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Introduzione
Da un punto di vista strettamente giuridico, lo sfruttamento dello spettacolo sportivo (e
per quanto ci riguarda, del calcio in particolare, giacché trattasi della disciplina sportiva
più diffusa del pianeta) attraverso le varie piattaforme mediatiche che la tecnologia ha
progressivamente reso disponibili, rappresenta uno di quei fenomeni che di certo non
possono lasciare indifferente l'operatore del diritto, non solo per lo stretto rapporto
simbiotico, quantomeno da un punto vista economico-commerciale, che questi due
"mondi" apparentemente lontani uno dall'altro hanno instaurato nel corso degli anni, ma
anche per le risposte forniteci in materia dal Legislatore e dalla Giurisprudenza, non
sempre univoche e per questo meritevoli di un approfondimento analitico e certosino.
A ciò si aggiunga il dato, secondario solo in ordine di esposizione, della difficile
convivenza tra il connubio commerciale di cui sopra e la complessa normativa antitrust
sia nazionale che comunitaria (v. capp. III e IV), che si può certo motivare con le
specificità di un settore, lo sport, che è anzitutto fenomeno sociale e culturale di massa,
idoneo a veicolare qualsivoglia tipo di messaggio e perciò degno della massima
considerazione dal punto di vista accademico-scientifico.
La trattazione che seguirà è perciò orientata da un lato a mettere in luce le specificità del
fenomeno sportivo, e dall'altro l'evoluzione normativa e giurisprudenziale in riferimento
allo sfruttamento che ne hanno fatto negli anni radio, televisioni e le nuove frontiere
comunicative dei tempi d'oggi (internet in primis), con particolare riguardo alle
dinamiche concorrenziali e tenendo un approccio di tipo comparatistico, cioè orientato a
evidenziare le parallele evoluzioni del fenomeno in altre Nazioni leader del calcio in
Europa, specificamente Spagna e Gran Bretagna.
Una precisazione terminologica si rende a questo punto necessaria: benché nel gergo
comune si usi spesso il termine "diritti televisivi", per indicare il rapporto contrattuale
che intercorre tra società sportive e operatori della comunicazione legittimante lo
sfruttamento dello spettacolo sportivo da parte di queste ultime, è più opportuno
l'utilizzo del termine "audiovisivi", poiché ricomprende al suo interno tutte le possibili
forme di sfruttamento mediatiche del fenomeno, di cui la televisione è solo una delle
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tante, benché preponderante dal punto di vista delle percentuali di fruizione da parte del
pubblico.
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CAPITOLO PRIMO
LO SPETTACOLO SPORTIVO E IL SUO SFRUTTAMENTO ECONOMICO
SOMMARIO - 1 : Il calcio e la televisione, due passioni tutte italiane - 2 : Lo sport
come spettacolo - 2.1 Il valore extraeconomico dello spettacolo - 2.2 Il "prodotto
spettacolo"-2.3 Le peculiarità del ciclo produttivo - 3 : Il <<diritto>> sullo spettacolo
sportivo - 3.1 La tensione tra gli interessi dell'organizzatore e il diritto di cronaca - 3.2
La natura dei diritti di sfruttamento - 3.2.1 Il parallelismo col diritto d'autore - 3.2.2 Lo
spettacolo come "bene immateriale" - 3.2.3 Lo spettacolo come "servizio" - 3.2.4 La tesi
contrattualistica - 3.2.5 Conclusioni
1. Il calcio e la televisione, due passioni tutte italiane.
Il nostro Paese è stato segnato, a partire dall’immediato secondo dopoguerra(v. infra,
cap. succ., par. 1.1), da due autentiche passioni nazional-popolari : il calcio e la
televisione. Le indagini sociologiche ci mostrano come non solo gli italiani siano un
popolo di <<videodipendenti>>, ma anche tra i più appassionati di calcio in assoluto(
1
).
Al di là del costume e del folklore, i dati sulla calciofilia italiana sono inequivocabili.
Secondo l’indagine condotta dalla Nielsen nel 2003, oltre 44 milioni di italiani seguono
il calcio e 31 milioni dichiarano di avere una squadra del cuore. Quanto alla televisione,
si tratta di un fenomeno in progressiva espansione : gli ascoltatori medi della fascia
prime time hanno superato i 25 milioni nel 2005, secondo la Relazione annuale
dell’AGCOM del luglio dello stesso anno.
