parte della dottrina ha ripetutamente osservato che tutte o alcune delle fattispecie
di illecito in esame potrebbero essere ricondotte nell’ambito della
preterintenzione.
Verranno, pertanto, esposte le argomentazioni pro e contra tale impostazione,
non trascurando di procedere anche ad un’analitica ricognizione delle
caratteristiche essenziali del delitto preterintenzionale e delle fattispecie di parte
speciale, la quale consente di pervenire ad utili risultati sul piano sistematico.
L’elaborazione dogmatica sui delitti aggravati dall’evento che verrà prospettata
in questa sede sarà, infine, rivisitata alla luce dell’evoluzione storica di tale
istituto penalistico e dell’indirizzo giurisprudenziale assunto attualmente dalla
Corte Costituzionale in ordine all’interpretazione dell’art. 27 Cost.
Infatti, col variare incessante degli istituti legislativi spesso alcune impostazioni
dogmatiche possono apparire – e sono apparse - non più esaurienti, anche se non
decisamente obsolete, e soprattutto può verificarsi l’esigenza di vagliare a fondo
se l’assetto normativo, da un canto, e l’impegno interpretativo, dall’altro, pur nel
loro coerente valore logico, possano ancora — specie nel momento
contemporaneo — corrispondere pienamente alle esigenze di una corretta politica
criminale.
Non si può, infatti, dimenticare che l’istituto dei delitti aggravati dall’evento,
come peraltro tutti gli istituti fondamentali del diritto criminale, non ha posto
solo, nelle varie epoche, problemi di corretta interpretazione tecnica e di coerente
collocazione sistematica, ma è stato anche al centro di una problematica più vasta
ed articolata attinente agli aspetti salienti della funzione della pena e, soprattutto,
del limite entro cui l’uomo può essere chiamato a rispondere degli eventi
attribuitigli solo in forza del nesso di causalità materiale, cioè in spregio del
limite invalicabile della personalità della responsabilità penale.
Oggi che il problema della funzione della pena e quello connesso alla natura
« personale » della responsabilità penale trovano nel nostro ordinamento esplicita
sanzione a livello costituzionale, nei commi 1 e 3 dell’art. 27, ed in seguito alla
storica sentenza della Corte Costituzionale n. 364/1988 che restaura il principio
2
di colpevolezza quale presupposto irrinunciabile dell’illecito penale, si apre
necessariamente un’esigenza più pressante — giustamente sostenuta in dottrina
— di sottoporre al vaglio delle prospettive costituzionali i risultati, pur fecondi,
delle impostazioni passate, per verificare quanto di essi sia ancora valido.
Si procederà, quindi, ad affrontare le questioni relative alla tanto auspicata – e
tutt’ora in itinere - riforma del nostro codice penale, ricordando le odierne
prospettive per un intervento legislativo volto ad eliminare le previsioni
normative che contemplano forme di responsabilità oggettiva e le difficoltà che si
incontrano nel tentativo di procedere ad una loro soggettivizzazione.
Nel ripercorrere l’impervio cammino del principio di colpevolezza nel sistema
penale italiano si terranno in debita considerazione le esperienze e le soluzioni
apprestate su analoghi problemi da altri ordinamenti giuridici, simili al nostro
oppure differenti per strutture politiche e sociali; infatti, da questo esame
comparatistico è possibile trarre qualche utile suggerimento sulla direzione da
prendere nel nostro Paese per realizzare l’obiettivo di dare definitiva attuazione a
quello che è stato definito dalle Commissioni ministeriali di riforma “uno dei
principi fondamentali ed inderogabili del diritto penale”, cioè quello di
responsabilità personale colpevole.
3
CAP I
IL DELITTO AGGRAVATO DALL’EVENTO NELLA MODERNA
TEORIA DEL REATO
SOMMARIO: 1. L’evento nella teoria del reato. La concezione Naturalistica e Giuridica -
1.1. L’evento naturalistico in senso lato come concomitante e come susseguente alla condotta.
Non configurabilità dei c.d. reati di mera condotta - 1.2. Diritto penale della condotta e
dell’evento - 2. Rapporto di causalità - 2.1. Teorie della causalità - 3. La colpevolezza – 3.1.
