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Introduzione
La psicologia dell’età evolutiva, con le sue affascinanti teorie circa le
modalità di sviluppo normale e patologico del bambino e dell’adolescente, è
sicuramente l’insegnamento del mio percorso quinquennale di studi psicologici
che mi ha maggiormente appassionato.
In particolare, la concettualizzazione delle fasi precoci di sviluppo del
bambino, l’attenzione che la disciplina riserva alla qualità dei primissimi scambi
interazionali con la figura di accudimento e le ipotesi circa gli esiti delle diverse
modalità interazionali precoci lungo il corso di vita di una persona, sono tutti
argomenti a mio parere estremamente interessanti, oltre che assai utili sia
nell’ottica delle prevenzione che in quella della cura.
Mi sorprende pertanto il fatto che di tali temi poco si dica e ancora meno
si conosca al di fuori della ristretta cerchia della comunità scientifica.
Quasi mai, ad esempio, mi è capitato di cogliere specifici accenni a tali
argomenti nei programmi divulgativi specificamente rivolti ad offrire consigli
pratici circa la puericultura e l’educazione dei bambini in famiglia, oppure
semplicemente discorrendo con amici e conoscenti e ciò mi sorprende ancor più
pensando che molte tra le più accreditate teorie circa lo sviluppo precoce del
bambino, seppur integrate oggi da concettualizzazioni più recenti e da elementi
mutuati da altre discipline, risalgono quasi tutte agli anni ’70 e ‘80 del secolo
scorso.
Mi riferisco, ad esempio, alla teoria dell’attaccamento di John Bowlby ed
alle ipotesi formulate negli stessi anni da studiosi come Bion, Khan, Stern,
Fonagy, tutte incentrate, seppur con differenze dovute alle rispettive
impostazioni, sull’importanza della precoce regolazione reciproca tra caregiver e
bambino ai fini di uno sviluppo ottimale di quest’ultimo.
Fatta questa breve premessa, tesa a sottolineare il mio specifico interesse
per la materia, quando si è trattato di circoscrivere l’area disciplinare all’interno
della quale avrei desiderato scrivere la mia Tesi di Laurea, non ho esitato ad
esprimere una chiara preferenza per il tema della psicologia dell’età evolutiva ed
ho subito aderito alla proposta della mia Relatrice di affrontare lo specifico tema
del trauma nella prospettiva della Developmental Psychopathology, anche se sin
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dall’inizio ho ben compreso che mi avrebbe atteso un compito estremamente
sfidante.
Gli esiti delle ricerche sperimentali della citata prospettiva, infatti, sono
per la maggior parte documentati in articoli redatti in lingua inglese e pubblicati
esclusivamente su riviste scientifiche statunitensi.
Nonostante ciò, confortato dalla mia ottima conoscenza della lingua e
stimolato dall’opportunità di approfondire una tematica in gran parte nuova
rispetto a quanto studiato nel mio iter scolastico, ho deciso di accettare tale sfida
e di provare a fare del mio meglio per portare a termine un lavoro di buona
qualità.
Anche se non è compito mio esprimere giudizi in tal senso, credo che un
rapido sguardo alla bibliografia della mia Tesi sia sufficiente a rendere l’idea
dello sforzo compiuto per reperire, organizzare, tradurre e riportare nella maniera
più corretta possibile, per quanto nelle mie capacità, gli esiti degli studi in
questione.
Ad ogni modo, per completezza di descrizione, sottolineo che la struttura
della mia Tesi, seppur incentrata principalmente sulla discussione del tema del
trauma evolutivo secondo la prospettiva teorica e sperimentale della
Developmental Psychopathology, non si limita a questo e include anche sezioni
dedicate ad altri aspetti dell’espressione traumatica in età evolutiva, tra i quali, in
particolare: l’evoluzione storica del concetto di trauma psichico dalle sue origini
alle teorie attuali, le peculiarità culturali dell’espressione traumatica ed anche la
rassegna delle possibili metodologie di prevenzione e di cura.
