INTRODUZIONE La scelta di approfondire l'aspetto della teoria economica
dell'Isl ā m è stata dettata dalla curiosità di indagare quegli aspetti
“mondani” che la religione di Mu ḥ ammad ha valorizzato attraverso i
suoi insegnamenti e che si configurano come un unione tra il
trascendente e il contingente. Per un arabista con una consolidata
conoscenza dell'islamistica e del diritto musulmano, studiare la
finanza islamica rappresenta una sfida, in primis perchè ci si
confronta con una disciplina di studi, l'economia, a cui si è poco o
nulla avvezzi nei nostri corsi di studio e, in secondo luogo, perchè si
analizza la fattibilità o meno dell'applicazione della religione in
quelle sfere che riguardano la vita quotidiana, come appunto quella
commerciale.
Per gli economisti che ignorano la filosofia islamica,
quest'intersecazione di sacro e “profano” può apparire sconcertante,
ma per chi ha studiato il poliedrico sistema di valori islamico, la
creazione di un sistema economico conforme alla sha `rīa non è
un'anomalia quanto piuttosto un'applicazione congruente dei principi
islamici che non distinguono nettamente la sfera dei rapporti con Dio
da quella dei rapporti tra gli uomini.
Ma nella scelta di dedicarsi allo studio all'economia islamica ha
inciso un altro elemento che esula in parte dalla passione in senso
stretto per la cultura e la civiltà dei paesi che hanno abbracciato la
rivelazione di Allah, e si allinea con l'interesse più ampio che negli
ultimi tempi ha portato studiosi, economisti e politologi a rivalutare i
sistemi economici alternativi (al capitalismo e al socialismo). Infatti,
27
la recente crisi economica globale che ha coinvolto gran parte del
mondo industrializzato, ha imposto l'urgenza di riconsiderare il ruolo
dell'etica nell'economia moderna. Non che il ruolo dell'etica sia
cruciale solo nei sistemi alternativi, sia chiaro: molti hanno
dimenticato che il pensiero liberale classico, che ha avuto come
capostipite il filosofo scozzese Adam Smith, poneva chiaramente al
centro delle sue considerazioni il ruolo dell'etica come elemento
imprescindibile dell'economia liberale.
Il dibattito sulla necessità dell'etica nell'economia non è tuttavia
nuovo: è stato affrontato da economisti come l'indiano Amartya Sen
(premio Nobel 1998) o David Subbarao, mentre in ambiente
musulmano le riflessioni di studiosi come Umer Chapra, Masul
Choudoury e Sayed Naqvi hanno contribuito a riconsiderare il ruolo
dell'etica islamica nelle economie moderne. Si è tentato quindi di
delineare un terzo modello socio-economico a quelli esistenti che
funzionasse “non per sub-sistemi separati (la sfera economica da un
lato, quella etica dall'altro) ma attraverso interconnessioni
significative fra le diverse sfere della vita sociale” 1
Analizzare l'economia islamica può essere sicuramente fatto
attraverso diversi approcci: economico, filosofico, storico, religioso, o
comprenderli tutti. Io ho scelto di applicare le mie conoscenze
impartitemi in ambito accademico congiunte alla personale passione
per la filosofia e per la storia del pensiero economico. Sebbene gli
economisti e gli esperti di finanza abbiano apportato dei contributi
notevolissimi nell'analisi dell'economia e della finanza islamica, io
penso che l'ambito accademico non debba autoescludersi dallo studio
di questo argomento: a tal proposito, è illuminante M. N. Siddiqi
2
quando dice che lo sviluppo dell'economia islamica richiede dei
1 E. PACE, Sociologia dell'Islam, Roma, Carocci, 2004, p. 160
2 SIDDIQI, An Islāmic Approach to Economy, contenuto in: AA.VV., Islām: Source and
Purpose of Knowledge, Proceedings and selected papers of second conference on
Islāmization of knowledge 1402 ah/1982 ac, Herndon, Virginia, U.S.A., International
Institute of Islāmic Thought, 1982.
