3
specializzati delle professioni e dei servizi; concorre a formare
l’identità dell’area; facilita la sedimentazione di esperienze e know
how; mobilita le risorse locali.
In pratica, è l’atmosfera economica e sociale che si forma in
questi sistemi produttivi che consente di colmare il gap di
competitività in un modo che le piccole e medie imprese, da sole,
non riuscirebbero a fare. Relativamente al mercato del lavoro,
quello distrettuale appare dominato dall’offerta di lavoro
qualificato, meglio remunerato e più flessibile. Di rilievo è anche
il fenomeno del lavoratore che, dopo aver maturato esperienza
nell’impresa distrettuale, crea una propria autonoma entità
imprenditoriale. Si registra altresì la diffusione dei rapporti di
subfornitura a motivo della elevata specializzazione per fase
produttiva delle imprese distrettuali; il rapporto fra committenti e
subfornitori risulta cooperativo a livello tecnico e competitivo a
livello commerciale. Dalle numerose indagini esistenti sui distretti
industriali emergono, oltre agli aspetti positivi, anche delle ombre
riguardanti essenzialmente: la sottodotazione infrastrutturale di
gran parte del nostro Paese; l’insufficiente grado di
informatizzazione dei distretti; l’inesistenza di una entità che possa
4
essere identificata, giuridicamente e bancariamente, come
“distretto industriale”.
La maggior parte dei distretti, come è noto, è localizzata nel Nord
e nel Centro Italia ma da alcuni anni anche nelle regioni del Sud
sono sorti e si sono consolidati distretti tipici del made in Italy
appartenenti ai settori del tessile, abbigliamento, calzature, pelli e
cuoio, mobile. Tuttavia, specie in quest’area del Paese, i problemi
specifici e le potenzialità in termini di occupazione di queste realtà
locali non hanno trovato ancora adeguati sostegni da parte dei
livelli politico-istituzionali tali da far divenire il distretto
industriale protagonista dello sviluppo economico e, quindi,
naturale destinatario degli interventi di politica industriale
comunitaria rivolti anche a potenziare i fattori di successo dei
distretti stessi.
La stampa segue con attenzione l’evoluzione di queste realtà, i
successi di tanti piccoli centri nella produzione di mobili,
biancheria intima, automobili, scarpe, abiti da sposa, pelli, stanno
scalzando le rappresentazioni correnti sull’arretratezza e l’apatia
economica del Mezzogiorno. Come è noto, la Regione Basilicata
ospita alcuni di questi casi di sviluppo imprenditoriale diffuso: la
produzione di divani a Matera, l’indotto dell’auto a Melfi, la
5
corsetteria di Lavello. Queste sono le aree della Regione dove
meglio si avvertono i fermenti del nuovo, la voglia di fare, di
andare incontro al futuro. Ma sempre nella nostra Regione, vi sono
altri addensamenti di attività omogenee le cui logiche (se
opportunamente coltivate) potrebbero evolversi verso sistemi
locali specializzati, dinamici ed efficienti: il turismo sulle coste
Jonica e Tirrenica, l’ortofrutticolo nel Metapontino, l’artigianato e
l’agroalimentare di molte zone collinari.
I distretti possono essere un serbatoio di stimoli e un modo per
coniugare i processi di sviluppo con le caratteristiche culturali e la
storia della Basilicata. A questa visione dello sviluppo regionale è
legata la proposta di una serie di strumenti specifici per sostenere,
rafforzare, stimolare i distretti e i sistemi produttivi locali della
Basilicata. I distretti, infatti, oggi sono considerati un solido
riferimento ideale per le politiche di sviluppo del Mezzogiorno, ai
distretti e alle logiche collettive del loro modo di operare si ispira
tutta l’esperienza dei Patti Territoriali.
6
Capitolo 1
La nascita del distretto industriale.
1.1Le caratteristiche del distretto industriale.
Il distretto industriale è un modello imprenditoriale che ha
costituito, a partire dalla seconda metà degli anni sessanta, una
risposta efficace alle esigenze di competitività dei costi e della
flessibilità emergenti dai mercati di riferimento. La peculiarità del
modello produttivo dei distretti risiede nella contrapposizione al
paradigma della produzione di massa: il distretto industriale ha,
infatti, segnato il passaggio dall’impresa di grandi dimensioni di
tipico stampo fordista basata sulla standardizzazione dei prodotti e
dei processi produttivi, alla divisione del lavoro tra piccole
imprese, strettamente interdipendenti e concentrate su di un’area
ben definita. Questo modello di specializzazione flessibile è in
grado di fronteggiare la complessità e la turbolenza ambientale
dell’attuale sistema economico mondiale. Nel corso degli anni
settanta è avvenuta una trasformazione nel sistema produttivo
italiano. La trasformazione, causata da una serie di cambiamenti di
7
tipo strutturale, mette in discussione il modello di sviluppo delle
grandi imprese localizzate nel Nord-Ovest del Paese.
