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Capitolo I: Cultura.
1.1 La parola cultura: etimologia e cenni storici.
Come afferma Terry Eagleton (2001: 7/149), il concetto di cultura deriva da quello di natura.
Uno dei suoi significati originari è quello di agricoltura, cioè la cura dello sviluppo naturale.
La parola coltro, etimologicamente legata a cultura, indica la lama del vomere. Dal lavoro e
dall’agricoltura, dunque, dai raccolti e dalla coltivazione, facciamo derivare la parola che
indica per noi una tra le più importanti delle attività e ambiti della realtà umana. La parola ha
origine dal verbo colere, il cui significato tocca quello di ‘coltivare’, ‘insediarsi’, ‘venerare’ e
‘proteggere’. Il significato di ’insediarsi’ è attestato nel vocabolo latino colonus, da cui deriva
il termine contemporaneo ‘colonialismo’. Passando per la parola latina cultus, ritroviamo il
verbo colere anche nel termine religioso con il significato di ‘culto’. Il concetto moderno di
cultura può essere inteso come quel bagaglio di conoscenze acquisite ritenute fondamentali e
che vengono trasmesse di generazione in generazione, possiamo quindi affermare che la
cultura è anche tradizione.
Lo scrittore e sociologo britannico Raymond Williams (1976: 76/82) ha ripercorso a grandi
linee la complessa storia della parola cultura distinguendone tre principali accezioni moderne:
1. Dal significato etimologico di agricoltura, la parola indica ‘civiltà’ (civility), nel senso
di buone maniere; la civiltà come idea pone sullo stesso piano buone maniere e
morale. La parola in sé implica una dubbia correlazione tra un comportamento educato
ed una condotta etica, nel senso che adotta un comportamento buono, giusto o
moralmente lecito; correlazione che si trova anche nell’inglese gentleman.
2. Nel diciottesimo secolo, essa diventa più o meno sinonimo di civiltà (civilization), ma
nel senso di un generale processo di progresso intellettuale, spirituale e materiale. Nel
senso di civilizzazione la parola cultura è stata fatta propria dallo spirito generale
dell’Illuminismo, col suo culto di uno sviluppo autonomo, progressivo e laico. Questa
di civilizzazione era soprattutto una nozione francese e designava sia il processo
graduale per cui la società diventava civile, sia il fine utopistico verso il quale tale
processo tendeva.
3. Il tedesco Kultur aveva una valenza più strettamente religiosa, artistica ed intellettuale.
Poteva anche indicare l’affinamento intellettuale di un gruppo o di un individuo, più
che della società nel suo insieme. La civiltà minimizzava le differenze nazionali, la
cultura le faceva risaltare.
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Tre cambiamenti si osservano a proposito della nozione di cultura all’inizio del
diciannovesimo secolo.
Il primo è che la parola cultura abbandona il ruolo di sinonimo di civiltà per acquisirne uno
antonimo. Si tratta di un cambiamento semantico che implica anche un cambiamento storico.
Come il vocabolo cultura, anche il vocabolo civiltà combina un aspetto descrittivo e uno
normativo: può designare in modo referenziale una forma di vita ( esempio civiltà inca)
oppure elogiare uno stile di vita per la sua umanità, la sua apertura culturale e la sua
raffinatezza intellettuale. Se civiltà significa arte, vita urbana, politica civica ecc. e se questo è
considerato un passo avanti rispetto al passato, allora la parola civiltà ha un valore
prettamente descrittivo e normativo: poiché essa intende la vita come la conosciamo, ma
sottintende anche che questa vita è superiore alle barbarie. E se la civiltà è uno stato di
continua evoluzione interna, allora la parola unisce ancora di più la realtà dei fatti con il loro
valore. Ogni situazione che presenta determina un giudizio di valore dal momento che essa
rappresenta un miglioramento rispetto a quel che era prima. Tanto a livello sociale che a
livello personale, curare la propria cultura rientra nello sviluppo della personalità, anche se
nessuno può riuscire in questa impresa vivendo isolato, ed è proprio la nascente
consapevolezza di questa impossibilità che aiuta il concetto di cultura a superare il proprio
significato individualistico per assumere quello sociale.
