Prefazione
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discriminatoria o riduttiva nei confronti degli altri approcci
teorici.
Nella stesura di questo lavoro mi sono trovato a fare i
conti con un problema di definizione terminologica che
presto mi sono accorto nascere da una diffidenza emotiva. La
natura stessa del linguaggio umano, e più precisamente della
sua componente numerica, secondo quanto indicato da
Watzlawick (1971), rende impossibile non ricorrere a termini
specifici per indicare la persona che soffre di Disturbi del
Comportamento Alimentare. Nonostante ciò la scelta di un
termine include necessariamente l’esclusione di un altro e
con esso di tutti i significati emotivi che esso evoca. Ciò
ingenera in me la sensazione di ridurre in spazi troppo
angusti la complessa personalità e individualità di queste
persone. Per questo motivo faccio mie le parole di A.Gordon
a questo proposito: <<Nel riferirmi a questi problemi ho
talvolta fatto uso delle forme plurali “anoressici” e
“bulimici”. Sia chiaro che facendolo non ho voluto
neppure lontanamente suggerire l’esistenza di una qualche
uniformità nei pazienti considerati individualmente. È vero
che i sintomi clinici dei disturbi dell’alimentazione sono
assai simili in pazienti diversi; ciononostante, come
individui, essi mostrano una grande variabilità. Come
abbiamo appreso negli anni ’60 dalle critiche
dell’antipsichiatria, nella terminologia psichiatrica vi è
Prefazione
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purtroppo una tendenza alla deindividualizzazione che se
usata scorrettamente può provocare conseguenze dannose.
Ho usato i termini “anoressici” e “bulimici” solo per
questione di convenienza e spero vivamente che nessuno
dei portatori dei sintomi di questi disordini possa sentirsene
offeso. Parlo sempre di pazienti anoressiche e bulimiche al
femminile perché i pazienti di sesso femminile sono una
larghissima maggioranza; fatto questo di notevole
significato socioculturale.>> (Gordon, 1991).
Questa mia sensibilità verso l’individualità psichica si
sposa con la mia preferenza per l’orientamento sistemico-
relazionale, che spesso si ritiene che sia attento più alle
dinamiche relazionali che caratterizzano una famiglia o un
gruppo nel loro insieme, che alla individualità intrapsichica
di ogni singolo componente del sistema. Spero di chiarire le
interrelazioni presenti tra questi due piani quando nel
capitolo dedicato a questo orientamento teorico, metterò in
luce l’importanza dell’incontro tra ogni individuale
“intrapsichico” di ogni singolo componente del sistema
familiare con quello dell’altro e di conseguenza l’importanza
che le caratteristiche individuali assumono nella
strutturazione dell’interazione familiare e nella scelta della
costellazione dei sintomi.
CAPITOLO 1
I DISTURBI DEL COMPORTAMENTO
ALIMENTARE IN CHIAVE STORICA
Capitolo 1
I DCA in chiave storica
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STORIA DEL CONCETTO DI ANORESSIA
Nel corso della sua formulazione storica il concetto di
Anoressia mentale ha avuto diverse sistemazioni. Oggi noi
possiamo distinguere quattro periodi.
All’interno della primo periodo troviamo i primi tentativi di
identificare la malattia. Nel secondo periodo passiamo ad
una fase in cui si ha una precisa connotazione dell’Anoressia
mentale. In particolare, in questo periodo l’Anoressia
mentale viene definita come moderna nosografia clinica con
delle ben precise caratteristiche del quadro morboso e della
patogenesi. Il terzo periodo è caratterizzato dai lavori di
Simmonds (1914). Per finire nel quarto periodo vediamo il
dispiegarsi degli studi di specifiche discipline psicologiche
su questo argomento. In particolare si occuparono di una
sistematizzazione clinica del concetto di Anoressia mentale
gli studi di psicanalisi, di fenomenologia, e di analisi-
esistenziale. Lo scopo principale di questi studi è arrivare ad
una ricostruzione psicogenetica della malattia stessa e
all’approfondimento delle conoscenze psicologiche.
Primo periodo.