Significato e fondamento del principio di colpevolezza - 3.1.1. La spiegazione in chiave
funzionalistica: il rapporto tra colpevolezza e scopi della pena - 3.1.2. La spiegazione in chiave
garantistica (la sentenza costituzionale 364/1988) - 3.2. Struttura della colpevolezza come
elemento costitutivo del reato - 3.2.1. La concezione psicologica - 3.2.2. La concezione
normativa - 3.2.3. La struttura della colpevolezza in senso normativo - 3.3. Colpevolezza e
imputabilità - 3.4. Principio di colpevolezza e responsabilità oggettiva - 3.4.1. La responsabilità
oggettiva espressa e la responsabilità oggettiva occulta - 3.4.2. Le singole ipotesi di
responsabilità oggettiva.
1. L’ evento nella teoria del reato. La concezione Naturalistica e Giuridica.
Nella struttura del fatto tipico viene tradizionalmente inserito l’evento, quale
momento terminale della condotta consistente in un’azione od omissione. Il
termine “evento” viene impiegato in diverse disposizioni del codice penale, ma
non trova un’espressa definizione legislativa: la determinazione del suo
significato è rimasta, così, affidata all’interpretazione dottrinale e
giurisprudenziale.
A tale concetto si riserva la funzione di contrassegnare, nella dottrina del reato, il
risultato dell’azione che il diritto prende in considerazione, in quanto, al suo
verificarsi, connette conseguenze di carattere penale.
L’elaborazione dogmatica della categoria ha suscitato, nella dottrina italiana,
4
un’annosa e tormentata disputa teorica
1
. Infatti, a seconda che con la parola
“evento” s’intenda la modificazione sensibile del mondo fisico o psichico, o il
pregiudizio subito dall’interesse protetto dalla norma, si parla di una concezione
naturalistica o di una concezione giuridica dello stesso
2
.
La differenza tra le due opinioni sta nel fatto che l’evento è concepito, secondo il
punto di vista naturalistico, in funzione della sua consistenza percepibile nel
mondo naturale, secondo la concezione giuridica, come mero concetto giuridico
che contrassegna la conseguenza dell’aggressione al bene tutelato.
Evento in senso naturalistico è l’effetto naturale dell’azione contemplato nel
modello di reato configurato dal legislatore
3
; esso è sempre qualcosa di
consistente
4
, è l’effetto naturale della condotta umana che è rilevante per il
diritto
5
. Per la concezione giuridica, l’evento si identifica, invece, con la
1
In argomento, Santamaria, voce “Evento”, in Enc. Dir., XVI, Milano, 1967, p. 118;
Mazzacuva, voce “Evento”, in Dig. Disc. Pen., IV, Torino, 1990, p. 445; Antolisei, La disputa
sull’evento, in Riv. it. dir. proc. pen., 1938, p. 258; ID., L’evento e il nuovo codice penale, in
Riv. it. dir. proc. pen., 1932, p. 18, riprodotto in Scritti, p. 263; Stella, La descrizione
dell’evento, Milano, 1970, p. 87; Stoppato, L’evento punibile, Padova, 1989, p. 61; Caraccioli,
voce “Evento”, in Enc. Giur. Treccani, XIII, 1989; Checchi, La teoria dell’evento, Milano,
1937; ID., In tema di evento, in Annali, 1941, p. 1.
2
Ad esempio, nell’omicidio la conseguenza dell’azione rilevante per il diritto è la morte di un
uomo: in questo risultato la concezione naturalistica vede la modificazione del mondo esterno
consistente nella morte come fatto naturale, arresto dei processi biologici relativi alla vita
dell’uomo; la concezione giuridica vede, invece, la distruzione del bene giuridico-vita protetto
dalla norma penale ed aggredito dal reato.
3
Antolisei, La disputa sull’evento, cit., p. 258.
