gusti e preferenze dei consumatori ) e
di offerta (dotazione fattoriale, struttura settoriale e produttiva ) ovunque
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Cfr. Camagni(1980)
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identica. Lo spazio diversificato-relazionale ipotizza, invece, l’esistenza di
polarità geograficamente ben precise e di specificità nei rapporti tra
individui e società e territorio. Ne deriva che la crescita regionale riguarda
l’aumento complessivo della produzione di tutti i settori produttivi e del
reddito di tutti i soggetti economici ed ha il pregio di una possibile
idealizzazione analitica del sentiero di sviluppo e l’inevitabile perdita di
informazioni qualitative. Lo sviluppo locale riguarda, invece, il
miglioramento quali-quantitativo del benessere economico della
popolazione e, quindi, anche la stessa distribuzione del reddito ma
soprattutto gli elementi tangibili e intangibili, esogeni o endogeni, che ne
caratterizzano il processo.
Vi sono tre filosofie nell’ambito della crescita regionale:
1) occupazione e reddito nel breve periodo ipotizzando capacità
produttive non utilizzate ed ampie riserve di lavoro;
2) uscita della regione dalla povertà e garanzia di un certo livello di
benessere e di reddito pro-capite agli individui;
3) raggiungimento di elevati livelli di competitività e di innovatività
prolungati nel tempo.
Per quanto riguarda lo sviluppo locale teniamo presente la teoria dei
poli di sviluppo, il ruolo delle imprese multinazionali e la diffusione
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dell’innovazione come variabili esogene, mentre i distretti industriali, i
“milieux”, le “learning regions” come variabili endogene. Queste ultime
rappresentano il cuore dell’economia regionale e grazie ad esse è possibile
abbandonare definitivamente la concezione di sviluppo competitivo per
entrare nell’ottica di uno sviluppo generativo basato sull’uso efficiente e
creativo delle risorse presenti localmente.
Infine, nelle teorie più recenti lo spazio diventa diversificato-
stilizzato, nel quale esistono polarità, ma alle quali è negata una
dimensione territoriale, in quanto stilizzate in semplici punti nello spazio.
La seconda dimensione nella quale si manifestano i rapporti
spaziali, quella della dominazione, è stata indagata per lo più dal
punto di vista storico-istituzionale, nell’ambito di un contesto culturale
di derivazione sostanzialmente marxiana. Da queste indagini è emerso
che i rapporti di potere che si instaurano a livello internazionale,
interregionale ed intraregionale sono connessi a meccanismi di
divisione spaziale del lavoro di tipo imperialistico e gerarchico. Negli
anni ’80 e ’90, si è arrivati ad un tentativo di sintesi fra le due
tradizioni di analisi. Questo deriva dalla volontà di introdurre le
scelte localizzative nel più ampio complesso di decisioni
imprenditoriali di produzione, tanto più di oltrepassare la concezione
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statica dello spazio geografico integrandola in quella di spazio inteso
come insieme di relazioni dinamiche.
1.2 La domanda e l’offerta
Esaminiamo le teorie che, negli anni ’50 e ’60, hanno preso piede
analizzando i meccanismi che permettono ad un sistema di aumentare i
tassi di incremento della produzione, i livelli di reddito pro capite e la
ricchezza e di diminuire i tassi di disoccupazione. L’espansione della
domanda di beni e servizi prodotti a livello locale favorisce, infatti,
l’aumento del reddito e dell’occupazione di una intera area. La domanda
è il motore di sviluppo che si addice bene alle regioni, dove non si
producono tutti i beni necessari e la quantità in eccesso viene esportata: la
crescita di quest’entità territoriale di piccole dimensioni dipende quindi dal
grado di specializzazione della sua struttura produttiva in beni che sul
mercato mondiale trovano di sicuro apprezzamento. In questo
ragionamento, però, è data per scontato la competitività del sistema locale,
raggiungibile solo nel breve periodo. Naturalmente il concetto di spazio che
qui è utilizzato è quello di spazio uniforme-astratto, poiché lo spazio
geografico è ripartito in’regioni’, aree di limitata dimensione fisico