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comportamenti aggressivi, gesti autolesivi e tentativi di suicidio.
Negli ultimi anni poi, nella pratica clinica, si registra una diffusione sempre mag-
giore di casi di Binge Eating Disorder, sindrome in cui sono presenti le crisi di in-
gordigia compulsiva, di bramosia irresistibile per il cibo, ma non i gravi e perico-
losi comportamenti di compenso della Bulimia Nervosa.
In questa tesi forniremo un inquadramento dei Disturbi dell’Alimentazione in ado-
lescenza da diversi angoli visuali, seguendo un “filo di Arianna” consequenziale,
nella dimensione del concetto di integrazione.
Nel primo capitolo descriveremo queste patologie nei loro aspetti principali e di
carter generale.
Per ognuno di questi disturbi, riporteremo i dati epidemiologici e ne tracceremo
l’evoluzione storica, dalle prime identificazioni di casi singoli alla loro definitiva
individuazione quali entità nosologicamente autonome.
Come abbiamo sostenuto in precedenza, la definizione psichiatrica ufficialmente
accettata dell’Anoressia Nervosa e della Bulimia Nervosa, ha subito nel corso
degli anni una serie di rimaneggiamenti e di integrazioni.
Elencheremo pertanto i criteri diagnostici che – in ordine di tempo – sono stati fis-
sati per questi due disturbi dalle diverse edizioni del manuale Diagnostico e Statis-
tico dei Disturbi Mentali (DSM) dell’American Psychiatric Association.
I criteri diagnostici attualmente seguiti per questi due disturbi sono quelli riportati
nella quarta edizione del DSM, pubblicato dall’A.P.A. nel 1994, che descriveremo
e metteremo poi a confronto con le direttive diagnostiche più recenti forniteci per
gli stessi dall’altra grande classificazione psichiatrica dei nostri tempi, la Decima
Revisione della Classificazione Internazionale delle Sindromi e dei Disturbi Psi-
chici e Comportamentali, pubblicata dalla World Health Organization nel 1992
(ICD-10).
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Per ognuno di questi disturbi descriveremo infine la diagnosi differenziale e le ma-
nifestazioni cliniche e i disturbi mentali che risultano frequentemente associati ad
essi, seguendo le indicazioni del DSM-IV.
L’attuale nosografia psichiatrica è il risultato di una impostazione di tipo catego-
riale la quale, individuati i criteri diagnostici secondo parametri descrittivi, com-
porta la presenza di limiti netti tra una categoria diagnostica e l’altra; l’unica for-
ma di sovrapposizione è la cosiddetta comorbidità.
Il sistema categoriale offre senza dubbio il grosso vantaggio della economicità,
della affidabilità e della stabilità.
Grazie ad esso i clinici possono comunicare in maniera rapida e basarsi su di un
linguaggio comune.
Malgrado ciò la struttura categoriale del DSM-IV va a scapito della ricchezza
delle informazioni, non consentendoci di cogliere pienamente la complessità dei
singoli casi clinici.
L’analisi degli aspetti legati all’evoluzione, alla prognosi e alle complicazioni
mediche cui, a lungo termine, possono condurre queste patologie, mette in eviden-
za come molti pazienti che soffrono di un disturbo dell’alimentazione passano, nel
corso della loro esistenza, da una categoria diagnostica all’altra, così da dar quasi
l’impressione di un’unica malattia che, a seconda delle situazioni, si manifesta con
sintomi diversi.
Proprio per tali ragioni, la considerazione relativa non solo alle caratteristiche des-
crittive del disturbo ma anche a quelle relative allo spettro di funzionamento di
questi individui, può consentirci di comprendere maggiormente gli aspetti psicolo-
gici implicati nella genesi di questi disturbi.
Una diagnosi che parte dai sintomi, ci segnala – chiaramente – che “qualcosa non
va”; i sintomi tuttavia, di per sé, non ci danno alcuna indicazione sul perché quel
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qualcosa che non va sia stato espresso, né ci dicono perché esso sia stato espresso
in questo modo.
Pertanto alla diagnosi “nosografico-descrittiva” affiancheremo quella “interpreta-
tivo-esplicatica” attraverso l’esposizione – nel terzo capitolo – dei diversi orienta-
menti teorici che hanno tentato di comprendere di che cosa queste soluzioni pato-
logiche sono la oscura metafora, o meglio da che cosa la maschera sintomatica, la
“divisa” dei digiuni, dei rituali dell’abbuffata e del vomito, delle fobie e delle os-
sessioni relative alla immagine e al peso corporeo protegge quanti la indossano.