Alla fine del diciannovesimo secolo, la parola civiltà aveva acquisito una sfumatura
imperialistica; di conseguenza si sentiva la necessità di un’altra parola per indicare come la
vita sociale avrebbe dovuto essere e non come era; per questo i tedeschi presero in prestito il
vocabolo francese culture. Kultur o culture divennero così le parole chiavi della critica
romantica. Mentre quindi il termine civiltà, indica un misto di buone maniere, il concetto di
cultura è più spirituale e critico. Se uno è tipicamente francese, l’altro incarna lo stereotipo
tedesco. Quanto più la civiltà attuale appare predatrice e degradata, tanto più l’idea di cultura
è costretta ad assumere un atteggiamento critico. La Kulturkritik si contrappone alla civiltà
piuttosto che unirsi ad essa. Come osserva Raymond Williams (1990: 60)’una parola che ha
indicato un processo di formazione all’interno di una società più sicura di sé è diventata nel
diciannovesimo secolo fulcro di una risposta profondamente significativa a una società in
preda ad un cambiamento radicale e doloroso’. Una delle ragioni che hanno portato a
emergere il termine cultura è il fatto che la parola civiltà stava cominciando a suonare sempre
meno plausibile per indicare un valore. Avviene così che il tardo diciannovesimo secolo
testimonia un Kulturpessimismus. Non è semplice definire questa parola, però si può
affermare che tendenzialmente fa riferimento ad un sentimento di decadenza che all’inizio del
nostro secolo s’insinua nelle sfere culturali più diverse: nella filosofia, nella storia, nella
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letteratura, nella poesia, nell’arte ed in genere anche nella sociologia. Da un punto di vista
socio-politico parlare del Kulturpessimismus equivale a raccontare la storia della decadenza
del mondo borghese e dell’avvento della società di massa, attestati dalla Materialschlacht, che
fu la prima guerra mondiale. La civiltà borghese aveva fatto della ricchezza, della ragione e
della libertà un vero e proprio culto. (cfr. Belardinelli 1993: 55).
Arrivati a questo punto la cultura deve mantenere la proprio dimensione sociale, non può
permettersi di ritornare al suo primo significato di cultura personale. Nato nel cuore
dell’Illuminismo il concetto di civiltà era astratto e meccanicistico mentre quello di cultura era
fine a se stesso ed evocativo. Il conflitto tra cultura e civiltà apparteneva ad una contesa
ancora aperta fra tradizione e modernità. Nel complesso Eagleton (2001: 140/149) afferma
che la civiltà rimaneva borghese mentre la cultura era relegata a contesti aristocratici. Essa
esprimeva una sincera simpatia per il Volk ‘popolo’ ed uno sprezzante disgusto per il Bürger
‘cittadino’.
Questa svolta völkisch del concetto di cultura costituisce il secondo stadio dell’evoluzione
tracciata da Williams. Dagli idealisti tedeschi in poi, la cultura viene ad assumere tratti del suo
significato moderno di stile di vita particolare. Secondo il teologo, filosofo e letterato tedesco
Johann Gottfried Herder la cultura è una diversità di forme di vita, ciascuna con le proprie
leggi evolutive. Egli collega esplicitamente il contrasto tra i due significati della parola
cultura al conflitto tra L’Europa e le controparti coloniali. Scrive Herder: ‘ a ciò che una
nazione ritiene indispensabile per il suo modo di pensare, quell’altra nazione non ha mai
pensato o lo considera perfino nocivo’( cfr. Herder 1992: 138). L’origine dell’idea di cultura
come modo di vivere particolare è strettamente collegata ad un’inclinazione romantica
anticolonialista per le società esotiche distrutte. Herder proporrà di pluralizzare il termine
cultura parlando sia delle culture di nazioni e periodi differenti sia delle diverse culture
economiche e sociali nell’ambito di una stessa nazione. E’ questo il senso che tale parola
assumerà intorno alla metà del diciannovesimo secolo e che solo all’inizio del ventesimo si
affermerà stabilmente.
E’ proprio la combinazione di descrittività e di normatività, presente sia nella parola civiltà sia
nel termine cultura, che ritornerà ai giorni nostri sotto forma di relativismo culturale. Per
relativismo culturale s’intende l’atteggiamento di rifiuto dell’etnocentrismo (concezione e
comportamento sociale basati sulla solidarietà con il gruppo d’appartenenza e su ostilità e
disprezzo verso gli altri gruppi) e di accettazione della pluralità delle culture (cfr. Cirese 1973:
56).
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Benché la parola cultura sia popolare nel postmodernismo, le sue fonti più importanti
rimangono pre-moderne. Come idea, la cultura comincia a diventare importante in quattro
momenti di crisi storica: quando diventa l’unica alternativa apparente ad una società
degradata, quando sembra che senza un cambiamento sociale radicale la cultura intesa come
belle arti e vita raffinata non sarà più possibile, quando fornisce i termini in cui un gruppo
cerca la propria emancipazione politica e, infine, quando un potere imperialista è costretto a
scendere a patti col modo di vivere di coloro che ha sottomesso. Fra tutti questi casi, gli ultimi
due sono quelli che nel ventesimo secolo hanno segnato con maggiore incisività quest’idea.
