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L2, le quali si assemblano a formare il capside; quest’ultimo racchiude il genoma virale
formando una struttura icosaedrica di 55 nanometri di diametro composta da 72 capsomeri.
Ogni capsomero è un pentamero di L1, la proteina strutturale maggiormente espressa in
quanto costituisce ben l’85% del capside, mentre L2 è la proteina minore. [Jung et al., 2004]
Figura 1: presentazione schematica del genoma di Papillomavirus
Nella produzione degli mRNA di HPV sono implicati più promotori; per quanto riguarda ad
esempio HPV-16, esiste un promotore principale chiamato P97 che avvia e regola
l’espressione delle oncoproteine E6 ed E7.
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Le prime proteine virali ad essere prodotte sono E1 ed E2. E1 svolge un’attività ATPasica ed
elicasica 3’-5’ed è fondamentale per l’inizio della sintesi del DNA in quanto recluta il
complesso di replicazione cellulare a livello del sito di origine della replicazione del genoma
virale. E2 lega il DNA sotto forma di dimero in modo specifico a livello di una sequenza
consenso palindromica ed è importante nella regolazione della trascrizione virale; la proteina
E2 è presente in due forme, una normale con attività di attivatore o repressore della
trascrizione, e una troncata con attività di repressore, molto importante nel normalizzare i
livelli di E6 ed E7.
La funzione della proteina E4 non è del tutto chiarita nonostante sia la proteina di HPV con i
più alti livelli di espressione; i dati sperimentali ad oggi disponibili suggeriscono che sia
coinvolta sia nella replicazione virale sia nella liberazione della progenie virale.
E5 è una piccola proteina idrofobica localizzata a livello delle membrane endosomiali,
dell’apparato di Golgi e della membrana plasmatica. Si ritiene che E5 ostacoli i meccanismi di
inibizione della crescita interagendo con il recettore per EGF in membrana e che si leghi
all’ATPasi endosomiale impedendone l’acidificazione con conseguente aumento del ricambio
del recettore di EGF a livello della plasma membrana. La sua espressione avviene nella fase
iniziale dell’infezione e viene persa dopo l’integrazione virale nel genoma della cellula ospite.
[Longworth et al., 2004]
Il gene E6 codifica per una proteina di 150 aminoacidi espressa sia a livello citoplasmatico
sia a livello nucleare ed è stata definita, insieme ad E7, oncoproteina di HPV, poiché induce la
trasformazione neoplastica dei cheratinociti infettati; il bersaglio principale di E6 è p53, uno
dei primi oncosoppressori ad essere stato identificato e studiato. P53 regola il controllo
cellulare ed in seguito a danni al DNA viene attivata con conseguente blocco del ciclo
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cellulare ed apoptosi. Durante l’infezione per bloccare l’attività di p53 e quindi permettere la
progressione del ciclo cellulare, E6 lega questa proteina attraverso l’ubiquitina ligasi E6AP,
con conseguente degradazione via proteasomica (figura 2).
L’altra oncoproteina dei Papillomavirus è E7, di 100 aminoacidi, situata principalmente nel
nucleo; la caratteristica peculiare di E7 risiede nella sua capacità di legare la proteina del
Retinoblastoma (Rb). Rb nella forma ipofosforilata viene espressa durante la fase G1 del ciclo
cellulare con la funzione di impedire il passaggio alla fase S attraverso il legame al fattore di
trascrizione E2F (figura 2).
