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Capitolo 1
Il patteggiamento, aspetti essenziali della disciplina
Sommario: 1. Dal modello “tradizionale al modello “allargato”. – 2. Gli
incentivi e la questione sulla riduzione di pena. – 3. I rapporti tra
patteggiamento e gli altri riti speciali. - 4. Patteggiamento e problemi di
legittimità costituzionale.
§1 Dal modello “tradizionale” al modello “allargato”
“L’intento perseguito dal legislatore nell’inserire, nell’ordinamento, tale
forma di procedimento speciale, consiste nella deflazione della giustizia
penale”
1
; è, questo, il ruolo primario che spetta al rito dell’applicazione
della pena su richiesta delle parti all’interno dei procedimenti speciali.
2
Alla base di questo
3
, come di altri riti speciali
4
, vi sono esigenze di
semplificazione e di economia processuale, realizzate eliminando la fase
dibattimentale
5
.
1
Ramajoli, I procedimenti speciali nel codice di procedura penale, Cedam, 1993, p.34.
2
Per una trattazione completa dei procedimenti speciali cfr. Aa. Vv., I procedimenti
speciali, a cura di Dalia, Jovene, 1989, p.449ss; Giustozzi, I procedimenti speciali, in Nuovo
manuale pratico del processo penale a cura di Fortuna – Dragone – Fassone - Giustozzi,
Cedam, 2002, p.741ss; Vigoni, L’applicazione della pena su richiesta delle parti, in I
procedimenti speciali in materia penale, a cura di Pisani, Giuffrè, 2003; Aa. Vv., Guida ai
procedimenti penali speciali, a cura di Aprile – Catullo, Giappichelli, 2003; Pangallo, I
procedimenti speciali, Experta edizioni, 2007; Aa. Vv., Manuale dei procediementi speciali, a
cura di Dell’Andro, Celt, 2003.
3
Le radici possono individuarsi nella legge 24 Novembre 1981 n.689, recante modifiche al
sistema penale, che disciplinava l’ormai abrogato istituto dell’applicazione di sanzioni
sostitutive su richiesta dell’imputato, il quale costituiva una figura atipica vagamente affine
al “plea bergaining” nel common law. Questo istituto fu inizialmente rafforzato con la
legge-delega del 1987 con cui si obbligava il legislatore a prevedere che “il pubblico
ministero, con il consenso dell’imputato, ovvero l’imputato con il consenso del pubblico
ministero, possano chiedere al giudice, fino all’apertura del dibattimento, l’applicazione
delle sanzioni sostitutive nei casi consentiti, o della pena detentiva irrogabile per il reato
quando essa, tenuto conto delle circostanze e diminuita fino ad un terzo non superi i due
2
L’unico “antecedente storico” di pena concordata o, meglio, negoziata è
da rintracciare nell’art.77 della legge 869 del 1981
6
, abrogato
successivamente dall’art.234 del decreto legislativo del 28 luglio 1989
n.271. Si trattava, in quel caso, di una norma dallo spettro applicativo
piuttosto ristretto essendo un istituto applicabile solo in caso di pene
minime
7
, nello specifico non superiori a tre mesi, e necessitavano sempre
due dichiarazioni di volontà (pubblico ministero e imputato) il cui
destinatario era il giudice
8
.
anni di reclusione o di arresto, soli o congiunti a pena pecuniaria”, in questi termini, l’art.2
n.45 della legge 81 del 1987, in argomento vedi Maniscalco, Il patteggiamento, Utet, 2006,
p.2ss; Vigoni, L’applicazione della pena su richiesta delle parti, Giuffrè, 2000, p.6; sul punto
45 della legge delega sopra citata Peroni, La sentenza di patteggiamento, Giuffrè, 1999,
p.61 sostiene che tale esordio sia espressione della volontà del legislatore di creare un
“negozio bilaterale perfetto”.
4
Nappi, Guida al codice di procedura penale, Giuffrè, 2001, p.491: se “l’andamento normale
del processo prevede che esso si sviluppi con il rito dell’alternativa accusatoria, tutti i riti
dell’alternativa inquisitoria si presentano come speciali rispetto al giudizio ordinario”.