Dobbiamo in gran parte al nazionalismo e al colonialismo la nostra moderna nozione di
cultura. Ciò che unisce l’ordine pre-moderno a quello post-moderno è che per entrambi, anche
se per ragioni diverse, la cultura è un livello dominante della vita sociale. Se si presenta in
modo così appariscente nelle società tradizionali, è perché è uno strumento di penetrazione al
cui interno si sviluppano altri generi di attività. La politica, la sessualità e la produzione
economica vengono ancora considerate secondo una simbolica gerarchia di significato. Nel
mondo postmoderno cultura e vita sociale sono unite sotto il segno dell’estetica della merce,
della spettacolarizzazione della politica, del consumismo dello stile di vita ecc.
Ad ogni modo, niente potrebbe provare la complessità dell’idea di cultura più efficacemente
del fatto che il più importante teorico britannico del dopoguerra, Raymond Williams, ne dà
varie definizioni, attribuendone di volta in volta i significati di standard di perfezione,
mentalità, arte, modo di vivere complessivo ed in generale dalla produzione economica alla
famiglia.
Riassumendo, il termine cultura denota tre concezioni principali sostanzialmente diverse:
Una concezione umanistica o classica, la quale presenta la cultura come la formazione
individuale, un'attività che consente di "coltivare" l'animo umano; in tale accezione
essa assume una valenza quantitativa, per la quale una persona può essere più o meno
colta.
Una concezione antropologica o moderna presenta la cultura come il variegato insieme
dei costumi, delle credenze, degli atteggiamenti, dei valori, degli ideali e delle
abitudini delle diverse popolazioni o società del mondo. Concerne sia l'individuo sia le
collettività di cui egli fa parte. In questo senso il concetto è ovviamente declinabile al
plurale, presupponendo l'esistenza di diverse culture, e tipicamente viene supposta
l'esistenza di una cultura per ogni gruppo etnico o raggruppamento sociale
significativo, e l'appartenenza a tali gruppi sociali è strettamente connessa alla
condivisione di un'identità culturale.
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Una concezione di senso comune, vede la cultura in luogo non esclusivo ma tipico,
l'insieme delle conoscenze o dei "saperi" sulle scienze, sulle arti, e sulle tradizioni,
nonché sugli avvenimenti storici, ma anche sui fenomeni sociologici e orientamenti
filosofici delle diverse popolazioni o società a livello planetario. Concerne sia
l'individuo sia la collettività a cui egli appartiene. Il termine è applicabile a livello
universale e multietnico, intendendo che vi sono molteplici culture, e normalmente si
ritiene egualmente "importante" la cultura di ogni gruppo etnico o raggruppamento
sociale significativo. Far parte di tali etnie sociali o aree geografiche presuppone la
relativa connotazione e quindi "l' identità culturale".
1.2 Diversi significati di cultura.
Esistono quindi due diversi significati del concetto di cultura:
Secondo una concezione classica la cultura consiste nel processo di sviluppo e
mobilitazione delle facoltà umane che è facilitato dall'assimilazione del lavoro di
autori e artisti importanti e legato al carattere di progresso dell'età moderna.
Secondo una concezione antropologica la cultura - o civiltà - presa nel suo più ampio
significato etnologico è “quell'insieme complesso che include il sapere, le credenze,
l'arte, la morale, il diritto, il costume, e ogni altra competenza e abitudine acquisita
dall'uomo in quanto membro della società” secondo la nota definizione
dell'antropologo inglese Edward Taylor (1871: 68).
Negli anni, la definizione antropologica di cultura è molto cambiata; la definizione che
l'Unesco dà del concetto di cultura è la seguente: «La cultura in senso lato può essere
considerata come l’insieme degli aspetti spirituali, materiali, intellettuali ed emozionali unici
nel loro genere che contraddistinguono una società o un gruppo sociale. Essa non comprende
solo l’arte e la letteratura, ma anche i modi di vita, i diritti fondamentali degli esseri umani, i
sistemi di valori, le tradizioni e le credenze.» (cfr. Saur 1983:121).
