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i dodici anni, le loro problematiche didattiche, con riferimento ai disturbi
neuropsicologici.
Ho scelto di trattare questo argomento perché mi è sembrato importante
soffermarmi più da vicino su quello che è stato il mio destino di disabile
affetta da Spina Bifida ed inoltre, anche in vista della professione che andrò
ad esercitare, condurre una riflessione sia sull’evoluzione delle
problematiche da considerare durante la crescita, sia sulle dinamiche
relazionali e d’apprendimento che ogni individuo portatore di disabilità, a
prescindere dalle capacità intellettive che presenta, suscita in famiglia e
nell’ambiente in cui vive.
Le ipotesi formulate in questa ricerca sono volte a rilevare una differenza
di prestazione, presubilmente inferiore, nelle prove d’apprendimento e la
possibilità di far rientrare questi bambini all’interno del quadro della
“Sindrome Non Verbale” descritta da Rourke; questa sindrome mette in
evidenza un disturbo generale, comprendente differenti abilità cognitive.
La prima parte di questa ricerca descrive in modo minuzioso la patologia
della Spina Bifida.
Successivamente, il fulcro di questa ricerca, quello relativo alle difficoltà
di apprendimento, allo sviluppo cognitivo e neuropsicologico.
Nella parte centrale è stato utilizzato il metodo della ricerca per
raccogliere dati utili ad ampliare le conoscenze ed indagare aspetti
particolari, ma significativi, riguardanti le ipotesi di lavoro.
Nella parte finale, infine, si sono state presentate le analisi dei dati raccolti, i
risultati, una discussione e le conclusioni.
Sono state valutate le prestazioni di un campione di bambini affetti da
Spina Bifida, con un Quoziente Intellettivo maggiore di 70, in assenza di
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patologie sensoriali, in assenza di disturbi pervasivi di sviluppo e in assenza
di crisi epilettiche in trattamento farmacologico.
I bambini, segnalati dal Centro Spina Bifida di Parma con i precedenti
criteri descritti, sono stati sottoposti, individualmente, ad una batteria di test
linguistici e per la valutazione dell’apprendimento, con l’obiettivo di
indagare sia l’aspetto linguistico che relativo all’apprendimento.
I test somministrati sono stati:
ξ Test di memoria di lavoro uditivo verbale (Brizzolara, Casalini);
ξ Test MT: di comprensione, rapidità e correttezza (Cornoldi, Colpo e
gruppo MT);
ξ Test Rustioni: linguaggio narrativo;
ξ Boston naming test: denominazione;
ξ Test TCGB: comprensione grammaticale;
ξ Test di ripetizioni di frasi Cumer-Zardini;
ξ Test PPVT: vocabolario recettivo.
Il problema principale riscontrato è la difficoltà nella comprensione della
lettura, inserito in un disturbo d’apprendimento aspecifico, quale disabilità
della competenza linguistica, negli usi più sofisticati del linguaggio, in
particolare nel linguaggio narrativo.
Il modello di riferimento, decritto da Rourke, ha permesso di delineare
così non solo le difficoltà dei soggetti, ma anche le loro abilità, offrendo la
possibilità di intervenire sulle aree deficitarie, facendo leva su quelle
preservate.
Gli interrogativi posti da questa ricerca risultano rilevanti non soltanto
sul piano teorico, ma anche in ambito educativo, ove sarà opportuno aprire
la strada per estrapolare una possibilità di sviluppo, di strumenti adeguati
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per la valutazione dei punti di forza e di debolezza dei bambini soggetti a
Spina Bifida.
Il mio lavoro è stato reso possibile grazie alla collaborazione preziosa del
Centro Spina Bifida di Parma, grazie alla gentile disponibilità del Dott. A.
Ferrari, medico e amico di tanti insegnamenti di vita, della fisioterapista
Giuliana, della neuropsichiatra infantile Dott.ssa R. Leonetti e da tutta
l’équipe del Centro Spina Bifida di Parma.
“Le persone come noi, hanno voglia di stare in mezzo alla gente, fare
sempre nuove conoscenze, avere amici, amici veri, che hanno o no dei
disturbi fisici, gente con la quale si sta bene e soprattutto, che conoscendo il
nostro problema, cerca sempre di metterci nella condizione migliore“.
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Capitolo 1
Analisi epidemiologica, embriogenetica ed eziologia della
Spina Bifida
1.1 Epidemiologia
Il termine “Spina Bifida“, descrive un’anomalia di chiusura dell’arco
posteriore vertebrale la cui gravità varia da quadri straordinari (Spina Bifida
occulta asintomatica, scoperta radiologicamente nel 4% degli adulti) a
quadri comprendenti una Spina Bifida aperta con mielomeningocele.