5
Come suggerisce l’analisi svolta da Aprile, L’applicazione della pena su richiesta delle parti,
in Guida ai procedimenti penali speciali, a cura di Aprile – Catullo, Giappichelli, 2007,
p.106ss “quello regolato dall’art.444 c.p.p. rappresenta oggi l’unica forma di
patteggiamento prevista dal codice di rito, non potendosi propriamente definire tale il
concordato sui motivi di appello disciplinato dall’art.599 c.p.p. Prima delle modifiche
introdotte dalla legge n.479/1999, il procedimento di applicazione della pena su richiesta
delle parti veniva indicato come il “patteggiamento sulla pena” per distinguerlo dal
“patteggiamento sul rito” che qualificava il giudizio abbreviato; rito speciale, quest’ultimo,
per la cui instaurazione è oggi sufficiente la mera formulazione della relativa richiesta da
parte dell’imputato, mentre non è più necessario il consenso del p.m.”; si riscontrano però
anche opinioni dubbie sulla funzionalità dell’istituto v. Giarda, Dum Romae consulitur…, in
Dir. Pen. Proc., 2003, p.666 “non è agevole prevedere se potrà attecchire una disciplina
incentrata su un processo contratto, con la sola incentivazione premiale della diminuente di
pena fino ad un terzo”.
6
Non si trattava in realtà di un vero e proprio accordo perché il consenso del pubblico
ministero serviva soltato ad eliminare un ostacolo ad un epilogo del processo diverso da
quello ordinario.
7
Le sanzioni sostitutive erano stabilite dall’art.53 della legge 689/81, ed erano:
semidetenzione, libertà controllata e sanzione pecuniaria.
8
Questi aspetti peculiari del rito dell’art.77 legge 689/81 portavano con se delle critiche tra
cui cfr. Cordero, Procedura penale, Giuffrè, 2006, p.835 il quale parla, riferendosi a tale
legge di “istituto ibrido e male rifinito (con varie difficolità pratiche)”.
3
Però, esempi di giustizia negoziata si trovano anche e soprattutto a
livello di diritto comparato contemporaneo.
Nell’esperienza giuridica anglosassone (istituto del plea bargaining o
guilty plea sui quali, dalla lettura dei lavori parlamentari, si focalizzò
maggiormente l’attenzione del legislatore italiano dell’epoca; bisogna
tuttavia evitare semplicistici accostamenti tra i due istituti di giustizia
negoziale; sussistono infatti, tra il nostro patteggiamento e i modelli di
soluzione negoziata affermatisi nel common law, differenze di indubbio
spessore che riguardano non solo l’essenza del rito ma anche gli stessi
principi regolatori dell’ordinamento; basti pensare che nel processo
anglosassone l’accordo delle parti può riguardare anche la qualificazione
giuridica del fatto e che, a differenza del nostro sistema in cui ai sensi
dell’art.112 della Costituzione il pubblico ministero ha l’obbligo di
esercitare l’azione penale, nei sistemi di common law vige attualmente
l’opposto principio della discrezionalità dell’azione penale da parte del
pubbic prosecutor)
9
, francese (composition pènale) portoghese (processo
sumarìssimo) e spagnolo (conformidad)
10
. Ma si potrebbe addirittura
risalire anche all’antico diritto borbonico vigente nel XVIII secolo nel Regno
delle Due Sicilie
11
.
9
Fanchiotti, Origine e sviluppo della “giustizia contrattata” nell’ordinamento statunitense,
in Riv. In. Dir. Proc. Pen., 1984, p.26; Fanchiotti, Lineamenti del processo penale
statunitense, Giappichelli, 1987, p.111.
10
Secondo Vigoni, L’applicazione della pena su richiesta delle parti, Giuffrè, 2000, p.34
piuttosto che con l’istituto anglosassone, il nostrano patteggiamento riscontra più affinità
con il rito spagnolo consensuale della conformidad.
11
Critico De Caro, “Relazione dell’incontro di studio 18.7.2003”, in www.giuridea.it, secondo
cui anche l’istituto ottocentesco di matrice Borbonica del “Truglio” svolgeva una funzione
analoga al nostro patteggiamento, utilizzato nell’epoca pre-unitaria per giungere ad un
accordo tra accusatore ed imputato sull’entità della pena. Nello stesso senso si pronuncia
Astarita, Nicola Nicolini e la riforma della procedura penale nel regno delle Due Sicilie,
4
Il suddetto antecedente nostrano può considerarsi l’embrione di quello
che sarà il futuro patteggiamento nella sua forma tradizionale.
Sull’inquadramento di tale figura non vi erano in principio visioni
concordanti.
In dottrina, si dividevano il campo coloro che consideravano la sanzione
sostitutiva (patteggiata) come una sanzione amministrativa
12
e, di
conseguenza, interpretavano tale rito esclusivamente come strumento di
depenalizzazione processuale (esempi del genere di depenalizzazione
possono incontrarsi anche oggi per alcuni reati di lieve entità); altri lo
consideravano come una vera e propria sentenza di condanna
13
.
La prassi, però, col tempo dimostrò l’inidoneità di questo rito ad
assolvere il compito deflativo affidatogli, cosicchè si addivenne a vari
disegni di legge, volti a ridisegnare ed ampliare la sfera applicativa del
patteggiamento. Questi interventi rinnovatori, si svilupparono
parallelamente ad una radicale modifica dell’intero processo penale
italiano
14
.