E7 lega Rb impedendo la formazione del complesso con E2F e mantenendo l’attivazione
costitutiva dei geni bersaglio del fattore trascrizionale. Oltre a ciò, la proteina E7 si associa
alle cicline A ed E, le quali una volta attivate fosforilano Rb bloccandone l’attività. In cellule
non infette da HPV, Rb lega le istone deacetilasi (HDAC), enzimi che rimuovono gruppi
acetile dagli istoni bloccando così la trascrizione genica; in cellule esprimenti E7, le HDAC
vengono reclutate dall’oncoproteina insieme a Rb mantenendo così l’acetilazione istonica e
quindi l’attivazione trascrizionale. [Patrick Frinzer et al., 2002]
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Figura 2: schema delle funzioni delle oncoproteine E6 ed E7 di Papillomavirus
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Ciclo replicativo del virus
I Papillomavirus possiedono uno spiccato ed esclusivo tropismo per le cellule epiteliali
squamose stratificate dell’epidermide e delle mucose. L’infezione virale inizia con il legame
del capside alla superficie delle cellule ospiti, i cheratinociti, nello strato basale dell’epitelio; i
recettori cellulari coinvolti nell’adsorbimento del virus non sono ancora stati chiaramente
identificati, anche se sembrano avere un ruolo determinante gli eparansolfati, presenti sulla
superficie cellulare. Le particelle virali vengono poi internalizzate attraverso la formazione di
fagosomi che li trasportano nel citoplasma dove avviene la scapsidazione o denudamento. La
replicazione del DNA si verifica secondo due diverse modalità. Nelle cellule degli strati
inferiori dell’epitelio, e in particolare nello strato basale, il DNA virale è mantenuto in alcune
copie con il significato di un plasmide stabile che esprime solo alcuni geni precoci e si
riproduce mediamente una volta per ciclo cellulare; questo è equamente distribuito alle cellule
figlie, assicurando la persistenza dell’infezione latente nelle cellule progenitrici dell’epitelio.
Nelle cellule differenziate, localizzate negli strati superiori dell’epitelio, la sintesi di DNA
cellulare non si verifica, mentre si osserva un’intensa replicazione del DNA virale con
l’attivazione dell’espressione di geni tardivi, la produzione delle proteine strutturali e la
formazione della progenie virale completa che è presente solo negli strati più superficiali
dell’epitelio, da cui viene eliminata nell’ambiente assieme alle cellule desquamate. [Howley et
al., 2001]
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Figura 3: ciclo replicativo del Papillomavirus
Il ciclo replicativo completo del virus con produzione di una progenie virale matura è tipico
delle infezioni da HPV a basso o medio rischio, in cui il genoma del virus permane in forma
plasmidica come mostrato in figura 3.
Nelle lesioni ad alto grado indotte da HPV ad alto rischio, come il -16 o il -18, avviene
l’integrazione del DNA virale nel genoma della cellula ospite con conseguente mancata
produzione di virioni. L’integrazione presuppone la rottura e la linearizzazione della molecola
del DNA virale ed il legame covalente degli estremi della molecola linearizzata con il DNA
cellulare come mostrato in figura 4. Poiché la rottura avviene tra le regioni E1 ed E2, ciò
comporta la perdita dell’azione repressiva di E2 sulla trascrizione dei geni precoci E6 ed E7.
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Pertanto nelle cellule tumorali indotte da HPV ad alto rischio, i geni E1, E6 e E7 sono
integrati e funzionali, mentre i geni E2, E4 e E5 vengono persi o non sono trascritti. Tutto ciò
causa una sovrapproduzione delle oncoproteine E6 ed E7 responsabili principali dell’azione
tumorigenica. Questo meccanismo di integrazione determina dunque l’inizio dei processi di
trasformazione e immortalizzazione dei cheratinociti. [Doorbar et al., 2006; Motoyama et al., 2004]
Figura 4: meccanismo di integrazione dei papillomavirus ad alto rischio
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Epidemiologia
I Papillomavirus sono patogeni ampiamente distribuiti nella specie umana che si trasmettono
prevalentemente per via sessuale; sono virus molto resistenti al calore e a condizioni di aridità,
pertanto si può verificare anche un tipo di trasmissione non sessuale, ad esempio per mezzo di
fomiti in seguito a prolungato contatto con abiti contaminati. Gli HPV ad alto rischio sono
strettamente associati a carcinomi alla cervice uterina, che costituiscono la seconda causa di
cancro mortale nella donna con 288000 vittime ogni anno nel mondo; in particolare sono
coinvolti in oltre il 90% dei casi di neoplasia intra-epiteliale della mucosa dell’utero. La più
alta incidenza annuale nel mondo è stata trovata ad Haiti con 93,8 per 100000 donne (1996);
circa 510000 casi di cancro uterino sono riportati ogni anno, di cui l’80% dai paesi in via di
sviluppo: 68000 in Africa, 77000 in America latina e 245000 in Asia per un totale di 390000.