Entrando ancor più nel dettaglio, nella parte dedicata all’espressione
culturale del trauma, con l’approvazione della mia Relatrice, ho dedicato un
corposo approfondimento al tema del trauma psichico nella società giapponese,
della quale, in ragione di un interesse che nutro in modo appassionato da lunga
data, ho una discreta conoscenza.
Nello specifico, pensando di apportare un elemento di novità e di ulteriore
interesse alla mia Tesi, ho approfondito l’argomento dell’Hikikomori, una forma
culturalmente connotata di ritiro sociale che coinvolge oggi oltre un milione di
giovani giapponesi.
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Rispetto a tale argomento ho tentato di offrire una panoramica accurata dei
numerosi fattori sia di ordine socio culturale che psicologico alla base del
fenomeno, evidenziando in particolare le peculiarità culturali del Paese del Sol
Levante in grado di produrre una forma di espressione traumatica che non esiste
nei medesimi termini e soprattutto nelle medesime dimensioni in nessun altro
Paese del mondo.
Detto ciò, concludo queste brevi note introduttive indicando ora
sommariamente, per ciascun capitolo, gli specifici contenuti del mio lavoro:
Il primo capitolo si intitola Generalità sul trauma in età evolutiva e
propone, dopo una mia personale riflessione circa una possibile definizione
dell’argomento, un breve excursus storico sull’evoluzione del trauma psichico
dalle origini della psicoanalisi alle concettualizzazioni moderne e presenta nella
parte conclusiva alcune considerazioni circa le caratteristiche ed i limiti della
definizione nosografica del Disturbo Post Traumatico da Stress nella prospettiva
del DSM.
Il secondo capitolo, intitolato Il trauma secondo la psicopatologia
evolutiva, nella prima parte mette a confronto, evidenziandone le differenze, le
visioni sul trauma evolutivo della tradizione medico/organicista e della
prospettiva della Devolopmental Psycopathology. Nella parte successiva propone
invece un’analisi critica dei principi base di quest’ultima prospettiva così come
formulati negli scritti più significativi di autori quali Alan Sroufe e Dante
Cicchetti
Il terzo capitolo si intitola invece Relazioni, attaccamento e traumi
evolutivi ed è dedicato alla rassegna e relativa discussione critica degli esiti di
numerosi studi longitudinali condotti, nell’ambito della prospettiva evolutiva, al
fine di verificare l’influenza nel ciclo di vita delle modalità relazionali con i
genitori, delle problematiche dell’attaccamento e delle condizioni di
maltrattamento ed abuso.
Il quarto capitolo si intitola Traumi evolutivi e cultura: il caso del
Giappone. In questa parte del mio lavoro, dopo un paragrafo iniziale dedicato
alla descrizione dell’approccio generale della psicologia culturale, vengono
specificamente analizzati, sia nell’ottica sociologica che nella prospettiva
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psicologica, svariati fattori che si pongono nella società giapponese quali fattori
di rischio e di protezione rispetto allo sviluppo della patologia depressiva e della
psicopatologia evolutiva in genere. Nella parte conclusiva del capitolo vi è poi un
corposo paragrafo dedicato ad un’accurata analisi critica dell’Hikikomori, ossia
di un fenomeno giovanile che costituisce in Giappone una vera propria
emergenza sociale, riferendosi al ritiro sociale di oltre un milione di giovani a
fronte di fenomeni di bullismo, fallimenti scolastici ed eccessive pressioni sociali
in numerosi contesti.