La produzione di massa nella fabbrica di grandi dimensioni deve
fronteggiare tensioni culturali e politiche di non trascurabile entità,
accanto alle nuove sfide tecnologiche di mercato. Insieme alla crisi
della grande fabbrica c’è una nuova fase di sviluppo caratterizzata
dalla nascita della piccola-media impresa.
Gli studi che si sono susseguiti hanno dimostrato che le cause di
questo cambiamento sono di tipo esogeno ed endogeno. Le prime
sono: l’esigenza di confrontarsi con un mercato del lavoro
flessibile; spazi di mercato aperti dalla differenziazione dei
bisogni; i secondi endogeni sono riscontrabili nell’importanza del
contesto socioculturale, nei caratteri geografici del territorio, nelle
conoscenze accumulate nel corso dell’attività economica e altri di
questo tipo. Il dato rilevante che prende forma e si consolida è un
nuovo modello di sviluppo industriale imperniato sulla
specializzazione e cooperazione tra imprese all’interno dei contesti
locali, in contrapposizione al modello della produzione di massa.
Si tratta di un modello che :
- appare fortemente caratterizzato dai fattori endogeni di sviluppo;
8
- ridimensiona la dicotomia piccola/grande industria, dove le
piccole unità produttive interagiscono tra loro in modo tale da
creare un sistema di produzione ;
- trova una sintesi interpretativa nel concetto di distretto
industriale.
Tutta la discussione degli ultimi anni mette in guardia da un
errore grave: quello di confondere le piccole imprese in generale
con le piccole imprese dei distretti industriali. Le prime sono
definite soltanto dalla loro dimensione e nulla si conosce del
contesto nel quale operano e delle relazioni che le legano ad altre
imprese e ad altri contesti. Le seconde sono immerse in un tessuto
istituzionale con cui interagiscono positivamente e hanno codici di
comportamento particolari, che inducono un aumento di
competitività su tutti i mercati. Unità di riferimento è, quindi, il
distretto industriale (in realtà un sistema di imprese). Proprio la
centralità del distretto suggerisce l’opportunità di analizzare in
dettaglio gli elementi costitutivi.
Il fattore da cui partire è la delimitazione territoriale: il distretto
nasce e si sviluppa in un’area geografica circoscritta, caratterizzata
da una propria specificità; la presenza di una comunità di persone
che incorporano un sistema omogeneo di valori che si esprime in
9
termini di etica del lavoro, della famiglia, della reciprocità. Un
altro elemento ci porta a riflettere sul sistema delle imprese. Il
distretto industriale si caratterizza per la presenza di una
popolazione di piccole e medie imprese impegnate su specifiche
lavorazioni di fase e collegate con le altre imprese dell’area. Un
ultimo elemento distintivo del distretto è il ruolo assunto dagli
attori istituzionali che con l’elevato coinvolgimento sociale
contribuiscono al funzionamento stesso del distretto. Una prima
definizione di distretto industriale è quella dell’economista
Marshall del 1920 che lo definisce come entità socio-economico-
territoriale caratterizzata dalla compresenza attiva, in un’area
territoriale circoscritta, di una comunità di persone e di una
popolazione di imprese industriali.
Ciascuna delle numerose imprese che la compongono è
specializzata in una fase, o comunque in poche fasi, del processo
produttivo tipico del distretto.
Secondo Marshall : “i vantaggi della produzione su larga scala,
possono essere conseguiti sia raggruppando in uno stesso distretto
un gran numero di piccoli lavoratori, sia costruendo poche ma
grandi officine. Infatti, per molti tipi di merci, è possibile
suddividere il processo di produzione in diverse fasi, ciascuna
10
delle quali deve essere eseguita con la massima economia in un
piccolo stabilimento”. Marshall sviluppa il concetto di economie
esterne di agglomerazione costituite da vantaggi economici grazie
alla diminuzione nei costi medi di produzione e
commercializzazione di un’impresa recuperati dal livello di
condotta di una produzione in un certo luogo.
