Capitolo 2. Il modello di Hull e White
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Capitolo 2
Il modello di Hull e White
2.1 Introduzione
Il presente capitolo è basato interamente sull’analisi del modello proposto nel 2000 da John C. Hull e
Alan D. White, professori e economisti dell’Università di Toronto, per la valutazione dei credit default
swap. Nella nostra analisi ci limiteremo a trattare i CDS a titolo unico tradizionali, denominati anche
plain vanilla
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, senza considerare i più complessi CDS index e le diverse varianti di CDS single name
presenti sul mercato. Il modello prescelto è quello principalmente utilizzato anche a scopo didattico, in
quanto presenta diverse assunzioni che permettono di semplificare l’analisi senza tuttavia perdere
affidabilità e coerenza sulle conclusioni più importanti.
Il capitolo si apre quindi con la presentazione generale del modello di Hull e White e delle assunzioni
principali che lo caratterizzano, seguito da una digressione sulle modalità per stimare le probabilità di
default delle reference entity e le loro conseguenze sul modello, fino ad arrivare alla derivazione della
formula che consente di calcolare il CDS spread. Questo “è il pagamento su base annua previsto da un
credit default swap, stipulato alla data corrente, per ogni dollaro di valore nominale assicurato” (Hull,
2000). Il capitolo prosegue poi utilizzando il concetto di assenza di opportunità di arbitraggio sui mercati
finanziari per spiegare i risultati raggiunti, mentre nella conclusione si analizzano i limiti del modello di
Hull e White e si accenna al modello, più avanzato, che verrà invece implementato nel capitolo
successivo (modello ISDA).
2.2 Assunzioni di base del modello di Hull e White
Il modello sviluppato da Hull e White ha l’obiettivo di valutare un credit default swap a titolo unico,
andando a descrivere il CDS spread, ossia l’ammontare annuo, espresso in percentuale o in punti base
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di premio da versare per assicurare un dollaro del valore nominale del contratto, denominato nozionale.
Da questo valore si possono dedurre poi i versamenti periodici che caratterizzano questa tipologia di
contratto, secondo la tipica cadenza trimestrale. Va comunque ricordato che, essendo i CDS scambiati
nei mercati OTC, vi è massima libertà negoziale tra le parti, le quali possono accordarsi nel modo da
esse preferito su tutti gli aspetti del contratto.
Hull e White propongono una procedura di valutazione divisa in due step: innanzitutto, è necessario
determinare le probabilità di default neutrali al rischio in diversi istanti futuri, ricavandole dai rendimenti
offerti dai bond della società emittente (primo step), per poi passare a calcolare il valore attuale dei
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In finanza si definisce uno strumento “plain vanilla” quando la sua struttura si basa sulle condizioni standard
di negoziazione.
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“Locuzione che significa una parte per 10.000, cioè l’1% dell’1%, 100 punti base corrispondono quindi all’1%”.
(Treccani)
2.3 Stima delle probabilità di default
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pagamenti attesi da parte del protection buyer e il valore attuale del payoff atteso del CDS (secondo
step). Infine, si evidenzia il CDS spread isolando la variabile d’interesse.
Il modello presenta alcune assunzioni di base che “non possono essere allentate senza introdurre un
modello considerevolmente più complesso”, ma che comunque non tolgono validità all’analisi generale
(Hull, 2000). La più importante è l’assunzione di indipendenza tra la probabilità di default della
reference entity, il tasso di recupero (recovery rate) e il tasso di interesse. Considerate le profonde e
diverse correlazioni che legano i fenomeni macroeconomici, come le determinanti del tasso d’interesse,
e quelli microeconomici e aziendali, come la probabilità d’insolvenza di un soggetto economico,
quest’ipotesi è potenzialmente responsabile di imprecisioni nel modello. Per esempio, un aumento del
tasso di interesse centrale, con conseguenti condizioni meno favorevoli per l’accesso al credito di
un’organizzazione, è una variabile rilevante per l’incremento della probabilità del fallimento del
soggetto economico in questione. Tuttavia la scarsità dei dati in merito per stimare queste correlazioni
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non permette una valutazione accurata della distorsione dovuta a quest’assunzione. Per quanto riguarda
il tasso di recupero dopo il default dell’entità di riferimento, uno studio di Hull and White
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mostra come,
per i CDS single name, una sua variazione non influisca in modo significativo sul CDS spread. Il
recovery rate viene quindi stimato a partire dai dati storici e, a seconda dei diversi emittenti, varia dal
25% al 40% del valore nozionale del debito.
