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deficit relazionali. Il trattamento esclude del tutto l'intervento sugli
aspetti sintomatici e prevede una modificazione relativa a quelle aree
vitali che presentano difficoltà e conflitti tramite l'acquisizione di un
ampio ventaglio di nuove competenze sociali, efficaci strategie per la
soluzione di problemi. Si tratta, quindi, di una terapia focale, centrata
cioè su specifici obiettivi e tematiche (di tipo relazionale), incentrata sul
"qui ed ora" della vita del soggetto. La durata è piuttosto breve: va dai
tre ai cinque mesi, articolati a scadenze settimanali. Nell'ambito della
psicoanalisi e delle terapie ad orientamento psicodinamico non sono
stati tracciati finora in modo definitivo e univoco delle linee guida
specifiche per la cura della bulimia nervosa. I diversi operatori nella
pratica terapeutica si rifanno ai criteri che più ritengono adeguati in
base alla loro formazione ed esperienza personale. In particolare,
l'approccio psicoanalitico di tipo freudiano ortodosso non ha dimostrato
una particolare efficacia e l'attenzione si è spostata su modelli più
recenti come quelli che operano a livello delle relazioni oggettuali o sulla
struttura del Sé. In linea generale, tali approcci non trattano
direttamente il sintomo, ma si focalizzano sul processo di sviluppo e
maturazione individuale attraverso un costante lavoro di analisi e di
interpretazione, che vede il suo fulcro nell'analisi del transfert del
paziente verso l'analista. Il significato intrapsichico dei cicli abbuffata-
vomito viene interpretato soprattutto in termini di difficoltà nel processo
di separazione-individuazione dalla figura materna invischiante e
iperprotettiva. L'obiettivo principale è costituito dal raggiungimento
dell'autonomia e dell'identità della paziente nell'ambito di nuove e più
soddisfacenti relazioni personali. Uno dei rischi della terapia
psicoanalitica è costituito dal fatto che l'interpretazione data
dall'analista possa rafforzare i sentimenti di passività, inefficacia, e la
scarsa identità della paziente. Con l'interpretazione la paziente,infatti,
non scopre e contatta attivamente i propri vissuti ma viene definita
dall'esterno attraverso l'analista: ciò può quindi indurre la bulimica a
credere che qualcuno già sa ciò che essa sa, ovvero che qualcuno è in
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grado di conoscere meglio di lei i suoi sentimenti e pensieri,
accrescendo così il senso di inadeguatezza e confusione. In generale il
setting della psicoanalisi risulta particolarmente sgradito alla bulimica
che, senza un interlocutore che la guardi in faccia, si trova a doversi
confrontare in modo molto diretto col proprio vuoto interiore. Ciò spesso
crea un senso di panico e determina l'abbandono della terapia. Rispetto
alle terapie di gruppo", queste vengono praticate sia da sole sia in
abbinamento ad una terapia individuale. Le tecniche più usate,
all'interno di tale orientamento, sono quelle cognitivo-comportamentali,
in modo simile a quanto avviene nella terapia individuale. Altre forme di
terapie di gruppo si ispirano invece ai principi della psicodinamica. In tal
caso diverranno importanti soprattutto l'identificazione dei conflitti e le
interpretazioni del terapeuta. Esiste, inoltre, una terapia di gruppo di
tipo "psicoeducazionale'", che prevede riunioni in grandi gruppi (di 20-
30 persone), articolata in poche sezioni intensive (10-12 sessioni della
durata di circa 6 ore ciascuna). Nel corso delle riunioni vengono fornite
precise informazioni riguardanti gli effetti del cibo, il metabolismo, le
conseguenze delle diete e dei digiuni. L'obiettivo di tale approccio è
quello di modificare le convinzioni e le abitudini comportamentali delle
pazienti tramite una corretta educazione nutrizionale.
