4imprese hanno un vantaggio tale sulle piccole imprese da dar luogo talvolta a situazioni di
monopolio o più frequentemente di oligopolio.
La sottovalutazione della componente spaziale nella teoria economica derivava allora in
larga parte dal problema di come concettualizzare la struttura di mercato; per tale motivo,i
modelli citati alla base della teoria del commercio internazionale, nella spiegazione dello
scambio fra economie, pongono l’accento esclusivamente sui vantaggi comparati
2
invece
che economie di scala (che indicheremo anche come rendimenti crescenti). La
giustificazione di tale tendenza sta nel fatto che il vantaggio comparato poteva essere
schematizzato usando modelli che ipotizzavano rendimenti costanti e concorrenza perfetta,
che del resto erano gli strumenti a disposizione; le cose cambiarono quando, durante gli
anni Settanta, la teoria dell’organizzazione industriale offrì una varietà di modelli di
concorrenza imperfetta che, pur non essendo completamente convincenti, rendono
possibile la costruzione di modelli coerenti e spesso eleganti di economie soggette a
rendimenti crescenti.
È bene specificare che i rendimenti crescenti si possono avere a livello della singola
impresa o nell’ambito del settore produttivo; nel primo caso, il costo unitario dipende
dalla grandezza della singola impresa e parleremo di economie di scala interne, nel
secondo caso, invece, il costo unitario dipende dall’ampiezza del settore e parleremo di
economie di scala esterne
3
.
Un settore dove ci sono solo economie esterne sarà caratterizzato da molte piccole imprese
e dalla concorrenza perfetta, mentre le economie di scala interne danno alle grandi imprese
un vantaggio di costo sulle piccole e causano una struttura di mercato di concorrenza
imperfetta.
Entrambe le tipologie di economie di scala, avendo implicazioni diverse sulla struttura di
mercato, è difficile considerarle nello stesso modello; perciò nei prossimi paragrafi
tratteremo le economie di scala interne, dedicando il successivo capitolo a quelle esterne.
2
Per vantaggio comparato intendiamo l’idea generale che i paesi commercino al fine di trarre vantaggio dalle
loro differenze (diverse dotazioni di risorse e di diverse tecnologie) in modo che ciascuno di essi si
specializza in ciò che riesce a produrre relativamente meglio degli altri; l’impostazione basata sui rendimenti
crescenti asserisce, invece, che i paesi commercino per i vantaggi inerenti alla specializzazione nella
produzione di una gamma limitata di beni e servizi, anche nel caso di paesi inizialmente simili.
3
KRUGMAN, P. e OBSTFELD, M – “Economia internazionale:teoria e politica del commercio
internazionale”, 2002.
51.1 Economie di scala
Prima di passare ad esaminare i modelli caratterizzati da economie di scala interne, è
opportuno chiarire dapprima il concetto stesso di economie di scala; nella pratica, molti
settori sono caratterizzati da economie di scala per cui la produzione è tanto più efficiente
quanto maggiore è la scala minima efficiente (di produzione).
Cerchiamo di spiegare quest’affermazione; innanzitutto un processo produttivo gode di
rendimenti crescenti o economie di scala quando, all’aumentare degli input (capitale k e
lavoro L), l’output (Y) cresce più che proporzionalmente. Così, se Y = F (K, L) è la
funzione di produzione dell’impresa, aumentando gli input di un fattore O , Y aumenterà
più che proporzionalmente:
),( LKFY OOO !