28
contributi organizzati e istituzionali che solo le università e gli istituti
di più alto livello possono fornire, mentre il progresso fatto fin ora è
stato dovuto maggiormente a sforzi individuali.
Questa tesi di laurea ha tentato un'armonizzazione delle fonti di
cui mi sono avvalsa le quali hanno tenuto conto da un lato, dei
contributi di economisti ed esperti di finanza che operano o in
contesti accademici (specie nelle università nordamericane e di
quelle dei paesi a maggioranza musulmana) o in contesti più
specifici, in enti e istituzioni finanziarie (compreso il Fondo
Monetario Internazionale, la Banca d'Italia, le banche del Sud est
asiatico, società di consulenza islamiche e non); dall'altro lato,
cruciali sono state le fonti di studiosi dell'Islām, esperti soprattutto in
diritto musulmano (come Joseph Schacht e David Santillana) o che si
sono dedicati in particolar modo all'economia (come Al- Ṣ adr).
Incrociare i due tipi di fonti ha portato come risultato a un quadro
d'insieme giuridico, filosofico e storico in cui determinati aspetti
sono stati eviscerati con l'ausilio delle analisi degli specialisti.
I luoghi dove le fonti sono state reperite sono stati principalmente
le biblioteche universitarie e comunali della città di Venezia, in
particolare il dipartimento di studi euroasiatici e la facoltà di
economia di Cà Foscari. Senza dubbio numerosi sono stati i
documenti reperiti attraverso Internet, specialmente i working
paper , gli articoli, le riviste e i report.
La scarsità delle fonti in arabo a cui ho ovviato il più possibile è
motivata da considerazioni intuitive: la lingua della divulgazione
scientifica contemporanea è l'inglese, cosicchè anche gli intellettuali
arabi, pur operanti nei paesi d'appartenenza linguistica, decidono
spesso di utilizzare l'inglese per dare un taglio più scientifico e
universale alla loro ricerca, indispensabile per dare un respiro
29
internazionale alla finanza islamica e sottolinearne l'apertura al
mercato globale.
Il lavoro svolto è diviso in quattro capitoli che seguono un
procedimento deduttivo: il primo capitolo si sforza di costruire
storicamente la filosofia economica islamica attraverso le fonti sacre
e giuridiche e attraverso la critica di eminenti intellettuali
musulmani. Si delineano inoltre gli obiettivi che si pone l'Islām nella
sfera economica e vengono evidenziate le regole e gli obblighi
fondamentali che vigono fino ai giorni nostri.
Successivamente il secondo capitolo illustrerà nel dettaglio la
struttura e le regole dei contratti commerciali più importanti che
furono e sono utilizzati nel commercio e nella finanza islamica.
Il terzo capitolo tratta del funzionamento della banca islamica e in
che misura si differenzia dall'operato del sistema bancario
convenzionale. Verrà trattato inoltre il ruolo dell'arbitrato e dei
consigli consultativi sciaraitici nonché il mercato azionario e le
banche di microcredito.
Infine, il quarto capitolo affronterà il sistema delle assicurazioni
islamiche detto tak ā ful e quali vantaggi può fornire lo sviluppo delle
assicurazioni per il comune utente e per le istituzioni.
Le conclusioni trarranno le somme di tutto il lavoro, evidenziando i
pro e i contro della finanza islamica, i vantaggi e gli svantaggi che
offre e le soluzioni per migliorare.
Il mio lavoro, in definitiva, è indirizzato sia agli studenti e ai
ricercatori che intendano approfondire un elemento della cultura
musulmana poco visitato rispetto a quello letterario, storico e
30
filosofico, nonché a tutti gli studiosi di economia e a coloro che
operano nel settore bancario, assicurativo e finanziario in generale
interessati ad acquisire determinate conoscenze per aprirsi ad altri
mercati o a rivolgere i loro servizi alla componente musulmana che
vive nei paesi d'immigrazione come il nostro.