4
Grispigni, L’evento come elemento costitutivo del reato, in Ann. dir. proc. pen., 1934, p. 857.
Il Grispigni ha ritenuto di dover rivedere la definizione per cui l’evento è una modificazione del
mondo esterno. Essa sarebbe inesatta perché l’evento, quando consiste in un’alterazione della
sfera psichica, è interno. Vero è che si tratta del mondo psichico della vittima, quindi sempre
esterno rispetto al soggetto agente, ma vi sono casi in cui l’evento si identifica con qualcosa di
interiore dello stesso soggetto attivo del reato, come, ad esempio, nel risultato del
procacciamento di notizie concernenti la sicurezza dello Stato, dello spionaggio, della
cognizione fraudolenta di comunicazioni telefoniche (ID., Diritto penale italiano, II, Milano,
1947, p. 47).
5
Antolisei, Manuale di diritto penale, 16 ediz., 2003, p. 227; ID., L’azione e l’evento nel reato,
Milano, 1928, p. 73 ss.
Questa concezione prevale ora in dottrina. Cfr.: Santoro, Teorie delle circostanze del reato,
Torino, 1933, p. 152; Petrocelli, Principi di diritto penale, Padova, 1943, p. 276; Ranieri,
Manuale di diritto penale. Parte generale, Padova, 1968, p. 242; Musotto, Corso di diritto
penale, Palermo, 1981, p. 126; Bettiol – Pettoello - Mantovani, Diritto penale. Parte generale,
Padova, 1986, p. 298; Gallo, L’elemento oggettivo del reato, Torino, 1966, p. 67; Nuvolone, Il
5
conseguenza lesiva dell’azione ed è soltanto una entità concettuale: “l’offesa
all’interesse protetto dalla norma penale si risolve nella effettiva lesione, o nella
semplice esposizione a pericolo
6
, del bene o interesse protetto
7
”. Esso si
configura nel campo puramente intellettivo dei concetti giuridici e può anche non
coincidere con una modificazione della realtà naturale.
La differenza fra le due concezioni è profonda, perché, l’evento, inteso in senso
naturalistico, è un’entità che si aggiunge alla condotta dell’uomo, mentre l’offesa
al bene giuridico protetto, è lo stesso fatto umano considerato dal punto di vista
della tutela giuridica. Da ciò deriva che l’offesa non sempre si distingue dalla
condotta dell’uomo, potendo combaciare con essa; il che avviene nei reati che
consistono in una semplice azione od omissione ( reati di pura condotta
8
).
Anche le conseguenze delle due concezioni sono diverse perché, mentre per
quella naturalistica l’evento può mancare nel reato, la concezione giuridica lo
considera come elemento essenziale.
sistema del diritto penale, Padova, 1982, p. 159; Fiandaca-Musco, Diritto penale, parte
generale, Padova, 2001, p. 197.
6
L’evento di pericolo è configurabile soltanto nell’ambito di quelle figure di reato che la
dottrina tradizionale definisce a pericolo concreto, nelle quali cioè spetta al giudice accertare se
una effettiva situazione di pericolo si è verificata come conseguenza dell’azione. I reati di
pericolo astratto o presunto, nei quali il pericolo rappresenta ratio dell’incriminazione ma non
elemento costitutivo del tipo descritto, tendono invece ad atteggiarsi ad illeciti di mera condotta.
7
Fra i seguaci della concezione giuridica ricordiamo: Pannain, Manuale di diritto penale. Parte
generale, Torino, 1962, p. 324; Beccari, La conseguenza non voluta, Milano, 1962, p. 55;
Pagliaro, Principi di diritto penale. Parte generale, Milano, 2003, p. 310; Massari, Il momento
esecutivo del reato, Milano, 1923, p. 45; Vannini, Manuale di diritto penale. Parte generale,
Firenze, 1948, p. 120; Delitala, Il fatto nella teoria generale del reato, 1930, in Raccolta degli
Scritti, I, Milano, 1976, p. 163 ss.