Nel caso di economie di scala interne, se la tecnologia di un’impresa è tale per cui vi sono:
1) rendimenti crescenti, allora la curva dei costi medi (CMe) è decrescente
2) rendimenti costanti, allora la curva dei costi medi (CMe) è orizzontale
3) rendimenti decrescenti, allora la curva dei costi me di (CMe) è crecente
Graficamente:
Costi
CMe
Figura 1
Nel regime di concorrenza perfetta, la scala minima efficiente, ossia la quantità minima
che consente all’impresa di produrre a CMe minimi, è molto piccola rispetto alla
6dimensione del mercato; per tale motivo, l’impianto, l’argomento di replica della
tecnologia, consente all’impresa di produrre qualsiasi quantità di output nella stessa
proporzione della tecnologia; per cui, se vuole raddoppiare la produzione deve raddoppiare
gli impianti e cosi via…
Se viceversa, un ‘impresa con scala minima efficiente molto ampia rispetto alla
dimensione del mercato, all’aumentare della produzione sostiene costi via via decrescenti
allora si è in presenza di rendimenti crescenti tali per cui l’impresa deciderà di produrre di
più riducendo in tal modo il prezzo, atteggiamento non compatibile solo con una struttura
di mercato di concorrenza perfetta
4
.
2. La Nuova Geografia Economica ( NEG)
Dopo aver sottolineato l’importanza dei rendimenti crescenti e della loro schematizzazione
in strutture di mercato di concorrenza imperfetta, è necessario parlare delle conseguenze
che essi hanno nell’ ambito della concentrazione spaziale.
Anche un osservatore disattento, infatti, è in grado di notare che la distribuzione delle
imprese sul territorio non è casuale e omogenea, ma che, senza dubbio, essa segue regole
nascoste. L’osservazione empirica ci suggerisce che la maggior parte delle attività
industriali (elettronica, alimentare, tessile, abbigliamento, chimica, lavorazione del legno,
della plastica e della gomma, costruzione dei mezzi di trasporto) e dei sevizi (commercio,
servizi finanziari, ristoranti, attività alberghiere e turistiche, trasporti e tele-comunicazioni)
non sono uniformemente distribuite, ma tendono a concentrarsi nello spazio; molte attività
produttive e commerciali si localizzano cioè in prossimità geografica di altre attività simili.
La Nuova Geografia Economica (di seguito NEG) cerca di spiegare questi fenomeni; la
NEG, partendo dai contributi di Krugman nella prima parte degli anni novanta
5
,
rappresenta un ramo delle scienze economiche spaziali, che punta a spiegare la formazione
di una grande varietà di agglomerazioni economiche in spazi geografici, cercando di
individuare i fattori che influenzano la distribuzione geografica dell’attività economica.
L’agglomerazione o il raggruppamento di attività economiche può essere considerata a
differenti livelli di aggregazione; si distingue in particolare ad un estremo, agglomerazioni
di larga scala come, ad esempio, la Manifacturing Belt (la “cintura industriale”) negli Stati
Uniti (un’area racchiusa nel parallelogramma Green Bay - Saint Luis-Baltimora - Portland)
4
Appunti corso Economia Internazionale. Università degli studi di Salerno, 2006 – Prof. D’Amato Marcello.
5
KRUGMAN P., “Geography and trade”, Cambridge (Mass.), Mit Press, 1991.
7o la hot banana in Europa (un’area che va da Milano a Londra e che comprende il Sud Est
della Francia, l’Ile de France, la Ruhr in Germania, l’Olanda e il Sud Est dell’Inghilterra) e
sistemi urbani e regionali, di piccola scala di settori finemente definiti,come ad esempio, i
distretti industriali ( si pensi a l’Ile de France – l’area metropolitana di Parigi che occupa il
2.2% della nazione e il 18.9% della sua popolazione – produce il 30% del suo Pil);
l’agglomerazione regionale si riflette anche in una grande varietà di città. Le stesse città
potrebbero essere specializzate in un piccolo numero di industrie, come accade in molte
città ( si pensi a Toyota in Giappone) manifestano vari tipi di specializzazione locale); le
grandi metropoli come New York e Tokio sono altamente diversificate in quanto
nidificano molte industrie non hanno rapporti attraverso collegamenti diretti; nelle
agglomerazioni urbane e regionali s’inseriscono i distretti industriali che coinvolgono
società/aziende con forti collegamenti tecnologici o informatici ( ad esempio Silicon
Valley). All’altro estremo, ci sono aree di agglomerazione nella forma di grandi distretti
commerciali organizzati all’interno della stessa città ( si pensi a Soho a Londra o Ginza a
Tokio) e ad un livello più basso ristoranti, cinema, teatri, negozi che vendono prodotti
simili raggruppati nelle stesse prossimità e ancora il raggruppamento può prendere la
forma di un grande viale dello shopping
6
.