Non è un caso, allora, se i due principali fenomeni di costume degli italiani abbiano
finito coll’incrociare i loro destini. Il binomio calcio-televisione è stato in grado di
surclassare qualsiasi altro abbinamento, al punto che, secondo i dati Auditel, le 25
trasmissioni più viste di sempre in Italia sono altrettante partite di calcio. La finale della
Coppa del Mondo del 2006 tra Italia e Francia ha visto collegati 23.935.000 spettatori,
che hanno superato i 25 milioni durante i calci di rigore. Ben più numerosi di quelli che
(
1
) M. RANIERI in “Calcio e diritti televisivi : il ruolo della tv nella competizione sportiva ed
economica”, Analisi Giuridica dell’Economia, 2005, II, pag. 503, cit.
10
abitualmente seguono il Festival di Sanremo, altra passione nazional-popolare, o di
quelli che sempre nel 2006 seguirono l’atteso confronto-tv negli studi di Porta a Porta
tra il premier uscente Silvio Berlusconi e lo sfidante alle elezioni politiche di quell’anno
Romano Prodi.
Sarebbe ingenuo dunque dopo queste premesse ritenere di poter confinare il calcio in
una dimensione esclusivamente sportiva, trascurando in tal modo i rilevanti interessi
economici che vi ruotano attorno, dovuti anche (se non soprattutto) allo sfruttamento
dello spettacolo calcistico operato per mezzo delle televisioni. Un business in grado di
generare per le società calcistiche italiane la quota più significativa dei loro fatturati, e
che pertanto merita tutte le attenzioni del caso, a cominciare dalla diatriba dottrinale e
giurisprudenziale originata attorno alla natura dei “diritti di sfruttamento” dello
spettacolo sportivo-calcistico, o semplificando diritti televisivi(
2
).
2. Lo sport come spettacolo
2.1 Il valore extra-economico dello spettacolo.
Il calcio in quanto “spettacolo”(dal latino spectare, opera da osservare e contemplare(
3
))
si presta per natura alla fruizione diretta da parte del pubblico, non diversamente da
un’opera teatrale o dai ludi gladiatorii praticati nell’antica Roma, da cui pure qualcuno
cerca di trarre il fondamento sociologico dello sport moderno. Ad avviare il discorso
sul valore extra-economico dello spettacolo, si può rilevare come esso, sia nella sua
variante sportiva, sia in quella delle arti che potremmo definire “sceniche”, svolge delle
rilevanti funzioni sociali non negoziabili, esprime valori identitari, ideali e culturali,
trasmette emotività e pathos, e tutto ciò senz’altro contribuisce a delineare uno statuto
differenziato per gli operatori del settore e le attività da essi svolte(
4
).
(
2
) Come già anticipato nel paragrafo introduttivo, sarebbe più opportuno, a seguito dell’emanazione del
D. lgs. n. 9/2008 (Decreto Melandri), usare la definizione di “diritti audiovisivi”, dando per il momento
per scontato il principio della neutralità tecnologica tra piattaforme. Per comodità linguistico-lessicale,
utilizzeremo n questo capitolo la definizione “diritti televisivi”, sebbene individui soltanto parzialmente le
modalità di sfruttamento dello spettacolo calcistico (per televisione, appunto).
(
3
) Sulla derivazione di <<spettacolo>> dal latino <<spectare>> v. ZINGARELLI, Vocabolario della
lingua italiana, 1999, pag. 1764.
(
4
) E. LOFFREDO in “L’impresa di spettacoli, anche sportivi”, AIDA, 2007, pag. 314, cit.
11
Sul piano interno, lo spettacolo non sportivo è al centro di un insieme di regole
marcatamente pubblicistiche (amministrative, di incentivazione finanziaria,
previdenziali, fiscali e penali) che discendono dal suo stesso fondamento costituzionale.
È infatti nell’articolo 21 della Costituzione Repubblicana che possiamo rinvenire quella
“libertà delle arti”che è diretto corollario della libera espressione del pensiero umano, e
al contempo una possibilità di restrizione di tale libertà per ragioni di ordine pubblico o
di buon costume. Lo sport, dal canto suo, benché privo di una rilevanza costituzionale
diretta, è ora valorizzato normativamente quale <<strumento di miglioramento della
qualità della vita e quale mezzo di educazione e sviluppo sociale>>(
5
). In più, esso si
inserisce all’interno di un sistema sovranazionale, al quale gli ordinamenti statali
riconoscono dignità e ruolo di ordinamento giuridico(
6
).