Il quinto ed ultimo capitolo si intitola infine Metodologie di prevenzione e
di intervento ed è dedicato, nella parte iniziale, all’analisi dei principi guida che
la prospettiva evolutiva ha posto alla base degli interventi di prevenzione basati
sulla resilienza. Descrive poi le modalità applicative e gli esiti di quattro specifici
interventi di prevenzione adottati negli Stati Uniti. Infine, nell’ultima parte,
analizza le principali tecniche per il trattamento del trauma acuto, ossia la terapia
cognitivo comportamentale (CBT) e la tecnica della desensibilizzazione e
rielaborazione attraverso i movimenti oculari (EMDR) ed offre altresì un
accenno ai principi base dell’intervento psicoterapeutico psicoanalitico per la
risoluzione del trauma.
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Capitolo I
Generalità sul trauma in età evolutiva
1.1. Verso una possibile definizione del trauma psicologico in età evolutiva
Offrire una definizione semplice e chiara del concetto di trauma
psicologico in età evolutiva senza ricorrere a stereotipi e frasi fatte costituisce la
prima vera sfida di questo lavoro; un compito che cercherò di soddisfare a partire
dall’analisi dei singoli termini che descrivono il concetto in questione.
In primo luogo, dunque, cosa si intende genericamente per “trauma”?
Varie discipline, tra cui la linguistica, la medicina e la sociologia, prima ancora
della psicologia, ne hanno formulato autonome definizioni, che pur nella loro
specificità, fanno tutte riferimento all’idea generale di una “ferita”, una
“lacerazione” o una “frattura”.
Si tratta tuttavia di definizioni accomunate, oltre che dall’adozione di una
terminologia simile, anche dal limite di considerare i traumi fisici, sociali e
psicologici come entità separate e distinte, adottando quindi una prospettiva che
appare del tutto inadeguata a rendere conto della complessità che caratterizza la
condizione traumatica in campo psicologico.
Cosa si intende, infatti, soprattutto nell’approccio psicologico recente, per
“trauma psichico”? La risposta a tale domanda non può non fare riferimento al
cosiddetto modello biopsicosociale: ossia a quella concettualizzazione che nel
tentativo di superare le distinzioni sopra accennate, ha integrato il concetto di
disagio mentale in una visione globale, valutando e considerando, anche in
rapporto allo specifico tema del trauma, i legami inscindibili tra gli aspetti fisici
(o biologici), mentali e relazionali che ne determinano l’insorgenza e che, allo
stesso tempo, contribuiscono anche alla sua risoluzione nel corso del processo
terapeutico.
Secondo la sopra accennata prospettiva, pertanto, qualunque situazione
traumatica, a prescindere dal contesto specifico nel quale si manifesta il disagio
iniziale, sia esso fisico, psicologico o sociale, comunque opererà i propri effetti
anche nelle altre aree di funzionamento individuale del soggetto considerato.
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Si tratta di una realtà semplice ed intuitiva che tuttavia ancor oggi,
soprattutto a causa delle notevoli differenze epistemologiche alla base della
scienza medica e della scienza psicologica, fatica a trovare un’applicazione
concreta nell’adozione di trattamenti di carattere realmente interdisciplinare, in
grado di attribuire pari dignità ai diversi approcci terapeutici applicabili al
problema.
Ad ogni modo, tornando al tema in trattazione, ritengo che il modo più
semplice ed efficace per illustrare le modalità di insorgenza di un trauma
psichico secondo l’approccio biopsicosociale sia quello di fare ricorso ad alcune
esemplificazioni di ordine pratico.
Consideriamo, ad esempio, le possibili implicazioni di un’improvvisa
menomazione fisica dovuta ad un incidente, oppure le conseguenze di
un’inaspettata comunicazione di una diagnosi medica infausta.
Dal punto di vista psicologico tali situazioni spingerebbero chiunque,
senza eccezioni di sorta, ad un’immediata nonché obbligata ristrutturazione
cognitiva a forte valenza traumatica.
In tali frangenti, infatti, non vi sono altre priorità se non quelle di
metabolizzare la perdita della precedente condizione di benessere e riorganizzare
altresì, nel modo più adattivo possibile, tutte le risorse disponibili al
fronteggiamento della situazione in atto.