L’elemento innovativo centrale della NEG è rappresentato dal ruolo significativo attribuito
alla distanza fra i luoghi in cui avviene la produzione ed i mercati in cui vengono ceduti i
beni prodotti ed acquistati gli inputs.
La NEG tiene conto, in primo luogo, del fatto che la vendita di beni in luogo diversi da
quello in cui vengono prodotti comporta l’esistenza di un insieme di costi per
l’imballaggio, la conservazione ed il trasferimento delle merci. Tali “costi di trasporto”
fanno sì che luoghi diversi rappresentino per un’ impresa mercati diversi, nel senso che
essa vi cede i medesimi beni sostenendo però costi differenti; in secondo luogo, viene
considerata la presenza delle già citate economie di scala e di una struttura non
perfettamente concorrenziale nei mercati di riferimento.
Tutto ciò implica che il livello della domanda dei beni prodotti da un’impresa è influenzato
dalla localizzazione degli altri produttori.
Le medesime assunzioni e l’esistenza di legami inputs- outputs fra le imprese implicano, in
terzo luogo, che i costi di acquisto dei beni intermedi utilizzati nella produzione dipendano
dalla localizzazione dei fornitori.
6
FUJITA MASAHISA e TOMOYA MORI, Discussion paper No.27, “Frontiers of the New Economic
Geography”, April 2005.
8In definitiva, la Nuova Geografia Economica “è una teoria dello sviluppo delle grandi
concentrazioni che si fonda sui rendimenti di scala crescenti e sui costi di trasporto e
sottolinea l’importanza dei collegamenti tra imprese e fornitori così come quelli tra
imprese e consumatori.” (Schmutzler, 1999)
7
.
2.1 Le forze centripete e centrifughe
Una distribuzione territoriale disomogenea dell’attività economica può avere due possibili
spiegazioni
8
. Innanzitutto, essa può rappresentare il risultato di una disuguale distribuzione
territoriale delle risorse naturali e di differenze interregionali in altre caratteristiche
esogene, come il clima e la prossimità a vie naturali di comunicazione. La completa o
parziale immobilità di alcuni fattori e risorse è quindi una componente essenziale della
spiegazione del perché alcune attività sono concentrate in un posto ed altre attività in un
altro posto. Questa imperfetta mobilità è alla base del vantaggio comparato che determina
la specializzazione delle regioni nel commercio interregionale e internazionale. Questi
fattori di concentrazione, classificati come vantaggi competitivi di natura primaria (‘First
Nature’, cfr. Krugman, 1991
9
- Ottaviano e Thisse, 2004
10
), sono, ad esempio, molto
importanti per spiegare alcuni fenomeni di agglomerazione del periodo precedente la
rivoluzione industriale in Europa, quando la disponibilità di risorse naturali costituiva un
fattore critico nella decisione di localizzazione delle imprese. Per esempio, la
concentrazione geografica della lavorazione del legno e della carta nelle regioni del Nord
Europa era essenzialmente determinata dalla maggiore disponibilità della materia prima in
quell’ area. Altri esempi possono riguardare le grandi città come Amburgo o Londra che
sono diventate grandi porti perché le comunicazioni con l’interno erano facilitate dalla
presenza di un fiume navigabile.
La dotazione relativa dei fattori, esogenamente data, consente quindi di spiegare in parte la
distribuzione dell’attività economica nel territorio. I vantaggi “First Nature” sono l’unica
spiegazione possibile per la concentrazione se utilizziamo un modello con rendimenti di
scala costanti e concorrenza perfetta. Infatti, in un mondo senza rendimenti di scala
7
SCHMUTZLER A., “The New Economic Geography”, in Journal of Economic surveys, no.13(4), (1999).