8
Nell’ambito dei reati di mera condotta, definiti tali perché privi di un evento cd. naturalistico, a
rigore, non è necessario ipotizzare un evento giuridico come risultato che consegue o si
aggiunge alla condotta medesima; l’offesa all’interesse protetto non è un’entità materiale che si
somma all’azione, ma la stessa azione considerata come confliggente con la norma posta a
tutela del bene in questione: in altri termini, la lesione (o messa in pericolo) del bene si
immedesima ed esaurisce nella realizzazione della condotta tipica.
A ragionare, invece, come pretendono i sostenitori dell’evento giuridico, nonostante l’avvenuta
realizzazione della condotta tipica (che nei reati di mera condotta di per sé esaurisce il reato) il
giudice dovrebbe ulteriormente verificare l’effettivo impatto della condotta sul bene protetto.
Ma così si finirebbe col richiedere un tipo di accertamento che si sovrappone al giudizio di
lesività già espresso dal legislatore: infatti, un’azione tipica è veramente tale se lede,
quantomeno secondo la valutazione legislativa, il bene oggetto di protezione penale.
6
A sostegno della concezione giuridica si invoca il testo degli artt. 40 e 43 c.p., nei
quali si parla di evento “da cui dipende l’esistenza del reato”. Tale espressione
dimostrerebbe che ogni reato consiste nella lesione o messa in pericolo di un
bene giuridico e che, quindi, per il nostro codice, l’evento va considerato in senso
giuridico
9
.
Se si considera lo stato attuale della nostra legislazione penale ci si avvede, però,
che l’equazione reato-lesione (o concreta messa in pericolo) di un bene giuridico
talora suona più come una retorica affermazione di principio, che come un dato
che trova conferma nella realtà. L’ordinamento penale vigente, infatti, contiene
anche fattispecie criminose strutturate in modo così difettoso sotto il profilo della
tecnica legislativa, da far cadere in crisi l’assetto della necessaria
compenetrazione tra tipicità e offesa al bene (in questo senso il deficit di tipicità
si traduce in un deficit di offensività)
10
. Senonché, nel tentativo di una parte della
dottrina di valorizzare il concetto di evento giuridico per rimediare
all’insufficiente tipizzazione legislativa di alcuni tipi di illecito, si annida anche il
rischio di sovrapporre arbitrarie opzioni interpretative del giudice alle scelte del
9
Si cade così in una petitio principii quando si ritiene che disposti quali gli artt. 40 e 43 c. p., ed
anche l’art. 49 c. p., si riferiscano a un evento in senso giuridico (così M. Gallo, Il dolo-oggetto
e accertamento, Milano, 1953) e che il codice penale vigente rifletterebbe la teoria di A. Rocco
sull’oggetto giuridico del reato “messa in versi” (così ancora M. Gallo, L’elemento oggettivo del
reato, cit., p. 52) per cui la lesione o messa in pericolo (offesa) del bene protetto sarebbe stata
dal legislatore configurata come un risultato che sempre si aggiunge all’azione delittuosa
(Fiandaca-Musco, Diritto penale. Parte generale, cit., p. 193).
In realtà, di concetti di evento inteso in senso giuridico, e tanto meno di concetti quali lesione o
offesa del bene tutelato, non v’è traccia alcuna né nel codice nè nella Relazione al progetto
definitivo. Si tratta infatti di una elaborazione logico-concettuale di matrice esclusivamente
dottrinaria. La verità è che la grande maggioranza della dottrina — seguendo la costruzione
fattane da Antolisei (L’azione e l’evento nel reato, op. cit.) — non si è mai posta il quesito se, in
quei disposti e in altri eventualmente rinvenibili, il legislatore non avesse fatto altro che riferirsi
unicamente a un evento naturalistico inteso in senso ampio, comprensivo di quello
concomitante alla realizzazione della condotta. Ne è risultato che da lungo tempo la distinzione
tra reati di pura condotta e reati di evento appare acquisita in seno alla dottrina col valore di un
dogma inconfutabile.