Anzitutto, venne ampliato l’ambito applicativo, prevedendo una pena
detentiva fino a due anni; in secondo luogo, dal punto di vista strutturale,
Edisud, 2009, passim., che rileggendo Nicolini, giurista del secolo passato, accosta anch’egli
il patteggiamento all’istitituto viceregnale del “Truglio” basandosi su una pena definita
totalmente in maniera arbitraria tra le parti. In dottrina Lozzi, Lezioni di procedura penale,
Giappicchelli, 2011, p.492, afferma che “suscita sconforto constatare che il legislatore cerchi
di ripristinare l’efficienza processuale rispristinando il truglio del diritto borbonico, la cui
etmologia deriva da intruglio nel senso di imbroglio, inganno”. Si spinge ancora più indietro
Cremonesi, Il patteggiamento nel processo penale, Cedam, 2005, p.45, descrivendo il
patteggiamento come discendente dalla Lex Burgundiorum Alemannorum dell’alto
medioevo.
12
V. Rigo, sub art.444 c.p.p., in Codice di procedura penale commentato, a cura di Giarda –
Spangher, Ipsoa, 2007.
13
Per un amplius sulla qualificazione della sentenza di patteggiamento vedi infra §4.
14
Come sottolinea Giarda, Dum Romae consulitur…, in Dir. Pen. Proc., 2003, p.665 che parla
di “malessere funzionale diffuso”,
5
si passò dal duplice requisito della richiesta dell’imputato e del parere
vincolante del pubblico ministero ad un accordo tra le stesse parti su cui
spettava al giudice pronunciarsi.
E’ qui che si ha il vero punto di rottura tra ciò che era
15
e ciò che sarà.
Infatti, ad un mero beneficio per l’imputato, si sostituisce un rito
alternativo di ispirazione negoziale e a contenuto marcatamente premiale.
Ciò è stato anche incoraggiato dalla Raccomandazione R(87) del
Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa sulla semplificazione della
giustizia penale
16
, con cui si chiedeva agli Stati, a prescindere dal tipo di
ordinamento interno (obbligatorietà o discrezionalità dell’azione penale),
di attribuire maggior rilievo alla volontà dell’imputato nella definizione di
un procedimento penale.
Si iniziò, così, a parlare in modo esplicito di “giustizia negoziale”. Quello
di “giustizia negoziale” è un concetto che permette di includere il
patteggiamento, così come formulato agli albori della sua introduzione, tra
quei procedimenti che vedono il consenso delle parti quale elemento
fondante e fondamentale per gli sviluppi processuali. Questa base
consensuale, al tempo stesso sufficiente e necessaria, è caratteristica non
solo dell’istituto in esame ma anche di altri procedimenti semplificati (fra
tutti il giudizio immediato a richiesta dell’imputato ex art.419 c.p.p. da cui
come vedremo nel prosieguo, si differenzia
17
).
15
Per un raffronto tra i due modelli di patteggiamento, vedi Marzaduri, L’applicazione di
sanzioni sostitutive su richiesta dell’imputato, Giuffrè, 1985, p.51; Lozzi, Commento
all’art.77 L. 24 novembre 1981 n°689, in Legis. Pen., 1982, p.378.
16
Espone diffusamente su questa Raccomandazione, Vigoni, op. cit., p.14; Marcolini,
Pattggiamento e accertamento giurisdizionale, FK edizioni, 2009, p.23.
17
Vedi Infra §3.
6
I profili normativi riguardanti la struttura base del rito agganciano
l’accordo inter partes
18
(pubblico ministero e imputato) a specifici
presupposti; invero, si legge nella norma che le parti possono chiedere
“l’applicazione, nella specie e nella misura indicata, di una sanzione
sostitutiva o di una pena pecuniaria, diminuita fino a un terzo, ovvero di
una pena detentiva quando questa, tenuto conto delle circostanze e
diminuita fino ad un terzo, non supera i due anni di reclusione o di arresto,
soli o congiunti a pena pecuniaria”.
Com’è facile notare, la mancanza della fase dibattimentale, quale fase
che appesantisce i procedimenti penali in quanto in essa si esplicita a
pieno il diritto di difesa dell’imputato, viene bilanciata dalla previsione di
alcuni incentivi per l’imputato.
Con lo scopo di favorire il ricorso a questo tipo di procedimento
speciale, il legislatore ha sancito dei “premi” con funzione di contrappeso
alla definizione anticipata
19
.
Lo stesso imputato potrebbe non scegliere il rito de quo e fare
affidamento sulla risaputa incapacità del sistema processuale italiano di
assicurare il rito ordinario a tutti i soggetti e sui tempi lunghi connessi al
suo svolgersi interamente
20
, al fine di cercare di arrivare alla prescrizione
del reato o ad altri provvedimenti di clemenza
21
(vedi condono o amnistia).
