tenderanno a perseguire i propri interessi personali e potranno essere motivati solo
attraverso adeguati sistemi di incentivazione.
Un’altra divergenza di interessi può sorgere tra il socio di controllo e quelli di minoranza
(che diventano i principali) quando il primo, anche attraverso l’azione degli amministratori
da questi strettamente controllati e l’influenza esercitata sugli organi di controllo (revisori e
sindaci), storni a suo favore opportunità e risorse aziendali, con possibili effetti negativi nei
confronti dei creditori.
La funzione di controllo, nasce proprio dall’esigenza che chi gestisce l’impresa lo faccia
correttamente e nell’interesse del principale. La funzione di controllo viene ad essere
svolta da diversi soggetti, però, lo scopo finale del controllo, da chiunque venga posto in
essere, è sempre la verifica dell’attività del gestore. Il controllo deve sempre tendere a dare
al principale, o agli organi chiamati ad agire per suo conto, informazioni che sono
funzionali all’esercizio dei poteri di cui sono forniti e, in ultima istanza, all’esercizio del
potere di nomina e revoca dei gestori.
All’interno dell’elaborato si è tenuto conto anche dei diversi obiettivi di efficienza ed
efficacia del sistema di corporate governance. Infatti, un sistema ritenuto efficiente deve
permettere agli investitori di effettuare un’efficace azione di controllo sull’operato dei
soggetti che gestiscono l’impresa. Mentre un sistema efficace deve tendere ad un
miglioramento delle performance aziendali allo scopo di ottimizzare il processo di
creazione del valore tramite l’attività di produzione economica. Per dare un esempio, ho
riportato un’analisi sull’informativa dei sistemi di controllo interno proposta
dall’Associazione Italiana Internal Auditors e Protiviti S.r.l. – Indipendent Risk
Consulting; nella quale la maggior parte delle imprese a campione (riferite a differenti
settori: bancario, assicurativo, industriale, energy & utilities, media & communications,
commercio e servizi) sono risultate attive nell’applicazione dei principi del nuovo Codice
di Autodisciplina (modificato nell’anno 2006) anche se molte risultano essere ancora in
corso di adeguamento.
Importante è l’analisi sul sistema di governo delle società italiane (quotate e non quotate)
in questi ultimi 15 anni. Il sistema italiano è caratterizzato da alta concentrazione della
proprietà, da abbondante presenza (sia nel passato che oggi) di strutture piramidali
(strumento di separazione tra proprietà e controllo), e da un nuovo strumento per il
controllo delle imprese (le cosiddette coalizioni o patti di sindacato).
In questa analisi si è introdotto anche il concetto di “gruppi quotati”. L’identificazione di
questi gruppi consente un’analisi più efficace delle caratteristiche economiche e delle
dimensioni delle imprese quotate in Borsa. Oggi si osserva una più bassa concentrazione
v
della proprietà, un uso meno intenso delle strutture piramidali ed una più alta percentuale
di aziende controllate attraverso le coalizioni.
Alla fine il ruolo svolto dai gruppi piramidali e il peso maggiore delle coalizioni sembrano
suggerire una maggiore instabilità del controllo e quindi una maggiore contendibilità
potenziale.
vi
CAPITOLO 1
CAPITOLO 1
CLASSIFICAZIONE DEL FENOMENO DI CORPORATE
GOVERNANCE
1.1 DEFINIZIONE
Con l’espressione “corporate governance” si intende l’insieme di processi, politiche,
abitudini, leggi ed istituzioni per il corretto ed efficiente governo societario. È una sorta di
sistema di compensazione fra gli interessi, potenzialmente divergenti, dei soci di
minoranza, dei soci di controllo e degli amministratori di una società.
Da una corretta governance deriva la massimizzazione degli azionisti, siano essi in
possesso della maggioranza delle partecipazioni azionarie o solamente di una quota
minoritaria.
Il termine “corporate governance” fa riferimento a diversi ambiti della vita aziendale.
Esso può descrivere:
un branca dell’economia che studia i problemi che derivano dalla separazione tra
“proprietà” e “controllo”;
i processi con cui le società sono dirette e controllate;
le attività con cui si incoraggiano le aziende a seguire dei codici (fondi di corporate
governance);
le tecniche di investimento.