Inizieremo con l’esposizione del modello psicoanalitico, il quale per oltre 20 anni,
dagli anni Cinquanta agli anni Settanta circa del secolo scorso, ha rappresentato lo
approccio egemone allo studio di queste sindromi.
All’interno dell’approccio psicoanalitico modelli teorici diversi si sono succeduti e
variamente integrati passando per le grandi fasi dello sviluppo della psicoanalisi:
dal modello del conflitto pulsione-difesa, al modello delle relazioni oggettuali, a
quello della psicologia del Sé.
Descriveremo dunque l’interpretazione che ognuno di essi ha fornito di queste pa-
tolgie.
Citeremo poi il contributo di Jeammet (1992), il quale – in anni relativamente re-
centi – ha attribuito al concetto di “dipendenza” un valore euristico particolare per
comprendere non solo i Disturbi dell’Alimentazione ma anche molti disturbi del
comportamento in adolescenza (ad esempio tossicomania e tentativi di suicidio).
Successivamente, descriveremo in modo dettagliato il modello ontogenetico ela-
borato da Hilde Bruch (1973) per questi disturbi, a seguito del suo lavoro, durato
più di trenta anni, con adolescenti sintomatici.
Concluderemo infine il capitolo con l’esposizione delle ipotesi sistemico-relazio-
nali le quali hanno chiarificato le diverse dinamiche intra-familiari che caratteriz-
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zano le famiglie di cui fanno parte questi soggetti.
Nell’ultimo capitolo analizzeremo la teoria dell’attaccamento di John Bowlby
(1958, 1960a, 1960b, 1973, 1980), come quadro concettuale di riferimento per la
comprensione dei disturbi dell’alimentazione.
La teoria dell’attaccamento ha evidenziato che i modelli di attaccamento che si
formano nell’infanzia vengono progressivamente internalizzati e continuano in tal
modo a svolgere un ruolo centrale nell’adattamento individuale, influenzando non
soltanto modalità relazionali ma anche funzioni e competenze mentali diverse.
In questo ultimo capitolo dunque, dopo aver fatto il resoconto di lavori di carattere
più generale, che – negli ultimi anni – hanno evidenziato una significativa correla-
zione tra “insicurezza” nell’attaccamento e psicopatologia in adolescenza, prende-
remo dettagliatamente in esame la rassegna delle ricerche che, a partire dalla fine
degli anni Ottanta del secolo scorso, si sono occupate in modo specifico dei pro-
cessi di attaccamento negli adolescenti e nei giovani adulti con Disturbi dell’Ali-
mentazione.
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CAPITOLO 1
I DISTURBI DELL’ALIMENTAZIONE DAL PUNTO DI VISTA STORICO
E CLINICO – NOSOGRAFICO.
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1.1. Introduzione: che cosa sono i Disturbi dell’Alimentazione.
I Disturbi dell’Alimentazione sono malattie gravi e complesse, caratterizzate dalla
presenza di grossolane alterazioni del comportamento alimentare e severe compli-
canze fisiche e psichiche.
Una larga parte della nosografia psichiatrica attuale e, in particolare, l’ultima edi-
zione del Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM-IV, A.P.A.,
1994), distingue due principali disturbi dell’alimentazione:
A_ l’Anoressia Nervosa (A.N.);
B_la Bulimia Nervosa (B.N.).
Carattersitica essenziale comune ad entrambe le sindromi è la presenza di una alte-
rata percezione del peso e della propria immagine corporea.
L’aspetto tipico dell’Anoressia Nervosa è il rifiuto di mantenere il peso corporeo
al di sopra del peso minimo normale, mentre la Bulimia Nervosa è caratterizzata
da ricorrenti episodi di “abbuffate” seguiti dall’adozione di mezzi inappropriati
per controllare il peso, come il vomito auto-indotto, l’uso (abuso) di lassativi, diu-
retici o altri farmaci, il digiuno o l’attività fisica praticata in maniera eccessiva.
Accanto ad essi è stata descritta un’ampia ed eterogenea categoria di “Disturbi
dell’Alimentazione Non Altrimenti Specificati”, cioè disturbi alimentari clinica-
mente significativi ma che non corrispondono a tutti i criteri diagnostici dell’Ano-
ressia Nervosa e della Bulimia Nervosa.