18
In relazione all’accordo tra le parti vedi Aprile, L’applicazione della pena su richiesta delle
parti, in Guida ai procedimenti penali speciali, a cura di Aprile – Catullo, Giappichelli, 2007,
p.114; Pangallo, I procedimenti speciali, Experta edizioni, 2007, p.343.
19
Cerqua, Riti alternativi e incentivi premiali: implicazioni di natura sostanziale, in Cass.
Pen., 1992, p.1702.
20
5 anni in media secondo la Direzione statistica del Ministero della Giustizia, da
www.ilsole24ore.com.
21
Spangher, I procedimenti speciali, in Procedura penale, a cura di Aa. Vv., Giappichelli,
2010, p.503 parla al proposito di “considerazioni inespresse”.
7
Nella prassi erano messi in discussione vari profili
22
: oltre alle resistenze
di carattere culturale, ci si chiedeva se questo istituto non comportasse
una giustizia forfettaria e sommaria e, come tale, fuori dai parametri
costituzionali
23
.
Numerosi sono stati gli interventi della Corte Costituzionale, in un’ottica
“costituzionalmente orientata”, al fine di modellare il rito e renderlo
conforme al dettato costituzionale, spesso attraverso sentenze
interpretative di rigetto su vari aspetti; tra tutte l’attenzione va posta sulle
pronunce relative ai poteri valutativi giudiziali
24
e a quelle sugli effetti della
sentenza di patteggiamento nei giudizi disciplinari
25
.
I vari interventi della Corte Costituzionale negli ultimi decenni e i dissidi
interni alla stessa dottrina, tutt’altro che sopiti, rendono tangibili le
tensioni interpretative dirette a bilanciare esigenze di semplificazione,
funzionalità ed efficienza del sistema processuale italiano
26
.
Il rito “patteggiato” nella sua formula classica o, come oramai viene
definita, “tradizionale”, è stato concepito come una struttura fondata
necessariamente sull’accordo tra pubblico ministero e imputato
27
.
22
Tonini, Patteggiamento come si cambia, in Dir. Giust., 2003, n.27, p.8; Pezzella,
Patteggiamento, perché non convince, in Dir. Giust., 2003, n.32, p.94. In senso positivo alla
riforma Aprile, L’applicazione della pena su richiesta delle parti, in Aa. Vv., Manuale dei
procedimenti speciali, a cura di Dell’Andro, La Tribuna, 2003, p.89; Cremonesi,
Patteggiamento tradizionale e allargato: ecco le differenze, in Dir. Giust., 2003, n.24, p.14.
23
Parla di “irrazionalità dell’istituto” Ferrua, Patteggiamento, legge tre volte irrazionale, in
Dir. Giust., 2003, n.29, p.8.
24
Corte Cost., 2 luglio 1990, n.313, in www.cortecostituzionale.it.
25
Corte Cost., 14 dicembre 2009, n.336, in www.cortecostituzionale.it.
26
Oddone, Una seveso giuridica? Il plea berganing (o patteggiamento?) dagli Stati Uniti
all’italia, in Quest. Giust., 1985, p.455 che in riferimento ai criteri di giustificazione del
patteggiamento, posto com’è ad avere funzione deflattiva, parla di “Seveso giuridica”.
27
Come osservato da Grilli, I procedimenti speciali, Cedam, 2011, p.127: “gli elementi
strutturali dell’istituto (…) sono due: le parti patteggiano la pena e il giudice la valuta in
relazione all’imputazione e la applica”.
8
La richiesta di patteggiamento, può essere formulata indifferentemente
da entrambe le parti, giacché ambedue potrebbero avere interesse ad
evitare la fase dibattimentale; in caso di “richiesta con adesione
28
”, la
parte che non ha preso l’iniziativa deve esplicitamente aderire entro un
dato termine. Va da se che richiesta e consenso sono elementi indifettibili
dell’accordo delle parti, altrimenti verrebbe meno la stessa essenza del
pactum.
Tuttavia, si è rilevato come richiesta e consenso non farebbero parte di
una sinallagma perfetta, ma sarebbero indirizzati al giudice separatamente
e non già in un accordo, ammettendo così, conseguentemente, la
possibiltà di una revoca unilaterale
29
.
Seppur suggestiva, questa tesi non convince, in quanto il legislatore,
tacendo sul punto, non affida alle parti la facoltà di recedere
unilateralmente dall’accordo
30
; infatti, la legge espressamente ammette la
revoca della richiesta o del consenso solo congiuntamente, quando tra
28
Vigoni, op. cit., p.139.