Come detto, la corporate governance abbraccia tutta una serie di regole, relazioni, sistemi
aziendali e processi tramite i quali le diverse società vengono dirette e controllate. Tra le
regole rientrano le leggi del Paese e le regole societarie interne. Le relazioni includono
quelle tra tutte le parti coinvolte nella società, come i proprietari, i manager, gli
amministratori (allorché esista un Consiglio di Amministrazione), le autorità di
regolazione, i dipendenti e la società in senso ampio. I sistemi aziendali e i processi hanno
a che fare con la misurazione della performance, della sicurezza e della contabilità.
La corporate governance fornisce anche la struttura con cui vengono decisi gli obiettivi
aziendali, nonché i mezzi per il raggiungimento e la misurazione dei risultati raggiunti.
L’OCSE , a tal riguardo, nota che questo fenomeno è solo una parte di un più largo
contesto economico che include, ad esempio le politiche macro economiche, il grado di
competitività dei mercati dei fattori e dei prodotti. Inoltre, afferma che la struttura di
1
CAPITOLO 1
governance di un Paese dipende oltre che dalle leggi anche dall’ambiente istituzionale.
Appaiono rilevanti anche i principi etici nel condurre gli affari e il rispetto delle
problematiche ambientali e degli interessi sociali.
Tutti questi fattori, secondo l’OCSE, hanno un grande impatto sul successo e sulla
reputazione a lungo termine di un’azienda.
La governance d’impresa è composta da altre due importanti variabili; una riguarda
l’insieme delle decisioni che riguardano:
i conferimenti delle risorse affinché l’azienda possa attuare la propria missione;
la definizione, ossia come l’azienda intende contribuire al bene comune in termini
di creazione di beni e servizi;
l’esecuzione di quanto l’azienda ha scelto e concordato;
il controllo che ciò che si esegue sia in accordo con la missione definita e con gli
obiettivi stabiliti.
L’altra variabile è costituita dai tre soggetti presenti nella realtà aziendale: proprietario,
manager e “Consiglio di Amministrazione”.
SCHEMA (1.1)
Proprietà (azionisti)
Conferire
Consiglio di
Amministrazione
Controllare Definire
Eseguire
Management
Nello schema riportato sopra, vengono messe in relazione tra di loro le variabili riguardanti
i soggetti che operano in azienda e le funzioni aziendali. Si nota che:
2
CAPITOLO 1
a) la funzione di conferire spetta agli azionisti;
b) le funzioni di definire e controllare spettano al Consiglio di Amministrazione;
c) la funzione di eseguire i programmi stabiliti spetta al management.
1.2 LE PARTI COINVOLTE NELLA CORPORATE GOVERNANCE
Le parti principali che operano in un contesto di corporate governance includono:
l’Amministratore delegato (CEO, Chief Executive Officer);
il Consiglio di Amministrazione;
il management;
gli azionisti;
altri stakeholder (dipendenti, fornitori, clienti, banche e altri creditori, controllori,
l’ambiente e la società in generale).
La figura dell’Amministratore delegato, è composto da altre tipologie di funzioni. Esso
va a comporre il Consiglio di Amministrazione di una impresa. Quest’ultimo delega dei
poteri e delle funzioni all’amministratore allo scopo di ottimizzare la gestione della società
stessa.
Internazionalmente è conosciuto con il termine di Chief Executive Officer.
In Italia questa figura è regolata dal codice civile.
Il Consiglio di Amministrazione è un organo collegiale formato dagli amministratori. Si
occupa di amministrare e dirigere l’azienda. Esso può delegare alcune delle proprie
funzioni ad un amministratore delegato.
Il management è un insieme di persone (manager) dotate di particolari responsabilità.
Devono definire gli obiettivi dell’azienda sia essa pubblica sia privata, e della sua gestione.
Il ruolo del manager, quindi, comporta non solo il coordinamento rappresentato dalle
risorse umane a disposizione dell’azienda ma anche e soprattutto l’assunzione di decisioni
di pianificazione e di gestione per garantire l’ottenimento di risultati in linea con gli scopi
aziendali ed in grado di soddisfare gli stakeholder, ossia i soggetti (persone od
organizzazioni) portatori di interessi nei confronti dell’azienda.
Tutte le imprese hanno bisogno di un management: nelle imprese di dimensioni minori
questa funzione è di solito svolta dallo stesso proprietario (imprenditore); quando le
dimensioni aziendali crescono le funzioni manageriali tendono ad essere delegate ai
dirigenti.