8
BASILE, R. – “Economia Regionale -Modelli teorici ed evidenze empiriche sulle regioni europee”
(Università degli Studi di Macerata Facoltà di Economia 2004/2005).
9
KRUGMAN P., “First nature, second nature and metropolitan location”, in Regional Science, n. 33, 1991.
10
OTTAVIANO G. & THISSE, J.-F. "Agglomeration and economic geography," Handbook of Regional and
Urban Economics, in: J. V. HENDERSON & J. F. THISSE (ed.), Handbook of Regional and Urban Economics,
edition 1, volume 4, chapter 58, pages 2563-2608, Elsevier, 2004.
9crescenti, con costi di trasporto e quasi nessuna differenza nelle caratteristiche delle
regioni, le imprese operanti in aree molto affollate, devono affrontare un forte concorrenza
sia sul mercato dei beni sia in quello dei fattori. In una situazione come questa, esse hanno
una minore profittabilità delle imprese situate in aree con pochi concorrenti e quindi
l’incentivo a spostarsi è forte. Il risultato finale è una distribuzione omogenea delle imprese
su tutto il territorio.
Esistono però molti altri casi in cui le risorse naturali e le caratteristiche esogene
territoriali non giocano un ruolo critico. In questi casi i fenomeni di agglomerazione
possono essere considerati l’effetto dell’operare di forze endogene, generate dalle azioni
di imprese, lavoratori e policy maker. Si parla in tal caso di “vantaggi competitivi della
natura secondaria” (‘Second Nature’); ci sono infatti molti casi in cui regioni senza palesi
vantaggi naturali diventano centri economici, anche a scapito di regioni ad esse
inizialmente equivalenti.
Il compito principale degli economisti che si occupano dei fenomeni di concentrazione
spaziale è individuare queste forze endogene, tenendo però anche conto dei possibili effetti
dei fattori di natura esogena. Non è un caso, infatti, che i modelli, trattati nel terzo
paragrafo,tentano di spiegare l’agglomerazione assumendo che le regioni abbiano
inizialmente caratteristiche identiche (in termini di dotazioni fattoriali ed altri vantaggi
competitivi di natura primaria) e che l’attività economica sia inizialmente distribuita in
misura omogenea. Date tali ipotesi, questi modelli tentano di individuare le forze
economiche che determinano un ‘mutamento ampio e permanente ’ nella distribuzione
spaziale delle attività produttive. Il grado di concentrazione dell’attività economica è il
risultato dell’interazione tra due forze opposte: le forze centrifughe e le forze centripete.
Le prime contribuiscono a generare la dispersione geografica dell’attività economica. L’
effetto competizione è la più importante tra queste forze ( parag. 2.2).
Le forze centripete, dette anche economie di agglomerazione, contribuiscono a spiegare la
tendenza alla concentrazione spaziale dell’attività economica. Si tratta di vari tipi di
vantaggi economici che le imprese ottengono da una localizzazione concentrata, prossima
ad altre attività: economie di scala e varie forme di economie esterne all’ impresa.
L’esistenza di rendimenti di scala crescenti ci da, come si è detto, la possibilità di capire
perché regioni senza particolari vantaggi competitivi possono svilupparsi in modo diverso.
Il processo di concentrazione può essere così delineato. I rendimenti di scala crescenti
tendono a favorire la concentrazione della produzione di ogni bene. Quando si considerano
i costi di trasporto, le imprese tendono a concentrarsi nelle aree più vicine ai mercati e ai
10
fornitori. Infine, la concentrazione della produzione tende ad attirare verso quelle zone i
fattori di produzione mobili. Infatti, i lavoratori hanno lavori migliori e una maggior
gamma di opportunità di consumo nelle aree dove la produzione è concentrata.