29
L’orientamento che appoggia la revocabilità del consenso o della richiesta di
patteggiamento argomenta che l’accordo tra le parti non rientra all’interno dei negozi
bilaterali, cosicchè richiesta e consenso costituiscono due manifestazioni di volontà
unilaterali separate provenienti singolarmente dalle parti, volontà che si definiranno
definitivamente con la decisione dell’organo giudiziale, l’ammissione di questa struttura
separata comporta l’ammissione della revocabilità della richiesta o del consenso. In questi
termini Riccio, Profili del nuovo codice di procedura penale, a cura di Conso – Grevi, Cedam,
1993, p.425; Nappi, Guida al codice di procedura penale, Giuffrè, 1991, p.320; anche Fillipi,
Il patteggiamento, Cedam, 2000, p.72: “la differente natura di richiesta e consenso,
estrinsecazione della volontà di distinte parti processuali, impone il riconoscimento di
un’autonoma facoltà di recesso”; in una posizione intermedia Cremonesi, Il patteggiamento
nel processo penale, Cedam, 2005, p.167 che ammette la revocabilità del consenso prima
dell’accordo, aggiungendo però che se all’imputato basta non dar seguito alla richiesta, il
pubblico ministero deve motivare il cambio di posizione, mentre nega tale possibilità dopo
il raggiungimento dell’accordo “per tutelare lo stato delle cose”.
30
Cremonesi, Il patteggiamento nel processo penale, Cedam, 2005, p.170, spiega la non
plausibilità della tesi sulla base del brocardo latino “ubi lex voluit, ibi dixit”.
9
imputato e pubblico ministero si formi il “contrario consensus
31
”,
comunque sempre prima che venga emessa la sentenza.
Inoltre, l’accordo raggiunto tra le parti non può considerarsi
esclusivamente diretto alla “composizione della pena
32
”, ma importa la
cristallizzazione del materiale probatorio. A ben vedere, invero, si ha solo
la “negoziazione della cornice
33
”, il giudice dovrà deliberare sull’accordo
senza nessuna possibilità d’integrare il materiale probatorio
34
, in quanto,
la scelta dell’imputato di rinunciare alla facoltà di difendersi, costituisce un
limite invalicabile per il potere del giudice.
Tuttavia, come concordemente si afferma, la rinuncia al diritto di
difesa
35
, non deve essere vista come ammissione di reità o, addirittura,
come una “confessione implicita
36
” della proprio colpevolezza.
La disponibilità del proprio diritto di difesa concerne solo l’esercizio del
diritto al contraddittorio sulla prova, così come sancito dall’art.111 Cost.;
31
Masi, Electa una via non datur recursus ad alteram: l’impossibilità di revocare il consenso
al patteggiamento, in www.treccani.it, p.6.
32
Cordero, Strutture d’un codice, in Ind. Pen., 1989, p.23.
33
Furgiuele, L’applicazione della pena su richiesta delle parti, Edizioni scientifiche italiane,
2000, p.56; viene assunto in un significato diverso nella sentenza Corte Cost., 2 luglio 1990,
n.313, in www.cortecostituzionale.it, dove si parla di “cornice di legittimità” per escludere
un controllo meramente formale del giudice affermando che “anzi esso finisce per essere
determinante proprio agli effetti della commisurazione della pena, sulla quale ripristina
l’imperio di quella legge alla quale, soltanto, egli è soggetto”.
34
Vedi sul punto infra cap. 2.
35
Della volontà dell’imputato, da cui consegue il patteggiamento, si è molto discusso nella
giurisprudenza, Brizi, Il patteggiamento, Giappichelli, 2007, p.15 parla di panorama
“variegato”. Secondo Cass. Sez. VI, 15 ottobre 1990, in Cass. Pen., 1992, p.371 la richiesta di
patteggiamento, nel determinare la transanzione sulla pena, comporta l’accettazione da
parte dell’imputato degli elementi probatori acquisiti agli atti, con implicita rinuncia al
diritto di difendersi provando, nonché rinunciando alla possibilità, negata espressamente
per il rito in esame, di chiedere un riesame nel merito in appello, si sostiene inoltre
“l’imputato implicitamente e volontariamente rinunzia ad avvalersi della presunzione di
non colpevolezza”.
36
Pacileo, L’alternativa tra applicazione della pena su richiesta di parte e proscioglimento,
in Cass. Pen., 1991, p.359.
10
una diversa interpretazione farebbe venir meno, d’un solo colpo, sia la
presunzione di non colpevolezza, sancita dall’art.27 Cost., sia i controlli
che il giudice deve effettuare ex art.444 c.p.p.
37
, potendo egli prosciogliere
“immediatamente” l’imputato ex art.129 c.p.p.
38
.