Le principali malformazioni che vanno sotto il nome di disrafismi spinali,
aperti o chiusi, avvengono durante il periodo embrionale.
La Spina Bifida è una delle più frequenti e serie malformazioni congenite
e causa disabilità permanente, del sistema nervoso centrale, che si verifica
entro il 26°- 28 ° giorno di vita fetale. Appartiene al gruppo delle anomalie
secondarie a difetti di chiusura del tubo neurale. Tra questi la forma più
frequente è il mielomeningocele (80-90%), che si caratterizza per un
rigonfiamento, l’erniazione delle meningi e del tessuto nervoso displasico
attraverso una apertura degli archi posteriori delle vertebre e dei tessuti
molli sovrastanti.
Si valuta, secondo l’attuale letteratura, che l’incidenza vari
significativamente a seconda della distribuzione geografica. La frequenza di
questa patologia negli ultimi anni si è ridotta notevolmente, ma permane
ancora elevata, soprattutto in alcuni paesi dell’Europa del Nord, quali
Inghilterra e Irlanda. In queste zone può colpire in media 3.5 neonati ogni
1000. Studi recenti hanno stimato l’incidenza di tale malformazione nello
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0.6 per mille nati, rispetto all’1 per mille di alcuni decenni fa. In Italia
l’incidenza della Spina Bifida è del 0.9 % contro il 4.2 di Dublino.
Ancora oggi il mielomeningocele rappresenta una delle maggiori cause di
handicap nell’infanzia.
Sono state evidenziate anche delle ampie fluttuazioni ad andamento
epidemico negli anni e ampie oscillazioni stagionali.
In passato, nel sospetto che esistesse una correlazione fra ceto sociale ed
incidenza del mielomeningocele si è ampiamente ricercato un rapporto, ed
in effetti, è emerso che nelle classi meno abbienti, forse in relazione ad
inadeguati apporti alimentari o a più frequenti infezioni materne, esiste una
incidenza maggiore che in alcune casistiche appare addirittura superiore al
50%.
Molto è stato scritto sui fattori ambientali favorenti l’insorgere dei difetti
di chiusura del tubo neurale; è quindi doveroso riportare quello che la più
moderna letteratura riferisce in materia.
Il primo fattore ricercato è stato dunque quello riguardante una dieta non
globalmente carente, ma povera di alcuni componenti essenziali, che potesse
rappresentare un ipotetico fattore di rischio, esso è stato analizzato da
Smithelles et al, (Di Rocco e Caldarelli, 1983) sulla base del modello
sperimentale di Nelson del 1960. Questi autori hanno dimostrato, dopo aver
effettuato il dosaggio della riboflavina (vitamina B2 presente nel latte, nelle
uova, nel fegato ed inoltre un nutrimento essenziale per l’uomo), dell’acido
folico e delle vitamine A e C, una differenza statisticamente significativa
per l’acido folico e la vitamina C nelle madri con figli affetti da difetti di
chiusura del tubo neurale rispetto a quelle del gruppo di controllo.
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E’ stato posto l’accento sull’utilizzo dell’acido folico come mezzo di
prevenzione. A questo riguardo i più convincenti trial clinici controllati e
randomizzati sostengono da tempo la raccomandazione di somministrare
folati in epoca periconcezionale, per la prevenzione dei difetti del tubo
neurale. Sebbene i dosaggi, i tempi e la via di somministrazione ottimali non
siano ancora stati del tutto definiti, a livello internazionale si raccomanda da
tempo a tutte le donne con anamnesi negativa per DTN, di pianificare la
gravidanza e la conseguente assunzione quotidiana di multivitaminici
contenenti 0.4-0.8 mg di acido folico almeno un mese prima del
concepimento e per tutto il primo trimestre di gravidanza; mentre per le
donne a rischio, per precedente feto affetto, il dosaggio quotidiano aumenta
fino a 4 mg di acido folico, al fine di ridurre il rischio di ricorrenza.
Un posto certamente più importante merita lo studio dell’effetto
teratogeno dei farmaci sul sistema nervoso; aminopterina, clomifene, forse
salicilati e, secondo alcuni autori, anche certi antiepilettici potrebbero avere
un ruolo importante in tal senso.
Alcuni autori hanno invece ipotizzato una relazione fra difetti di chiusura
del tubo neurale ed infezioni riportando alcuni dati sulla presenza in
particolare del virus influenzale nella storia ostetrica delle madri con figli
affetti. In realtà non esiste una ben dimostrata correlazione fra un
determinato fattore di rischio e la malformazione e fino ad ora molte e
svariate ipotesi sono state avanzate, ipotesi che peraltro vanno inquadrate
nel concetto della multifattorialità.