3
CAPITOLO 1
Questa separazione tra proprietà e management è ancora più accentuata nelle imprese di
grandi dimensioni strutturate sotto forma di società per azioni, dove i proprietari – azionisti
eleggono un Consiglio di Amministrazione il quale, a sua volta, nomina i manager.
Di solito si distingue il management in base a distinti livelli di responsabilità e autorità in
top e middle management. Il top (o senior) management comprende un numero ristretto
di attori: il presidente, l’amministratore delegato, il direttore generale, il segretario
generale, ecc.) che estende la sua responsabilità e autorità all’intera azienda e risponde
direttamente agli organi di governo, dei quali in certi casi è anche componente. Il middle
management ha invece responsabilità e autorità su parti dell’azienda (unità organizzative),
risponde al top management e occupa posizioni intermedie tra questo e il livello operativo;
comprende, quindi, i responsabili delle cosiddette direzioni intermedie, ovvero i direttori
con specifiche funzioni (ad esempio, direttore del personale, direttore finanziario, ecc.) o
l’unità organizzativa (ad esempio, direttore di sezione) sotto la sua responsabilità.
Tutte le parti effettivamente coinvolte nel governo d’impresa detengono un interesse
diretto o indiretto. Direttori, dipendenti e manager ricevono salari, benefici e reputazione
nello svolgere le proprie competenze; gli azionisti ricevono, invece, un ritorno monetario. I
clienti ricevono beni e servizi di cui ne fanno richiesta; i fornitori ricevono compensi per i
beni e servizi prodotti.
4
CAPITOLO 1
1.3 CORPORATE GOVERNANCE: PROBLEMATICHE E DIFFERENTI
TIPOLOGIE
Assumono molta importanza le problematiche relative alle regole di corporate governance
nelle situazioni aziendali in cui si verifica la separazione tra proprietà e controllo
1
.
In queste situazioni, le funzioni dell’imprenditore, il quale è sia proprietario sia manager
dell’azienda, vengono separate ed esercitate da diversi gruppi di individui che possono
avere interessi economici contrastanti
2
. Ciò può dare luogo a dei problemi di agenzia
dovuti principalmente per la diversità degli interessi fra gli azionisti e il management.
SCHEMA (1.2)
SORGERE DEL PROBLEMA DI CORPORATE GOVERNANCE
L’imprenditore detiene la
proprietà ed il controllo
Separazione tra proprietà e controllo
Gli azionisti detengono la
proprietà
I manager detengono il
controllo
Problemi di corporate governance
Le possibili inefficienze dovute alla divergenza di interessi tra amministrazione e proprietà
sono state rilevate già da lunga data. Addirittura Adam Smith le mise in luce nel 1776
nella sua opera “La ricchezza delle Nazioni”. In questa opera Smith si dimostrò convinto
che la separazione tra proprietà e controllo poteva dare luogo ad una piccola negligenza
nella gestione dell’azienda, dato che gli amministratori di aziende caratterizzate dalla
1
Il termine controllo ha due specifici significati: nel primo, viene inteso come ispezione, verifica, riscontro;
nel secondo, come sinonimo di guida di governo dell’azienda.
2
L’economista Guatri osserva all’interno dell’analisi della Teoria di creazione del valore (Egea – Milano):
“come nelle imprese guidate direttamente dagli imprenditori, l’obiettivo del valore è spontaneo e naturale;
mentre nelle imprese la cui guida è affidata solamente ai managers, l’obiettivo non appare spontaneo”.
5
CAPITOLO 1
separazione tra proprietà e controllo potrebbero gestire le risorse non con la stessa
diligenza con cui lo farebbero i proprietari.
Circa 150 anni più tardi, Berle e Means studiando le public companies misero in evidenza
che in una moderna impresa, soprattutto quella caratterizzata da un ampio frazionamento
dell’azionariato, i manager posseggono un forte potere gestionale tale da sovrapporsi a
quello degli azionisti.
L’analisi di Marris condotta nel 1970 porta alla definizione del cosiddetto “modello
manageriale assoluto”, che vede il predominio del manager nel momento in cui in società
manchi un azionista di riferimento. In questo caso, il management assume ed esercita tutte
le funzioni di governo dell’impresa.