Ciò non sarebbe possibile se la scelta di usufruire del rito del
patteggiamento equivalesse ad un’ammissione, seppur tacita, di
responsabilità, non residuando nessuna possibilità al giudice se non quella
di condannare il “reo confesso”
39
.
Pur non postulando l’esigenza di formule sacramentali, la domanda di
patteggiamento deve presentare determinati requisiti di “riconoscibilità
esterna”, in modo da permettere all’interprete di pronunciarsi sul thema
decidendum che gli è stato devoluto; la richiesta e il consenso sono
formulati oralmente (se effettuata nel corso dell’udienza
40
) o in forma
scritta (negli altri casi
41
).
Rientrando il patteggiamento nei rapporti giuridici personalissimi è
escluso che possa compiersi per interposta persona. Unica eccezione al
regime degli atti personalissimi è la possibilità di proporre la richiesta o
accettare la proposta del pubblico ministero a mezzo di procuratore
speciale
42
, vi saranno così due atti: l’atto di procura speciale
43
(che ex
37
Vedi Infra cap. 2.
38
Sullo specifico controllo in relazione all’assenza di causa di non punibilità vedi infra cap. 2
§3.
39
Cfr. Tonini, Manuale di procedura penale, Giuffrè, 2011, p.736 che prende posizione sulla
questione affermando che seppur l’imputato rendesse una confessione “questa sarebbe
liberamente valutabile dal giudice”.
40
Cremonesi, Il patteggiamento nel processo penale, Cedam, 2005, p.112.
41
Cremonesi, op. cit., p.117.
42
Pangallo, I procedimenti speciali, Experta edizioni, 2007, p.90; Filippi, Il patteggiamento,
Cedam, 2000, p.60 per cui la richiesta deve essere: “certa ed univoca”.
11
art.122 c.p.p. deve essere un atto pubblico o una scrittura privata
autenticata indicante l’oggetto per cui è rilasciata e i fatti a cui si riferisce)
e l’atto che esprime il consenso o la richiesta di patteggiamento.
Così come fin qui descritto, il nuovo rito ha avuto una discreta
applicazione. Le perplessità dell’istituto sfociarono nel 1999 nella legge
479 cosiddetta legge Carotti
44
, con la quale venne effettuato un primo
“restyling del rito
45
”: venne rivalutato il ruolo del giudice rispetto a quello
del pubblico ministero, consentendogli, ad esempio, di riconoscere i
benefici premiali non solo quando il rito del patteggiamento non si sia
potuto celebrare per il dissenso ingiustificato del pubblico ministero, ma
anche quando ciò sia dipeso dalla decisione di un giudice precendente
(potendo nel frattempo essere mutate le cirostanze di fatto e di diritto in
ordine al caso concreto); venne inoltre anticipato il momento ultimo di
accesso al rito fissandolo alla chiusura dell’udienza preliminare.
Negli anni successivi alla legge Carotti, il legislatore non è intervenuto,
in maniera incisiva, sulla materia
46
.
43
In riferimento alla procura speciale come atto sufficiente a chiedere la sospensione ex
art.5, comma due, legge 134/2003 e a i problemi a questa legati vedi infra cap. 3 §1.
44
Per uno studio completo della legge Carotti e dell’iter parlamentare che lo ha preceduto
vedi, Peroni, Le novità in tema di patteggiamento: tra suggestioni giurisprudenziali e
razionalizzazione dell’esistente, in Il processo penale dopo la riforma del giudice unico
(legge 16 dicembre 1999 n.479), a cura di Peroni, Cedam, 2000, passim.; Maniscalco, Il
patteggiamento, Utet, 2006, p.5; Vigoni, L’applicazione della pena su richiesta delle parti,
Giuffrè, 2000, p.304; Furgiuele, L’applicazione della pena su richiesta delle parti, Edizioni
scientifiche italiane, 2000, p.70 soprattutto in relazione all’anticipazione dei termini che la
legge Carotti ha comportato; Barbarano, Via libera ai riti alternativi “subordinati”, in Dir.
Giust., 2006, n.6, p.44 nello specifico sui problemi relativi alla competenza del giudice a
decidere sul patteggiamento sullo stesso problema in giurisprudenza Cass. Sez. Un., 17
gennaio 2006, n.3088, in Dir. Giust., 2003, n.6, p.47.
45
Vigoni, La trasformazione dei riti “a prova contratta”, in Il codice di procedura penale in
vent’anni di riforme, Giappichelli, 2009, p.113.
46
Eccetto le piccole modifiche intervenute con la legge 97/2001 “Norme sul rapporto tra
procedimento penale e procedimento disciplinare ed effetti del giudicato penale nei
12
Il rito in discorso, di fatto, dopo la legge 12 giugno 2003 n.134
47
presenta due forme
48
: un patteggiamento definito “tradizionale” (in
quanto già presente nel sistema penale molto tempo prima della riforma)
e un patteggiamento “allargato”, così chiamato perché consente di
patteggiare una sanzione da due anni e un giorno fino a cinque anni di
pena detentiva, soli o congiunti a pena pacuniaria.