Venezia, 28 Settembre 2011
31
CAPITOLO I IL SISTEMA ECONOMICO ISLAMI CO 1.1. Iqtiṣād, ovvero tadb ī r al-manzil
Il pensiero economico nella tradizione islamica si caratterizza per
un forte contenuto morale ed etico in cui la giustizia (` adl ) riveste un
ruolo preponderante che necessita di essere concretizzato attraverso
la legge ( fiqh ) che istituisce norme e divieti desunti dalle fonti sacre,
allo scopo di regolare ogni transazione secondo i valori islamici.
Giuristi e intellettuali del medioevo, come Ab ū Yū sū f (731-798
d.C.), fanno riferimento nelle loro elucubrazioni a una serie comune
di scopi dell'economia islamica: la soddisfazione delle necessità, la
giustizia, l'efficienza, la crescita e la libertà 3
.
Nell'Islām l'economia si configura non come scienza, non essendo
volta a interpretare gli eventi della vita economica e le leggi che la
governano
4
, bensì come dottrina che si differenzia ulteriormente
dagli altri sistemi economici per la sua impronta dichiaratamente
religiosa
5
. Affrontare l'argomento dell'economia e la finanza islamica
moderna non può prescindere quindi dalla conoscenza delle fonti
religiose e giuridiche.
Consultando l'Enciclopedia dell'Islām non troviamo il termine
arabo per “economia”, ovvero iqtiṣād, al cui concetto però rimanda la
3 SIDDIQI, op.cit ., p. 166.
4 M. B. AL-SADR, Iqtiṣādunā: our economics , Teheran, World Organization for Islamic
Services, 1994, traduzione inglese dell'originale انداصتقا , Beirut, Dar al-Tarrif lil-Matbu'at,
1987, vol. 2, parte 1, p. 6
5 Ivi , vol. 1, parte 2, p.66
32
voce tadb īr al-manzil, letteralmente “amministrazione della casa,
della famiglia”: essa corrisponde a una delle tre suddivisioni della
filosofia pratica nella tradizione ellenistica cioè: etica, politica ed
economia. I filosofi arabi ellenisti, come Ibn S ī nā (980- 1037) , si
rifanno a questa tradizione e i trattati di economia arabi dell'epoca si
basano, direttamente o indirettamente, sull' Oikonomikos del filosofo
neo-pitagorico Brisone (II sec. a.C.), una breve opera che si compone
di quattro capitoli che rappresentano i principali argomenti di
Pseudo-Aristotele: la necessità, l'acquisizione, la preservazione e il
consumo della proprietà (m āl); la gestione degli schiavi; i compiti
della donna nella famiglia e il ruolo dell'uomo e della donna nel
matrimonio; l'educazione dei figli.
1.2. Le fonti della giurisprudenza (Us ū l al-fiqh)
Il diritto commerciale e finanziario è regolato da norme elaborate
dal fiqh ( in arabo “comprensione”), il diritto musulmano che è
l'elaborazione delle norme della shar `ī a , la “via” indicata da Allah nel
Corano al fine di suggerire il giusto comportamento al musulmano,
tanto nella sua dimensione spirituale quanto in quella mondana e i
cui precetti hanno una loro razionale e ben precisa finalità dove nulla
è lasciato a caso .
6
Il fiqh dunque corrisponde alla giurisprudenza e, nella
maggioranza dei trattati, i suoi ambiti di pertinenza vengono
tradizionalmente bipartiti in `ibad ā t gli “atti del culto” che regolano i
rapporti tra gli uomini e Dio nella sfera religiosa, e mu `ā mal ā t ,
ovvero tutto ciò che concerne le transazioni, le proprietà, il diritto di
famiglia, le successioni e il diritto penale.
Le fonti della giurisprudenza ( us ū l al-fiqh ) sono, in ordine di
importanza: il Corano, la rivelazione scritta alla base dell'Islām; la
Sunnat al-N ā bī , il “comportamento”, i detti e gli atti del Profeta
6 Teoria introdotta da giuristi tardi come Shāṭibī (m. 790/1388)
33
Mu ḥ ammad (570-632 d.C.), i suoi assensi e i suoi silenzi; l 'ījm ā` , il
consenso dei dotti musulmani e il qiyās il ragionamento analogico in
base alla casistica.