Possiamo identificare gli antecedenti della odierna
Anoressia mentale nella letteratura religiosa che parte fin dal
Capitolo 1
I DCA in chiave storica
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periodo paleocristiano. In essa sono segnalati numerosi
episodi di astinenza dal cibo pressoché assoluta per
ascetismo. Essi vengono definiti con il nome di “miracoli
alimentari”. Tra gli autori di questi “miracoli” ci sono molti
santi tra cui San Nicola di Flue, Santa Caterina da Siena,
Santa Rosa da Lima e anche molti altri. Sembra che il loro
unico cibo fosse l’ostia consacrata.
Già nel Medio Evo, però, era presente una reazione sociale
ambivalente rispetto a queste situazioni di digiuno
prolungato. Infatti se da una parte si parla di “miracoli
alimentari”, appunto, non sono comunque rari i casi in cui
l’origine di queste manifestazioni comportamentali viene
attribuita ad una presenza demoniaca, come testimoniano
molti documenti tra cui gli atti di una missione cristiana
franco-irlandese del VII secolo che, datando l’episodio nel
660 dopo Cristo, testimoniano il caso di una ragazza che
aveva problemi alimentari. Nel testo questa è la citazione:
“...però accadde che essa fu assalita da uno spirito impuro,
cosicché non voleva più assumere alimenti né solidi né
liquidi; e rimase molti giorni senza mangiare né bere.
Giunse allora una grande moltitudine di suoi parenti, che
con preghiere e minacce volevano costringerla a prendere
cibo: ma essa negava di avere bisogno di alimenti, dicendo
che il suo corpo non ne aveva necessità, e che comunque non
aveva fame. I parenti però le misero in bocca un imbuto con
Capitolo 1
I DCA in chiave storica
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la forza, e vi versarono acqua e latte. Ma come essa ebbe
inghiottita la bevanda contro la sua volontà, la vomitò subito
mescolata a sangue”.
A partire dall’anno Mille ai resoconti di religiosi iniziano
ad affiancarsi quelli di medici. La prima testimonianza di un
medico è quella di Alberto Magno il quale nel settimo libro
“De animalibus” rileva come spesso vi siano delle persone
che sembrano resistere al digiuno totale. Egli per primo
rileva una caratteristica che poi sarà molto importante in tutti
i resoconti che riguardano l’Anoressia mentale fino ai nostri
giorni. Alberto Magno definisce la resistenza al digiuno
come una caratteristica tipica del sesso femminile in quanto
egli nota che i casi che ha potuto osservare sono soprattutto
quelli di donne. Negli anni che vanno dal 1200 al 1350 tutta
un’altra serie di medici rilevano sintomi che sembrano
assomigliare molto all’attuale Anoressia mentale. Tra questi
ricordiamo Pietro di Albano e in particolare Gerardo
Bucholz il quale nel 1551 descrive il celebre caso di
Margarita Weiss.
Negli anni dal 1500 alla 1650 vi sono tutta un’altra serie di
testimonianze da parte di medici. Esse però hanno in comune
la caratteristica di essere soprattutto centrate sugli aspetti
organici e sulle manifestazioni somatiche. Raramente vi è
una messa in luce di fattori eziologici psichici. Bisogna
aspettare il 1689 per avere la prima descrizione dettagliata e
Capitolo 1
I DCA in chiave storica
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critica di un caso, anzi due, di Anoressia Nervosa. L’autore è
Sir Richard Morton. Egli era una grande medico inglese che
pubblicò un’opera sulla malattia tubercolare intitolata
“Phthysiologia, seu Esercitationes de Phthysi”. Il primo
capitolo di quest’opera contiene la descrizione di una
condizione che egli definisce col termine di “Atrophia, seu
Phthysis Nervosa”, essa può essere considerata la prima
descrizione sistematica e particolareggiata di un caso di
Anoressia Nervosa. Morton riferisce: “l’atrofia, o tisi
nervosa, è quella che trae origine da uno stato morboso
dello spirito o da un alterato tono dei nervi: per cui, così
come il languore e la consunzione generale del corpo
derivano alla fine da una scadente assimilazione del succo
nutritivo, così fin dall’inizio stesso della malattia
compaiono l’inappetenza e la digestione difficile dello
stomaco, a causa di una imperfetta fermentazione e
volatilizzazione del chilo”. Dopo queste caratteristiche di
fisiologia egli continua nella sua descrizione medica. Più che
la descrizione medica, acquista interesse rilevante per il
nostro discorso, l’osservazione di diverse caratteristiche che
possiamo definire psicologiche a proposito di quella che può
essere l’eziologia dell’ Anoressia “nervosa”. Infatti Morton
così continua: <<la principale causa di questa malattia mi
sembra essere di natura nervosa, e proveniente da uno
stato preternaturale degli spiriti animali e da un
Capitolo 1
I DCA in chiave storica
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annientamento del tono dei nervi, cosicché io sono solito
chiamarla “tisi nell’abito del corpo”. Come l’appetito e la
digestione sono prostrati dall’indebolito tono dello
stomaco, così anche in tutto l’abito del corpo
l’assimilazione, la fermentazione e la volatilizzazione del
succo nutritizio vengono impediti per lo stato morboso del
sistema nervoso>>. E ancora: “abbiamo osservato che per
lo più le cause predisponenti sono i patemi d’animo
violenti, le eccessive libagioni di liquori e l’aria insalubre:
e nessuno può meravigliarsi che questi fattori possano
alterare il tono dei nervi e la disposizione naturale degli
spiriti di animali”.