La differenza tra le due forme di patteggiamento riguarda l’aspetto dei
benefici. Se infatti, nel modello “tradizionale” questi occupano uno spazio
di primo piano e preponderante, nel modello “allargato” funzione primaria
è quella di snellire l’attività giurisdizionale, permettendo all’imputato di
patteggiare anche pene elevate per reati di indubbio pericolo sociale.
Il modello di patteggiamento tradizionale fu introdotto, come visto, per
permettere all’imputato di definire immediatamente, in accordo con il
pubblico ministero, la propria situazione, snellendo, così, l’accertamento e
il carico processuale
49
.
confronti di dipendenti delle amministrazioni pubbliche” che, modificando il comma 1-bis
dell’art.445 c.p.p., ha comportato che la sentenza di patteggiamento abbia effetto nei
giudizi disciplinari davanti le pubbliche autorità, tale che, per questi giudizi la sentenza di
patteggiamento sarà valida per quanto riguarda l’accertamento della sussistenza del fatto,
la sua illiceità e la colpevolezza dell’imputato, novità inserita secondo Vigoni, La
trasformazione dei riti “a prova contratta”, in Il codice di procedura penale in vent’anni di
riforme, Giappichelli, 2009, p.115 per fare da “contrappeso all’alto profilo premiale del rito,
scongiurando sperequazioni conseguenti a disomogenei indirizzi giurisprudenziali,
arginando ingiustificati benefit e frenando l’eccessiva portata liberatoria dell’esito
patteggiato nella sede extrapenale in discorso”(disciplinare).
47
Direttamente chiamata da Garofoli, Diritto processuale penale, Giuffrè, 2012, p.370
“legge patteggiamento allargato”.
48
Bovio, Il punto di vista del difensore, in Patteggiamento “allargato” e giustizia penale, a
cura di Peroni, Giappicchelli, 2004, p.215 parla di un “patteggione” ed un “patteggino” a
seguito della legge 134/2003 che ha introdotto un patteggiamento “major” allargato al
fianco di quello “tradizionale” più circoscritto detto infatti “minor”.
49
Tali finalità deflattive emergono in modo inequivoco dalla Relazione Progetto Preliminare
Codice di procedura penale, in G.U., Serie generale, 24 Ottobre 1988, n.250, supplemento
ordinario n.2, p.104 che ne sottolinea la priorità affermando che ai riti speciali “è affidata in
13
Nell’odierna disciplina del patteggiamento, tra gli effetti premiali, è
menzionata la non applicazione di misure di sicurezza, ad eccezione della
confisca (sia obbligatoria che facoltativa
50
).
L’art. 445 c.p.p. afferma, a tal proposito, che con la sentenza di
patteggiamento va disposta la confisca “nei casi previsti dall’art.240 del
codice penale”, non si dà quindi spazio, come in precedenza, solo alla
confisca obbligatoria – cioè confisca delle cose che furono il prezzo del
reato e delle cose a questo pertinenti – ma anche alla confisca facoltativa,
che può essere disposta anche qualora la pena detentiva patteggiata non
superi i due anni.
L’innovazione in esame è stata apprezzata dalla più autorevole dottrina,
che si è espressa in modo unanime affermando che con questa “il
legislatore ha colto l’occasione per rimuovere una tra le più cospicue
aporie del vecchio impianto, fonte di disagi interpretativi e di distorsioni
operative non indifferenti
51
” (va ricordato, che questa misura di sicurezza
patrimoniale non può essere oggetto di accordo tra le parti, sebbene sia
facoltativa, ma rimane sempre rimessa all’esclusiva valutazione del
giudice).
gran parte la possibilità di funzionamento del procedimento ordinario cosi da (…) evitare il
passaggio alla fase dibattimentale di un gran numero di procedimenti, secondo uno schema
di deflazione comune a tutti i sistemi processuali che si ispirano al modello accusatorio”.
50
Questa modifica intervenuta con la legge 134 del 2003, ha sancito definitivamente quello
che già nella prassi si svolgeva da tempo, cioè l’ampliamento dei casi in cui disporre la
confisca, eliminando il riferimento al comma due dell’art.240 c.p., vedi Maniscalco, Il
patteggiamento, Utet, 2006, p.213ss; nello stesso senso Bricchetti – Pistorelli, Restano gli
incentivi solo sull’accordo a due anni, in Gui. Dir., 2003, n.25, p.25; Brizi, Il patteggiamento,
Giappichelli, 2008, p.221.