Contemporaneamente, vengono forniti manuali di auto-aiuto contenenti
prescrizioni comportamentali per il superamento del disturbo. In
generale, uno dei vantaggi maggiori della terapia di gruppo è quello di
consentire ai soggetti di interagire con persone che hanno i loro stessi
problemi, superando così il senso di isolamento e vergogna che spesso
pervade il comportamento bulimico. Inoltre, la terapia di gruppo
abbinata alla terapia individuale permette di sperimentare "in vivo", ed
eventualmente modificare, quelle modalità relazionali disfunzionali
affrontate nella terapia individuale. Concludo questo breve excursus
sulle terapie facendo riferimento alla terapia familiare. Tale approccio è
stato sinora molto poco utilizzato per il trattamento della bulimia
nervosa in quanto spesso le pazienti giungono al trattamento verso i 20
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anni, in un'età in cui stanno per lasciare la famiglia. In tali casi la
terapia familiare risulterebbe quindi scarsamente utile e si preferisce
optare per un intervento focalizzato sul singolo individuo. Il modello
familiare viene adottato soprattutto con le pazienti più giovani. Nella
terapia familiare risulta fondamentale, in primo luogo, la costruzione di
un ambiente terapeutico favorevole, che sia in grado di fare da sfondo e
promuovere il futuro processo di cambiamento. Si lavora soprattutto
sulla struttura dinamico-relazionale del gruppo. Gli obiettivi principali
saranno infatti la ridefinizione dei confini, l'emersione e la risoluzione
dei conflitti latenti, la promozione del processo di individuazione-
separazione della paziente e, contemporaneamente, la progressiva
definizione dei ruoli di tutti i membri della famiglia. In sintesi, si
evidenzia come il panorama delle psicoterapie della bulimia nervosa
risulti estremamente variegato. La scelta della specifica modalità da
seguire verrà effettuata in base all'orientamento e alla preparazione
della psicoterapeuta, nonché in base alle singole esigenze della
paziente.
1.2. Il trattamento farmacologico della bulimia nervosa
L'interesse per il trattamento farmacologico della bulimia nervosa è
stato stimolato soprattutto dai recenti riscontri clinici di alcune
alterazioni a livello neurochimico del sistema nervoso centrale che
potrebbero svolgere un ruolo importante nell'origine e nel
mantenimento della patologia. Numerosi farmaci si sono rilevati utili sia
per un miglioramento del tono dell' umore, sia per la diminuzione dei
cicli abbuffata-vomito. I farmaci più usati sono gli antidepressivi
triciclici, come l'imipramina, la fenelsina e l'amitriptilina. In una
rassegna di dodici studi riguardanti il trattamento della patologia con
tali farmaci, (Walsh, 1995) si evidenzia come si verifichi di fatto una
diminuzione delle abbuffate alimentari a causa degli effetti
anoressizzanti indotti dal farmaco (con la stessa percentuale di casi tra
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le bulimiche depresse e quelle non depresse) . L'autore sottolinea,
tuttavia, come al momento non vi siano ancora dati sufficientemente
certi in relazione al fatto che i miglioramenti ottenuti permangano nel
tempo. Gli antidepressivi? Quelli serotoninergici rappresentano i farmaci
maggiormente utilizzati nel trattamento della bulimia nervosa, come la
fluoxetina e la fenfluramina. Tali sostanze inducono una riduzione del
comportamento alimentare abnorme e hanno effetti benefici sull’ umore
delle pazienti (Michele Campanelli, 1994). Gli antidepressivi triciclici ,
così definiti perché hanno una struttura molecolare costituita da tre
anelli, agiscono bloccando il riassorbimento e modificando la quantità
dei neurotrasmettitori, cioè di quelle sostanze che mediano l'impulso
nervoso da una cellula all'altra all'interno del cervello. Questo determina
un riequilibrio tra i diversi sistemi, quello serotoninergico,
dopaminergico e adrenergico. Gli antidepressivi serotoninergici agiscono
in modo specifico bloccando esclusivamente il riassorbimento della
seratonina, il neurotrasmettitore coinvolto, tra l'altro, nella regolazione
del senso della sazietà. Il ricorso ai farmaci implica tuttavia alcuni rischi,
specie per quelle pazienti già portate a fare uso in modo autonomo di
psicofarmaci che, trovandosi con un a prescrizione a disposizione,
potrebbero abusarne. Il rischi di abuso, con conseguenze pericolose dal
punto di vista fisico , può verificarsi anche nei soggetti con idee suicide.
Inoltre, la tendenza delle pazienti ad attribuire le cause degli eventi a
fattori esterni potrebbe essere rinforzata dall'uso dei farmaci: la
responsabilità di modificare il proprio stile di vita verrà evitata, dal
momento che "sarà il farmaco a fare tutto il lavoro" (Walsh , 1995).
Vanderlinden, Norré e Vandereycken (1989) propongono alcuni criteri
da tener presenti nella somministrazione di farmaci alle pazienti
bulimiche. I farmaci, in combinazione con una forma di psicoterapia
adeguata, andrebbero usati solo nei seguenti casi:
a) nelle pazienti bulimiche che mostrano un concomitante disturbo dell'
umore senza una chiara connessione con il comportamento alimentare
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disturbato, come si evidenzia da un miglioramento del comportamento
alimentare indotto terapeuticamente senza un concomitante
miglioramento dell'umore;
b) nelle pazienti bulimiche i cui chiari sintomi di depressione siano
probabilmente collegati al comportamento alimentare e alla situazione
psicosociale, ma che, a causa dell'umore gravemente disturbato,
trovano estrema difficoltà ad impegnarsi in un processo
psicoterapeutico;
c) Nelle pazienti bulimiche in cui la psicoterapia, malgrado la corretta
applicazione e l'impegno della paziente, abbia fallito.