Le prime due fonti, non potendo coprire tutti i problemi e le
questioni contingenti alla realtà post-coranica, devono essere
integrate dalle altre due con l'ausilio del l'ijtih ā d (dall'arabo,
“sforzo”), ovvero l'uso del ragionamento individuale (anche ijtih ā d al-
rā 'y) o della corretta deduzione di conclusioni dalle fonti sacre e dal
consenso, attraverso l'uso del ragionamento analogico e sistematico.
Più volte nel testo ricorreranno la parole “necessità” e “bene
comune”, in arabo rispettivamente ḍ arū ra e maṣlaḥa. E' utile alla
comprensione approfondire questi due concetti.
Ma appunto perchè le regole esposte nelle fonti non possano
abbracciare tutta la casistica nei luoghi e nei tempi più diversi,
accade che il giurista musulmano non sia più in grado di ricorrervi e
per ciò deve applicare le regole secondo certi criteri: quello della
ḍ arū ra e quello della maṣlaḥa. Il primo è quello stato di necessità che
fa sì che un divieto diventi lecito in situazioni in cui se lo si
rispettasse, causerebbe un male maggiore. Pertanto anche il Corano
e la Sunna per esempio permettono all'affamato di nutrirsi di animali
illeciti o di rubare, o di bere alcool sotto minaccia di morte per la
ragione che lasciarsi morire sarebbe più grave che contravvenire alla
regola; o ancora si legittima il riconoscimento di un sovrano indegno
(fā siq) se la sua mancanza comporta il sorgere di guerre civili.
7
Per simili ragioni, quando sorge il dubbio, il giurista può inoltre
esercitare la regola dell' isti ṣlā h, in arabo “ritenere buono, utile”, il
cui criterio principale è appunto il bene comune maṣlaḥa, intesa
come utilità individuale o utilità collettiva, e quest'ultima prevale
sempre sulla prima.
8
7 D. SANTILLANA, Istituzioni di diritto musulmano malikita con riguardo anche al sistema
sciafiita , voll. I-II, Roma, I.P.O., 1938, pp. 68-69.
8 Ivi, p. 71.
34
Il Corano viene suddiviso in base al tempo e al luogo della
rivelazione in un gruppo di sure più antiche, quelle meccane (610-
622 d.C.), e nel gruppo più recente delle medinesi (622-632 d.C.).
Mentre le prime afferiscono più alla sfera teologica, le seconde
hanno valore prescrittivo e trattano di tematiche attinenti alla realtà
tra cui anche le questioni commerciali. Alcuni dei versetti che
trattano di economia sono delle enunciazioni generali dalle quali
occorre un'integrazione da parte delle altre fonti sacre, come la
Sunna, altre invece hanno un contenuto più dettagliato.
Sulla base dei precetti coranici e della Sunna, notiamo come
l'Islām incoraggi l'attività commerciale e imprenditoriale e denunci
la frode in ogni sua forma come anche il monopolio, l'accumulo
sterile di denaro e lo sfruttamento delle risorse. Ammette la
proprietà privata, pur con dei limiti derivanti dal principio
incontestabile che Allah è padrone di tutte le cose
9
e che dunque, in
questo senso, l'uomo ha un ruolo simile a un custode e un
amministratore della proprietà di Dio.
A differenza del Cristianesimo, l'Isl ā m scoraggia l'ascetismo e il
rifiuto del mondo e invita a godere delle cose buone della terra,
eccetto quelle proibite (come il vino o il maiale).
Ma Dio ha anche creato disparità nella distribuzione delle
ricchezze
10
purtuttavìa comanda la carità ( zak ā t 11
), che è anche uno
dei cinque pilastri dell'Islām
12
.