51
Cfr. Di Chiara, Spettro applicativo e regime premiale del patteggiamento ridisegnato: uno
sguardo d’insieme, in Patteggiamento “allargato” e giustizia penale, a cura di Peroni,
Giappichelli, 2004, p.33.
14
Ulteriori effetti premiali che saranno analizzati più diffusamente nel
prosieguo
52
sono: l’estinzione del reato decorsi determinati termini
(cinque anni in caso di delitto, due anni se si tratta di contravvenzione),
l’inefficacia nei giudizi civili o amministrativi, la non iscrizione nel
certificato penale o generale richiesto dall’interessato e, soprattutto, la
riduzione di pena fino ad un terzo. Sostanzialmente, la novella ha
comportato una diminuzione dello spazio premiale precedentemente
previsto in relazione alla nuova forma di patteggiamento
53
.
Requisito indifettibile per poter accedere all’istituto del patteggiamento
“tradizionale” è il massimo di pena su cui imputato e pubblico ministero
possono accordarsi al netto della riduzione fino ad un terzo (cioè
includendo eventuali aggravanti e attenuanti): due anni di pena detentiva
soli o congiunti a pena pecuniaria, mentre nel caso di sola pena pecuniaria
52
Vedi Infra §2.
53
Come analizza De Rosa, La differente tipologia delle sentenze di patteggiamento e i nuovi
effetti premiali connessi alle specifiche forme procedurali, in Patteggiamento allargato e
sistema penale, a cura di De Caro, Giuffrè, 2004, p.122 “la presa di coscienza dell’esistenza
di un’indiscutibile e sostanziale diversificazione degli effetti conseguenti alle due opzioni
alternative al dibattimento, rappresentate dalle rispettive forme di patteggiamento
presuppone, a questo punto, una doverosa pausa di riflessione in ordine all’individuazione
di possibili e sicuramente problematici, sotto il profilo costituzionale, criteri logico-giuridici
di giustificazione dell’operazione normativa di differenzazione processuale e sostaziale
collegata all’oggetto della ‘negoziazione sulla pena’, utilizzati dal legislatore quali parametri
di riferimento nell’operazione di modifica delle norme sul patteggiamento”, un criterio
viene individuato dall’autore in parametri non codificati ma di natura politico – sociale che
rendono inopportuna una estensione generalizzata degli effetti premiali in ipotesi
delittuose particolarmente gravi; sulla stessa linea Cremonesi, Patteggiamento tradizionale
e allargato: ecco le differenze, Dir. Giust., 2003, n.23, p.14, il quale afferma che “l’imputato
potrà, solamente nel patteggiamento tradizionale, evitare l’applicazione delle pene
accessorie e delle misure di sicurezza. Se si fossero estesi questi benefici anche alla nuova
formulazione della pena concordata, la potestà punitiva statuale sarebbe uscita
irrimediabilmente menomata e priva di credibilità (…) non bisogna dimenticare che nel
“nuovo” istituto vengono danneggiati beni giuridici con una intensità maggiore rispetto al
patteggiamento ordinario”.
15
non sussiste nessuna soglia massima per l’applicazione del
patteggiamento.
Gli effetti premiali tipizzati nel patteggiamento sono tassativi e
insuscettibili di estensione analogica e si possono distinguere in “diretti” e
“differiti” a seconda che trovino origine nell’articolo 444 c.p.p. oppure “il
loro insorgere sia rinviato al futuro ed ipotetico verificarsi di ulteriori
condizioni”
54
.
Rientrano tra gli effetti del primo tipo: la diminuzione di pena fino ad un
terzo, la conversione della pena detentiva in pena pecuniaria, l’esonero
dal pagamento delle spese processuali e la mancata applicazione delle
pene accessorie e delle misure di sicurezza. Mentre, rientrano tra gli effetti
del secondo tipo: la limitazione del giudicato penale nel giudizio civile, la
sospensione condizionale della pena ove possibile
55
e l’estinzione del reato
allo scadere dei cinque anni o due anni (a seconda che si tratti di delitto o
contravvenzione), questi ultimi effetti citati, come è facile intuire, non
conseguono immediatamente al momento della pronuncia del
provvedimento, altrimenti rientrerebbero nella prima categoria.
Vi sono anche degli effetti “indiretti” e “riflessi” che “riguardano, in
generale, le ripercussioni favorevoli e vantaggiose che si manifestano
attraverso la dilatata possibilità di usufruire di istituti altrimenti
preclusi”
56
, quali la sospensione condizionale della pena, che non potrebbe
concerdersi se la pena superasse i due anni, o l’indulto.
54
Cremonesi, Il patteggiamento nel processo penale, Cedam, 2005, p.176
55
Vedi più diffusamente infra cap. 4 §1.
56
Cremonesi, op. cit., p.177.