Questo processo di migrazione determina un aumento della domanda di beni di consumo
che rende queste regioni ancora più attraenti per i produttori. Una volta che una regione
rappresenta una quota elevata della produzione totale, il processo di concentrazione tende
ad auto-rinforzarsi. Si viene così a creare un vantaggio di “Second Nature” per la regione:
essa diventa più attraente per le imprese proprio per il fatto che altre imprese già operano
lì.
Naturalmente, il processo non continua all’infinito perché vi sono forze centrifughe che
contrastano la tendenza alla concentrazione.
Krugman (1998)
11
riassume schematicamente le principali forze centripete, che
favoriscono la concentrazione delle imprese, e le forze centrifughe, che invece
impediscono all’attività produttiva di concentrarsi in un unico punto.
Forze che determinano la concentrazione geografica
Forze Centripete Forze centrifughe
Dimensione del mercato (collegamenti tra imprese)
Mercato del lavoro “ricco”
Esternalità positive
Fattori immobili
Valore dei terreni
Esternalità negative
Occorre subito chiarire che la principale forza centripeta presa in considerazione dalla
NEG per spiegare i fenomeni di agglomerazione di larga scala è rappresentata dall’effetto
dimensione di mercato ( market size effect) , detto anche effetto di accesso al mercato
(market access effect) a cui dedicheremo il prossimo paragrafo.
Le forze centrifughe sono invece elencate nella seconda colonna. I fattori immobili, quali
il terreno, le risorse naturali e, in un contesto internazionale, i lavoratori, tendono a frenare
la concentrazione. Dal lato della domanda, la presenza di un mercato non concentrato crea
per alcune imprese un incentivo a situarsi vicino ai consumatori; dal lato dell’offerta, è
innegabile che certe imprese possano operare solo dove le risorse naturali esistono (si
pensi, ad esempio, all’industria estrattiva). La concentrazione dell’attività economica
comporta, inoltre, una sempre crescente domanda di terreni e delle abitazioni: i prezzi
11
KRUGMAN P., “The Role of Geography in Development”, Annual World Bank Conference on
Development Economics, Washington, D.C., 20-21 Aprile 1998.
11
crescenti tendono ad allontanare imprese e lavoratori. Infine non sono trascurabili le
esternalità negative quali la congestione e l’inquinamento.
Il processo di concentrazione che si auto-rigenera è un idea già presente nell’opera di
economisti dello sviluppo come Hirschman
12
che ha sottolineato l’importanza dei
collegamenti “in avanti” e “all’indietro”, e Myrdal
13
. Infine, l’idea che esistano forze
centrifughe che contrastano il processo di concentrazione era già stata utilizzata da Ohlin
14
,
ed, in seguito, da Henderson
15
.
Tuttavia, la NEG ha il merito di aver riportato l’attenzione su queste importanti intuizioni
dell’economia spaziale. Esse sono state riconsiderate e organizzate in una struttura
coerente che finora mancava.
2.2 L’effetto competizione
La maggiore presenza all’interno di una regione di imprese dello stesso settore o di
imprese che producono beni simili si riflette in un minore prezzo del bene stesso e quindi
in minori ricavi per le imprese che lo producono ed in più alti salari per i lavoratori e
quindi in maggiori costi per le imprese. La prospettiva di realizzare minori profitti, in
assenza di barriere all’uscita, spinge le imprese a localizzare la produzione in regioni con
un numero minore di imprese, generando una tendenza verso la dispersione dell’attività
economica.
Questo risultato è ben chiaro nello schema analitico tradizionale del commercio
internazionale, basato sulle ipotesi di concorrenza perfetta, rendimenti costanti di scala e
omogeneità dei prodotti. Secondo questo schema, l’integrazione economica induce le
regioni a specializzarsi sulla base del proprio vantaggio comparato, ovvero a specializzarsi
in quelle attività che fanno uso intensivo del fattore di cui esse dispongono in misura
relativamente maggiore. In assenza di differenze regionali nella disponibilità di risorse o
nella tecnologia, i modelli di commercio con rendimenti di scala costanti e concorrenza
perfetta suggeriscono che l’attività economica si distribuisce uniformemente nello spazio.