9 Cor., Sura del limbo, VII:128: E Mosè disse al suo popolo: “Cercate aiuto in Dio e
pazientate, poiché la terra è di Dio ed ei la dà in retaggio a chi vuole dei Suoi servi, e ai
timorati di Dio spetta la Vittoria finale!”; Cor., Sura del ferro, LVII:5: A Lui appartiene il
Regno dei cieli e della terra e a Lui è ricondotta ogni cosa.” Per tutte le citazioni dal
Corano si è fatto riferimento a: A. BAUSANI (tradotto da), Corano, Milano, BUR, 2007.
10Cor., Sura delle Greggi, VI:165: E' Lui che vi ha costituiti eredi dei popoli primi, sulla
terra, e v'ha innalzati per gradi gli uni sugli altri, per provarvi quel ch'Egli vi ha dato...”;
Cor., Sura dell'Ape, XVII:71: e Dio ha fatto alcuni di voi superiori agli altri in ricchezze,
eppure quelli che son stati preferiti non cedono delle ricchezze loro ai loro servi, per
modo che siano in questo uguali. Rifiuterebbero essi infatti il favore divino?
11Di cui si parlerà nel dettaglio più avanti.
12I cinque pilastri dell'Islām, come vengono riuniti in un detto del Profeta, sono: la
professione di unicità di Dio ( ةداهشلا ) ; la preghiera canonica( ةلصلا ); l'elemosina legale ( ةاكزلا )
il digiuno ( موصلا ); il pellegrinaggio ( جحلا ). Per l'obbligo di elemosina, vedi Cor.,, Sura della
Vacca, II:177: “...la vera pietà è quella di chi crede in Dio, e nell'Ultimo Giorno, e negli
Angeli, e nel Libro, e nei Profeti, e dà dei suoi averi per amore di Dio, ai parenti e agli
35
Anche nella Sunna si trovano trattate questioni economiche, dalla
compravendita al mutuo, dal pagamento dei debiti alla donazione e al
testamento.
Sulla base delle fonti principali summenzionate, la shar`īa ha
identificato tre fondamentali divieti che hanno influenzato i contratti
e le operazioni commerciali, cioè il ribā' , gharar e mays īr .
1.3. Il divieto di ribā' لا ءابر Trattando qualsiasi argomento che rientra nell'ambito
dell'economia in senso Islāmico, non si può ignorare il principio
cardine che ha informato tutta la disciplina giuridica dei contratti e
delle obbligazioni e che, in un secondo momento, con la nascita e la
formazione dell' islamic banking, ha influenzato i moderni strumenti
finanziari: stiamo parlando del divieto di rib ā '.
Il termine deriva dalla radice ىبر "aumentare”, “eccedere” e alla III
forma ىبببار "prestare denaro a interesse”
13
. Letteralmente è quindi
traducibile in senso lato con “aumento”, “accrescimento”.
Tradizionalmente reso con “usura”, si estende a ogni attività che
comporti il pagamento di un interesse (con una pluralità di tesi e
dibattiti all'interno della comunità intellettuale e religiosa
musulmana).
Secondo Shacht, il rib ā ', dal punto di vista giuridico, è “un
vantaggio patrimoniale senza corrispettivo, stipulato a favore di una
delle due parti contraenti nello scambio di due prestazioni di natura
pecuniaria, applicabile a beni misurabili e della medesima specie”
14
.
orfani e ai poveri e ai viandanti e ai mendicanti e per riscattar prigionieri, di chi compie
la Preghiera e paga la Decima, chi mantiene le promesse quando le ha fatte...questi sono
i sinceri, questi i timorati di Dio!” 13 Per tutte le traduzioni dall'arabo all'italiano si è fatto riferimento a: R. TRAINI (a cura di),
Vocabolario Arabo-Italiano , Roma, Istituto per l'Oriente, 1999.
14 J. SCHACHT, Introduzione al diritto musulmano , Torino, Edizione della Fondazione
Giovanni Agnelli, 1995, p. 154. I beni fungibili, sono quei beni che “possono essere
indifferentemente sostituiti con altri dello stesso genere per adempiere le obbligazioni che
le hanno a oggetto. L'adempimento dell'obbligazione di dare una quantità di beni fungibili si
verifica soltanto quando si è proceduto alla separazione di detta quantità dalla restante (con
36