La seconda assunzione rilevante è rappresentata dall’assenza del rischio di default della controparte
contrattuale, ossia non viene presa in considerazione la possibilità che il protection seller possa diventare
insolvente durante il periodo di maturità del CDS. Anche quest’ipotesi è parecchio rilevante, in quanto,
come dimostra il caso AIG, l’eventualità che un ente non riesca a far fronte alle sue obbligazioni anche
a causa dei CDS stipulati non è poi così remota. Il modello andrebbe quindi adeguato per tenere conto
di questa eventualità, come fanno sempre Hull e White in un paper successivo
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.
2.3 Stima delle probabilità di default
La stima delle probabilità di default è uno degli aspetti più importanti del modello, data l’influenza che
queste rivestono nel modello stesso. La metodologia prescelta per ottenere delle stime affidabili, o
quantomeno il più vicine possibili alla realtà, è quella di rivolgersi al mercato dei bond emessi dall’entità
di riferimento e inferire la probabilità del suo fallimento in base al premio richiesto dagli investitori su
questi titoli. Possiamo infatti considerare come la variabile principale che differenzia il rendimento di
un asset considerato sicuro, nel nostro caso i bond del Tesoro americano, dalle obbligazioni emesse da
un’altra entità, sia esclusivamente il costo relativo al suo default. Questa differenza sui premi richiesti
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Le cause del default di una reference entity sono spesso molteplici e difficilmente isolabili nei rispettivi effetti.
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J. Hull e A. White, “Valuing Credit Default Swaps I: No Counterparty Default Risk”, Journal of Derivatives, Vol.
8 No. 1 (2000), pp. 29-40.
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J. Hull e A. White, “Valuing Credit Default Swaps II: Modeling Default Correlations”, Journal of Derivatives Vol.
8 No. 3 (2001) pp. 12-22.
Capitolo 2. Il modello di Hull e White
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tra i bond Usa, suggeriti dagli studiosi Hull e White come riferimento per il tasso privo di rischio
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(risk
free rate) comprende di conseguenza tutte le determinanti che vanno a incidere sul costo del default di
un’entità per gli investitori e rappresenta il premio per il rischio da essi richiesto.
Riassumiamo quindi questa relazione secondo quanto indicato:
à =
−
Di conseguenza, risulta maggiormente facile e accurata la stima delle probabilità di default di reference
entity che hanno emesso una maggior quantità di bond e con scadenze diverse; va inoltre tenuta presente
l’importanza della liquidità dei mercati di riferimento per ottenere dei prezzi adeguati per le diverse
scadenze future. Per le organizzazioni che hanno soltanto poche obbligazioni attivamente scambiate sul
mercato è necessario cercare altre società comparabili, preferibilmente con lo stesso rating e che
presentino caratteristiche simili, tra cui l’appartenenza allo stesso settore economico, e utilizzare i bond
emessi da queste come riferimento per il calcolo delle probabilità di default.
Supponendo di avere un mercato liquido per le obbligazioni dell’entità di riferimento, è necessario
specificare, dato un determinato tasso di recupero , qual è la richiesta di rimborso più comune da parte
degli investitori al momento del default. La miglior approssimazione, che più si avvicina a quanto
indicato nelle leggi sulla bancarotta dei diversi Stati nel mondo, è data dalla somma del capitale
nozionale più gli interessi maturati (J.P. Morgan, 1999; Jarrow e Turnbull, 2000). Possiamo esprimere
ora il payoff tipico di un CDS al momento del default
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come la differenza tra il valore nozionale del
sottostante e l’ammontare
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che verrà teoricamente recuperato secondo le assunzioni sul tasso di
recupero.