Nel 1980 Fama e Jensen vanno oltre questa visione: mettono in luce che la separazione tra
proprietà e controllo porta anche una separazione tra rischi ed effetti, infatti, nel caso in cui
i manager abbiano un potere fondamentale nel governo dell’impresa, eventuali effetti
negativi conseguenti alla loro discrezionalità, non andrebbero a ripercuotersi sul loro
patrimonio ma su quello degli azionisti, a meno che non esista una perfetta coincidenza tra
profitto dell’impresa e raggiungimento di obiettivi, da un lato, e remunerazione dei
manager, dall’altro lato.
Il problema fondamentale della separazione tra proprietà e controllo è dato dal fatto che gli
azionisti non riescono a controllare l’operato del management in modo efficace. In pratica,
l’azionista potrebbe contrarre un accordo con il management in modo da controllarlo. Ciò,
sarebbe possibile soltanto nel caso in cui il contratto riesca a prendere in considerazione
tutti i possibili scenari futuri che potranno interessare l’impresa. In tal caso, il contratto tra
proprietà e management sarebbe perfetto. In realtà, questo non è possibile e quindi i
contratti effettivamente conclusi devono essere ritenuti incompleti.
Gli azionisti si trovano, quindi, nell’impossibilità di far sì che il top management persegua
il loro interesse in forza del solo strumento del contratto.
Inoltre, i proprietari dell’azienda detengono un’influenza sulla gestione molto ridotta a
causa della grande dispersione dell’azionariato (caratterizzato da un atteggiamento di tipo
passivo nei confronti della gestione dell’impresa) con potere di voto, il che rende il
controllo degli azionisti sulla gestione difficile e costoso.
Nella realtà, il controllo sulla gestione non è senza costi, ed il costo di tale contratto, nel
caso di investimenti ridotti, quali quelli del singolo azionista in una public company, può
eccedere i benefici e renderlo non conveniente dal punto di vista economico.
6
CAPITOLO 1
Gli azionisti hanno a disposizione un’alternativa più semplice ed efficace: vendere le
proprie azioni nel caso in cui non siano soddisfatti della gestione dell’azienda.
I problemi di governance si manifestano anche per il cosiddetto comportamento free
riding: si tratta del fatto che ogni singolo azionista può ipotizzare che l’azione di
monitoraggio che lui potrebbe svolgere sul management potrebbe portare benefici anche
agli altri azionisti, anche se questi non vogliono o non possono effettuare alcuna azione di
monitoraggio. In pratica lui si assumerebbe i costi del controllo e i benefici sarebbero
suddivisi tra gli altri azionisti.
L’effetto concreto della separazione tra proprietà e controllo è che i soggetti che
conferiscono il capitale proprio, poi, affidano la gestione di tale capitale ad alcuni
amministratori che in linea di principio ritengono idonei a svolgere il compito.
I problemi non sorgono tanto dal fatto di avere delegato il compito, quanto dalla difficoltà
di monitorare la delega. In questa situazione gli azionisti perseguono la massimizzazione
del proprio patrimonio mediante l’aumento del valore delle loro quote di proprietà.
Gli amministratori vedono questo, invece, come un vincolo al loro operato e molto spesso
sono spinti da motivazioni molto diverse da quelle della proprietà; ad esempio è stato
riscontrato che uno degli obiettivi preferiti dai top manager non è tanto la massimizzazione
del valore della società quanto l’aumento della sua dimensione anche perché sembra che
molto spesso è a questo parametro che viene legata la loro remunerazione.
Si tratta, dei tipici problemi che sorgono tra un principale che conferisce un mandato e un
agente che lo esegue; la “teoria dell’agenzia” si occupa proprio di questo.
SCHEMA (1.3)
RELAZIONE DI AGENZIA
Agente
Accordo
Principale
7
CAPITOLO 1
L’agente ha il dovere fiduciario di agire nell’interesse del principale. L’obiettivo di questa
teoria è di sviluppare l’accordo tra principale ed agente, in modo tale da rendere massima
3
l’utilità del primo. In tale relazione di agenzia, sorgono alcuni importanti aspetti critici di
cui ho dato cenno all’inizio del capitolo.