[Robert et al., 2004]
Negli Stati Uniti l’infezione da Papillomavirus è la più diffusa tra tutte la malattie a
trasmissione sessuale. Nel 1999 i centri per il controllo delle malattie hanno stimato che negli
USA sono stati diagnosticati 800.000 nuovi casi di infezioni da HPV. Di questi, una
percentuale significativa progredisce da infezione latente a manifestazioni cliniche di cancro
alla cervice.
In Italia, i dati dei registri nazionali tumori relativi agli anni 1998-2002 mostrano che ogni
anno sono stati diagnosticati circa 3.500 nuovi casi di carcinoma della cervice (pari a una
stima di incidenza annuale di 10 casi ogni 100.000 donne). Nel corso della vita, il rischio di
avere una diagnosi di tumore della cervice è del 6,2 per mille (1 caso ogni 163 donne), mentre
il rischio di morire è di 0,8 per mille.
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Per quanto riguarda la prevalenza dell’infezione da HPV in Italia, i dati disponibili su donne
di età compresa tra 17 e 70 anni, che afferivano a controlli ginecologici di routine o a
programmi di screening (Pap-test), mostrano una prevalenza del 7-16%. Nelle donne con
diagnosi di citologia anormale la prevalenza sale invece al 35%, per arrivare al 96% in caso di
diagnosi di displasia severa o oltre.
Come già detto, ci sono più di 120 tipi di HPV, 40 dei quali infettano la zona urogenitale:
l’HPV16 è il tipo più comune ed è responsabile del 50% dei casi di cancro alla cervice,
seguito dai tipi -18, -45, -31 e -33. Nei neonati i tipi di HPV più diffusi sembrano essere il -16
e il -18 e persistono soltanto per un breve periodo di tempo, mentre nei bambini il tipo -6 e il
tipo -11 sono quelli prevalenti.
La diffusione dell’HPV risulta essere diversa, a seconda del metodo utilizzato per
individuarne la presenza; la mancanza di un metodo standard di ricerca fa sì che gli studi di
tipo epidemiologico siano molto difficili e trovino range di diffusione ampiamente variabile.
Servendosi della citologia come strumento per l’identificazione del virus, si è visto che il 3-
11% di tutte le donne ha un’ infezione da HPV. L’indice di diffusione, quando viene usata la
colposcopia, sale invece al 33%, mentre i test più sensibili, come gli studi mediante
ibridazione, hanno indicato che il range di diffusione dell’HPV tra gli individui di sesso
femminile è attorno al 30-38%; infine i nuovi metodi di PCR (Polymerase Chain Reaction)
hanno evidenziato una diffusione tra il 20 e il 46%. Tuttavia un limite di questi test è
l’impossibilità di identificare un’infezione latente e di eseguire la tipizzazione del virus. [Bosch
et al., 2002]
Nonostante la mancanza di adeguate tecniche standard di identificazione per quantificare la
diffusione e l’incidenza di HPV, alcune tendenze sono comunque emerse.
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Donne giovani e attive sessualmente hanno più alta incidenza di infezione da HPV, mentre
donne più anziane e monogame hanno un’incidenza più bassa. La diffusione dell’HPV
raggiunge i massimi valori tra i 15 e i 25 anni e decresce bruscamente con l’avanzare dell’età.
Nessuna valutazione conclusiva si è potuta trovare per l’HPV negli uomini a causa delle
moltissime esperienze di infezioni latenti e della rarità di sintomi visibili della malattia.
Alcuni possibili fattori di rischio sono stati identificati in associazione all’incremento di
infezioni da HPV: rapporti sessuali con molti partners, una co-infezione con Herpesvirus,
condizioni di immunodepressione, il fumo di sigaretta, l’uso di contraccettivi orali e lo stato
di gravidanza. [Burd et al., 2003]