Anche dal punto di vista sociale, l’assunzione del ruolo di malato o
disabile sortisce l’immediato effetto di modificare sensibilmente sia il
comportamento sia il contesto sociale della persona in questione.
Dal punto di vista comportamentale, infatti, ad una persona malata che si
trova in un ambiente di cura verrà richiesto di adeguarsi a specifiche richieste
quali quella di stare a letto, seguire le terapie e le prescrizioni, obbedire a nuove
regole di comportamento.
Per ciò che attiene, invece, le modifiche degli aspetti di contesto, ogni
persona, nel momento in cui viene dichiarata malata o disabile, si confronta con
una serie di situazioni nuove ed angoscianti, quali ad esempio la concreta
possibilità di perdere il proprio posto di lavoro, la sensazione di perdita della
propria indipendenza, l’impossibilità di contribuire al sostegno economico in
famiglia.
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Ecco dunque che ciò che poteva inizialmente sembrare un’emergenza di
carattere puramente medico si trasforma in un violento trauma psicologico,
nonché in una chiara difficoltà di carattere sociale; il tutto, ovviamente, con la
doverosa precisazione che la maggiore o minore pervasività degli effetti del
trauma nelle diverse aree di funzionamento individuale dipenderà da diverse
variabili, tra cui le specifiche caratteristiche di personalità del soggetto e la
possibilità di ottenere o meno un valido sostegno sociale nella sopravvenuta
situazione di menomazione fisica.
Proseguendo nell’analisi in questione, credo opportuno precisare che alle
medesime conclusioni sarò possibile giungere anche nel caso di condizioni
iniziali diverse. Nello specifico, anche a partire da quelle situazioni in cui
l’innesco del trauma è dato non dall’emergere di una condizione medica, bensì,
come ora vedremo, da una difficoltà di carattere sociale.
Abbiamo in precedenza brevemente accennato alle difficoltà del mondo
del lavoro che al giorno d’oggi determinano, in numerosi casi, la perdita
dell’impiego di molte persone.
Non è difficile dimostrare che l’improvvisa perdita del proprio lavoro sia
in grado di determinare, in soggetti particolarmente sensibili, traumi psicologici
anche assai gravi, che possono essere portati sino all’estrema conseguenza del
suicidio.
Così come l’uscita forzata dal mondo del lavoro può altresì comportare
complicazioni di carattere medico a loro volta connesse a situazioni di disagio
psicologico.
Si pensi ad esempio, a titolo esplicativo, alle possibili conseguenze
mediche di un abuso di sostanze adottato a fini auto curativi di una condizione
depressiva generata dall’assenza di prospettive per il proprio futuro.
Potrei fornire numerosi altri esempi in proposito, ma ritengo che quanto
sin ora indicato possa già aver reso un’idea, seppur necessariamente sintetica,
circa la complessità eziologica del trauma psichico nella concezione della
psicologia moderna.
Passo pertanto al punto successivo della mia breve disamina, tentando di
rispondere, sempre attraverso le mie personali riflessioni, ad un’ultima domanda.
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Nello specifico, il quesito che mi pongo è il seguente: cosa distingue, in
generale, un trauma psichico in età adulta da un trauma in età evolutiva?
La prima sostanziale differenza che individuo in proposito si riferisce al
fatto che un soggetto in età evolutiva, a differenza di un adulto nella medesima
situazione di disagio, ancora non dispone della struttura di personalità matura e
delle difese psichiche adattive in grado di consentirgli di fronteggiare più
efficacemente la situazione traumatica in atto.
Al contrario, in questo casi, l’emergere del trauma si configura come una
potente interferenza nel normale processo di sviluppo del bambino, dato che
quest’ultimo, per preservare la propria salute mentale, si vede costretto
nell’immediatezza dell’evento ad adottare difese di carattere “emergenziale”
quali la scissione e la negazione, specie nel caso in cui il trauma ha origine
relazionale.