Tra di essi, particolare interesse ha suscitato – in epoca recente – quello che gli
Autori anglosassoni chiamano “Binge Eating Disorder” (B.E.D.).
Il DSM-IV (A.P.A., 1994) lo descrive nell’appendice B e, nella traduzione italiana
ufficiale, questa condizione è stata denominata Disturbo Da Alimentazione In-
controlat.
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Tale sindrome, per quanto presenti strette analogie con la Bulimia Nervosa nello
aspetto iperfagico, manca delle strategie compensatorie atte ad impedire l’aumento
ponderale; oltre a ciò, in essa è “meno sentita” la preoccupazione per il peso cor-
poreo e le forme fisiche.
Un cenno particolare va infine riservato all’obesità, che in questa tesi non discute-
remo.
Tale condizione è relativamente semplice da diagnosticare.
Il metodo oggi più in voga e, comunque, quello ormai adottato in tutto il mondo, è
il cosiddetto Indice di Quetelet o Indice di Massa Corporea (in inglese Body Mass
Index, BMI), cioè il rapporto tra il peso dell’individuo espresso in chilogrammi ed
il quadrato della sua altezza espresso in metri: BMI = Kg / m².
Convenzionalmente sono definiti obesi soggetti – di entrambi i sessi – che presen-
tano un BMI 30 (OMS, 1995).
L’obesità – dunque – è una condizione definita da criteri esclusivamente morfolo-
gici.
Il DSM-IV (A.P.A., 1994) non nomina l’obesità in sé; in particolare non la classi-
fica tra i Disturbi dell’Alimentazione.
Analogamente, la più recente edizione della Classificazione Internazionale delle
Sindromi e dei Disturbi Psichici e Comportamentali (ICD-10; O.M.S., 1992) clas-
sifica l’obesità semplice o essenziale tra le malattie fisiche e non la annovera tra i
disturbi mentali.
L’obesità quindi non sembra essere associata a caratteristiche o sindromi specifi-
che sul piano psicologico o psichiatrico (Wadden & Stunkard, 1985; Stunkard &
Sobal, 1995); non esiste un profilo di personalità tipico dell’obeso, né un conflitto
intrapsichico peculiare; l’obesità dunque – in molti casi – non riflette un disturbo
mentale (Cuzzolaro, 1996).
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Tale condizione, d’altra parte, può essere bersaglio di pregiudizi sociali e causa,
piuttosto che effetto, di disagi e difficoltà nei rapporti interpersonali.
Nei vissuti dei pazienti i pregiudizi e le discriminazioni – di ordine culturale, am-
bientale o relazionale, arrivano a condizionare ampiamente la vita quotidiana e,
non di rado, lasciano “tracce” assai più significative dei problemi organici stretta-
mente legati al disturbo.
Labilità emotiva, ansia, depressione, riduzione progressiva dell’auto-stima, chiu-
sura relazionale e decremento delle performances sociali, caratterizzano in modo
costante il quadro psicopatologico del paziente obeso (Papa & Clerici, 2000).
Sofferenza psicologica aspecifica o veri e propri quadri di disagio psichico si ali-
mentano allora reciprocamente arrivando ad indurre e a mantenere un funziona-
mento certamente disturbato, ma nel complesso difficile da categorizzare e, non
di rado, tale da rendere difficile una precisa distinzione tra gli eventuali fattori di
rischio premorboso e le effettive conseguenze psichiche del progressivo adatta-
mento (o più spesso) maladattamento al disturbo.
L’obesità infine non è una condizione tipica dell’adolescenza, al contrario dell’A-
noressia Nervosa e della Bulimia Nervosa, che invece hanno proprio in questa fase
del ciclo di vita il loro periodo elettivo di insorgenza.
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1.2. L’Anoressia Mentale.
1.2.1 Profilo Storico.
L’Anoressia Mentale potrebbe essere esistita per secoli in forme non strettamente
cliniche; oppure le sue caratteristiche potrebbero essere state descritte fino ad un
certo punto come facenti parte delle dimensioni del sacro e dello spirituale.
Rudolph M.Bell (1985) individua infatti numerosi casi di privazione volontaria di
cibo in un gruppo di giovani donne vissute nei principali centri dell’Italia centrale
durante il Basso Medioevo, molte delle quali finirono per essere santificate dalla
Chiesa.