La specificità sportiva o culturale dello spettacolo (che è cosa diversa dalla specificità in
riferimento alle dinamiche concorrenziali, v. infra, Cap. III) e i valori di cui queste
attività si fanno in qualche modo portatrici, trovano affermazione anche in sede
comunitaria, con sottolineatura della loro duplice dimensione, economica e non
economica, che giustifica interventi di natura diversa rispetto a quelli concernenti
attività che possiamo definire “monodimensionali”, cioè caratterizzate dalla sola
dimensione economica(
7
). Si pensi ad esempio alla nuova competenza assunta dalla
Unione Europea in materia di sport, in base all’art. 6 TFUE(
8
), ma ancor prima alla
Relazione del Consiglio Europeo di Helsinki del 1999 e la Dichiarazione di Nizza
dell’anno successivo, che hanno riconosciuto per prime la specificità dello sport quale
strumento di sviluppo di capacità sociali. Ancora, la Risoluzione del Parlamento
Europeo del 29 marzo 2007, cd. Risoluzione Belet, attribuisce allo sport europeo (e in
particolare al calcio), il valore di <<parte inalienabile dell’identità e della cittadinanza
europea>>, mentre nel Libro Bianco sullo Sport, licenziato l’11 luglio 2007, lo si
apprezza come <<fenomeno sociale ed economico d’importanza crescente che
(
5
) Art. 1 co. 2 l. n. 106/2007.
(
6
) V. art. 1, co. 1, legge n. 280/2003.
(
7
) E. LOFFREDO, L’impresa di spettacoli, anche sportivi, Cit., pagg. 314-315.
(
8
) « L'Unione ha competenza per svolgere azioni intese a sostenere, coordinare o completare l'azione
degli Stati membri. I settori di tali azioni, nella loro finalità europea, sono i seguenti: […] e) istruzione,
formazione professionale, gioventù e sport;>>
12
contribuisce in modo significativo agli obiettivi strategici di solidarietà e prosperità
perseguiti dall’Unione Europea>>.
Se quindi con queste basi risulta imprescindibile attribuire allo spettacolo, e allo
spettacolo sportivo in particolare, un dato sociale che va ben oltre il semplice esercizio
dell’attività di impresa, occorrerebbe ora interrogarsi circa la stessa natura d’impresa
delle forme di spettacolo. Gli studi di settore(
9
) evidenziano come la sottrazione al
diritto dell’impresa delle forme di esercizio dell’arte e degli sport si giustifichi solo
quando esse si atteggino come prestazione diretta di un servizio di pubblico spettacolo o
di risultati suscettibili di esclusiva fruizione estetica o emotiva, per ragioni
probabilmente socioculturali, che conducono alla <<immunità personale>> di artisti e
sportivi dallo statuto dell’imprenditore (esempi tipici possono essere, nell’uno e
nell’altro caso, gli sportivi dilettanti e gli artisti di strada).
Al contrario, tale immunità cessa di essere giustificabile quando arte e sport, e ogni
manifestazione che sia in grado di generare spettacolo, <<perdendo la loro dimensione
ludica, la propria gratuità psicologica e culturale>>(
10
), si trovino inserite all’interno di
un ciclo diretto alla produzione di un servizio per il pubblico, in forma organizzata. In
sostanza, se dell’impresa sussistono i caratteri, a norma dell’art. 2082 del c.c.
(professionalità, organizzazione dei fattori produttivi, economicità della stessa intesa
come copertura dei costi attraverso i ricavi), non può negarsi l’assoggettamento allo
statuto degli imprenditori, e questo a prescindere dai valori umani ulteriori che quella
data attività porta inevitabilmente con sé(
11
).
(
9
) P. SPADA, Attività artistiche e sportive e diritto dell’impresa, in AIDA, 1993, p. 87 ss.
(
10
) P. SPADA, Attività artistiche e sportive e diritto dell’impresa, Cit., pag. 90.
(
11
) È dello stesso avviso la S.C., che al riguardo ha affermato che <<"....le associazioni professionistiche
già affiliate alla Federazione Italiana Gioco Calcio, costituite in forma di società per azioni, sono da
annoverare tra le imprese soggette a registrazione, ed è da qualificare come imprenditoriale l'attività
economica che esse esercitano nel promuovere ed organizzare manifestazioni agonistiche che si
traducono, nei confronti del pubblico cui sono destinate, nell'allestimento, nella produzione e nell'offerta
di spettacoli sportivi. Se così è, non può mancare, in siffatta impresa, l'azienda che dell'impresa è
l'aspetto strumentale (articolo 2555 c. c.).. >>,Corte di Cassazione, S.U., sent. n. 174/1971, in Foro It.,
1971, I, 342 e ss.