= L – R( L + I( t) )
Dove è il capitale nozionale, il recovery rate e ( ) gli interessi maturati al tempo .
Per quanto riguarda il tasso di recupero e la sua determinazione, Hull e White (2000) evidenziano come
non vi sia rischio sistematico insito nei tassi di recupero, motivo per cui essi possono essere ricavati
direttamente dai dati storici senza essere corretti per tenere conto della distorsione tra il mondo reale e
il mondo neutrale al rischio. Il procedimento di valutazione di uno strumento finanziario derivato si basa
infatti sul concetto per cui, data la possibilità di replicare i suoi flussi di cassa costruendo
opportunamente un portafoglio con il sottostante e l’attività priva di rischio, il prezzo alla data corrente
del derivato non dipende dal premio al rischio richiesto dagli investitori. Esprimendo il prezzo futuro
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In realtà nemmeno i bond Usa sono degli asset completamente privi di rischio, ma rappresentano un’ottima
approssimazione (J. Tobin, “Money, Credit and Capital”, 1998, pag. 16)
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Ipotizziamo il cash settlement come metodo di liquidazione del CDS dopo il credit event.
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Composto dal capitale nozionale e dagli interessi maturati al tempo .
2.3 Stima delle probabilità di default
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del derivato a diverse scadenze secondo una distribuzione di probabilità in cui non compare la
percezione del rischio da parte degli investitori
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si ottiene quindi il valore ricercato.
Passiamo quindi a determinare un metodo per calcolare le probabilità di default, supponendo che
l’emittente possa fallire soltanto alle scadenze delle diverse obbligazioni emesse. Consideriamo inoltre
di conoscere con certezza il tasso di recupero e l’ammontare richiesto dagli investitori al default, mentre
valutiamo il tasso di interesse come deterministico. Hull e White (2000) mostrano tuttavia come queste
semplificazioni possano essere allentate mantenendo la stessa validità nell’analisi, purché vi sia
indipendenza tra la probabilità di default, il tasso di interesse e il tasso di recupero
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. L’analisi resta
quindi valida anche per tassi di interesse espressi da una variabile stocastica (per esempio influenzata
da indicatori macroeconomici), per probabilità di default sconosciute e per tassi di recupero non già
definiti e non ricavabili dai dati storici.
Definiamo:
= prezzo odierno del bond corporate (o statale)
= prezzo odierno del bond del Tesoro Usa (senza rischio di fallimento)
( ) = prezzo a termine del bond con maturità al tempo , assumendo che il bond sia privo del rischio
di default
( ) = valore attuale di 1 dollaro ricevuto al tempo con certezza
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( ) = rimborso per il bond richiesto dagli investitori al default al tempo
( ) = tasso di recupero per gli investitori del bond in caso di default al tempo
= valore attuale della perdita sul bond all’istante , rispetto al valore del bond nel caso in cui non
ci fosse stata probabilità di default
= probabilità di default neutrale al rischio al tempo
Il prezzo del bond al tempo in caso di non fallimento è pari a ( ) , mentre in caso di default al tempo
, il valore va corretto per la perdita attesa
= ( ) [ ( )− ( ) ( ) ]
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Motivo per cui la distribuzione di probabilità è definita neutrale al rischio, in quanto l’attitudine degli investitori
al rischio non influenza la valutazione oggettiva del derivato. A differenza delle probabilità reali, questa non ha
un significato economico diretto e serve semplicemente da supporto nei calcoli, derivando da una distorsione
delle probabilità reali per eliminare il rischio percepito dagli investitori.
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Sempre purché il recovery rate sia lo stesso nel mondo reale e nel mondo neutrale al rischio.
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Possiamo individuare il valore attuale con certezza dato il tasso di interesse deterministico.