Dal punto di vista di una storiografia più squisistamente medica, la prima identifi-
cazione dell’Anoressia Mentale viene generalmente attribuita ad un medico ingle-
se del XVII secolo: Richard Morton.
Questi, nel suo Phtisiologia, seu Exercitationes de Phthisi (1689), tradotto in in-
glese cinque anni dopo con il titolo di Phtisiologia: or a treatise of consumption,
presentò due casi di ciò che denominò “atrofia” o “consunzione nervosa”, un gra-
ve deperimento del corpo che si manifestava senza rialzi termici, né dispnea, né
tosse, e che si accompagnava ad una perdita dell’appetito e delle funzioni digesti-
ve.
La sua descrizione clinica comprende l’inappetenza, l’estremo dimagramento, la
iperattività, l’amenorrea, il rifiuto delle cure mediche fino all’exitus – aggregazio-
ne sintomatologica tipica della sindrome clinica attualmente conosciuta.
Morton suppose che all’origine della malattia vi fosse una “violenta passione della
psiche”, che poi definì come “tristezza e preoccupazioni ansiose”.
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Anche nella letteratura medica successiva –XVIII e fase iniziale del XIX secolo –
si riscontrano descrizioni di casi di “dimagramento auto-provocato”, nel contesto
di trattati più generali sull’isteria e sulle nevrosi genitali femminili (Pinel, 1801).
Soltanto a partire dalla seconda metà dell’Ottocento – e grazie alle opere di Wil-
liam W. Gull e di Charles E. Laségue – l’anoressia si costituì come entità clinica
dotata di una propria autonomia e specificità.
Laségue inquadrò il disturbo tra le varianti dell’isteria, denominandolo “anoréxie
hystérique” (aprile, 1873) ed ipotizzò che la sua comparsa fosse in relazione ad un
qualche “trauma emotivo inconfessato”.
Osservò la relativa serenità delle sue pazienti, le quali non si rendevano ben conto
della loro eccessiva magrezza e sembravano trovarsi bene in quello stato.
Sottolineò inoltre il ruolo non di rado giocato dalle dinamiche intrafamiliari nello
aggravamento della patologia.
Gull descrisse la sindrome in termini simili a quelli di Laségue, indicandola dap-
prima come “apepsia hysterica” (1868) e, qualche anno più tardi, con il termine di
“anorexia nervosa” (ottobre, 1873).
La causa della patologia, a parere di questo autore, andava ricercata in uno “stato
mentale morboso” in grado di turbare profondamente l’appetito delle giovani don-
ne.
Gull fu colpito dall’instancabile attività delle sue pazienti, nonostante il grado es-
tremo di deperimento da esse raggiunto.
Descrisse infine i genitori di queste ultime come i “peggiori infermieri” delle pro-
prie figlie.
Il termine di “anorexia nervosa” introdotto da Gull è la denominazione della ma-
lattia ancora oggi usata in Germania, Russia e nei Paesi di lingua inglese.
Il termine di “anoréxie mentale” fu usato per la prima volta da Hutchard (1883) e
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da allora in poi – fu adottato dagli Autori francesi e dagli Autori di scuola latina.
Dopo queste prime descrizioni che hanno il merito di mettere in risalto l’origine
psicologica dell’affezione, un periodo di relativa confusione fece seguito ai lavori
del patologo tedesco Morris Simmonds il quale, nel 1914, descrisse una nuova sin-
drome: la “cachessia ipofisaria” (dimagramento con insufficienza endocrina).
L’anoressia passò allora dai manuali di psichiatria a quelli di medicina interna.
L’origine psichica della malattia venne dimenticata; i segni clinici, ed in partico-
lare la magrezza vennero attribuiti ad un panipopituarismo (deficit globale delle
funzioni della ipofisi) ed il comportamento venne considerato un epifenomeno.
La conseguenza terapeutica fu il solo trattamento endocrino.
Successivamente, Harold Sheehan (1937) riconobbe la normalità della ipofisi nel-
l’anoressia mentale e la possibilità che la disfunzione dell’ipofisi non dovesse per
forza portare alla cachessia.
Egli differenziò così le cachessie dovute a necrosi ipofisaria ischemica dalle ano-
ressie mentali classiche.