Immaginiamo, infatti, un mondo in cui non ci siano rendimenti crescenti di scala, il
trasporto dei beni sia costoso e le differenze regionali nella dotazione fattoriale siano
12
HIRSCHMAN A., “The Strategy of Economic Development”, New Haven, Yale University Press, 1958.
13
MYRDAL G., “Economic Theory and Underdeveloped Regions”, London, Duckworth, 1957.
14
OHLIN B., “Interregional and International Trade”, Cambridge (Mass.), Harvard University Press, 1933.
15
HENDERSON J.V., “The sizes and types of cities”, in American Economic Review, n. 19, 1974.
12
trascurabili. Sotto queste ipotesi, le imprese che producono all’interno di regioni in cui
opera un elevato numero di imprese devono affrontare una maggiore concorrenza nei
mercati dei prodotti e dei fattori. Ciò tende a ridurre i loro profitti rispetto ad altre imprese
(localizzate in altre regioni) che devono affrontare una minore concorrenza locale e genera
come risultato una dispersione spaziale delle imprese. La competizione locale spinge le
imprese a localizzarsi lontano una dall’altra.
2.3 Effetto dimensione del mercato: modello Centro-Periferia
Come già accennato, l’effetto dimensione del mercato è l’ingrediente principale dei
modelli della Nuova Geografia Economica (NEG). Grazie a quest' effetto le imprese dei
settori caratterizzati da concorrenza imperfetta hanno un vantaggio nel concentrare la loro
produzione nelle regioni in cui il loro mercato è più grande e ad esportare verso le regioni
dove il loro mercato è più piccolo. In altri termini, il market size effect, (o market access
effect) fa sì che la distribuzione spaziale della domanda influenzi in maniera permanente la
distribuzione spaziale delle imprese.
L’effetto dimensione del mercato è stato analizzato nei modelli di commercio
internazionale con rendimenti crescenti di scala (interni all’impresa) e concorrenza
imperfetta (Krugman e Venables, 1990)
16
. Questi modelli possono aiutarci a comprendere
perché regioni senza significative differenze nella dotazione fattoriale possano sviluppare
differenti strutture produttive sulla base del loro differente accesso al mercato.
Consideriamo un mondo composto da due regioni: un ‘Centro’ e una ‘Periferia’. In
ciascuna di esse operano due settori di attività economica: il primo (l’agricoltura) è
composto da imprese che producono un bene omogeneo e liberamente commerciabile in
condizioni di concorrenza perfetta e di rendimenti costanti di scala; l’altro (la manifattura
industriale) è composto da imprese che producono beni differenziati in condizioni di
concorrenza monopolistica e di rendimenti crescenti di scala. Assumiamo inoltre che vi
siano due fattori di produzione che possono essere spostati da un settore all’altro, ma che
sono immobili tra le regioni. La regione centrale ha una maggiore disponibilità assoluta di
fattori rispetto alla periferia, sebbene le due regioni abbiano la stessa disponibilità in
16
KRUGMAN P. e VENABLES A.J., “Integration and the Competitiveness of Peripheral Industry”, in C.
BLISS, BRAGA DE MACEDO, eds., Unity With Diversity in the European Community, Cambridge, Cambridge
University Press, 1990.
13
termini relativi (non vi sono cioè vantaggi comparati in senso tradizionale, ma solo
vantaggi assoluti).