Secondo periodo
Giungiamo così alla metà del XIX secolo. In questo periodo
l’Anoressia mentale viene definita nelle sue caratteristiche di
moderna entità clinica, sia per la definizione dei sintomi, che
per l’individuazione della patogenesi che viene riferita al
sistema nervoso periferico.
Gli autori che più contribuiscono a questa evoluzione
furono Ernest Charles Laségue e William Whitey Gull. Ad
essi sono dovute le prime descrizioni che risaltarono
l’eziologia “morale” e “nervosa” di questa malattia. Essi
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I DCA in chiave storica
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rilevarono anche la preponderanza delle relazioni familiari
come fattori determinanti nell’istituirsi della patologia.
Laségue ipotizzò che la malattia nascesse da una emozione
non confessata dal soggetto. Egli suddivise la malattia in tre
stadi. Il primo stadio si manifestava con turbe digestive,
riduzione dell’alimentazione, grande iperattività. Nel
secondo stadio aveva inizio la “perversione mentale”, la
quale era accentuata da forti preoccupazioni presenti nella
famiglia per il comportamento anomalo del soggetto e per il
suo scarso appetito con conseguente perdita di peso. Nel
terzo stadio, cioè “la cachessia”, si arrivava ad un
dimagrimento estremo, la pelle perdeva la sua naturale
elasticità, l’addome si ritraeva, vi era il pallore sul viso,
sopraggiungeva l’amenorrea e la stipsi, e il soggetto passava
dallo stato di iperattività del primo periodo a quello di una
totale astenia.
Gull denominò, all’inizio, la sindrome con il termine di
“Apepsia histeryca”, in quanto pensava che la causa
principale fosse una ridotta funzionalità o completa
atrofizzazione delle branche gastriche del nervo
pneumogastrico e, avendo notato delle somiglianze tra il
quadro mentale dei soggetti da lui osservati e il quadro
mentale dell’isteria, aggiunse l’aggettivo “isterica”.
In seguito, nel 1873, egli propose il termine di “Anoressia
isterica”.
Capitolo 1
I DCA in chiave storica
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Bisogna aspettare il 1883 perché si diffonda una nuova
denominazione ad opera di Huchard, il quale crea il termine
di “Anoressia mentale” che in seguito avrà sempre più
diffusione fino ad essere accettato quasi universalmente. La
proposta della nuova denominazione è motivata dall’autore
per sottolineare l’importanza dello stato psichico dei soggetti
in questa sindrome. Infatti, Huchard distingue un’Anoressia
mentale primaria da una secondaria di natura isterica ed
insiste sull’importanza della psicoterapia per la cura della
prima. Egli così si esprime: “essendo l’Anoressia
determinata da uno stato mentale particolare, è proprio su
questo che dobbiamo vegliare; ad una malattia psichica
dobbiamo opporre un trattamento psichico”.
Come si vede, fino all’inizio del nostro secolo,
all’Anoressia mentale era attribuita un’eziologia prettamente
psichica. Le cose cambiano dal 1914 in poi come vedremo
nel prossimo paragrafo.