Negli anni ’60 del secolo scorso, con il Simposio di Göttingen – a cui presero par-
te psichiatri, psicologi, psicoanalisti, sociologi ed endocrinologi di ogni parte del
mondo, venne infine riconosciuta all’anoressia mentale una struttura specifica.
In esso, oltre a riconoscere che tale patologia costituiva un problema riguardante
in prevalenza soggetti adolescenti di sesso femminile, si concluse che:
1- l’Anoressia Mentale essenziale esprimeva una incapacità ad assumere il ruolo
sessuale genitale e ad integrare le trasformazioni corporee della pubertà;
2- il conflitto si collocava a livello del corpo, (rifiutato e maltrattato) e non a livel-
lo delle funzioni alimentari, sessualmente investite;
3- la struttura dell’Anoressia Mentale era diversa da quella di una nevrosi classica.
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1.2.2 Discussione sulla denominazione di anoressia.
Anoressia deriva dal greco “an – orexis” che, letteralmente, vuol dire “assenza di
brama” (S. Palazzoli, 1981).
Tale termine, applicato al suddetto quadro clinico, è dunque usato in una accezio-
ne errata.
Nell’Anoressia Mentale infatti non si assiste primariamente alla perdita o mancan-
za di appetito, ma ad una cosciente volontà di inanizione, accompagnata da una in-
differenza verso il proprio decadimento fisico senza tendenza alcuna a porvi rime-
dio; l’assenza di brama non è che l’aspetto di facciata (S. Palazzoli, 1981).
Poiché inoltre tale malattia, come discuteremo nel paragrafo successivo, ha come
caratteristica di insorgere nel periodo puberale o post-puberale, la denominazione
più adeguata per essa è quella – limitata ai Paesi di lingua tedesca – di “Pubertäts-
magersucht”, che si può tradurre come mania adolescenziale della magrezza.
In questo senso l’anoressia mentale, secondo S. Palazzoli (1981), si differenzia sia
dalle “anoressie croniche”, sia dalle anoressie come “reazioni neurotiche”.
Secondo questa autrice, le anoressie croniche iniziano nella prima infanzia (al con-
trario dell’anoressia mentale primaria) e si manifestano con gravi disturbi intesti-
nali.
Il quadro migliora durante adolescenza ed è seguito da una recrudescenza che por-
terà ad una inanizione cronica con disturbi ipocondriaci del tubo digerente e note
di psicoastenia.
L’anoressia come reazione neurotica, invece, può avere inizio ad ogni età e nasce
come risposta ad una situazione ambientale insostenibile o ad un trauma psichico
deludente, come una bocciatura, l’essere lasciati dal partner, etc.
L’appetito, in questo caso, cambia in rapporto agli stati emotivi e non evolve in
disturbi mentali.
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1.2.3 Caratteristiche epidemiologiche.
L’Anoressia Nervosa è tutt’ora più frequente nel sesso femminile (più del 90% dei
casi secondo il DSM-IV) anche se le prime descrizioni di singoli casi clinici ripor-
tano dati di soggetti anoressici di sesso maschile (Morton, 1694; Gull, 1868).
Il rapporto maschio/ femmina è di 1/10 (Råstam et al., 1989), pur essendosi verifi-
cato un recente aumento di incidenza maschile parallelo all’incremento generale
della malattia (Ramacciotti, 1997).
I dati epidemiologici evidenziano come il quadro clinico sia sovrapponibile nei
due sessi (Andersen, 1990).
L’età di insorgenza del disturbo ha un intervallo piuttosto ampio, dalla prima ado-
lescenza fino a 20-25 anni con una distribuzione di tipo bimodale (con due picchi,
uno a 14 anni e uno a 18 anni).
L’Anoressia Nervosa insorge raramente prima della pubertà, ma sembra comun-
que che, nei casi ad esordio in epoca prepuberale, il quadro clinico sia più grave
per i disturbi mentali associati (Brusset, 1977).
Sebbene più rari, sono stati osservati anche casi ad insorgenza tardiva (Kellet et
al., 1976; Hsu & Zimmer, 1988).
Hill (1977), in un lavoro sull’epidemiologia, osservava come prima del 1970 l’a-
noressia fosse considerata una curiosità e una rarità.
La prima documentazione formale di una aumentata incidenza del disturbo appare
proprio nel 1970, come parte di uno studio monografico sull’argomento pubblica-
to da uno psichiatra svedese, Sten Theander.