Dopo Marshall, molti sono stati i filoni di studio: in politica
industriale, in sociologia, in economia politica, geografia
economica. Questi studi hanno contribuito all’apporto di nuovi
stimoli per la comprensione del modello e del ruolo da seguire
nella vita economica del paese. Il contributo dell’economia
industriale si rivela ancora più significativo quando si concentra
sul concetto di distretto considerato come una specifica unità di
indagine. Si pensi al caso emiliano analizzato da Brusco circa la
competitività del distretto.
11
Egli propone una sintesi tra i vari ordini di fattori: i vantaggi della
piccola dimensione di impresa per le produzioni di serie limitate e
specializzate; l’elasticità del mercato del lavoro, ecc. .
1
Secondo Becattini, nei DIM comunità e sistema delle imprese
sono elementi indivisibili, che si sovrappongono interpretandosi;
la comunità si fonda su insieme di valori –“formatosi nel corso dei
secoli”- che genera una particolare etica del lavoro e della
professione, del rischio e del cambiamento. Parallelamente la
società del DIM nasce e progredisce attraverso istituzioni e regole
che conservano e tramandano i valori. Si determina qui un
contesto in cui “produrre non significa semplicemente trasformare
un insieme di input in un output secondo procedimenti tecnici, ma
anche riprodurre i presupposti materiali, umani e immateriali da
cui prende corpo il processo produttivo stesso”. Era ed è una
società ‘aperta’ cioè disposta ad accettare nuove forme di
iniziativa economica, e allo stesso tempo ‘chiusa’ cioè pronta a
comminare sanzioni sociali alle attività che non rispettano le
1
In particolare, Brusco osserva che: “Un distretto industriale è una piccola area in cui ci sono
grossomodo da 10.000 a 20.000 lavoratori ed approssimativamente da 1.000 a 3.000 imprese,
con meno di 20 occupati. Molte di queste imprese hanno un legame diretto con il mercato
finale, altre sono imprese “monofase” ed altre ancora sono imprese del settore verticalmente
integrato. Tutte insieme costituiscono un distretto. Un distretto, dunque, comprende un
raggruppamento di imprese che producono un qualcosa di omogeneo in un modo o nell’altro,
posizionandosi differentemente sul mercato. Perciò il distretto potrebbe essere definito come
un raggruppamento in cui è presente un rapporto fra le imprese”. S.Brusco (1991, pp.29-30).
12
regole. Una società capace di continuare ad accogliere
l’imprenditore fallito per permettergli di rientrare; pronta ad
espellere chi fa fortuna “cavalcando le leggi minimali di una
concorrenza sfrenata”. Becattini indica, poi, specifici caratteri che
consentono di riconoscere la società distrettuale. Sono caratteri
che in forma più o meno diretta rimandano al rapporto con il
mercato internazionale: la presenza di una rete stabile di
collocazione dei prodotti all’estero; la prevalenza di produzioni e
di scambi relativi a beni e a servizi destinati all’esportazione;
l’identità dei prodotti legata a particolari qualità (l’immagine del
prodotto riferita al distretto più che all’impresa ). Di più deve
esistere un sistema di regolazione e controllo dei prezzi delle
prestazioni e dei semilavorati inerenti la produzione tipica; si tratta
di tariffe “quasi politiche” cioè influenzate dai mercati ma insieme
stabilizzate dalle istituzioni locali. Così si possono ammortizzare
gli effetti della congiuntura dando stabilità al sistema e certezza
agli operatori economici
2
.
2
Guenzi, A. (1997), La storia economica e i distretti industriali marshalliani: qualche
considerazione su approcci e risultati, in C.M.Belfanti e T.Maccabelli (a cura di), Un
paradigma per i distretti industriali, Grafo, Brescia.
13
L’impresa operante all’interno di un distretto industriale risulta
stimolata, indirizzata, vincolata da condizioni e dinamiche
strettamente connesse all’economia locale nel suo insieme.
I fattori caratterizzanti di un distretto industriale sono: la
presenza di numerose imprese specializzate in una produzione
tipica e legate da relazioni di mercato e di settore, l’esistenza di un
mercato del lavoro qualificato, la disponibilità di una serie di
condizioni di supporto alle attività imprenditoriali. Il dato di fatto
che emerge è che l’impresa operante in un distretto industriale è
inevitabilmente parte “anello” della trama di relazioni che il
sistema produce. Non solo, ma proprio in virtù di questo legame,
prendono forma percorsi di crescita di singolare efficacia: la
formula del gruppo, della costellazione, del consorzio e così via.