A. l’agente ed il principale possono avere diversi interessi anche tra loro contrastanti
ed è difficile e costoso per il principale effettuare un’azione di monitoraggio nei
confronti dell’operato dell’agente;
B. il principale e l’agente hanno una diversa propensione al rischio, ovvero l’agente
non è disposto a sopportare tale rischio in modo totale, mentre il principale sì
4
. Si
pensi al manager che deve difendere la propria reputazione da progetti troppo
rischiosi dei proprietari, che naturalmente hanno una propensione al rischio
superiore;
C. esiste un’asimmetria informativa nel rapporto fra principale ed agente a favore di
quest’ultimo. Questa asimmetria dà origine a due tipi di problemi legati a due
tipologie di comportamento:
il cosiddetto problema di “adverse selection”, ovvero di selezione
avversa, legato ad una tipologia di comportamento conosciuta come
opportunismo pre – contrattuale. Tale problema esiste quando l’agente
non dichiara le sue abilità al principale in modo da essere selezionato
dal principale per svolgere un determinato compito di cui non avrebbe le
capacità. Vi è una sorta di informazione nascosta, in quanto il principale
non è in grado di valutare con precisione le effettive capacità
dell’agente.
Il cosiddetto problema di “moral hazard”, ovvero comportamento
sleale legato al comportamento di opportunismo post – contrattuale.
Questo problema sorge a causa della mancanza del rispetto del dovere
fiduciario da parte dell’agente che si impegna ad agire nell’interesse del
principale, il quale non è in grado (o perché tecnicamente incapace
oppure perché tale controllo è antieconomico) di verificare l’operato
dell’agente in maniera efficace.
3
La massimizzazione dell’utilità è da intendersi come un “massimo vincolato”, a causa della limitata
razionalità della natura umana e dell’impossibilità di redigere contratti perfetti.
4
Se così non fosse sarebbe possibile risolvere il problema di agenzia facendo sopportare l’intero rischio
all’agente, ovvero nel caso di un’impresa, far si che il top manager sopporti l’intero rischio, cioè diventi
imprenditore. In tale situazione verrebbe meno la separazione tra proprietà e controllo che dà origine al
problema in questione.
8
CAPITOLO 1
I problemi di agenzia e quindi quelli di governance non hanno una soluzione perfetta,
perciò ci sarebbe da chiedersi perché in molte aziende si insista tanto sulla separazione tra
proprietà e controllo. La risposta a questo quesito ci viene fornita dall’economista A.
Melis. Egli richiama il fatto che molto spesso la separazione tra proprietà e controllo è
economicamente desiderabile. Ciò avviene, secondo lui, perché è frequente che la
distribuzione della ricchezza , cioè delle quote di proprietà della società, non coincida con
la distribuzione delle abilità manageriali. Inoltre aggiunge che la separazione tra proprietà
e controllo darebbe una certa efficienza all’azienda, nel senso che il soggetto che prende le
decisioni e che poi non ne sopporta gli effetti non è il soggetto che le ratifica; ovvero chi
detiene il controllo può avere (e spesso ha) interessi contrastanti rispetto a chi detiene la
proprietà.
Esistono ben quattro tipologie di sistemi di corporate governance. Si tratta innanzitutto dei
modelli di stampo finanziario (finance model), che danno grande peso alle problematiche
di agenzia prima discusse. Sono presenti anche modelli che fanno affidamento sulla
cosiddetta miopia di mercato (myopic market model), cioè del fatto che il mercato non
riesca ad assegnare il vero valore dell’azienda. Vengono poi i modelli che si occupano
delle situazioni in cui c’è un abuso di potere da parte del manager (abuse of executive
power model). Infine, i modelli che considerano l’impatto, sul governo dell’azienda, degli
interessi che fanno capo a soggetti diversi dai proprietari, quali clienti, fornitori, banche
(stakeholder model).
9
CAPITOLO 1
1.3.1 MODELLI DI GOVERNANCE BASATI SULLA TEORIA
DELL’AGENZIA
Sono certamente i modelli di governance più discussi nella letteratura economica. Essi si
fondano, come specificato prima, sulla divergenza di interessi tra gli azionisti
5
e i manager;
i primi definiti principali ed i secondi definiti agenti. Il finance model può essere così
schematizzato:
SCHEMA (1.4)
FINANCIAL MODEL
Corporate
Governance
Azionisti Management
La separazione tra proprietà e controllo, quindi, riunirebbe due soggetti specializzati in uno
specifico ruolo, la proprietà da un lato con l’assunzione dei rischi che ne deriva , l’abilità
nella gestione dall’altro.