Risulta, in conclusione, che l'efficacia effettiva riguardo il trattamento
farmacologico della bulimia nervosa non risulti al momento
completamente chiara . Viene così sottolineata la necessità di ricorrere
al farmaco solo in casi particolari e sempre comunque nell'ambito di un
contesto psicoterapeutico.
1.3. Breve rassegna degli studi sull'efficacia dei trattamenti
Per valutare l'efficacia e confrontare i risultati ottenuti dai diversi
trattamenti, riporteremo ora una breve rassegna degli studi sugli effetti
delle varie forme di terapie e degli interventi farmacologici. Riferendoci
alla terapia individuale cognitivo-comportamentale, in uno studio di
Agras et al. (1989) sono stati confrontati i risultati riportati da due
gruppi di bulimiche. il primo gruppo era sottoposto a terapia cognitivo-
comportamentale, il secondo ad una semplice terapia comportamentale.
Si è evidenziato un miglioramento sintomatologico superiore nel primo
gruppo. Fairburn (1991) ha valutato, in 75 pazienti bulimiche, l'efficacia
della terapia individuale cognitivo-comportamentale rispetto ad una
versione semplificata di questa terapia e ad una psicoterapia
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interpersonale. Tutti e tre i trattamenti hanno prodotto un
miglioramento signicativo, ma la terapia cognitivo-comportamentale è
risultata superiore alla altre due nel modiflcare le distorsioni
dell'immagine corporea, i tentativi estremi di digiuno e il vomito
autoindotto. A risultati simili è giunto lo stesso Fairburn in uno studio
del 1995 . Pochi studi sono stati condotti riguardo l'efficacia del
trattamento psicoanalitico o delle terapie individuali ad orientamento
psicoanalitico (Fava, Guaraldi,1992). Lacey (1986) ha descritto un tipo
di psicoterapia individuale ad orientamento psicodinamico in cui
vengono introdotti elementi di terapia comportamentale. Tale
trattamento è risultato molto efficace nel ridurre la sintomatologia in un
gruppo di 30 soggetti bulimici. Per quanto concerne le terapie di
gruppo, in uno studio del 1985 (Kirkleye coll., 1985) è stata evidenziata
una netta superiorità, riferita alla riduzione dei sintomi, della terapia
cognitivo comportamentale di gruppo, rispetto a quella ad orientamento
psicodinamico. Wolchik, Weiss e Katzman (1986) hanno riportato una
significativa riduzione della sintomatologia bulimica in 18 donne
bulimiche, trattate con terapia di gruppo psicoeducazionale, rispetto a 7
soggetti che non potevano frequentare le sessioni e furono utilizzati
come soggetti di controllo. In un intervento di terapia familiare, Russel
e coll. (1987) assegnarono 24 soggetti con bulimia, in modo casuale, a
terapia familiare e a terapia di sostegno. Dopo un anno di trattamento,
entrambe le terapie avevano risultati scarsi e sovrapponibili. In alcuni
studi sono stati confrontati i risultati con i trattamenti farmacologici e
con le terapie cognitivo-comportamentali. Mitchell e coli. hanno
paragonato l'efficacia di quattro diversi trattamenti: terapia
antidepressiva, placebo, terapia di gruppo cognitivo comportamentale
con antidepressivi e terapia di gruppo cognitivo comportamentale con
placebo. I risultati hanno evidenziato che il trattamento più efficace è
quello con terapie di gruppo cognitivo comportamentale e che l'aggiunta
di farmaci antidepressivi non sembra produrre ulteriori benefici. In un
esperimento simile, Agras e coll. (1994) hanno confrontato i risultati
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ottenuti con la sola terapia antidepressiva, con la solo terapia
individuale cognitivo comportamentale e con la combinazione dei due
trattamenti. Il gruppo trattato con il solo antidepressivo ha ottenuto
risultati meno soddisfacenti rispetto agli altri due. La terapia cognitivo-
comportamentale, sia da sola che in abbinamento al farmaco, ha dato
ottimi risultati, simili tra loro, fatta eccezione per la psicopatologia
associata alla bulimia (ansia, depressione), che è diminuita di più nella
terapia combinata al farmaco che non nella terapia senza farmaco. In
conclusione, appare evidente come sia le varie le forme di psicoterapia
(individuale o di gruppo) che la farmacoterapia (specie se abbinata ad
un trattamento psicoterapico), costituiscano strumenti efficaci nel
trattamento della bulimia nervosa. Tuttavia, l'approccio di tipo
cognitivo-comportamentale sembra al momento quello più efficace
nonché il più utilizzato per il trattamento della patologia.