Negli ultimi anni il miglioramento delle tecniche chirurgiche, la
possibilità di una diagnosi precoce in gravidanza, la migliorata assistenza
neonatale e un follow-up attento hanno ridotto il rischio di mortalità dei
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bambini con questa patologia dal 70% degli anni ’50, al 5% degli anni ’80.
Inoltre la possibilità di prevenzione con acido folico, una vitamina del
gruppo B, che interviene nella sintesi degli aminoacidi e del DNA ha ridotto
l’incidenza. (Drigo, 1998).
Tuttavia il mielomeningocele rappresenta ancora oggi una delle
malformazioni congenite più complesse e, per tale motivo, l’approccio alla
malattia deve essere multidisciplinare, coinvolgendo diversi specialisti
legati da uno stretto rapporto di cooperazione.
E’ importante notare come questa stretta cooperazione abbia ottenuto che
oltre il 90% dei bambini con mielomeningocele sopravviva, che più
dell’80% abbia un quoziente intellettivo nella norma, che circa l’85%
cammini e che soltanto l’1% soffra di insufficienza renale cronica.
I primi studi epidemiologici sui difetti di chiusura del tubo neurale
(DTN), iniziati intorno alla metà del XX secolo, sono da attribuire all’opera
di Record e Mc Keown (Belloli, 1992); questi autori correlano l’incidenza
di tale patologia a diversi fattori quali: luogo, tempo, etnia, sesso,
condizione sociale, età materna e fattori ambientali. (Belloli e Mercurella,
1992).
Sulle variazioni percentuali riscontrabili, varie sono le ipotesi che
spaziano da motivi puramente geografici ad abitudini di vita o ad una
correlazione con fattori etnici e sociali. Esse non hanno avuto in generale
una sufficiente conferma dei dati raccolti, in quanto è nota l’eziologia di tale
complessa malformazione, alla quale è riconosciuta una genesi
multifattoriale, tuttavia alcune annotazioni importanti possono essere:
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ξ nel corso degli anni vi sono ampie fluttuazioni ad andamento
epidemico, con picchi, durante i quali il tasso di incidenza risulta alzarsi
notevolmente;
ξ all’interno delle variazioni annuali vi sono delle oscillazioni
stagionali, variabili a seconda del luogo, con una tendenza al prevalere nella
stagione primaverile dei concepimenti di embrioni affetti dalla malattia (Di
Rocco e Caldarelli, 1983);
ξ l’evento poi si manifesta più frequentemente nelle madri giovani;
esiste poi un rischio di ricorrenza, calcolato attorno all’1.2%, per una coppia
che abbia già avuto un figlio con Spina Bifida (SB) o per un soggetto esso
stesso SB; per tale motivo è importante attivare una consulenza genetica
preventiva. (Drigo, 1998);
ξ la possibilità di malattia superiore per il sesso femminile rispetto
a quello maschile con un rapporto di incidenza M:F = 0.6:0.9.
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1.2 Embriogenesi
Il mielomeningocele (MMC) è una malformazione compatibile con la
vita extrauterina, ed è determinato da un’alterazione di sviluppo del tubo
neurale nel corso del processo di neurulazione.
In considerazione della stretta correlazione tra la cronologia dell’evento
teratologico e la sua espressione fenotipica, si possano determinare
numerosi quadri malformativi, dei quali il MMC rappresenta quello più
frequente.
Il MMC si presenta come un difetto di chiusura del canale neurale. Esso
si associa ad un’eventuale schisi del rachide e dei tegumenti soprastanti, con
esposizione del tessuto neurale, che appare esso stesso malformato. Il
midollo spinale “displasico“ si configura come una struttura discoidale
piatta spesso coperta da un sottile strato di tessuto di granulazione
vascolarizzato e forma, all’uscita del canale rachideo, un angolo di circa 40°
rispetto all’asse maggiore del midollo. La faccia ventrale della placca
midollare può mantenere dei rapporti anatomici normali con la parete
anteriore dei corpi vertebrali, oppure esserne separata da una cisti
aracnoidea, sulla superficie della quale essa sembra “galleggiare“
(mielomeningocistocele). La struttura istologica della placca è quella del
tubo neurale aperto, complicata da alterazione flogistico-regressive e dalla
presenza di cicatrici gliali. La superficie dorsale è ricoperta da ependima. E’
possibile trovare, al di fuori della zona midollare alterata, isole aberranti di
tessuto gliale, con incluse sparse cellule neuronali (ectopie).