10
Si consideri, ad es., una fattispecie di mera condotta quale il reato di «interesse privato in atti
di ufficio», recentemente abrogato dal nostro legislatore: stante la profonda incertezza relativa
all’individuazione delle condotte veramente conformi a questa ipotesi delittuosa, si era ritenuto
da parte di taluno che un aggancio al concetto di «evento giuridico» consentisse interpretazioni
più univoche. Ma un discorso non troppo dissimile può valere oggi, rispetto a non poche
fattispecie incriminatrici contenute nel vigente ordinamento.
7
legislatore mal tradottesi a livello di formulazione delle fattispecie incriminatrici.
Se così è, si comprende come il problema di una maggiore compenetrazione tra
«tipicità» e «offesa» sia veramente risolubile solo in sede di redazione legislativa
della fattispecie criminosa.
Da questo punto di vista, è auspicabile una riforma del sistema penale vigente
diretta, da un lato, a selezionare i beni veramente meritevoli di tutela penale e,
dall’altro, a tipicizzarne le modalità di aggressione in maniera tangibile ed
inequivoca
11
.
Dal punto di vista tecnico-fenomenico va, dunque, mantenuta la sola nozione di
evento naturalistico, inteso quale conseguenza dell’azione e consistente in una
modificazione fisica della realtà esterna
12
. Non è necessario che esso si verifichi
quasi contestualmente all’azione ed è altresì irrilevante che l’evento si realizzi in
un luogo diverso da quello in cui è stata posta in essere l’azione criminosa (c.d.
“reati a distanza”).
Non è detto che nel reato debba esservi un solo evento, infatti, esistono figure
criminose che presentano una pluralità di eventi (ad es. i reati composti).
Rientrano nella nozione naturalistica, non solo i risultati che sono assunti dalla
legge come elementi costitutivi del reato, ma anche quelli che importano un
aggravamento della pena
13
.
1.1. L’evento naturalistico in senso lato come concomitante e come
susseguente alla condotta. Non configurabilità dei c.d. reati di mera condotta.
Per dare ragione delle menzionate critiche alla teoria dell’evento in senso
giuridico, è sufficiente distinguere, in seno alla concezione naturalistica
11
In argomento, Mazzacuva, Il disvalore di evento nell’illecito penale, Milano, 1983, p. 77.
12
Per una nozione di evento naturalistico ricomprendente anche modificazioni di ordine
psicologico, Antolisei, La disputa sull’evento, cit., p. 258; Grispigni, Diritto penale italiano, II,
Milano, cit., p. 67; Nuvolone, L’evento e il dolo nella diffamazione, in Riv. it. dir. proc. pen.,
1949, p. 574.
13
Nel nostro diritto positivo, infatti, esistono molte disposizioni che sanciscono un
aggravamento della pena nell’ipotesi che dal fatto che costituisce reato derivi un determinato
evento dannoso o pericoloso. Così nell’attentato alla sicurezza dei mezzi di trasporto (art. 432
c.p.), è circostanza aggravante il verificarsi del disastro; nell’epidemia (art.438) la pena è
aumentata se ne derivi la morte di più persone.
8
dell’evento, un duplice significato: quello in senso stretto, che fa riferimento al
risultato cronologicamente scisso dalla condotta - e quindi susseguente, sia pure
per un solo istante, alla stessa (es.: la morte nell’omicidio) - e quello in senso
ampio, comprensivo anche di quei risultati che sono concomitanti all’ultima fase
della condotta (es. l’assenza del detenuto in carcere nell’evasione, la presenza del
soggetto attivo nella violazione di domicilio), e che quindi si compenetrano con
essa restando solo logicamente — ma non anche cronologicamente — scissi
dalla medesima.