Capitolo 1
I DCA in chiave storica
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Terzo periodo
Nel 1914 si ha un radicale cambiamento nell’interpretare
l’eziopatogenesi dell’Anoressia. In quest’anno infatti
Simmonds rende pubblico lo studio di un caso di atrofia del
lobo anteriore dell’ipofisi, venuta alla luce nell’autopsia di
una paziente affetta da una forma molto forte di cachessia e
tubercolosi polmonare. Questo caso clinico presentava
indubbie e marcate somiglianze nel suo quadro clinico con il
quadro sintomatologico dell’Anoressia mentale. Inoltre
Simmonds due anni dopo pubblicò altri due casi molto
simili. Anche in questa seconda pubblicazione i soggetti
presentano un tumore ipotalamo-ipofisario.
L’osservazione di questi casi porta l’autore, sue testuali
parole, ad “una conclusione pratica”, che egli così esprime:
“in tutti i casi di cachessia progressiva di origine
sconosciuta si deve pensare ad un interessamento
ipofisario”. Gli studi di Simmonds ebbero un’eco
eccezionale nell’ambiente medico, ed anche se all’inizio vi
furono molte perplessità sulle sue conclusioni, in quanto si
riteneva piuttosto riduttivo pensare che un quadro
sintomatologico così variegato e complesso come quello
dell’Anoressia mentale potesse essere giustificato
Capitolo 1
I DCA in chiave storica
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interamente su un piano medico-biologico, ciò portò a due
fasi che si susseguirono rapidamente.
Nella prima fase vi fu un periodo di grande incertezza nella
diagnosi differenziale tra la cachessia ipofisaria di
Simmonds e l’Anoressia mentale; ciò portò in una seconda
fase, ad ipotizzare comunque la presenza di un patologia
dell’ipofisi in ogni caso di cachessia grave. Ciò ebbe come
conseguenza che, da quel momento in poi, molte descrizioni
cliniche di casi, che oggi sarebbero tranquillamente
classificati come Anoressia mentale, vennero resi pubblici e
diffusi nell’ambiente medico con il nome di “malattia di
Simmonds”.
La conseguenza immediata fu un rallentamento degli studi
specifici sull’Anoressia mentale, cosa che ha rallentato non
poco il progresso della ricerca sulle cause psichiche
dell’eziogenesi dell’Anoressia stessa.
La confusione sul piano teorico, sulla definizione e sulle
cause della malattia stessa si riversò anche in campo
terapeutico portando all’applicazione di tecniche che
utilizzavano i trapianti ipofisari e le iniezioni di estratti
tiroidei nella cura dell’Anoressia mentale. In pratica si cercò
di riportare tutto all’ambito medico mettendo a tacere gli
aspetti psichici della sindrome, con non pochi danni per le
persone che soffrivano di questa patologia.
Capitolo 1
I DCA in chiave storica
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La situazione si aggravò ancor più con la pubblicazione da
parte della Kylin nel 1935 di una monografia sulla malattia
di Simmonds che comprendeva la descrizione di numerosi
casi di Anoressia mentale, per i quali si sottolineava a chiare
lettere la loro causa organica dovuta ad un’insufficienza
ipofisaria.
Arriviamo così agli anni ‘40, che possiamo prendere come
data di inizio di un nuovo periodo che segnerà la rinascita
degli studi psicologici sull’Anoressia mentale.
Quarto periodo
Il quarto periodo presenta gli sforzi per individuare le cause
psichiche dell’Anoressia mentale. Gli studi psicologici
tornano in primo piano e sono tutti tesi alla comprensione
della patologia, ed interessarono tutti i vari orientamenti
teorici, in particolare quello comportamentale, quello
psicoanalitico, quello sistemico-relazionale.
In campo medico, poi, ha una certa importanza lo studio di
Sheehan che ha contribuito ad eliminare l’equivoco creato
da Simmonds in quanto dimostrò che nell’insufficienza
ipofisaria il dimagrimento non è un segno precoce, e tanto
meno sempre presente; inoltre egli definì molto chiaramente
le diversità tra la sintomatologia dell’ipopituitarismo
anteriore e l’Anoressia mentale.