L'uso popolare della parola cultura in molte società occidentali può riflettere semplicemente il
carattere stratificato di queste società: molti usano questa parola per designare i beni di
consumo, e attività come ad esempio la cucina, l'arte o la musica. Altri usano il termine di
"cultura alta" per distinguere quest'ultima da una presunta cultura "bassa", intendendo con
quest'ultima l'insieme dei beni di consumo che non appartengono all'élite (cfr. Bonalumi
2008: 7).
Da un punto di vista antropologico la cultura consiste in (cfr. Bonalumi 2008: 4):
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Sistemi di norme e di credenze esplicite, elaborati in modi più o meno formalizzati.
Costumi e abitudini acquisite da esseri umani per il semplice fatto di vivere in
determinate comunità, comprese quindi le azioni ordinarie della vita quotidiana.
Artefatti delle attività umane, dalle opere d'arte vere e proprie agli oggetti di uso
quotidiano e tutto quanto fa riferimento alla cultura materiale, al sapere necessario per
vivere.
Le caratteristiche che definiscono la cultura nella concezione descrittiva dell'antropologia
sono principalmente tre:
La cultura è appresa e non è riducibile alla dimensione biologica dell'uomo. Ad
esempio il colore della pelle non è un tratto culturale bensì una caratteristica genetica.
La cultura rappresenta la totalità dell'ambiente sociale e fisico che è opera dell'uomo.
La cultura è condivisa all'interno di un gruppo o di una società. Essa è distribuita in
maniera omogenea all'interno di tali gruppi o società (cfr. Sciolla 2007: 50/53).
Perché un'azione o un tratto possano essere definiti "culturali" occorre quindi che siano
condivisi da un gruppo. Ciò però non significa che un fenomeno "culturale" debba essere
obbligatoriamente condiviso dalla totalità della popolazione: è necessario lasciare spazio per
la normale variabilità individuale.
Anche per quanto riguarda le variazioni di comportamento tra individuo e individuo
all'interno di una società, però, è possibile individuarne dei limiti circoscritti proprio dalle
norme sociali che regolano quel determinato gruppo.
Frequentemente gli individui appartenenti a una determinata cultura non percepiscono la loro
condotta regolata da tali norme che impongono quale comportamento sia consentito e quale
no.
In antropologia l'insieme di queste norme sociali (comunemente chiamate "ideali") vengono
definite modelli culturali ideali (cfr. Sciolla 2007: 60).
1.2.1 Le proprietà antropologiche della cultura.
La Cultura è:
un complesso di modelli (idee, simboli, azioni, disposizioni):
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In tutte le culture esiste un modello (es. pulizia, decoro, legge), un modello attraverso cui si
pensa qualcosa. I modelli generano modelli guida al diverso modo di agire:
operativi: permettono un accostamento al mondo in senso pratico e intellettuale e un
relativo adattamento ambientale. Permettono quindi di passare dall'ideale
all'operatività.
selettivi: effettuano infatti una selezione di modelli funzionali al presente
dinamici: si mantengono nel tempo, ma non sono fissi. Interagendo con altre culture vi
sono cambiamenti reciproci.
stratificati e diversificati: all'interno della stessa società si notano differenze culturali
in base all'età, al genere, al reddito, ecc., e queste differenze condizionano i
comportamenti sociali.
La cultura presenta al proprio interno dei dislivelli. Lo scrittore Cirese (1973: 26),
schematizzando, parla di cultura egemonica (che ha il potere di definire i suoi confini) e
cultura subalterna che, non avendo tale potere, non ha possibilità di definirsi. Ad esempio la
divisione tra Hutu e Tutsi è nata in seguito alla colonizzazione belga. Nella società moderna,
pur essendo presenti differenze culturali su base linguistica ed etnica, esse sono tollerate
perché viene favorita l'integrazione culturale tramite l'istruzione obbligatoria e le classi sociali
non hanno confini rigidi.
La cultura non è apparato esteriore della vita. È consapevolezza pratica legata alla propria
esperienza individuale (nihil in intellectu quod non fuerit in sensu: ‘Nella mente non c'è
niente che non sia già iscritto nei sensi ’) , divenuta anche teorica attraverso una rete
concettuale via via più complessa in base all'apporto del mondo esterno, delle esperienze
altrui, di quanto gli autori hanno trasmesso di loro e del loro mondo (della loro epoca). È fatto
sia individuale sia sociale. Influenzata dagli studi dell'antropologia culturale, la sociologia si
dedica con particolare attenzione allo studio della cultura. In questo ambito è interessante
osservare i diversi contributi forniti dagli studiosi che hanno provato a fornire il loro punto di
vista.