Concependo l’evento in senso naturalistico ed in senso lato, diviene allora chiaro
che tutti i reati ne sono coinvolti, pertanto è improprio parlare di “reati di mera
condotta”, trattandosi di reati ad evento concomitante, mentre per i c.d. “reati di
evento” devesi parlare di reati ad evento susseguente. Inoltre è evidente che
quando il legislatore prospetta l’ipotesi in cui l’azione configura per sé un reato,
indipendentemente dall’evento (art. 41, 2° comma. 42, 1° comma), in realtà usa il
termine evento in senso stretto; l’art. 41 si riferisce, infatti, solo a questa ipotesi,
senza escludere peraltro che l’azione, considerata di per sé, possa comportare, a
sua volta, una determinata modificazione esteriore, ossia un proprio evento
concomitante, prescindendo da quello cronologicamente susseguente
14
.
Cosicché, mentre il rapporto di causalità, di cui all’art. 40 c.p., rappresenta una
relazione solo logica tra fattore causale e risultato, ed è quindi raffigurabile in
ogni reato consumato nel quale, cioè, la condotta ha prodotto una qualche
modificazione del mondo esterno, il successivo art. 41, riferendosi alla sola
ipotesi di scissione cronologica tra evento e condotta, concerne più
particolarmente il nesso di causalità. Si comprende altresì che se l’art. 40 non
può riferirsi ai reati tentati, né a quelli a consumazione anticipata, (per l’ovvia
ragione che in essi l’evento non si è verificato, e quindi “non è stato cagionato”),
di contro gli artt. 43 e 49 ben contemplano l’evento anche per tali due ipotesi
14
Ad es. rimane l’evento, e quindi il reato, di porto abusivo d’armi anche quando si è assolti,
per difetto di nesso causale, dall’omicidio.
9
(tentativo e consumazione anticipata), con la sola riserva che esso è qui solo
virtuale (ossia nell’intendimento dell’agente) o, comunque, come nei casi di
consumazione anticipata, al di fuori della fattispecie.
Resta da precisare il ruolo svolto dall’evento nei reati omissivi. Per quanto
riguarda i reati omissivi impropri, o commissivi mediante omissione, l’evento
naturalistico è elemento costitutivo della fattispecie. Tale evento è inoltre
rappresentato da un accadimento il quale è collegato alla condotta del soggetto
non da un vero e proprio rapporto di causalità, bensì da un nesso di imputazione
normativa che è la legge stessa ad equiparare alla causalità (art. 40, 2° comma:
“non impedire un evento, che si ha l’obbligo di impedire, equivale a
cagionarlo”).
Per quanto invece concerne i reati di pura omissione, si tratta di “reati a
consumazione anticipata”, a seguito dei quali l’evento che la norma mira a
impedire può verificarsi o meno; ma, qualora si verifichi, ciò avviene in ogni
caso al di fuori della fattispecie, non essendo esso previsto dal legislatore quale
suo elemento costitutivo. Ciò non toglie che in ambo i casi — di non
verificazione o di effettiva verificazione — l’evento de quo rientri nella
previsione, e quindi nella prevenzione, normativa; semplicemente, il legislatore
non ha inteso farne un elemento della fattispecie, ma solo anticipare la
consumazione del reato al momento della realizzazione della condotta.
In sede critica va comunque rilevato che la complessità della problematica
dell’evento - quale quella esposta - è dovuta all’evidente orientamento
causale-oggettivisitico del legislatore, il quale ha inteso strutturare la teoria del
reato in chiave di diritto penale dell’evento, contrastando con ciò la “natura delle
cose”
15
.
15
La quale non è una “formula magica” utilizzata per la pseudo-soluzione dei problemi giuridici
(come vorrebbe concepirla Marinucci, Il reato come azione, critica di un dogma, Milano, 1971,
p. 84), ma l’indispensabile strumento metodologico “in grado di condurre agevolmente, e in
fondo ovviamente, ai significati sociali, i quali sono gli unici punti di collegamento per le
valutazioni giuridiche” (così Schmidt, Soziale Handlungslehre, in Festschr. F. K. Engisch,
1969, p. 352). Un’idea-cardine quale quella della Natur der Sache rappresenta certo la
principale garanzia di fronte alle tentazioni, così diffuse tra i giuristi, verso l’astrazione e il
10