Per quanto riguarda i rischi, occorre notare che non solo gli azionisti corrono notevoli
rischi nella situazione di separazione tra proprietà e controllo
6
. Anche altri soggetti
potrebbero, pur se in diversa misura, sopportare parte dei rischi d’impresa, come si vedrà
discutendo della quarta tipologia dei modelli di governance.
Se da un lato è vero che la separazione tra proprietà e controllo possa provocare
l’inefficienza degli amministratori nel senso che sono spinti al 100% al perseguimento di
tutti gli obiettivi decisi dagli azionisti, è altrettanto vero che questa loro inefficienza può
essere benissimo prevista ed anticipata dal mercato.
Si tratta del fatto che a causa dell’impossibilità degli azionisti a controllare con efficacia e
senza sostenere dei costi l’operato di chi gestisce l’impresa, l’azienda avrebbe un inferiore
5
Nella dottrina italiana l’economista Guatri sostiene che poiché la remunerazione degli azionisti consiste
nella “parte residuale del valore aggiunto”, ovvero il profitto, proprio la residualità di questa quota comporta
che sull’azionista gravi il rischio della gestione dell’impresa.
6
È chiaro che i rischi li correrebbero comunque anche senza la separazione tra proprietà e controllo: anzi,
sotto un certo punto di vista, se non hanno la capacità manageriale il rischio di impresa potrebbe anche essere
superiore.
10
CAPITOLO 1
valore di mercato. In pratica chi è proprietario in quel momento subirebbe in pieno il costo
della separazione tra proprietà e controllo.
Gli attuali azionisti ed i potenziali azionisti futuri sono spinti ad investire nella società
minori risorse di quelli che potrebbero fare se l’efficienza fosse massima, cioè se il
problema di conflitti di interessi tra proprietà e amministratori potesse essere in qualche
modo risolto. È qui che la teoria dell’agenzia fa emergere i cosiddetti costi di agenzia. Si
tratta in particolare di:
A. costi dei meccanismi di controllo, cioè di tutte le iniziative dell’azionista per
misurare, valutare ed incentivare l’operato dell’amministratore;
B. costi di riassicurazione, cioè di tutte le azioni intraprese dall’amministratore per
convincere il proprietario che il suo operato è allineato ai suoi interessi;
C. costi residuali, cioè tutti quelli associati a qualsiasi altra situazione di contrasto che
né i meccanismi di controllo né l’attività di riassicurazione dell’amministratore
riescono a risolvere.
I meccanismi di controllo su questo conflitto di interessi tra proprietà e management sono
fondamentalmente due:
il mercato dei capitali
7
;
il mercato di lavoro dei manager
8
.
Il mercato dei capitali è indirettamente un meccanismo di controllo sull’operato degli
amministratori poiché nel momento in cui l’impresa ha delle performance inferiori alle
attese diventa un potenziale obiettivo delle cosiddette scalate ostili. Ciò avverrebbe perché
gli investitori considererebbero sottovalutato il valore di mercato dell’impresa, e quindi
sarebbe il momento migliore per cercare di acquistarla.
Il mercato del lavoro manageriale avrebbe un maggiore effetto sugli amministratori. Infatti,
c’è sempre la minaccia di una sostituzione con altri amministratori ritenuti più efficienti. In
pratica il mercato del lavoro manageriale agirebbe in questo modo: la remunerazione
dell’amministratore sarebbe positivamente correlata alle performance che riesce ad
ottenere nell’impresa in cui opera.
Il vero problema di questo modo di interpretare la corporate governance è non soltanto la
separazione della proprietà dal controllo, ma anche il fatto che, in realtà, i gestori
7
Un mercato dei capitali efficiente determina la conseguenza che il valore delle azioni fissato su tale mercato
riflette pienamente ed efficacemente tutte le informazioni disponibili riguardo al valore dell’impresa e, di
conseguenza, diviene il metodo più efficace ed efficiente per misurare il valore di un’impresa.
8
I top manager che non hanno massimizzato il valore per i propri azionisti avranno una minore probabilità di
ottenere nuovi incarichi come consiglieri di amministrazione con deleghe esecutive, rispetto ai manager che
hanno aumentato il valore per i propri azionisti.
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