In conclusione, è vero che le imprese operanti nei distretti
esprimono tratti tipici delle imprese di minori dimensioni: lo
scarso potere contrattuale verso i mercati di sbocco e/o di
approvvigionamento; il forte legame con le aziende familiari
promotrici, l’orientamento a perseguire strategie di focalizzazione
su ambiti ristretti; l’accentramento del potere decisionale a poche
persone e le competenze critiche per il funzionamento
dell’impresa. Ma non vi è dubbio che il distretto costituisca una
14
sorta di “palestra” privilegiata di apprendimento tecnico e che il
processo di formazione della nuova impresa risulti caratterizzato
dalle competenze che il potenziale imprenditore ha acquisito
relativamente al “mestiere” tipico dell’area.
Possiamo a questo punto affermare che, già dalle loro origini, i
distretti dispongono delle risorse, competenze e valori che
risultano fondamentali per lo sviluppo economico dell’area. Le
origini del distretto condizionano i successivi sviluppi della
imprenditorialità locale in quanto
3
:
- trasmettono valori di operosità, di innovazione, di creatività, alla
base della formula di sintesi di imprenditorialità coerenti;
- avviano un processo di apprendimento funzionale nell’area
tecnico-produttiva;
- definiscono un contesto ambientale/istituzionale favorevole e
non già ostacolante all’esplicarsi del potenziale imprenditore
esistente.
Il distretto, si può concludere, crea una fertilità superiore sul
piano della nascita e dello sviluppo di nuove imprese.
3
Visconti F., Le condizioni di sviluppo delle imprese operanti nei distretti industriali, Ed.
EGEA, Milano, 1996.
15
1.2 Le origini dell’imprenditorialità.
Gli sviluppi dei sistemi delle piccole imprese sono legati ad una
cultura che è anche cultura civile e industriale con origini
lontanissime.
Per approfondire la dinamica del fattore imprenditoriale è
necessario comprendere le origini del distretto. Si pensi al distretto
serico comasco. A Como i primi telai per la tessitura della seta
furono installati nel quattordicesimo secolo e nel 1850 l’area
comasca vantava la maggior produzione nazionale di tessuti serici.
Il capoluogo lariano, forte di una produzione a ciclo completo, si
affacciava nella seconda metà del 1800 sui mercati europei,
ponendosi in diretta concorrenza con Lione, Zurigo e Krefeld.
All’inizio del novecento, l’85% della produzione serica italiana
era concentrata in oltre un centinaio di imprese operanti in
provincia di Como
4
. Altro caso è la lavorazione delle piastrelle a
Sassuolo. Le sue origini devono essere ricercate nel diciottesimo
secolo e nelle preesistenti lavorazioni di terraglie e vasellame in
terracotta. Le prime piastrelle in ceramica venivano utilizzate
come targhe per indicare vie e numeri civici delle case
5
.
4
F.Visconti (1996).
5
M.E.Porter, Il vantaggio competitivo delle nazioni, Ed.Mondadori, Milano, 1991.
16
In età precapitalistica, l’attività manifatturiera era in netta
prevalenza concentrata in città ed era condizionata dai vincoli
delle politiche mercantilistiche e dalla presenza del sistema
corporativo. Nondimeno i casi di economie urbane che
producevano su larga scala manufatti sono numerosi. Si tratta di
esperienze che si fondavano su un’organizzazione della
produzione industriale ispirata alla valorizzazione del binomio
innovazione/tradizione. Nella stessa industria si ritrovavano più
modi di produrre; la scomposizione del ciclo produttivo
determinava le condizioni di una cooperazione tra questi modi di
produzione. Così tuttavia si determinavano trasformazioni: mentre
prima nella bottega artigiana si eseguivano tutte le fasi del
processo, in seguito alle corporazioni fu affidato il compito di
eseguire le fasi di rifinitura così da esaltare l’alto grado di
competenze tecniche che sapevano esprimere.
Anche le regole del distretto (forme di contenimento della
concorrenza, controllo dei prezzi delle materie e delle prestazioni)
trovano precisi e puntuali riscontri nel modello
urbano/corporativo. Sul mercato internazionale i prodotti venivano
identificati dal nome della città di origine.