Una seconda differenza rispetto al trauma in età adulta, infatti, riguarda
proprio l’origine del trauma, che molto spesso è legata alla qualità delle modalità
interattive con gli adulti di riferimento, e, nello specifico, con i genitori.
In tali casi, infatti, l’esperienza traumatica comporta danni ancor più
laceranti, dato che si associa ad una perdita di fiducia rispetto a quelli che
dovrebbero essere gli aspetti più rassicuranti dell’ambiente del bambino.
Le differenze di cui sopra, come meglio vedremo a breve attraverso la
rassegna delle diverse prospettive teoriche formulate nel corso del tempo, sono in
grado di conferire all’esperienza traumatica infantile una valenza assai più
drammatica rispetto a medesime esperienze vissute in età adulta.
Ad ogni modo, prima di passare alla rassegna di cui sopra e rimandando
altresì la descrizione delle specifiche modalità espressive del trauma evolutivo
all’ultima parte del presente capitolo, sono ora pronto, al termine di questa breve
riflessione, a formulare la mia personale e sintetica definizione di trauma
psichico in età evolutiva.
Nello specifico, riassumendo in maniera sintetica quanto sopra indicato,
credo esso sia descrivibile nei termini di una ferita o una lacerazione che
emergendo nell’ambiente fisico, psichico o sociale di un soggetto ancora privo
delle risorse atte ad affrontare autonomamente la situazione traumatica ne
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affligge la psiche, determinando una deviazione del suo naturale corso di
sviluppo e minando altresì la sua fiducia nel mondo.
2.1 L’evoluzione del concetto di trauma evolutivo nel corso del tempo: una
breve rassegna
In psicologia, l’introduzione del concetto di trauma psichico si deve
soprattutto a Sigmund Freud, anche se è bene precisare che il citato concetto,
all’interno del suo pensiero, ha assunto forme diverse nel corso del tempo.
In particolare, in una prima fase, che inizia nel 1892 con la stesura insieme
a Breuer del saggio “Studi sull’Isteria”
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e termina nel 1896 con la morte di suo
padre, Freud considera la sintomatologia isterica come il risultato di un trauma
infantile di tipo reale e legato alla sessualità; un trauma che viene escluso dalla
coscienza attraverso il meccanismo della rimozione e ricompare in forma
sintomatica attraverso il meccanismo della conversione.
E’ questa la fase della cosiddetta “teoria della seduzione infantile” in cui
Freud ipotizza che dietro tutti i sintomi nevrotici accusati in età adulta vi siano
sempre esperienze traumatiche di natura sessuale avvenute prima dei 6 anni di
età.
Egli, nello specifico, ipotizza che il trauma si manifesti in maniera
produttiva a partire dall’età puberale, nel momento in cui il soggetto entra
accidentalmente in contatto con situazioni in grado di riattivare il ricordo del
trauma primitivo subito in età infantile.
E’ dunque questo il meccanismo che secondo la teoria della seduzione
infantile, come magistralmente descritto da Giuseppe Moccia
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nel brano che
riporto di seguito, giustifica l’emergere nell’adulto della sintomatologia post
traumatica:
“L’adulto che aveva subito da bambino una seduzione sessuale si trovava
così a soffrire di affetti, percezioni ed idee intollerabili e non compatibili
con la massa centrale di pensieri e sentimenti che costituivano l’esperienza
1
S. FREUD, Studi sull’isteria.(1892 – 1895) Opere, Vol.4, Bollati Boringhieri, Torino, 1989
2
G. MOCCIA, Attualità del trauma. Introduzione a: Aa.Vv. Il soggetto nei contesti traumatici. A cura
del Centro di Psicoanalisi Italiana, Franco Angeli, Roma, 2009, p.14.