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CAPITOLO 2
LA TERAPIA COGNITIVO - COMPORTAMENTALE
La terapia cognitivo-comportamentale si è rivelata estremamente
efficace nel trattamento della bulimia nervosa, in quanto consente un
intervento completo su tutte le componenti implicate nella patologia, sia
quelle riferite a modificare il modello alimentare alterato, sia quelle di
carattere prettamente psicologico. Presenteremo in primo luogo
l'impostazione teorica e i principi basilari della terapia cognitivo-
comportamentale applicata alla bulimia. In seguito, verranno delineate
le singole fasi in cui si articola il trattamento.
2.1. L’approccio cognitivo-comportamentale nel trattamento della
bulimia nervosa
Per introdurre la trattazione della terapia cognitivo-comportamentale,
faremo riferimento all'impostazione teorica, alla struttura e agli obiettivi
del trattamento e, infine, alla relazione terapeutica. Gli autori che hanno
elaborato e seguono il modello eziopatogenetico biopsicosociale della
bulimia nervosa applicano generalmente una terapia di tipo cognitivo-
comportamentale (Fairburn, 1985; Johnson, Connors, 1987;
Vanderlinden, Norré, Vandereycken, 1989; Campanelli, 1994). La
motivazione di tale scelta è da ricercarsi nella struttura stessa del
modello biopsicosociale che configura la bulimia nervosa come un
disturbo multideterminato, in cui intervengono componenti sociali,
biologiche e psicologiche (di tipo familiare e individuale). In particolare,
secondo il modello, la dieta svolge un ruolo essenziale nello sviluppo e
nel mantenimento del sintomo bulimico. La restrizione alimentare
tende, infatti, ad esacerbare quelle caratteristiche psicopatologiche
preesistenti rispetto all'insorgenza del disturbo (bassa stima di sé,
bassa autoefficacia) e innesca la spirale bulimica in cui la paziente
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rimane intrappolata. Di conseguenza, se la dieta non viene eliminata, il
circolo vizioso che si è creato non può essere interrotto. A livello
terapeutico, si rende così necessario un intervento orientato sia sul
comportamento alimentare alterato, sia sugli aspetti psicopatologici del
disturbo. Si è evidenziato, in tal senso, che la regolazione della condotta
alimentare raramente si verifica in modo automatico quando vengono
risolti i problemi e i conflitti sottostanti: si rende quindi indispensabile
affrontare direttamente il comportamento alimentare alterato,
eliminando la restrizione dietetica che la paziente si autoimpone (Hsu,
1990; Fairburn, 1985; Dalle Grave, 1995). Alla luce di tali
considerazioni, la terapia cognitivo comportamentale si rivela
estremamente efficace nel trattamento della bulimia nervosa in quanto
consente di intervenire sia sulle componenti strettamente psicologiche
del disturbo sia, su un piano prettamente sintomatico, sulla dieta e sul
comportamento alimentare alterato. La terapia è così suddivisa in due
fasi essenziali. La prima è dedicata all' eliminazione della dieta ed
all'acquisizione da parte della paziente di un modello alimentare
bilanciato e di tipo non restrittivo. In questo modo si verificano una
diminuzione della sintomatologia ed un interruzione del circolo bulimico:
"non appena il meccanismo viene interrotto ci saranno spazio ed
energia sufficienti per ulteriori iniziative dentro e fuori dell'ambito
terapeutico" (Vanderlinden, Norré, Vandereycken, 1989). La seconda
parte della terapia è dedicata essenzialmente alla ristrutturazione
cognitiva, cioè all'identificazione e modificazione di quei sistemi di
convinzione disfunzionali che sono alla base della patologia, per favorire
l'adozione di sistemi di convinzioni più flessibili che consentano un
migliore adattamento psicosociale. Il lavoro di ristrutturazione cognitiva
consente una comprensione approfondita del significato e della funzione
del sintomo nella vita della persona. Le due fasi della terapia vengono
presentate separatamente a scopi eminentemente didattici ed
esplicativi; di fatto, nella pratica si verifica una costante fluttuazione tra
le varie fasi.