Sotto queste ipotesi, Krugman e Venables (1990) dimostrano che la tendenza a localizzarsi
nei mercati più ampi cambia in maniera non-monotonica con il variare dei costi di
trasporto
17
: essa è più forte per valori intermedi (cioè né troppo alti né troppo bassi) dei
costi di trasporto. Questa affermazione trova una sua rappresentazione nella Figura 2,
dove sull’asse verticale è riportata la quota della manifattura in ciascuna regione e su
quello orizzontale i costi di trasporto.
l
S
1
0.6
0.4
S
2
0 W
Figura 2: Integrazione e localizzazione nel modello di Krugman e Venables (1990)
In autarchia, cioè quando i costi di trasporto sono elevati (ovvero quando il grado di
integrazione commerciale tra le due regioni è molto basso), la quota di ciascuna regione è
proporzionale alla sua dotazione fattoriale (nell’esempio della figura 2.1 si assume che la
regione centrale abbia in autarchia il 60% della disponibilità totale dei due fattori).
Con elevati costi di trasporto, infatti, le imprese vendono principalmente sul mercato
locale, ovvero sul mercato della regione dove sono localizzate. Pertanto, se una regione
17
In questa sede il concetto di costi di trasporto è diverso da quello utilizzato nel paragrafo 1. Qui, infatti, i
costi di trasporto sono definiti in senso lato, in modo da includere tutti gli ostacoli al commercio generati
dalla distanza geografica, come i costi di trasporto in senso stretto, le barriere commerciali tariffarie e non
tariffarie, gli standard dei prodotti, le difficoltà di comunicazione e le differenze culturali e linguistiche.
Legenda
S : quota dell’industria in ciascuna regione
W : costi di trasporto
14
avesse un numero elevato di imprese in rapporto alla dimensione del mercato locale, le
forze competitive spingerebbero alcune imprese ad uscire riducendo tali differenze. In
autarchia quindi la localizzazione è principalmente determinata dalla concorrenza sul
mercato dei beni manufatti, che opera come principale forza di dispersione.
L’integrazione economica (cioè la riduzione dei costi di trasporto) accresce la quota di
vendite che ciascuna impresa può realizzare nell’altra regione, riducendo l’effetto
competizione. In presenza di rendimenti crescenti le imprese che producono nella regione
centrale ottengono, infatti, profitti più elevati. Un numero maggiore di imprese entrerà
quindi in risposta alle possibilità di profitto e ciò farà si che la dimensione dell’industria
(ovvero il numero di imprese industriali) nella regione centrale cresca in misura più che
proporzionale rispetto alla sua dotazione fattoriale.
All’aumentare della dimensione dell’industria nella regione centrale, però, anche la
domanda locale di fattori aumenta e l’aumento del prezzo dei fattori (ad esempio il costo
del lavoro) spinge alcune imprese fuori dalla regione centrale. Pertanto la maggiore
integrazione porta a ridurre la sua quota di mercato. Quando le due regioni adottano un
regime di libero scambio (cioè quando i costi di trasporto sono molto bassi), la
localizzazione è principalmente determinata dalla concorrenza nel mercato dei fattori
(forza di dispersione), fino a che i prezzi dei fattori non si equalizzano e la quota di
ciascuna regione sull’industria torna a livello iniziale.
In definitiva, il modello di Krugman e Venables (1990) spiega le differenze nelle strutture
produttive attraverso le differenze nelle caratteristiche regionali (dimensione del mercato),
ma non aiuta a comprendere come emergano queste differenze. In altri termini, i modelli
del commercio internazionale non sono in grado di spiegare perché anche piccoli shock
temporanei nella dimensione del mercato possano generare ampi effetti permanenti sulla
localizzazione industriale. Il principale compito della NEG è quello di spiegare proprio
quest’ultimo fenomeno. A differenza dei modelli di commercio internazionale che
incorporano l’idea dell’effetto dimensione del mercato all’interno di un contesto analitico
caratterizzato dalla presenza di due regioni già inizialmente distinte in Centro e Periferia, i
modelli della NEG dimostrano che, sotto determinate ipotesi, anche due regioni
inizialmente omogenee possono differenziarsi endogeneamente in un Centro e una
Periferia.